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Autore: muffin12    05/10/2022    6 recensioni
"In tutta franchezza, non capiva cosa fosse successo."
I compleanni portano inevitabilmente ad aspettative. Alte aspettative, che venivano prontamente distrutte con precisione aliena.
Lo sapeva, lo aveva sempre saputo.
Ma non pensava nemmeno di dover affrontare quello.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Kiyoomi Sakusa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Happy B(ad)-Day!
 
 
In tutta franchezza, non capiva cosa fosse successo.
 
Ed era colpa sua, a quanto pareva.
 
La colpa era sempre sua, dalla finestra del bagno lasciata chiusa dopo la doccia all’allineamento dei pianeti sbagliato. Perché, ovviamente, decideva lui se Saturno del cazzo aveva scelto di parcheggiarsi 10° più a ovest invece di stare in culo a Giove come avrebbe dovuto. Naturale.
 
Veniva accusato anche dell’allargamento del buco dell’ozono, a volte.
 
Aveva pensato che fosse la lacca il problema, ma dubitava ampiamente che lo spruzzo scarso che utilizzava sporadicamente fosse l’ago della bilancia tra la vita e la morte del pianeta. Non quando lui si dava da fare con così tanti dispositivi di igienizzazione da sembrare in tutto e per tutto un centro di ritiro e smaltimento della plastica.
 
In tutta sincerità, non sapeva se la plastica e il buco dell’ozono fossero correlati in qualche maniera, ma era sicurissimo che al mare non facesse un granché bene nessuno dei due.
 
Quindi, erano un mucchio di cazzate.
 
Soprattutto quella per cui si stava sorbendo insulti da circa mezz’ora.
 
“Omi, non lo so perché il detergente per il viso non era al solito posto.” Spiegò per l’ennesima volta, il tono lamentoso di frustrazione repressa e gli occhi alzati al cielo in una muta richiesta di aiuto, braccia spalancate per evidenziare l’esaurimento della sua – già scarsa - pazienza. “Non lo so, ok? Non lo so!
 
“Lo sai, bastardo.” Sibilò Sakusa, il viso bagnato e roseo dai mille risciacqui aggressivi a cui lo stava sottoponendo. “Eri incaricato tu di pulire il bagno, non fare finta di non sapere.”
 
“Ma non l’ho toccato!” Atsumu si buttò sul divano, strofinandosi la faccia nervosamente. “L’ho alzato per dare una spolverata e l’ho rimesso a posto!”
 
“E l’hai scambiato con il modellante per i capelli.” Atsumu lo vide toccarsi una guancia con un dito, guardare il polpastrello trucemente, fare una smorfia schifata e ritornare in bagno ringhiando. “Sei uno stronzo.”
 
Atsumu gemette, distrutto.
 
Maledetto lui che si era offerto di pulire il bagno, il giorno prima.
 
Quando aveva deciso – così così stupidamente – di proporlo, Sakusa lo aveva scrutato a lungo, cauto e dubbioso, un’analisi così profonda e dettagliata che nemmeno i preparatori sportivi durante le visite mediche si permettevano di fare. Dopodiché, dopo secondi che sembravano anni, gli aveva concesso il suo riluttante benestare. E Atsumu, per una volta, era stato felice di essere considerato pronto per affrontare il Graal di ogni casa, con tutto quell’insieme di sanitari, pavimenti, doccia, mobiletti e tutti gli angoli più infidi in cui la sporcizia e i germi potevano accumularsi più felicemente.
 
Era stato fiero di sé stesso per aver convinto il suo ragazzo di merda a dargli una piccola possibilità, a concedergli un minimo di fiducia, perché sicuramente non se ne sarebbe pentito.
 
Si era quindi armato di tutto il necessario e aveva cominciato a lucidare rubinetti e manopole, a spazzare il pavimento e passare di acqua e sapone con tanto olio di gomito, pulire la doccia fino a farla splendere, cambiare gli asciugamani mettendo a lavare quelli usati, far brillare specchi e mobili. Aveva addirittura ricordato di aprire la finestra, almeno una volta nella vita.
 
Tutti i loro prodotti, dal sapone per le mani ai fottutissimi cristalli di sale dell’Himalaya al balsamo per i capelli importato probabilmente dalla Contea, erano stati solo momentaneamente sollevati dalla loro postazione e rimessi immediatamente al loro posto. Ne era sicurissimo.
 
Ma quando una giornata doveva andare storta, non c’era verso che si raddrizzasse.
 
Sakusa, come ogni mattina, si era bagnato il viso con abbondante acqua come parte della sua routine giornaliera, aveva allungato una mano alla cieca per spruzzare il suo detergente per il viso personale e aveva cominciato a passarlo sulla pelle, strofinando al solito con piccoli movimenti circolari.
 
Solo che quel giorno, come gli aveva urlato solamente sedici volte raggiungendo livelli di isteria non quantificabili, non aveva prodotto schiuma. Non aveva avvertito la sensazione tipica di pulizia, quello scricchiolio appagante che risuonava fieramente quando si sfregava la pelle perfettamente pulita.
 
Era rimasta solamente una sensazione di viscido, di grasso, di cremoso, qualcosa che non era accettabile in nessun mondo conosciuto e sconosciuto e che non era riuscito a far sparire nemmeno dopo due ore e mezza di sfregamento coatto e instabile.
 
Perché il prodotto utilizzato, come aveva scoperto nel modo più duro, non era stato lo stracazzo di sapone per il viso, bensì la crema modellante che il principino sul pisello utilizzava per i suoi ricci di merda!
 
E di chi era la colpa?
 
Di Atsumu, ovviamente.
 
Perché aveva avuto l’ardire di proporsi per un’attività per cui, a quanto pareva, non era pronto! Come se ci volesse una fottutissima laurea per togliere i capelli da terra! Quelli di Sakusa, naturalmente, perché i suoi rimanevano attaccati alla sua cazzo di testa, non se ne andavano in giro a nascondersi nei punti più infami riuscendo addirittura a sfuggire dal radar e dalla potenza terrificante della loro aspirapolvere.
 
Sospirò di nuovo, sentendo la sua dolce stronza metà imprecare da dietro la porta del bagno.
 
Non era stato lui. Lo avrebbe giurato su qualsiasi cosa.
 
E non gli fregava un cazzo che Sakusa fosse nervoso, non si sarebbe giocato il giorno del suo compleanno a prendersi colpe che non gli spettavano.
 
Quindi si armò di pazienza, mise su l’espressione più infastidita del proprio repertorio e aspettò che il coglione nel bagno si scartavetrasse la faccia abbastanza da poterne essere soddisfatto e fargli il favore di uscire.
 
Quando lo fece – sputandogli dietro insulti a manetta, come se li avesse davvero spostati lui quei flaconi di merda -, Atsumu si alzò dal divano con la massima tranquillità. Non sprecò nemmeno un’occhiata in direzione di Sakusa, andando dritto a prendere la sua giacca ed indossandola con movimenti morbidi. Dopodiché, afferrò le chiavi della macchina in un tintinnio soddisfatto giocherellando con il portachiavi, tutto sotto lo sguardo truce del suo ragazzo fumante di nervosismo. “Se hai finito di dire stronzate, vestiti. Stiamo uscendo.”
 
Sentì un forte sbuffo infastidito e si abbassò per sistemare le scarpe, incurante. “Per andare dove?” Uscì meno iroso di qualche minuto prima. Forse si stava rendendo conto delle cazzate che aveva fatto e detto e stava cercando di darsi una calmata.
 
Beh, era tardi.
 
“Al mio pranzo di compleanno.” Si alzò e lo guardò per la prima volta da quando Sakusa era uscito dal bagno, sguardo annoiato contro uno colpito nel pieno delle sue mancanze. “Offri tu, ovviamente.”
 
Lo vide rimanere fermo per un lungo secondo, immobile alle sue parole e Atsumu aprì la porta, facendo un passo fuori di casa. “Ti aspetto in macchina.”
 
“Dove hai intenzione di andare?”
 
Forse Atsumu avvertì il brivido prima ancora di pensare alla risposta.
 
Era deciso, corposo, colpendolo alla bocca dello stomaco e lasciandolo vagamente euforico.
 
Era quella vertigine appena prima del pericolo, il respiro rarefatto di chi sa che sta per rischiare la vita e accetta il proprio destino con un sorriso sfacciato, il tremore alle mani dovuto all’adrenalina che viaggiava nelle vene.
 
Lo aveva sempre avvertito prima di una partita, quando si cambiavano negli spogliatoi, l’agitazione dovuta più all’aspettativa che a reale paura. Lo aveva sentito la prima volta che aveva baciato Sakusa, le sue labbra fredde dall’acqua ghiacciata che stava bevendo e il suo respiro tremante di anticipazione, un balletto ridicolo che era durato anni. La prima volta che avevano fatto l’amore, la meraviglia nel toccarlo davvero come aveva sempre sognato e la scoperta di suoni che esistevano solo in quei momenti. Quando erano andati a vivere insieme, varcando con il primo passo la porta di casa, gli scatoloni tra le braccia e una vita intera da iniziare.
 
Ma, soprattutto, era sempre presente quando sfiorava il vero pericolo: il tentativo sempre attraente di infastidire Osamu rubando il cibo da sotto il suo naso, l’ombra minacciosa delle sue bacchette fulminee e lo scatto secco dei suoi taglienti denti da ghiottone, sempre pronti ad azzannare e affondare nella carne preziosa della sua mano.
 
E se, comunque, continuava ad infastidire Osamu nonostante ogni volta rischiasse le dita, Sakusa aveva ben poche speranze di passarla liscia.
 
Quindi, con un guizzo di compiaciuta malignità, alzò fieramente il mento.
 
Guardò Sakusa fisso negli occhi, tuffandosi in quel mare scuro sfumato di verde, beandosi di quella sensazione peccaminosa, crogiolandosi nell’ebbrezza dello scontro contro una bestia selvatica, la sicurezza di uscirne vincitore.
 
Lo guardò e il suo petto si riempì di perfida soddisfazione. “Al fast food.” Sussurrò dolcemente, sogghignando malevolo di fronte la sua faccia sconvolta, impallidita alle sue parole.
 
Non gli diede nemmeno il tempo di ribattere.
 
Chiuse lentamente la porta.
 
 
*
 
 
“Avrei potuto prenotare un ristorante.” Mugugnò Sakusa seduto sul sedile accanto a lui, braccia conserte talmente strette da pensare di poter bloccare la circolazione e sbuffi acidi che scandivano i secondi.
 
Il viaggio in macchina fino a quel momento era stato silenzioso, a parte respiri troppo forti e scocciati che provenivano, in una sorta di tacita lotta, prima dall’uno poi dall’altro.
 
“Avresti potuto.” Accettò Atsumu piacevolmente con un sorriso storto di dispetto, inserendo la marcia fluidamente.
 
“Sarebbe stato molto più igienico.” Continuò Sakusa, adombrandosi e affondando di più nel sedile. “La pulizia sarebbe stata almeno accettabile per tutti.”
 
“È vero.” Convenne Atsumu, schioccando la lingua e rallentando per il passaggio di pedoni. “Ho una voglia pazzesca di patatine fritte nell’olio per motori, non puoi capire.”
 
“Già.” Sibilò Sakusa, guardandolo talmente male che fu strano non sentire il respiro mancare di botto. “Non posso assolutamente capire.”
 
Atsumu rise e Sakusa sbuffò più forte, scocciato. “Non ho intenzione di mangiare nulla.”
 
“Mi va benissimo.” Il semaforo scattò il rosso e la macchina si fermò. “Vorrà dire che reggerai tutta la roba per me.”
 
“Sogna.”
 
“È il mio compleanno.” Lo vide farsi leggermente rosso sulle guance e il broncio divenne più evidente. Il ghigno si fece più ampio.”Il festeggiato decide, non ti sembra giusto?”
 
“Il festeggiato si sta vendicando perché la verità non gli è piaciuta.”
 
“Calunnie e maldicenze, Omi.” Chiocciò vagamente seccato. “Ti posso assicurare che quel detergente non l’ho nemmeno sfiorato.”
 
“Sei passato dall’averlo alzato per pulire al non averlo sfiorato per nulla.” L’accusa era leggermente attenuata, notò, ma fu comunque talmente efficace ad attivargli tutti i nervi in un secondo. “Dovresti decidere la cazzata migliore e andare avanti con quella.”
 
“Beh, allora posso assicurarti che non sapevo nemmeno esistesse! Ti va bene così?” La voce si alzò, suo malgrado, le mani sbatterono sul volante e Atsumu ripartì con uno scatto nervoso. “È una stronzata abbastanza credibile per Sua Altezza del cazzo?”
 
Sakusa girò il viso verso il finestrino, broncio colossale sulla faccia e vibrazioni combattive che uscivano a ondate dal suo corpo teso.
 
Poteva rimanere arrabbiato quanto gli pareva, pensò Atsumu girando il volante senza grazia sperando di fargli sbattere la faccia contro il vetro con quella curva assassina, non gliene fregava nulla.
 
Passarono alcuni secondi di silenzio arrabbiato quando Sakusa parlò. “Non posso credere che mi fai una cosa del genere.” La voce uscì talmente bassa che quasi Atsumu pensò di essersela immaginata. “Mangiare in un fast food. Tra tutti i luoghi.”
 
“È il mio compleanno.” Sottolineò per l’ennesima volta, calcando le parole con così forza da assumere un virtuale grassetto. “Oggi decido io. A marzo potrai decidere tu.”
 
“A marzo non ti vorrò con me.” Ridacchiò, perché non ci credeva nemmeno lui e lo sapevano entrambi. “Festeggerò da solo lontano da voi schifosi e sarà il compleanno migliore della mia vita.”
 
“Sembra un progetto fantastico, rimani con quell’idea. Io passerò quei giorni mettendo sottosopra tutte le tue cose.”
 
“Sei veramente un idiota se pensi che non sparga trappole per topi dove meno te lo aspetti.” Era un sibilo terrificante, quello. Una promessa che, sicuro, avrebbe mantenuto con tutte le sue cellule testarde, ma Atsumu non poté fare a meno di scuotere la testa, suo malgrado divertito per quella cocciutaggine esemplare.
 
Il fast food era la punizione migliore per quello stronzo del suo ragazzo: sedute sporche, tavoli unti, vassoi puliti quanto bastava da togliere tracce di patatine ma non di salse varie, olio e chissà cos’altro, pavimenti appiccicosi di bibite gassate cadute. Un incubo che stava per prendere vita.
 
Ma Sakusa, nonostante fossero nervosi l’uno con l’altro, al riguardo era stato zitto fino a quel momento. Si era seduto in silenzio accanto a lui, in una sorta di accettazione del proprio destino. Aveva scelto di seguirlo, nonostante sapesse dove lo stesse portando, perché era il suo compleanno.
 
No, molto probabilmente perché era lui. Atsumu. Il suo ragazzo.
 
Si sentì leggermente in colpa, ma non troppo. “Non voglio sedermi ai tavoli.” Mugugnò con voce non propriamente bassa, giusto per farsi sentire. Sakusa gli scoccò un’occhiata dubbiosa. “Troppa gente. Potrebbero riconoscerci.”
 
“Come fai a saperlo, non siamo nemmeno arrivati.” Notò che Sakusa ce la stava mettendo veramente tutta per rompere i coglioni in ogni modo possibile, quindi si morse per una volta la lingua e incassò il colpo. “Non voglio mangiare con odore di fritto tutto intorno.”
 
Questo sembrò placare la sua vena polemica e poté vedere le sue spalle rilassarsi leggermente, le braccia incrociate ammorbidite. Il fatto che non portasse la mascherina, ma la tenesse al sicuro dentro la giacca, gli lasciò libero sguardo sul suo cipiglio meno corrucciato, ma comunque ben presente. “Fai come ti pare.” Borbottò, ricominciando a guardare fuori dal finestrino. “Sei tu il festeggiato.”
 
Il tono con cui lo disse quasi lo portò a tornare sui propri passi e rimanere dentro il fast food per tre giorni di seguito, invece sospirò scocciato e prese la strada per il drive-through.
 
C’erano poche automobili, fortunatamente. Non tutti avevano un ragazzo rompipalle particolarmente polemico, rifletté pensoso.
 
Quando fu il suo turno e si avvicinò al microfono per le ordinazioni, abbassò il finestrino cominciando a scrutare il menù, già adocchiando qualcosa che sarebbe potuta piacere a Sakusa nonostante il suo rifiuto di mangiare. Era ora di pranzo, avrebbe mangiato quel fottuto panino, non voleva sentire ragioni.
 
L’interfono gracchiò leggermente, poi parlò. “Salve, è pronto per il suo ordine?
 
Era una voce femminile, leggera e giovane. Sembrava sinceramente contenta di stare lì al microfono e Atsumu la prese immediatamente in simpatia. Tuttavia, non riuscì nemmeno ad aprire la bocca che venne letteralmente invaso.
 
Sakusa si era slacciato la cintura e si era porto dal finestrino. Quello di Atsumu, non il suo, sarebbe stato troppo facile.
 
“Sì, può mettersi un nuovo paio di guanti per cortesia? O cinque, faccia lei.” Lo sentì borbottare, il busto mezzo fuori dall’abitacolo come quello di uno Schnauzer gigante particolarmente stronzo e praticamente schiacciandolo al sedile, appoggiato su di lui come se si stesse affacciando al balcone.
 
Dire che Atsumu venne preso alla sprovvista era un eufemismo bello e buono. “Omi, che cazzo stai facendo?”
 
“Zitto.” Gli sibilò sgarbatamente addosso, girandosi solo per trucidarlo con lo sguardo. “È il tuo fottuto compleanno, ti sto facendo un favore.”
 
Mi scusi, non credo di aver capito bene …” La voce all’interfono sembrava veramente confusa. Atsumu non la biasimava, erano in due ad esserlo.
 
“Ha capito perfettamente, cambi quella scusa di guanti che vi passa l’azienda, gentilmente.”
 
“Posso ordinare da solo.” Ringhiò Atsumu seccato, il sedere del suo ragazzo praticamente sotto il naso. Non gli dispiaceva, non gli dispiaceva mai avere un incontro ravvicinato del genere, ma avrebbe preferito un posto leggermente diverso. “Santissimo cazzo, Omi, rimettiti seduto!” Ovviamente venne ignorato.
 
Posso assicurarle che operiamo già con tutto il necessario per un’igiene adeguata.”
 
“E posso assicurarle che non le credo, quindi mi faccia questo regalo e indossi un paio di guanti in più. Più di uno possibilmente.”
 
Signore, io …
 
Sakusa inspirò profondamente, alla ricerca di una pazienza perduta e mai ritrovata. Lui. “Guardi, non mi interessa se li ha già, lei toccherà il mio cibo solo con tremila guanti nuovi se necessario, non con quelli usati già per altre porcherie.”
 
Atsumu si massaggiò gli occhi con fare stanco, non capacitandosi. “Signorina, lo accontenti per favore. Non ne usciremo mai altrimenti.” Si lamentò con un tono di voce così angosciato che Sakusa rientrò dentro con la testa solo per guardarlo malissimo.
 
… Va bene, ma deve attendere un secondo.
 
Sakusa aveva intenzione di aspettare esattamente senza spostarsi di un millimetro dalla sua posizione. Atsumu gemette. “Omi, puoi sederti adesso?”
 
“Devo fare l’ordine.” Spiegò secco e Atsumu crollò con il collo in avanti con un lamento forte, la fronte a poggiarsi sulla natica del suo ragazzo. Era comoda. Era bella. Era sempre comoda e bella da affondarci i denti, ma in quel momento voleva solo piangere. “Perché mi fai questo?”
 
“Hai chiesto tu di venire qua, è il tuo compleanno.” Lo disse con tanto sentimento acido che quasi Atsumu sperò che il destino avesse sbagliato giorno e quello non fosse davvero il 5 ottobre. “Togli la faccia dal mio culo, è di cattivo gusto.”
 
“Ah, questo è di cattivo gusto? Non la figura di merda che ci stai facendo fare?”
 
“Ci sto assicurando di mangiare adeguatamente in un posto che dovrebbe essere solo incendiato alla radice.”
 
Atsumu alzò la testa ringhiando. “No, ti stai vendicando per una cosa che non è successa!”
 
“Il primo a vendicarsi sei stato tu, brutto bast-”
 
Signore, ho buttato i guanti di prima per indossarne ben tre paia pulite. È più tranquillo adesso?” La voce all’interfono bloccò il loro scambio di gentilezze. Sakusa fece una smorfia dubbiosa che sottolineava pienamente la sua effettiva tranquillità in materia, ma ringraziò comunque con garbo. “È pronto per ordinare?
 
“Sì, vorrei un doppio cheeseburger con doppio bacon ma senza maionese.”
 
Signore, non c’è maionese nel panino, c’è una salsa composta appositamente per gli hamburger e-”  
 
“Ok, tolga anche quella. Anzi, facciamo così, le dico come fare il panino.” Ci fu un profondo silenzio di raccoglimento, sia dall’interfono che nell’automobile. Atsumu scuoteva la testa sconfitto.
 
Mi scusi, ma la politica aziendale non permette queste cose.
 
“Signorina, se mi fosse importato qualcosa della vostra politica aziendale me ne sarei stato zitto.” Atsumu si ritrovò a ridacchiare, suo malgrado, mordendogli la natica leggermente per dispetto. Sakusa si girò sibilando. “Sto facendo una cosa importante, se non stai fermo ti spacco la faccia.”
 
“Ti piace la mia faccia e ti piace quando ti mordo il culo.” Ammirò l’impronta salivata di denti che aveva lasciato sul tessuto grigio dei pantaloni, pensando che altre due o tre avrebbero solo abbellito il tutto. “Non dare il tormento alla signorina, limitati a dire il fottuto ordine.”
 
“Tu odi le salse nei panini, dici sempre che ne mettono troppe e coprono gli altri sapori.” Oh. Lo stava facendo per lui.
 
Non solo per lui, ovviamente, a lui non interessava del numero di guanti nuovi utilizzati, ma era una cosa così stranamente dolce che ne fu colpito.
 
Si sentì un chiaro sospiro dall’interfono. “Faccio un’eccezione per lei, si sta creando troppa fila.” Era vero. C’era una coda enorme dietro la loro auto che non si erano accorti si fosse formata. Atsumu sperò non gli rigassero la macchina per dispetto.
 
Sakusa, ovviamente, non si scompose. “Prenda il pane e non metta nulla. Metta la lattuga, il bacon, l’hamburger e il formaggio, il pomodoro, l’altro hamburger e l’altro bacon. La salsa possibilmente a parte. Devo ripetere?”
 
Assolutamente no, ho capito.” Si sbrigò a dire la ragazza, un accenno di giudizio nella voce, ma non poteva capire.
 
L’ordine era fatto seguendo esattamente il modo in cui Atsumu preferiva il panino.
 
La lattuga alla base per evitare di trovarla a terra al primo morso e il bacon che la fermava dallo slittare, rendendo il panino croccante anche nella sua parte più bassa. Preferiva i due hamburger divisi da qualcosa, in questo caso pomodoro e formaggio, perché Atsumu odiava quando venivano direttamente impilati. Avesse voluto un pezzo enorme di carne lo avrebbe chiesto senza problemi. Per finire, il bacon in cima, la prima cosa in cui i suoi denti affondavano quando mordeva. Amava sentire lo scricchiolio della carne tostata, il sapore sapido del bacon affumicato come prima sensazione. La salsa a parte, inoltre, era per la gioia delle sue papille gustative, provando vari abbinamenti prima di decidere quale fosse quello migliore.
 
Sakusa stava facendo tutto per lui. Dando problemi alla gente, creando panico ingiustificato, abbaiando ordini nemmeno fosse il proprietario del franchising, ma lo stava facendo per lui. E Atsumu sentì tutto il dispetto, tutta la rabbia, tutta l’agitazione smontare dalle sue membra innamorate, facendosi ogni secondo più leggere.
 
La ragazza, fortunatamente, era molto intelligente. Aveva capito che mandare a cagare il suo ragazzo sarebbe stato inutile, quindi decise di dargli corda come si faceva con i matti.
 
Atsumu ponderò di darle una mancia molto generosa.
 
Vuole delle patatine?”
 
“Vuoi le patatine?” Domandò Sakusa rivolgendosi a lui. Era così carino adesso a comportarsi da pazzo solo per il suo benessere. “Vuoi anche il ketchup?”
 
“Solo le patatine. E una bottiglia d’acqua.” Lo vide annuire e parlare al microfono deciso, un calore che gli invase il petto vedendolo chiederne una tripla porzione.
 
Vuole ordinare altro?
 
“Un menù con il panino di petto di pollo panato, patatine e un’altra bottiglia d’acqua.” Lo vide aggrottare le sopracciglia pensoso. “Faccia due menù, per cortesia. La ringrazio.” Lo guardò di nuovo. “So che vorrai assaggiarlo, almeno puoi mangiarne direttamente uno intero.”
 
Come aveva fatto a chiamarlo stronzo? Come aveva fatto a dargli del pazzoide?
 
Lo era. Lo era assolutamente, ma in quel momento voleva solo prenderlo e portarlo a casa.
 
Perfetto,” Gracchiò la voce all’interfono. “i suoi ordini saranno pronti tra un paio di minuti. Se vuole, è attivo il servizio drive-in e verremmo noi a consegnare ogni cosa.
 
Sakusa si sedette finalmente una volta conclusa l’ordinazione, l’espressione seria e annoiata di qualcuno che non aveva appena passato venti minuti mandando fuori di testa onesti lavoratori per due panini imbottiti, quindi Atsumu ringraziò con passione e accettò il sevizio, non prima di aver assestato al suo ragazzo una sonora pacca sul sedere un secondo prima che si rimettesse a posto.
 
Sakusa pagò – perché doveva, cavolo, era il suo compleanno e si era comportato da schifo, offrire il pranzo era il minimo. Atsumu notò che l’importo versato era di molto superiore a quanto dovuto e costrinse Atsumu ad avvertire la ragazza che poteva tenere la differenza, se l’era guadagnata tutta.
 
Atsumu sorrise e lo accontentò, cominciando a camminare con la macchina verso il parcheggio previsto.
 
“Se vuoi dopo possiamo prendere qualcosa che ti piace.” Provò a dire una volta fermo, tamburellando le dita sul volante.
 
Sakusa lo guardò confuso. “Mi piace quello che ho preso.”
 
“Qualcosa che ti piaccia veramente.” Inspirò lentamente e leccò il labbro inferiore. “Non volevo davvero mangiare qui, l’ho fatto solo per dispetto.”
 
Sentì un verso di scherno e Atsumu guardò verso di lui, trovando un piccolo sorriso. “Me lo meritavo.” Accettò docile, poi corrucciò le sopracciglia. “No, non mi meritavo proprio questo, sei stato uno stronzo, ma qualcosa lo meritavo. Ho esagerato.”
 
“L’hai fatto. Ma … ecco …” Atsumu sospirò, chiudendo gli occhi stretti come se ci potesse essere un’esplosione in ogni momento. E forse ci sarebbe stata. “Forse, e dico forse perché non ne sono affatto sicuro … ecco … forse ho davvero spostato i flaconi.”
 
Il silenzio che ne seguì fu talmente surreale che si costrinse ad aprire una striscia di palpebre.
 
Perché si aspettava urla, insulti, si aspettava che gli gridasse di aver sempre avuto ragione, che lui aveva mentito per l’ennesima volta, ma non ci fu niente del genere.
 
Sakusa lo guardava di rimando, le guance rosee e stupore. “Non mi aspettavo l’ammettessi.”
 
“Ho detto forse!”
 
“Atsumu, hai pulito tu il bagno. Chi diavolo poteva essere stato?”
 
Gli uscì un lamento sconfitto. “Ti giuro che non l’ho fatto apposta, deve essere successo quando mi è caduta quella lozione e, davvero, non ci ho pensato! Ho solo messo la roba sul ripiano!”
 
“Va bene.”
 
“Ma tu sei arrabbiato e devi capire che non lo farei mai per dispetto, davvero!”
 
“Atsumu, va bene. Ho capito.” Sakusa arricciò il naso e le guance si fecero un pizzico più rosse. “Non dovevo reagire così, è stata un’esagerazione. Ero agitato perché non sapevo se il regalo che ti avevo fatto ti sarebbe piaciuto.”
 
“Omi, stiamo insieme da secoli. C’è mai stato un regalo che mi ha fatto schifo?” Sorrise, perché Sakusa mise un broncio assurdo e le punte delle orecchie si fecero rosse, spiccando tra i ricci neri come piccoli fari. “Che mi hai regalato?”
 
“Lo scoprirai stasera.”
 
“Mi hai fatto rimanere veramente male attaccandomi in quel modo, il minimo che puoi fare è anticipare qualcosa!” Lo sentì sospirare forte, ma sapeva di aver vinto.
 
Era stato facile.
 
“Ho … accettato un percorso di benessere termale a Fukushima.” Sakusa si addossò allo schienale e guardò fisso il cruscotto, le sopracciglia corrugate. “È un onsen privato, piscina termale privata. C’è un servizio SPA all’interno e quando mi sono reso conto che il regalo era più per me che per te … era troppo tardi.”
 
Atsumu non riusciva a credere alle proprie orecchie. “Hai prenotato per quando?”
 
“Per prima che iniziasse la stagione.” Mugugnò imbronciato. “Cinque giorni lì e due a casa, per prepararci alla prima partita.”
 
“E hai preso questo solo per noi due?”
 
“Sì, non volevo che degli estranei utilizzassero la nostra stessa piscina, ma questo è un problema mio, non tuo.” Sospirò lentamente, socchiudendo le palpebre. “A te piace parlare con la gente, sono io che … sono stato egoista.”
 
“Mi stai prendendo in giro?” Atsumu non riusciva a fermare il sorriso che minacciava di spaccargli la faccia. Cinque giorni solo loro a mangiare, a rilassarsi, senza fare nulla se non … “Ho sempre sognato di scopare in una sorgente termale! Dio non vedo l’ora!”
 
Sakusa, preso contropiede, lo guardò malissimo. “Come fai anche solo a pensare una cosa del genere? Le terme sono un luogo puro, maiale.”
 
“Amore mio, appena metteremo piede nell’onsen, di puro rimarrà solo il ricordo.” Già poteva vedersi, lì nell’acqua piena di vapore a poggiare Sakusa contro le rocce e renderlo sempre meno rigido, sempre meno accigliato, tocco dopo tocco. L’acqua calda faceva meraviglie al corpo teso del suo ragazzo, dopo la piscina termale tornare alle docce insieme sarebbe stato impossibile. “Ho bisogno di tornare a casa.”
 
“Perché? Ormai ti ho detto qual è il regalo.”
 
“Voglio cominciare subito.” Accese il motore ma Sakusa lo rispense immediatamente. “Che c’è? Non vuoi fare la scopata di compleanno?”
 
“Hai voluto le fottute patatine fritte nello schifo.” Sibilò, staccando le chiavi e mettendosele in tasca. “Se non mi faranno vomitare, dopo faremo tutto quello che vorrai.”
 
Gli andava bene. Gli andava benissimo.
 
Si sporse e lo afferrò per il collo, spingendoselo contro per baciare il suo broncio offeso.
 
Tutto quello che voleva.
 
Era una promessa, quella.  
 
 
 
___________________________
 
 
Salve a tutti!
 
Sì, è il meme “He wants to order”. Sì, era questione di tempo prima che ci facessi qualcosa di (in)utile. No, non mi pento di nulla.
 
Ringrazio le mie vicissitudini che mi hanno portato a collegare la mia routine di pulizia del viso andata in malora quest’estate (la parte di Sakusa è tristemente autobiografica. Non ho fatto la sua scenata, però.) e quel meme stupendo che offre anche troppi spunti.
 
Una preghiera sentita va all’impiegata del Fast Food. Sei una guerriera <3
 
 
Buon compleanno Atsumu!
(Tra lui e Osamu, fossero reali mi cercherebbero per farmi male :P)
 
 
Grazie mille per aver letto!!!
 
 
   
 
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