Anime & Manga > Lady Oscar
Ricorda la storia  |      
Autore: summers001    29/10/2022    10 recensioni
Oscar&Andrè | introspettivo
La febbre bagnava le notti di Oscar ormai da più di un mese. Iniziava alle cinque e mezzo del pomeriggio ogni giorno, giusto in tempo per tornare a casa e farsi servire la cena in stanza. Cominciava a sentire caldo a quell’ora, a sentirsi soffocare nella divisa, a provare il bisogno di rimanere col solo tessuto della camicia sulla pelle. Quando entrava nel letto, tra le lenzuola di seta, le guance le si erano accese in una vampata, i pensieri erano confusi ed il corpo troppo stanco per reagire. Chiudeva gli occhi e finiva per addormentarsi. Faceva sogni confusi, tormentati. Finiva per rievocare ricordi, brutti, per lo più bagnati. Si svegliava sola, sudata, affannata. Aveva voglia di piangere. Si raggomitolava nel letto e stringeva le lenzuola. A volte nascondeva grida tra i cuscini. C’era ancora così tanto da fare, così tanto da vivere, così tanto da amare.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Febbre
 
 
La febbre bagnava le notti di Oscar ormai da più di un mese. Iniziava alle cinque e mezzo del pomeriggio ogni giorno, giusto in  tempo per tornare a casa e farsi servire la cena in stanza. Cominciava a sentire caldo a quell’ora, a sentirsi soffocare nella divisa, a provare il bisogno di rimanere col solo tessuto della camicia sulla pelle. Quando entrava nel letto, tra le lenzuola di seta, le guance le si erano accese in una vampata, i pensieri erano confusi ed il corpo troppo stanco per reagire. Chiudeva gli occhi e finiva per addormentarsi. Faceva sogni confusi, tormentati. Finiva per rievocare ricordi, brutti, per lo più bagnati. Si svegliava sola, sudata, affannata. Aveva voglia di piangere. Si raggomitolava nel letto e stringeva le lenzuola. A volte nascondeva grida tra i cuscini. C’era ancora così tanto da fare, così tanto da vivere, così tanto da amare.
 
Cancellava la notte con l’acqua fredda sulla faccia, vestendosi, affrettandosi, correndo e cavalcando verso Parigi, verso la caserma, verso di lui. Durante tutto il mese di giugno, da quando aveva capito cosa le stava succedendo nel cuore e nei polmoni, aveva iniziato a provare malinconia. Le mancavano i vecchi giorni, quelli di Versailles, le lunghe cavalcate per arrivare alla reggia, le sfide, la competizione, il vento caldo e calmo sul viso. Le mancava lui così tanto che a  volte si girava a cercarlo.
 
Non riusciva neanche più a scaldarsi al tepore del sole di mezzogiorno. Tutto quello che sentiva ormai era freddo. Faceva finta di non notarlo, nascondeva i brividi, manteneva ferma la posizione. Fingeva di non avvertire la stanchezza, di non voler piegare le spalle, di non sentire gli occhi bruciare di sonno ed il petto andare a fuoco alla ricerca di aria. La sua vita si era trasformata in una grande recita, tutto per arrivare ad un solo unico momento.
 
I soldati stavano uscendo tutti dalle camerate, insieme per prepararsi all’addestramento. C’era un confine invisibile segnato dalla linea d’ombra tra l’atteggiamento dentro e fuori le camerate, oltre il quale si trasformavano. Tra di loro ridevano e scherzavano per alleggerire il clima di terrore che infestava la città, poi appena arrivavano fuori in riga diventavano dei seri, perfetti sottoposti. Era una squadra solida, chi l’avrebbe mai detto. E mentre sorrideva alla loro parata gioviale, prima di varcare la soglia che li avrebbe mutati come ogni giorno, eccolo là comparire, bello come il sole. Rideva come gli altri ad una battuta stupida uscita dalla bocca di chissà chi, in un veloce lampo la cercava, la vedeva, abbassava di nuovo lo sguardo e si sistemava in ordine insieme agli altri. Non era come se lo ricordava o immaginava. Una nuova e più matura malinconia lo accompagnava, fino al punto che era arrivato ad accettarla come compagna di vita. Andrè, lui, sempre allegro, gioviale, sorridente, divertente. Sorrise stupidamente al ricordo di lui, pur avendocelo davanti agli occhi.
 
Avrebbe potuto riportare quel sorriso, fare le cose diversamente. Se non le fosse mancato il coraggio sarebbe scesa da cavallo, avrebbe corso tutto il cortile. Si sarebbe fatta spazio tra i soldati e l’avrebbe raggiunto con un fil di fiato. Andrè ne sarebbe rimasto confuso all’inizio. Avrebbe piegato le sopracciglia in quel suo modo di fare apprensivo e le avrebbe chiesto preoccupato “Oscar, che succede?” con le mani che come una carezza le avrebbero sfiorato le spalle e le braccia, quasi fosse una bambina, quasi fossero soli, quasi come avrebbe voluto sempre fare da una vita. Oscar l’avrebbe saputo allora che ormai lui da tempo aveva perso le speranze, perciò l’avrebbe sorpreso. Avrebbe usato le sue mani come appoggio, si sarebbe sollevata sulle punte e l’avrebbe baciato davanti a tutti. E lui l’avrebbe baciata allo stesso modo, disperato ed affamato, l’avrebbe stretta fino a farle male, fino a sentire le lacrime. E gli altri avrebbero applaudito, fischiato, fatto battute di cattivo gusto, volgari, appropriate.
 
Oscar strizzò gli occhi, finse d’esser rimasta accecata dai troppo deboli raggi di sole. Allentò un bottone del colletto ed impartì ordini da cavallo per l’addestramento. Finse di nuovo, come ogni giorno, come sempre. Delusa dalla sua stessa codardia, dal gelido personaggio che interpretava, immobile, calmo, così lontano dal tormento che aveva dentro, da quello che voleva fare o voleva dire. Continuò fino a mezzogiorno. I soldati erano stremati, accaldati. Solo lei non lo sentiva quel caldo secco che picchiava dietro le nuche. Finse d’esser sudata come gli altri, come il giorno prima. Concesse a tutti il tempo di rinfrescarsi, bagnarsi i capelli ed infine anche di riposare e mangiare. Si ritirò nelle sue stanze, dove cominciò ad affannare.
 
Era come trattenere il fiato per tutto il tempo, come stare in acqua e poi riemergere. Rimase lì a respirare contro la porta chiusa. Provò la tentazione di scivolare a terra, di sentirsi disperata per un attimo, prima di ricacciare dentro lacrime timide che non voleva piangere, non a quell’ora, non in quel posto dove poteva sentirsi ancora il soldato che era. Dove poteva nascondersi davanti a tutti.
 
Alzò gli occhi, c’erano come sempre una montagna di scartoffie: aggiornamenti sulla situazione dello stato, gli ordini dei prossimi mesi, il piano finanziario della caserma, la lista di ciò che mancava da comprare ed ancora, ancora e ancora. Il tempo che perdeva da sola in quella stanza era però ciò che faceva di lei un attento comandante. Sapeva tutto quello che succedeva entro quelle mura: chi era in congedo e chi no, chi mangiava, chi si allenava, chi riceveva visite dalla famiglia. Conosceva i suoi soldati senza conoscerli davvero.
 
Si sedette e cominciò a leggere. Lesse fino a che le fecero male gli occhi, fino a sentire l’odore dell’inchiostro mischiarsi a quello del sudore e della polvere di cui la caserma era impregnata. Fino a distrarsi e pensare ad altro.
 
“Ci vorrebbe del vino.” Si trovò a pensare a voce alta.
 
“Ti ricordi quando rubammo da ragazzini quella bottiglia in cantina?” Le avrebbe detto Andrè se fosse stato lì. Oscar rievocò ricordi misti ad immaginazione. Pensò a quel giorno di più di vent’anni prima, quando Oscar ed Andrè avevano studiato gli orari delle cameriere per introdursi in cantina. Si erano nascosti poi nei corridoi segreti che collegavano la stanza di lei a quella della servitù, dove avevano assaggiato del vino rosso al buio per la prima volta e, disgustati, avevano nascosto la bottiglia tra le pietre delle mura. Chissà se qualcuno poi l’aveva mai ritrovato.
 
No, non era vero comunque. Se Andrè fosse stato lì l’avrebbe biasimata. Troppo alcol che teneva in piedi una situazione già precaria. Ma lui della situazione già precaria non ne sapeva niente, quindi forse poteva farlo chiamare.
 
Sì, poteva farlo.
 
Andrè avrebbe bussato e lei avrebbe risposto con “Sì? Avanti.” Avrebbe detto “Andrè, entra pure.” L’avrebbe aspettato. Avrebbe lasciato le sue carte e l’inchiostro. E lui avrebbe notato la differenza, visto i suoi occhi diversi, brillare quasi sull’orlo delle lacrime.
 
“Volevi vedermi?” avrebbe chiesto lui e lei avrebbe pensato che non poteva esserci una scelta più appropriata di parole.
 
“Sì, ho bisogno che tu sappia una cosa.” Oscar avrebbe scelto accuratamente quelle parole. Le avrebbe dette con un tono di voce diverso, quello di un tempo passato o di uno che non c’era mai stato. Si sarebbe alzata, avrebbe girato attorno alla scrivania e forse lui si sarebbe spaventato a vedersela di fronte, ma le sue parole e la sua voce gli avrebbero fatto capire magicamente all’istante quello che voleva dirgli e non sarebbe servito dire niente. Del resto, una cosa del genere come si spiega a parole? L’avrebbe anticipata, spinta indietro, fino alla scrivania di nuovo. Avrebbe buttato a terra quelle cartacce inutili, si sarebbero macchiate d’inchiostro, ma non era importante, di quello avrebbero persino riso dopo. L’avrebbe presa là, in quella stanza muta, fredda, anonima, che sarebbe rimasta marcata dall’odore della pelle e dei baci.
 
Poteva farlo chiamare quando voleva, anche subito. Poteva farlo chiamare e poi dissimulare. Fingere un incarico, una ronda, un messaggio di sua nonna. Chiedergli per una volta di tornare a casa con lei. Sì, l’avrebbe fatto una volta, un giorno. Solo non quel giorno. “Non oggi.” Si disse tra sé e sé. Non sarebbe riuscita ad improvvisare la vera Oscar. Non sapeva neanche come si comportava la vera Oscar. E poi come gliel’avrebbe spiegato? Che gli avrebbe detto? Che non faceva che pensare a lui? Che si era accorta brutalmente in mezzo alla violenza del sentimento che provava per lui? Voleva che pensasse questo di lei? Che era capace di amare solo in mezzo al sangue, lottando, coi lividi e la paura di morire addosso? No, non era così che lo amava. Oscar voleva la delicatezza.
 
Se lo ricordava ancora quel bacio. Era stata una carezza delicata fatta con le labbra. Ce le aveva secche e screpolate quella sera. Gliele aveva poggiate sulle sue, mentre credeva che fosse svenuta. L’aveva accarezzata così e poi l’aveva baciata piano. Oscar all’epoca conosceva il rumore umido dei baci, ma quello non ce l’aveva, non aveva fatto alcun rumore. Un bacio silenzioso, delicato, affettuoso, timoroso. Aveva pianto allora. Quanto amore ci vuole per posare un bacio così? Per riuscire a contenere i sentimenti in tempesta e lasciare solo quello? Era così tanto amore da fare paura. Solo quando l’aveva baciata anche Girodelle, Oscar si era resa conto di ricordare quel bacio, di aver paragonato ogni bacio visto, sentito, condiviso o immaginato a quel bacio.
 
Gli avrebbe parlato.
Sì, gliel’avrebbe detto. Poco prima di morire però. Provò rabbia, vergogna. Aveva avuto a disposizione una vita intera per farlo. Quanti anni aveva perso? Cosa sarebbe andato diversamente? Sarebbero stati insieme in un’altra vita? Avrebbe lasciato tutto?
Non si sarebbe ammalata?
Sentiva gli occhi ed il petto bruciare di nuovo. Lacrime presero a scendere sulle guance. Tenne chiusa la bocca per non respirare, per non emettere un suono e quando sentì un sospiro salirle dalla gola, la tappò con entrambi le mani. Prese a stringersi le guance pur di tenersi ferma qualcosa. Rimase là in quella posizione per quello che le sembrò quasi un pomeriggio.
 
Poi lo sentì di nuovo. La sua testa ed il suo cuore la ingannarono ancora. “Oscar, perché piangi?” avrebbe chiesto la voce di Andrè.
 
Si toccò le guance, di nuovo calde, troppo calde. Si girò a guardare il sole: le ore più scottanti erano già finite. Dunque era la febbre, ancora. Tornò a guardar dritto ed era là: seduto davanti a lei, inchinato ai suoi piedi, che avrebbe tentato di afferrarle le mani. Eppure sembrava di sentire davvero quella stretta forte e sicura attorno ai polsi, le carezze fatte coi pollici. Chiuse gli occhi e si lasciò andare di nuovo a quelle fantasie. Rigirò le dita per intrecciarle proprio dove sentiva quelle di lui.
Sarebbero combaciate alla perfezione.
 
Oscar tossì. Tornò alla realtà per un momento, si coprì la bocca perché neanche il fantasma onirico di Andrè potesse vedere il sangue salirle su dai polmoni. Gli avrebbe fatto così male saperlo. Se lo immaginò, in attesa, ad aspettare la sua risposta, ansioso e preoccupato, mentre, mentre però le avrebbe cercato di nascondere tutto con un sorriso gentile. “Allora?” avrebbe chiesto.
 
Oscar avrebbe chiuso gli occhi da vigliacca. Avrebbe tentennato, avrebbe cercato di farsi forza oscillando avanti e dietro, da illogica e maniacale. “Perché non c’è più tempo.” Gli avrebbe risposto.
 
Andrè sarebbe rimasto confuso. “Tempo per cosa?” le avrebbe chiesto come se avesse pronunciato le parole più assurde del mondo.
 
Non avrebbe avuto il coraggio di rispondere. Non gli avrebbe mai detto che pensava di aver sprecato una vita senza di lui. Gliel’avrebbe fatto capire a gesti, come sarebbe riuscita a baciarla su quella piazza. Con le dita avrebbe indicato se stessa ed anche lui. “Per noi.” Avrebbe cercato di pronunciare con la bocca e Dio solo sa se ci sarebbe mai riuscita.
 
“Ma Oscar!” avrebbe risposto lui con una inflessione della voce che era consolatoria, addirittura paterna, oltre che sorpreso come se avesse ascoltato chissà quale assurdità. “Abbiamo avuto già tutto il tempo del mondo.”
 
Oscar si paralizzò quando realizzò che era vero. Andrè aveva ragione. Lei stessa ne aveva. “Tutto il tempo del mondo.” Ripeté a voce alta con la sua voce. Ripensò al bambino che era cresciuto con lei, spaventato prima davanti ad un altro bambino che in realtà non lo era. Ripensò al ragazzo con cui faceva a botte, l’unico di cui accettasse i consigli. Senza seguirli forse, ma era l’unica opinione al mondo di cui le importava. L’uomo capace di spaventarla, capirla prima ancora di quando e quanto si capisse da sola.  Andrè era già stato suo fratello, suo amico. Era già tutta la sua famiglia. Sapeva tutto di lei, non avrebbe dovuto spiegargli niente. Non poteva raccontargli nulla che non sapesse già, se non sul futuro. Sapeva già com’era vivere con lei ogni giorno, litigare, fare pace, picchiarsi.
 
Capì che l’aveva amato da tanto, tantissimo tempo. Capì che tutto quello passato era già amore. Ripensò a quanto erano legati un tempo, a quanto la paura di perderlo l’aveva spaventata un tempo, alla sete di vendetta che provava davanti a chi gli torceva solo un capello, all’ostinazione che aveva sempre avuto nel chiamarla amicizia.
 
Quando tornò a casa, per qualche strana ragione pensò che qualcuno potesse chiederle di lui. S’aspettò che magari sua nonna le chiedesse come stesse, dove fosse, perché non tornasse, come se Oscar fosse l’unica referente della vita di Andrè, come il re sa in ogni momento della giornata dove si trova la sua regina. Invece, Oscar raggiunse le sue stanze senza che nessuno la fermasse affatto.
 
Si lasciò cadere sul letto, sulle lenzuola fredde, tra le mura spoglie e vuote. Non entrava mai nessuno quando lei non c’era. Oltre lei, che ultimamente occupava sempre meno spazio ed espirava sempre meno aria, non c’era mai nessuno. Era fredda. Si sentiva sola. Spoglia.
 
E se l’avesse sposato?
 
Sarebbe stata nervosa quel giorno, neanche avrebbe saputo il perché. Si sarebbe sentita irrequieta, avrebbe continuato a muoversi scombussolata, a tenersi una mano sulla pancia o a nascondere le mani ed i tremori.
La nonna l’avrebbe aiutata come sempre. L’avrebbe vestita, truccata, fatta bella. Le avrebbe chiesto di farla più bella di quanto avesse fatto l’ultima volta. Si sarebbe preoccupata che ci fosse una differenza. La nonna avrebbe sistemato i capelli, il viso, tutti i lacci del corsetto ed i veli della gonna. Si sarebbe allontanata per guardarla ed avrebbe cominciato a piangere.
 
“Se piangi tu, piango anch’io.” Le avrebbe detto allora Oscar teneramente.
 
La nonna l’avrebbe abbracciata, si sarebbe lasciata andare ancora un po’ per poi tornare in sé. Si sarebbe asciugata gli occhi e le avrebbe detto che “non puoi andare di là con gli occhi gonfi e rossi!” Ed allora Oscar avrebbe fatto un gesto che faceva da bambina. Con le dita avrebbe disegnato una croce sulla bocca. Gliel’aveva insegnato proprio lei.
 
Sarebbe stata emotiva, avrebbe ricordato tutti gli anni passati, tutti i tentennamenti, le paure, gli sbagli. Li avrebbe ringraziati tutti per averla portata fin là. E non avrebbero seguito le regole, le convenzioni, niente. Avrebbe camminato da sola lungo la piccola navata, l’avrebbe raggiunto, raggiante, sorridente, bello da star male. Ed Andrè l’avrebbe sollevata, l’avrebbe fatta volteggiare per aria, con la gonna del suo vestito che si apriva e li avvolgeva. Avrebbe avuto le sue mani sui fianchi, dietro la schiena, nei capelli, sulle guance. Avrebbe atteso il sacerdote recitare tutte le formule così, guardandola negli occhi, estasiato, innamorato. E l’avrebbe fatto anche lei. Avrebbe ripetuto le parole che gli dicevano di ripetere con voce chiara. Oscar invece si sarebbe confusa, ma chi non avrebbe mai perdonato una sposa emozionata? Ed allora lui l’avrebbe baciata poi, come allora. Un soffio. Avrebbe sentito l’odore della sua bocca, il sapore del suo respiro ed una carezza. Si sarebbe sporta lei allora, più avventata, più impulsiva, più impaziente. Andrè avrebbe riso sulle sue labbra di quel gesto e l’avrebbe fatto poi anche lei. Si sarebbe sentito amato. Avrebbe pensato che avrebbe potuto rifare tutto d’accapo se ogni gesto l’avesse portato a lei.
 
S’addormentò.
 
Ce l’avrebbe fatta. Il mattino successivo sarebbe andata da lui.
Sì, ce l’avrebbe fatta.



 



Angolo dell'autrice
Salve a tutti, non scrivo da un po'. 
Dunque, che dire. Ho iniziato centomila storie mai andate avanti. Ho avuto così tante idee che però non sono mai riuscita a sviluppare. C'è qualcosa però che sta venendo a galla. Non so quanto potrò metterci, prima di pubblicare in genere scrivo almeno metà della storia. Non volevo però lasciare questo bellissimo fandom senza nulla. Così ho scritto questa cosa che mi ronzava in testa da un po'. Niente di complicato, niente di troppo importante. Credo fosse solo un modo per lasciare il segno. 
La mia visione della storia è un mix tra manga ed anime, ci sono cose bellissime di uno e cose bellissime dell'altro che in genere mixo sempre insieme. 
Dunque spero che questa storia possa avervi fatto piacere. Vi saluto con un grandissimo abbraccio e la speranza di risentirci a brevissimo. 
Un caro saluto, 
Summers
  
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: summers001