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Autore: TND    09/09/2009    5 recensioni
-Il mio nome completo è Hinata Hyuuga-. -Hyuuga?-. -Esatto, sono un membro della divisione angelica che veglia sul vostro mondo-.
Genere: Generale, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Kiba Inuzuka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Autore: .Yuri_giovane_contadina. o TND
Titolo:
Liquid Crystal
Genere:
Generale, Drammatico
Traccia Scelta:
Libertà
Rating:
Giallo
Capitoli:
One-shot
Avvertimenti:
One-shot
NdA:
Data la rapidità con cui l’ho scritta sono certa che saranno presenti un milione di errori o giù di lì. Per non parlare dei personaggi che sono assolutamente OOC a mio avviso. Dopo, tuttavia, questo spetta a te giudicarlo, non sono io quella che conosce bene Hinata.
Spero comunque che la storia, nonostante tutto, ti piaccia.
Attendo i risultati!
 
Fanfiction partecipante al contest, indetto da Kimply-Eden, Contest Pairing and Word.
Posizione: 4^Classificata
 
 
LINQUID CRYSTAL
 
Stava al suo fianco, mentre la giovane con gli occhi chiusi e le labbra inclinate in una smorfia sofferente restava immobile.
Non accennava a svegliarsi, costatò il ragazzo, chinandosi su di lei per assicurarsi che il respiro fosse realmente presente e non frutto della sua sin troppo fervida immaginazione. Si accostò al volto e sentì il fiato scostargli un ciuffo ribelle dal volto.
Con una certa soddisfazione si risistemò sulla sedia, posando la guancia su una mano.
Avrebbe continuato ad aspettare come era avvenuto negli ultimi giorni.
Il sole tramontava alle sue spalle e i raggi che riuscivano a penetrare la tenda sottile gli riscaldavano la schiena.
Eppure lui non si spostava, non si toglieva la felpa, né abbassava il cappuccio. Avrebbe semplicemente atteso, osservando il volto della ragazza che il fato gli aveva permesso di salvare.
 
L’aveva trovata qualche giorno prima, svenuta sulla riva del fiume antistante la città. I vestiti bagnati e i capelli scarmigliati e sporchi di fango e pioggia sul volto diafano.
Kiba l’aveva creduta morta.
Per qualche istante aveva avuto la sensazione di aver trovato il suo primo cadavere e la cosa era stata in grado di renderlo orgoglioso ed eccitato al tempo stesso. Forse quello sarebbe stato solo l’inizio di una serie di inquietanti ritrovamenti e gli adulti del villaggio avrebbero richiesto il suo aiuto per indagare.
Si era avvicinato alla giovane, riversa sui sassi in un posizione innaturale. L’aveva punzecchiata appena con un bastoncino trovato affianco al suo corpo, per accertarsi del decesso.
-Ehi! Sei viva?- nessuna risposta gli giunse.
Spostò un piede e i ciottoli sfregarono fra di loro producendo un rumore sordo.
-Guarda che se sei sveglia non devi fingere, io sono il tuo salvatore- e non ricevendo ancora una volta replica aveva abbandonato a terra il bastoncino e con uno scatto voltato il corpo che non si era permesso di opporre resistenza.
-Allora sei proprio morta!- aveva esclamato indeciso su cosa fare. Chiamare i compaesani sarebbe stato un sintomo di debolezza, ma a lui di toccare un cadavere non è che andasse poi molto.
Aveva osservato il volto dalla pelle diafana e le spalle piccole. Lo sguardo era corso, poi, sul torace e fu lì che si fermò quando ebbe la sensazione di averlo visto sollevarsi.
Con attenzione aveva allungato una mano.
Forse quella ragazza era viva e allora addio serie di inquietanti omicidi.
Si era costretto ad attendere qualche secondo prima di sentire il petto sollevarsi sotto le sue dita. Aveva spalancato gli occhi stupefatto. La sensazione si era tramutata in realtà e quello di fronte al suo sguardo non era un cadavere, ma una giovane in fin di vita.
-Oh cielo!- non era riuscito a trattenersi dall’esclamare, afferrando con poca grazia il corpo e issandoselo sulle spalle –Vedi di non morirmi- aveva detto, mentre si affrettava a percorrere il sentiero verso il villaggio.
 
Quando la mattina del quinto giorno Kiba aprì gli occhi, il letto era vuoto. Le coperte sfatte e la forma del capo ancora impressa sul cuscino.
Si sollevò di scatto. La sedia sulla quale era seduto scivolò indietro, producendo un rumore metallico, e rischiò di rivoltarsi a terra.
Non se ne curò e corse verso la porta socchiusa, spalancandola e uscendo dall’ospedale con il fiato corto ed una certa ansia a scuotere le membra spossate.
Si precipitò nel giardino antistante l’edificio. Cercò sulle panchine e sotto l’ombra degli imponenti alberi, non riuscendo, però, a scorgere fra i passanti il volto della ragazza che aveva salvato.
Continuò il suo affannato cammino fuori dal cancello dell’ospedale, fra le case del villaggio e le donne accorse nelle strade per dedicarsi alla spesa giornaliera.
Scartò qualche bambino un po’ troppo vivace e scrutò nei vicoli. Ancora nessuna traccia della giovane.
Con una certa agitazione decise di uscire dal villaggio. Magari l’avrebbe trovata vicino al fiume o nascosta su qualche albero, dopotutto si era svegliata in un luogo che non le era minimamente familiare, con accanto un ragazzo che non aveva mai visto, era normale che in un attimo di panico avesse preso in considerazione la fuga.
Si inoltrò nella foresta e proseguì fino a raggiungere la riva del fiume. Incespicò più volte sui ciottoli tondeggianti e rischiò di caracollare rovinosamente a terra. A stento si resse in piedi e un respiro di sollievo gli sembrò doveroso.
Una volta riuscito a ricomporsi, lasciò scorrere lo sguardo attorno a sé. Il fiume si stava agitando, aiutato dal vento che soffiava impetuoso. Presto avrebbe piovuto e della ragazza ancora nessuna traccia.
Lanciò un imprecazione e risalì lungo lo stradello che portava al fiume, indeciso se ritornare al villaggio o continuare quella disperata quanto assurda ricerca.
Fu nel momento in cui il dilemma raggiunse il suo picco massimo che gli sembrò di intravedere una sagoma fra gli alberi.
Tirò un sospiro di sollievo e cominciò ad urlare.
-Ehi! Ehi ragazzina!- strillò. La voce era resa flebile dal vento e Kiba era certo che la giovane non avesse sentito il suo richiamo. Corse fra gli alberi più in fretta che poteva, sperando che la ragazza non si spostasse o facesse sciocchezze. Kiba conosceva abbastanza bene quel bosco da sapere che la giovane stava in piedi sul bordo di uno strapiombo. L’idea che volesse buttarsi lo fece rabbrividire e i muscoli delle gambe si tesero per aumentare la velocità.
Doveva assolutamente raggiungerla.
 
-Ragazzina, sono quello che ti ha salvato. Ti prego fermati lì, non fare sciocchezze, sto arrivando e non ho cattive intenzioni- non era chiaro neanche a lui quello che stava dicendo. Probabilmente i suoi erano solo assurdi vaneggiamenti che la giovane non aveva neanche udito nella loro interezza.
Tuttavia riuscì ad evitare un lancio nel vuoto che non sarebbe stato affatto gradito.
Si tuffò in avanti, afferrando il polso della ragazza e trascinandola indietro, stringendola fra le sue braccia per riscoprirla più esile di quanto la ricordasse.
-Cavolo, mi hai fatto prendere davvero un bello spavento, sai?- sospirò in un misto fra sollievo e disperazione.
La ragazza cercò di scansarsi da lui, facendo una leggera pressione sul petto. Kiba comprese e lasciò che si allontanasse, sentendosi più tranquillo ora che poteva visionare i suoi movimenti.
-Sei stato tu a salvarmi?- domandò la giovane, mostrando un tenue sorriso. Il volto era ancora pallido ed i capelli violacei contrastavano con il candore della pelle.
Kiba annuì.
-Se non ci fossi stato io saresti morta- lo disse con una punta di malcelato orgoglio, provocando nella ragazza una live risata.
Lei lo guardò con gli occhi socchiusi e le guance lievemente arrossate. Le labbra erano semichiuse e le mani strette in grembo. Il vento era freddo e la maglietta a maniche corte che indossava non aiutava certo a scaldare il corpo minuto.
-Magari adesso è meglio se torniamo al villaggio, fa freddo ed il tempo sembra poter solo peggiorare-.
Kiba allungò una mano, cercando di afferrare il polso della ragazza e trascinarla con sé. Non si preoccupò dei convenevoli: presentazioni e scuse avrebbero potuto benissimo aspettare qualche altro minuto.
Ma la ragazza si scostò. Fece un passo indietro e ritrasse le mani, mentre un brivido le percorreva il corpo. Kiba si paralizzò e con sguardo oltraggiato e indispettito fissò il volto di lei.
-Sta arrivando un temporale- rimarcò le sue parole.
Quello che seguì fu il silenzio, rotto dal sibilo del vento fra gli alberi. La ragazza indietreggiò ancora di qualche breve passo, poi fronteggiò Kiba con decisione. Sfidò lo sguardo di lui con il suo vitreo. Lo contrastò con sicurezza e determinazione, prima di stringere le mani e conficcare le unghie nei palmi.
-Ti prego, uccidimi-.
Kiba rimase immobile. In lontananza i lampi incorniciavano la scena in maniera surreale e illuminavano di una luce spettrale il volto pallido della ragazza.
Kiba non riuscì a trattenere una risata di scherno. Non sapeva a chi fosse rivolta, avvertiva solo il prepotente bisogno di sfogarsi, forse per non credere alle parole della giovane o per illudersi che quello vissuto non fosse altro che una fantasia da mocciosi.
Fu il volto serio della giovane a riportarlo ad uno stadio di coscienza.
-Per favore- ripeté la ragazza, mentre le prime gocce di pioggia cominciavano a cadere dal cielo plumbeo.
Kiba non si lasciò sfuggire la possibilità di scansare quello scomodo discorso. Con uno scatto improvviso si protese ad afferrare il polso della giovane e la trascinò con poca grazia nella foresta.
-Adesso andiamo a casa mia- le disse perentorio, il tono di chi non voleva sentire ragioni. Non ci furono repliche, ad accompagnarli nella corsa il suono della pioggia fitta che bagnava i loro corpi e appesantiva i vestiti.
 
La casa in cui Kiba era nato e cresciuto non differiva particolarmente da quella dei compaesani. Di modeste dimensioni era stata eretta anni prima e aveva visto la nascita di generazioni di suoi antenati.
Con le suole delle scarpe sporche di fango ed i vestiti ormai zuppi, oltrepassò la soglia dell’abitazione e urlò a gran voce il nome della sua genitrice. Le luci erano accese segno che qualcuno era realmente in casa e che la risposta non avrebbe atteso poi tanto ad arrivare.
Fu il ticchettare di passi pesanti che precedette l’entrata in scena della donna, avvolta in un grembiule sgualcito e con occhi stanchi.
-Kiba- gracchiò correndo incontro al figlio e allontanandolo dalla ragazza che stava stringendo per impedirle di fuggire (non che lei ne avesse realmente intenzione) –che avevi intenzione di farle?- lo disse con aria truce e l’unica cosa che Kiba poté fare fu agitare animatamene le mani in un tacito tentativo di discolparsi.
-Non è come pensi, mamma, stavo solo cercando di proteggerla- disse, mentre la donna si allontanava, stringendo il corpo gracile della ragazza al suo ed intimandole di non preoccuparsi di quel bruto di suo figlio.
Kiba sospirò seccato: si era comportato eroicamente, possibile che dovessero tutti trattarlo come il peggior criminale.
Salì in camera sua deciso a frizionarsi i capelli e a cambiarsi d’abito prima di pranzo. Alla doccia avrebbe pensato in seguito.
 
A tavola si respirava un’aria particolarmente pesante, almeno così sembrava a lui. Sua madre pareva non risentire affatto degli eventi che avevano segnato quella mattina; dopotutto come poteva biasimarla? Lei non aveva assistito alla scioccante richiesta della ragazza, non era stata divisa fra il desiderio di darsela a gambe e quello di lasciarsi cadere a terra senza sapere come reagire.
-Allora- disse la donna, posando di fronte alla ragazza un piatto di una qualche brodaglia calda. Kiba lo guardò con reticenza –qual è il tuo nome?-.
-Mi chiamo Hinata- sussurrò la giovane, ora in completo imbarazzo, prendendo fra le mani un cucchiaio ed inzuppandolo nel brodo.
-Davvero un bel nome- convenne la donna, lanciando un’occhiataccia al figlio che stava schifando completamente il piatto di zuppa che gli era stato posato di fronte –E da dove vieni, Hinata-chan?-.
La ragazza contemplò il proprio piatto per qualche istante. Fece scorrere le dita lungo il cucchiaio e sospirò.
-Purtroppo non lo ricordo- sussurrò, inclinando ulteriormente chiaro.
A Kiba fu subito chiaro che quella non era altro che una bugia. Il volto, l’intero corpo di Hinata non sembravano adatti a sostenere la falsità.
 
L’occasione di parlare si presentò la sera dopo cena.
La pioggia si era quietata e Kiba aveva deciso, nonostante il fango e l’aria fredda, di portare Hinata nel giardino sul retro della casa. Lì sarebbero stati lontani dallo sguardo indiscreto di sua madre e avrebbero potuto discutere di ciò che era avvenuto nel pomeriggio.
-Ho intenzione di tirarti fuori tutto ciò che c’è da sapere che tu voglia dirmelo o no!- esclamò Kiba in principio, assumendo una posa fiera.
La ragazza abbassò lo sguardo e sospirò.
-Non ricordo nulla eccetto il mio nome-.
-Chi non ricorda nulla non ha motivo di cercare la morte!- aveva ribattuto Kiba, stupendo se stesso per una frase tanto significativa.
Erano rimasti qualche istante in silenzio.
-Allora vuoi parlare o no? Guarda che almeno qualche spiegazione me la devi assolutamente- disse categorico.
Hinata deglutì e afferrò il lembo inferiore della felpa troppo grande che la madre di Kiba gli aveva prestato. Lo sollevò lentamente provocando nel ragazzo una reazione di assoluto imbarazzo.
-Ehi, ehi, che fai?- urlò con voce stridula, cercando di coprirsi il volto come meglio poteva e di resistere alla tentazione di guardare il corpo sinuoso della giovane.
Hinata cercò di nascondere il capo dietro la maglia sollevata a metà. Le guance le si erano imporporate di un acceso colore violaceo e gli occhi erano coperti dalla frangia troppo lunga.
-Guarda- disse in un sussurro.
-Che?- fu la risposta di Kiba che nello stupore tolse le mani da davanti al volto, permettendo allo sguardo di vagare sul corpo della ragazza e posarsi sul fianco di lei.
Una lunga ferita si estendeva sul lato destro. Era ancora aperta, ma da essa non sgorgava sangue. Kiba spalancò gli occhi incredulo. Non voleva, non poteva credere a quello che stava vedendo.
-Il mio nome completo è Hinata Hyuuga-.
-Hyuuga?-.
-Esatto, sono un membro della divisione angelica che veglia sul vostro mondo-.
Kiba deglutì a fatica. Se stava sognando quello era il momento giusto per destarsi.
-Vuoi dire che non sei umana?-.
La ragazza si abbassò la maglietta e sollevò lo sguardo lucido e le guance ancora violacee si esposero agli occhi di Kiba.
-E’ così. Nel mio corpo non scorre sangue. Sono stata plasmata dai due immortali a capo della divisione angelica. Mi hanno creato dalla materia, io non sono mai nata effettivamente, sono sempre esistita solo in un'altra forma prima di questa. E’ per tale ragione che non posso né crescere né morire. Io non possiedo un cuore che si possa fermare-.
-Sei immortale. Ho salvato la vita ad un immortale- .
Hinata sorrise appena, rendendosi conto di quanto le parole pronunciate dal ragazzo fossero dettate dalla completa confusione.
-Figo!- fu l’esclamazione finale che fece crollare del tutto Hinata che rise lievemente, portandosi una mano a coprire le labbra sottili e pallide.
-Mi spieghi perché mi hai chiesto di ucciderti? Tu sei una degli essere più importanti del  nostro mondo, una specie di divinità, tutti ti venerano e ti rispettano eppure…vuoi morire?- Kiba non riusciva proprio a comprendere le azioni della ragazza. Dopotutto a lui l’immortalità era sempre sembrata così attraente. Avrebbe potuto fare tutto quello che desiderava: gettarsi da un dirupo, stare sott’acqua per ore, staccare la testa dal resto del corpo, il suo cuore non avrebbe comunque smesso di battere.
-Sai Kiba-kun, quando hai vissuto per ottocento anni e il mondo non ha più alcuna sorpresa per te, l’unica cosa che puoi desiderare è la libertà nella morte-.
E l’aria era sembrata improvvisamente più fredda. Aveva gelato le membra di Kiba che si era stretto nella felpa e aveva smesso per qualche istante di trovare l’immortalità tanto divertente.
-Vuoi dire che sono ottocento anni che vivi in quel corpo?- le aveva chiesto, tentando di capacitarsi di ciò che gli era appena stato detto.
Hinata annuì.
-E’ per questo che ti ho chiesto di uccidermi-.
Kiba non aveva voluto sentire oltre. Si era sollevato dalla panca sulla quale erano seduti per dirigersi verso la porta dell’abitazione.
-L’eternità può essere pallosa quanto ti pare, ma non chiedermi di ucciderti perché questo non posso proprio farlo!- esclamò prima di varcare la soglia e sparire dalla vista della giovane.
 
 Trascorsero mesi. Kiba sentì il passare delle stagioni sulla pelle e in un paio di influenze che non durarono più di qualche giorno.
E Hinata era sempre rimasta al suo fianco.
In principio ne era stato stupefatto, dopo il rifiuto categorico di quella sera avrebbe giurato di non vederla più. Ed invece lei era restata in città, abitando a casa sua e trovandosi un semplice lavoro per contribuire al reddito familiare.
Gli era rimasta costantemente accanto, vivendo con lui una vita normale, quasi fosse una semplice ragazza, una di quelle che Kiba aveva sempre visto passare e alle quali non aveva mai rivolto la parola. Ora si sentiva quasi onorato e compiaciuto, camminando al fianco di Hinata c’erano momenti in cui avrebbe desiderato che quei momenti non avessero mai fine.
Eppure la sensazione che per quella ragazza una simile esistenza non fosse altro che un peso non l’aveva mai abbandonato. Pensare che sotto quella pelle senza rughe e l’espressione gioviale si nascondesse una vita durata centinaia d’anni lo faceva sentire a disagio, un piccolo uomo che non era in grado di comprendere l’enormità del mondo.
Una volta, qualche settimana prima, aveva trovato il coraggio di chiedere ad Hinata se quella vita, dopotutto, l’annoiava. La risposta della ragazza era arrivata con un sorriso. Aveva fissato gli occhi in quelli di Kiba e lo aveva ringraziato per essersi preoccupato.
-Va bene così, Kiba-kun. Non avrei potuto desiderare di meglio- e nelle sue parole il ragazzo aveva creduto di leggere una vena di gioia che rendeva incredibilmente più affascinante quel volto infantile.
Avevano trascorso gli ultimi tempi insieme. Nessuno aveva mai lasciato il fianco dell’altro, ormai affezionati alla reciproca presenza.
Fu un giorno di fine primavera, quando il caldo cominciava ad essere afoso ed era d’obbligo indossare una canottiera, che l’equilibrio faticosamente raggiunto si infranse.
 
Stava stornando dal quotidiano giro nella foresta. Kiba aveva sempre adorato trascorrere del tempo a contatto con la natura. Il bosco antistante il villaggio era ormai per lui come una seconda casa, un luogo in cui trovare riparo e consiglio. Aveva percorso la strada fino al fiume quel pomeriggio, aveva cercato ristoro nell’acqua limpida e fresca, prima di tornare sui suoi passi e presentarsi a casa per l’ora di cena.
Era stato per puro caso, come mesi prima, che aveva scorto la sagoma di qualcuno attraverso la boscaglia.
Non aveva impiegato molto per comprendere di chi si trattasse. I capelli viola ed il profilo fine non lo avevano tratto in inganno neanche per un istante.
Si era precipitato fra gli alberi, lasciando il sentieri principale, per raggiungere il luogo che lo aveva visto protagonista di un inatteso quando incomprensibile dibattito qualche tempo prima.
-Hinata-chan- aveva chiamato la ragazza, ma questa non si era voltata. Così si era limitato ad affrettare il passo per raggiungerla.
 
Toccare il suo braccio, una volta che gli fu alle spalle, fu come sentire una scarica elettrica corrergli lungo la schiena.
Era scossa dai singulti e sussurrava qualcosa di incomprensibile con lo sguardo rivolto allo strapiombo.
Kiba la voltò e cercò un contatto con quell’anima dilaniata dalla sofferenza, eppure sempre gentile e disposta ad un sorriso.
Riscoprì nel suo volto i segni della tristezza. Li vide nelle guance infossate e nella pelle tirata.
Prima che se ne potesse accorgere la stava stringendo fra le braccia, cullandola in modo impacciato, cercando di donarle un sollievo che non sarebbe stato in grado di darle né in quel momento, né in futuro.
I singhiozzi di Hinata si intensificarono. La ragazza non riuscì a trattenersi oltre e, stringendo con forza la maglia umida di Kiba, lasciò che la paura e la tristezza accumulate negli ultimi tempi si liberassero dalla prigione del suo corpo.
-Io non voglio, Kiba-kun- sussurrò la giovane, mentre cercava di quietarsi.
Lui la strinse e la cullò.
-Non voglio tornare indietro- continuò, senza che il ragazzo facesse nulla per invitarla a proseguire.
-Perché dovresti?-
-Perché un immortale non può restare per sempre nel mondo umano. Il mio compito è far parte della divisione angelica che protegge questo mondo. Ma io non voglio tornare. Non voglio vivere altri anni in quel luogo così privo di vita-.
Kiba lesse nelle parole della ragazza l’orrore dell’esistenza. Un terrore puro e radicato, provato per ciò che l’attendeva in futuro. Non riusciva a comprendere come potesse trovare libertà nella morte, dopotutto non la vedeva come soluzione per nulla, ma non era lui ad aver vissuto per ottocento anni la stessa vita.
-Kiba-kun, ti prego, aiutami-.
Forse fu l’atmosfera o la voce implorante e calda di Hinata che lo convinsero a prendere una decisione tanto sofferta.
-Cosa devo fare?- chiese semplicemente. La ragazza sollevò il volto e puntò gli occhi gonfi e stanchi in quelli di lui.
Era visibilmente incredula e lo stesso Kiba faticava ancora a comprendere cosa la scelta fatta avrebbe implicato.
-Ne sei sicuro?-.
Lui annuì, parlare avrebbe esposto il timore nella sua voce.
-Allora…baci…baciami, Kiba-kun- lo disse distogliendo lo sguardo, come fosse la cosa più scandalosa del mondo, totalmente inconsapevole che era ormai un po’ di tempo che Kiba avrebbe voluto fare quel passo, ma il coraggio non gli aveva mai dato una mano.
-Così- spiegò lei, mal interpretando l’espressione sul volto del ragazzo –la tua saliva scorrerà lungo la mia gola e con lei un briciolo di umanità. Il sangue comincerà  a fluire ed io potrò finalmente trovare la libertà- una nota di sollievo nella voce delicata.
Kiba deglutì, ancora stordito dalla storia del bacio.
Afferrò Hinata per le spalle, consapevole che gli ormoni ed un desiderio decisamente inappropriato in una situazione simile avrebbero fatto il resto.
Si chinò appena e posò le labbra su quelle di Hinata che sorrise nel bacio.
Erano entrambi impacciati ed innocenti. Avrebbero desiderato così tanto che quello non fosse il loro regalo d’addio. Sarebbe stato bello crogiolarsi nel sapore dell’altro per altro tempo, guardare nei rispettivi occhi e scoprirvi solo amore.
Sorrisero, mentre il momento di estasi si concludeva e Kiba cominciava ad avvertire una certa ansia.
Hinata lo fissava. Aveva gli occhi socchiusi e le guance imporporate. Dietro di lei il sole calante incorniciava la figura angelica e perfetta.
Si piegò in due e tossì sonoramente, quasi che Kiba ebbe paura di vederla stramazzare al suolo da un momento all’altro.
Quando si sollevò stava sorridendo. La mano sporca di sangue e la gioia dipinta sul volto di porcellana.
-Grazie, Kiba-kun- sussurrò per poi voltarsi e fare qualche passo verso lo strapiombo.
Kiba la guardò impotente, trattenendo il desiderio di protendere una mano e fermarla.
-Se fossimo stati in un’altra situazione, forse fra di noi avrebbe funzionato- sussurrò il ragazzo con malcelata speranza.
-Grazie, Kiba-kun- ripeté Hinata e il ragazzo capì che ogni tentativo di trattenerla sarebbe stato vano.
-Allora ciao- disse –magari fra qualche anno ci rivedremo e allora ti racconterò se per me è valso la pena vivere-
-Aspetterò-.
Gli attimi di silenzio che seguirono fecero comprendere ad entrambi che i convenevoli erano finiti.
Hinata respirò profondamente e Kiba le diede le spalle.
Mentre spiccava il salto nel vuoto, con la consapevolezza che quella sarebbe stata l’ultima volta, non riuscì a trattenere una lacrima.
Kiba non la vide. Si era ormai voltato e stava percorrendo la strada fra gli alberi per ritornare al villaggio prima che facesse notte.
Avrebbe avuto non poche spiegazioni da dare a sua madre.
 
 
 
Note dell’autrice: questa storiella ha osato partecipare ad un contest e per quanto sia rimasta delusa dagli errori grammaticali fatti (mai una volta che riesca a vederli tutti eh?), mi sono classificata in una piacevole quarta posizione.
Non ho nulla da dire a riguardo, solo che elaborare qualcosa del genere è stato un parto. La trama mi è venuta in mente la sera prima della consegna e mi sono auto frustata per scriverla in un sol giorno. Ho sofferto da impazzire, soprattutto perché ho trattato (colpa del caso) una coppia che non è di mio gradimento, ma poteva andarmi peggio, pensandoci bene XD.
Beh ora vi saluto e ci si sente ad una prossima storia magari! ^^
Un bacione
 TND
   
 
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