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Autore: Carmaux_95    04/10/2022    10 recensioni
[Ushihina | FlowerShopAU ]
Ushijima Wakatoshi era un tipo abitudinario: sveglia alle 6 del mattino; una fetta biscottata con marmellata di limone giusto per tappare il buco allo stomaco; solo tre quarti d’ora di corsa intorno all’isolato, sostando qualche minuto davanti al negozio di fiori per riprendere fiato e cercare di capire quelle maledette piante prima di rientrare a casa; doccia; una colazione sostanziosa; lavoro.
Non è che non volesse ascoltare, come sosteneva Satori, semplicemente proprio non riusciva a capire cosa Hinata Shoyo intendesse quando gli diceva: “Japan, sai che assomigli ad una margherita?”
[scritta per il compleanno di Violet Sparks ♥]
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Wakatoshi Ushijima
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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ASTER
 
a Violet Sparks
 
 
Io non so niente di me. I fiori nel prato, invece, sanno tutto quel che c’è da sapere. Dove, come, quando e con chi sono stato felice.
(Fabrizio Caramagna)
 
 
Ushijima Wakatoshi era un tipo abitudinario: sveglia alle 6 del mattino; una fetta biscottata con marmellata di limone giusto per tappare il buco allo stomaco; un’oretta di corsa intorno all’isolato; doccia; una colazione sostanziosa; lavoro.
Aveva sempre amato correre: lo aiutava ad affrontare la giornata con il buonumore e a fare ordine nella sua mente. Ogni giorno usciva di casa e oltrepassava il supermercato, entrava nel parco – che rigirava in lungo e in largo, catturando a sua insaputa gli sguardi di numerosi passanti – usciva, svoltava l’angolo, passava davanti al piccolo negozio di fiori e, un centinaio di metri più avanti, rientrava a casa.
Semplice. Preciso.
Anche quella mattina, come sempre, svoltò l’angolo come ma, per la prima volta, si fermò davanti al negozio di fiori.
La porta, appena accostata, lo invogliò ad avvicinarsi per sbirciare ma non entrò: mancavano ancora dieci minuti all’orario di apertura. Al suo interno sembrava già esserci qualcuno. Questi, vedendolo, gli fece un cenno con la testa: «Ciao!»
Ushijima Wakatoshi, ad un primo sguardo, lo avrebbe definito un ragazzino. Non raggiungeva il metro e settanta d’altezza, la pelle pallida, occhi giganteschi e una testa dello stesso colore dell’evidenziatore che usava quotidianamente in ufficio per sottolineare le informazioni salienti dei documenti che gli passavano sottomano. Indossava un paio di guanti di protezione e un grembiule su cui era spillata una targhetta con il nome. Hinata Shoyo.
Controllò l’orologio: avrebbe comunque educatamente aspettato se il fioraio non lo avesse interpellato nuovamente venendo ad aprirgli la porta.
«Prego, prego, entri pure. Arrivo subito» aggiunse andando a spostare un vaso che, date le sue dimensioni – o data la minuta corporatura del giovane –, avrebbe potuto comodamente accoglierlo.
Osservandolo, Ushijima avrebbe descritto la scena come una lotta tra il giovane e il suddetto vaso, scontro che si concluse con la vittoria assoluta di quest’ultimo, smossosi di appena un millimetro nonostante tutti gli sforzi del ragazzo dai capelli arancioni. «In fondo sta bene anche qui…» borbottò questi e, nascondendo l’imbarazzo, saltò dietro al bancone. «Mi dica tutto!»
Aveva bisogno di un regalo semplice ma funzionale. Non è che fra colleghi si conoscessero così bene, in realtà – lavoravano insieme da poco – e Ushijima era il primo a non dare troppa importanza nemmeno al giorno del proprio compleanno. Tuttavia, presentarsi a mani vuote gli sarebbe parso poco carino nei confronti della collega, suo diretto superiore tra le altre cose, che aveva appena raggiunto i trent’anni.
«Ho bisogno di un mazzo di fiori».
«Qual è l’occasione?»
«Compleanno».
«Di chi?»
«Una mia collega».
«Una collega speciale
Ushijima rifletté per qualche istante prima di rispondere scrollando le spalle: «Non particolarmente».
«Mmmh».
Vedendo che il ragazzo si attardava, continuando a tamburellarsi le labbra con l’indice di una mano, Wakatoshi indicò un mazzo esposto poco distante dalla cassa: «Quanto viene quello?»
«Quello?! Ma non va bene!» esclamò il fioraio sfoderando un sorriso luminoso come il sole di primavera.
«Perché no? Mi sembra elegante».
«Beh, sì, ma i fiori parlano: quando si realizza una composizione è importante scegliere i fiori giusti».
«I fiori non-»
«Dalia! Ecco cosa ci vuole!» esclamò il rosso facendo schioccare le dita. «Per un’occasione allegra come un compleanno la dalia è perfetta: auspica lunga vita!» esclamò mentre iniziava a dare vita al bouquet. «Potrei aggiungere anche dell’iris che porta con sé buone notizie! Potrebbe andare bene?»
Ushijima non trovò subito il modo di ribattere. Entrare in quel negozio era stata una pessima idea ma in sua discolpa non si sarebbe mai aspettato di avere a che fare con un ragazzino che parlava a vanvera!
I fiori non parlavano e di certo non avevano modo di portarsi appresso niente.
In ogni modo, quando Hinata gli porse il bouquet fatto e finito Wakatoshi non riuscì a declinare.
Ringraziò e pagò, sollevato all’idea che poteva finalmente andarsene.
Una volta in strada, tuttavia, lanciò un rapido sguardo alle sue spalle intercettando per un’ultima volta quella piccola foresta arancione appena prima che tornasse a combattere con il vaso vicino all’ingresso.
 
Rfiore

Ushijima Wakatoshi era un tipo abitudinario: sveglia alle 6 del mattino; una fetta biscottata con marmellata di limone giusto per tappare il buco allo stomaco; un’oretta di corsa intorno all’isolato, sostando qualche istante davanti al negozio di fiori per riprendere fiato prima di rientrare a casa; doccia; una colazione sostanziosa; lavoro.
Era passato un mese da quando aveva comprato quel mazzo di fiori – regalo che era stato accolto con uno sguardo commosso e un abbraccio non richiesto – eppure ancora ci pensava. Quello stesso giorno aveva provato a confrontarsi con il suo migliore amico: «Tu credi che i fiori parlino?»
Satori Tendou, un cioccolatino appena scartato in mano, lo aveva guardato con espressione sorpresa: «Certo! Non credi? Probabilmente non li capisci perché parlano una lingua molto diversa dalla tua».
Ushijima aveva scosso la testa: «Le piante non sanno parlare».
«Forse semplicemente non vuoi ascoltarle, Wakatoshi-kun».
Quel commento lo aveva colpito, così aveva preso l’abitudine ogni mattina di soffermarsi qualche istante in più davanti a quel negozio, osservando il modo in cui il fioraio accudiva pianta per pianta, fiore per fiore.
«Ciao Japan!» aveva esclamato Hinata quando una mattina era uscito sul marciapiede trascinando dietro di sé un altro vaso di dimensioni improbabili per esporre un accattivante tripudio di colori floreali. O meglio, lo avrebbe esposto… se fosse riuscito a sollevarlo per appoggiarlo sulla panchina di fronte alla vetrina.
«Non mi chiamo “Japan”», gli aveva risposto ma non era sicuro che lo avesse sentito, troppo intento a combattere l’ennesima battaglia che non avrebbe vinto. «Perché compri vasi così grandi se poi non riesci a spostarli?»
«Ce la posso fare… ce la farò!»
Che comportamento immaturo e illogico…
«Così ti fai male» aveva detto infine, alzando la voce perché sovrastasse i grugniti affaticati del fiorista.
«Come?» Il ragazzo era tornato in posizione eretta, la faccia paonazza per lo sforzo.
«Se sollevi oggetti pesanti devi stare attento alla postura altrimenti rischi di stirarti un muscolo o di farti venire un’ernia».
Hinata aveva appoggiato le mani sui fianchi e studiato la situazione per un attimo: «Hai tempo per darmi una mano?», gli aveva domandato, un leggero imbarazzo a spruzzargli le guance del medesimo colore dei capelli.
Non gli piaceva dare tutta quella confidenza ad uno che, in fin dei conti, era pur sempre uno sconosciuto.  Per cui aveva scosso la testa: «Devo andare al lavoro».
Hinata Shoyo lo aveva guardato con una nota di delusione sul volto ma non aveva replicato.
La mattina dopo, quando era passato davanti al negozio, il vaso era ancora lì in terra e lo aveva trovato nel medesimo posto la mattina dopo ancora. Il terzo giorno, esasperato da quel comportamento infantile – possibile che non potesse chiedere al collega di aiutarlo? – aveva deciso di prendere la situazione nelle proprie mani. Così si era chinato e, facendo attenzione alla postura, aveva sollevato il vaso depositandolo sulla panchina.
Prima di andarsene si era fermato e aveva sfiorato i petali trovandoli più ruvidi di quanto si sarebbe aspettato… al tatto sembravano fatti quasi di carta. Per operare un confronto, carezzò anche i petali di quella tavolozza di colori autunnali di cui era composto il vaso di fianco.
Dei fiori così delicati sarebbero sopravvissuti clima invernale verso il quale si stavano avviando?
Se lo era domandato per molti giorni a seguire e, passandovi davanti, non aveva potuto fare a meno di dedicare loro uno sguardo di controllo… sempre secondo a quello che lanciava al fioraio, convinto che quest’ultimo non lo notasse.
 
Rfiore
«Io davvero non ti capisco».
«Lasciami stare!» esclamò Hinata senza perdere il buon umore.
«Insomma… proprio quello lì? Con quello sguardo come se avesse perennemente una scopa piantata su per il culo?»
Oikawa Tooru proprio non capiva cosa Hinata avesse visto in quel ragazzone che ogni mattina passava davanti al loro negozio. E non perdeva occasione per rimarcare il suo disappunto.
Hinata scosse la testa. Lui non poteva capire. Non lo aveva visto entrare nel negozio quella mattina, non aveva visto i suoi occhi e il suo sguardo duro ma teneramente confuso quando aveva cercato di fargli capire che un mazzo di orchidee e ortensie sottintendevano “amore puro ed eterno”, sentimenti che, sicuramente – giusto? – non intendeva indirizzare alla sua collega.
«E tutto quel teatrino con il vaso sulla panchina? Non me l’hai fatto spostare per quasi una settimana!»
Quello di guardare Japan, di veder guizzare i muscoli delle sue braccia, di quelle gambe spesse come tronchi d’albero, e di quella schiena che Hinata avrebbe volentieri usato come materasso, era stato uno spettacolo che Shoyo aveva deciso di regalarsi come ricompensa per essere stato liquidato così bruscamente: era sicuro che se avesse lasciato lì quel vaso – presto o tardi – sarebbe stato lui a metterlo a posto. Hinata lo aveva capito con un solo sguardo: quel ragazzo era metodico e ordinato.
Forse era un po’ burbero… ma quasi inconsciamente. Nascondeva una certa gentilezza: quelle dita così rudi e forti avevano accarezzato le sue gerbere con delicatezza, garbo e attenzione.
«Te l’ho detto: credo ci sia più di quanto appaia», rispose infine, vezzeggiando i petali di carta dell’elicriso bianco e viola che, quella mattina, avrebbe interrato nel vaso sulla panchina di fianco a tutti gli altri arancioni.
 
Rfiore

Ushijima Wakatoshi era un tipo abitudinario: sveglia alle 6 del mattino; una fetta biscottata con marmellata di limone giusto per tappare il buco allo stomaco; solo tre quarti d’ora di corsa intorno all’isolato, sostando qualche minuto davanti al negozio di fiori per riprendere fiato e cercare di capire quelle maledette piante prima di rientrare a casa; doccia; una colazione sostanziosa; lavoro.
Non è che non volesse ascoltare, come sosteneva Satori, semplicemente proprio non riusciva a capire cosa Hinata Shoyo intendesse quando gli diceva: “Japan, sai che assomigli ad una margherita?”
«Non mi chiamo Japan».
Hinata rise calorosamente davanti a quella affermazione e gli spiegò che faceva riferimento alla scritta che faceva capolino fra le sue scapole sulla felpa che indossava ogni mattina per correre.
«Sì, sei proprio una margherita!» dichiarò poi, entusiasta.
«Sono una persona».
Hinata ridacchiò nuovamente ed estrapolò un fiorellino bianco da uno dei bouquet esposti: «Vedi? Ha una forma quasi scontata per cui a molti non piace ma è un fiore speciale: è un fiore paziente, innocente e puro; è un fiore sincero».
E così dicendo glielo porse, le dita che si sfiorarono mentre un impacciato Ushijima accettava quel piccolo pegno reggendolo per il gambo sottile senza sapere come rispondere.
Quella sera non chiuse occhio.
Aveva quasi la sensazione che sul comodino, insieme a quella margherita, ci fosse anche lui con il suo sorriso e quell’entusiasmo spavaldo. E la stupidità di quel pensiero gli faceva venire i nervi.
Forse era per quello che, si rese conto, il suo cuore stava battendo in maniera quasi febbrile.
 
Rfiore

Ushijima Wakatoshi era un tipo abitudinario: sveglia alle 6 del mattino; una fetta biscottata con marmellata di limone giusto per tappare il buco allo stomaco…  mezz’ora di corsa intorno all’isolato cercando di fare ordine fra i propri pensieri per poi fermarsi davanti al negozio di fiori ed entrarvi.
La prima volta era entrato per chiedere a Hinata come accudire quella margherita che Ushijima aveva ritenuto meglio interrare prima che appassisse. Voleva solo qualche informazione ma alla fine era uscito con un mazzolino bianco e un vasetto di terracotta con cui sostituire il suo di plastica.
La seconda volta era entrato per sapere se la preparazione del terreno richiedesse particolari attenzioni e così era uscito con della resina e una confezione di compost.
La terza volta non era entrato… perché si vergognava di entrare senza avere un valido motivo.
Quella sera, trascorsa guardando una partita di pallavolo in televisione in compagnia di Satori, quest’ultimo aveva notato il vaso sul suo comodino.
«I fiori sanno, Wakatoshi-kun…»
Non aveva aggiunto altro, gli aveva semplicemente sorriso, battendogli una mano sulla schiena.
A più di un mese dall’ultima volta che era entrato nel suo negozio – mese trascorso continuando imperterrito a passarvi davanti e a salutare Hinata con un solo cenno della mano o a monosillabi – il vasetto di terracotta era ormai diventato troppo piccolo per contenere le radici che si erano diffuse e ramificate.
Ma quando tornò a casa con un vaso più grande, un piccolo tappeto di margherite a nascondere quasi tutto la terra sottostante, si rese improvvisamente conto che aspettare che quella diventasse una coltivazione per poter tornare a parlare con Hinata era terribilmente… illogico.
Sdraiato a letto, si passò una mano sulla fronte e si pettinò indietro i capelli: non ne poteva davvero più di quella situazione.
Hinata Shoyo… non era altro che un ragazzino che parlava a vanvera di fiori che assomigliavano a persone, un moccioso con uno stupido sorriso stampato in viso e che scattava sempre come una trottola.
Nient’altro che un ragazzino che doveva smettere di piantare radici i suoi pensieri.
 
Rfiore
Entrò, tutto impettito, e quasi non rispose al caloroso saluto del fioraio.
Si fermò al bancone, pronto a riversare tutti i rimuginii che lo avevano tenuto sveglio di notte.
Ma come poteva, davanti a quegli occhi ambrati così sgranati e brillanti da sembrare gemme colpite dai rari raggi del sole di quella stagione, così intensi che sembravano intenzionati a scavargli dentro il petto?
Gli risuonò fra i timpani la voce di Satori: “I fiori sanno, Wakatoshi-kun…”
«Ho bisogno di un bouquet» disse quindi.
«Per un’altra collega? Per un’amica?»
«Per una persona speciale».
L’entusiasmo di Hinata si sgonfiò di colpo, come un palloncino bucato, lasciando spazio ad un’espressione malinconica: «Ah… E… e com’è questa persona? Insomma… che fiori ti servono?»
«È piccola ma tenace».
Hinata, lo sguardo mogio, scelse un paio di rami di fiori di ciliegio.
«È calda, vivace… briosa».
Gerbere dalle tinte pastello.
«È positiva e speranzosa». A volte ai limiti dell’idiozia, pensò ma non lo disse.
Azalee.
«Caspita…» bofonchiò il rosso, chiudendo il tutto in un nastro elegante e porgendogli il lavoro finito. «sembra una persona davvero speciale».
Se i fiori parlavano per davvero, quel maledetto mazzo di fiori urlava “Hinata Shoyo”.
Corrugò la fronte.
«Non ti piace, Japan?»
«Manca qualcosa».
Perché Hinata Shoyo era tutto questo… ma sorrideva anche come un girasole.
Wakatoshi lo osservò, accarezzò i petali e ne saggiò le diverse consistenze e fece aggiungere quell’ultimo fiore. Infine, alzò il capo e, senza riflettere, lo consegnò nelle mani di Hinata con un gesto inequivocabile.
Il ragazzo dai capelli arancioni si illuminò di colpo.
Allora Wakatoshi capì: se lui era una margherita, Shoyo era uno di quei maledetti fiori che germogliavano nelle crepe del cemento.
 

 
 
 
Angolino autrice:
TANTI AUGURI VIOLET!!!!! 
Per il tuo compleanno ho pensato di provare a buttare giù qualcosa a tema Ushihina ♥ e questo FlowerShopAU mi frullava in testa da un bel po’ ‘^^ non so se sia riuscita a rendere giustizia ad entrambi i personaggi sia singolarmente che in coppia… spero però di essere riuscita a strapparti un sorriso in questo periodo così difficile e pesante ♥
 
Il titolo fa riferimento, come tutto in questa storia XD, ai fiori: l’Aster è una pianta che fa fiori perenni molto simili a margherite. I petali, disposti a raggiera intorno alla corolla arancione, sono spesso di colori vivaci tra cui il viola, colori che rimandano a Hinata e Ushijima XD
 
Si ringrazia Nini per il sostegno morale e per le rassicurazioni ♥
 
Di nuovo tanti auguri Vio! Ti mando un abbraccio e un bacione. Ti sono sempre vicina ♥
 
E un grazie di cuore a chiunque sia arrivato fino a qui: spero che questa shottina vi sia piaciuta! ^^
A presto!
Carmaux
  
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