Sul sentiero che porta dall'arena alla capanna che condivide con Marin, vi sono file e file di antichi ulivi, i rami nodosi e morbidi allungati verso il cielo, le foglie lanceolate di un verde cangiante in argento, la corteccia liscia al tatto, le radici disegni che affondano nella terra.

Seiya li osserva ogni giorno, anche in quelli più tristi, quelli più difficili, quando gli allenamenti gli tolgono ogni energia e Marin pare la sua più grande nemica e non... un'alleata.

Alza gli occhi a quelle fronde che donano ombra nei giorni più caldi e bellezza in quelli dove la sabbia rossa dell'arena è l'unica cosa che ricorda.

Un giorno, alza gli occhi e trova, grossi e succosi, i frutti di quegli alberi: neri e lucidi, perfetti per lo stomaco di qualcuno che smania per il pasto dopo una giornata infinita non particolarmente felice.

Seiya ferma i propri passi, ingolla l'acquolina che si è formata sulla lingua e, dopo essersi guardato intorno, non perde tempo, arrampicandosi su uno dei rami più grossi e carichi di olive. Si siede sul tronco più comodo, allunga una mano e allunga la mano verso un grappolo di olive particolarmente grosse e lucide: si staccano facilmente, tanto da rilasciare un po' del nettare prezioso per cui sono famose.

Poco prima di infilarsele in bocca, Seiya pensa brevemente al mito di Athena e Poseidon, in lotta per la città di Atene, e il ricordo di lei che, colpito un masso, aveva dato vita al primo ulivo: il bambino pensa che i miti a volte siano assurdi, poco credibili anche a un bambino che ha visto con i propri occhi nascere un fiore da un seme.

La bocca si apre, le olive vi cadono dentro e i denti, pronti e attenti, masticano la polpa. È un attimo e Seiya impallidisce, un colpo di tosse violento lo scuote e, suo malgrado, sputa le olive e i loro noccioli.

«Puah! Ma sono amarissime!».

Si pulisce più volte la bocca, preda di un amaro disgustoso che lo fa rabbrividire con un certo disgusto.

Una risata vicina lo fa sussultare e poi volgere verso la fonte della voce: ai piedi dell'albero, appena nascosto dalle fronde argentate, Aiolia ride di gusto alla scena, con una leggerezza che Seiya non gli ha mai visto. Ciò nonostante, lo guarda con le guance gonfie, il naso arricciato e il vago sentore d'imbarazzo.

«Perché ridi?».

Trattenendo un'altra risata, il giovane uomo lo guarda, le mani sui fianchi e un cenno della testa verso gli ulivi.

«Perché le olive colte dall'albero non vanno mangiate così...».

Le guance del bambino si sgonfiano, la domanda sorge spontanea:

«E come le mangio? Le mele le mangio appena tolte dall'albero...».

«Le olive vanno messe sotto sale... o si fa l'olio».

«Ma l'olio è buono, non è amaro!».

Un'alzata di spalle.

«Il segreto è nella lavorazione... credo».

«Mmh...».

L'amaro in bocca è passato, ma la fame no. Lo stomaco di Seiya brontola vivace, strappando una risata ad Aiolia che, prontamente, allunga una mano verso di lui.

«Vuoi mangiare qualcosa?».

Lo stomaco di Seiya risponde e, senza esitazione, prende la mano dell'uomo e si lascia cadere al suolo. Subito, l'altra mano di Aiolia scompiglia i suoi capelli con quel fare da fratello maggiore.

«La dea Athena ha fatto il dono più bello con l'ulivo, non credi?».

Il bambino gli cammina di fianco, lo sguardo diviso tra il sentiero e il viso dell'uomo.

«Sì, ma si è dimenticata di mettere lo zucchero nelle olive!».

Un'altra risata, gli occhi dell'uomo sembrano più limpidi del solito e Seiya si ritrova a sorridere, di rimando, a una luce che non aveva mai visto prima di allora.