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Autore: pampa98    19/11/2022    1 recensioni
What-if 1x08, Aegon/Jace: Jace invita Aegon a ballare.
Si alzò e quando si voltò per raggiungere la porta si trovò faccia a faccia con Jacaerys. Aegon si sorprese per la sua vicinanza, ma poi pensò che doveva essere stanco e aveva semplicemente deciso di tornare a sedersi. Era stato lui a dare inizio alle danze, dopotutto.
«Ti va di ballare?» gli chiese Jace, prima che lui potesse aggirarlo per andarsene.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aegon II Targaryen, Jacaerys Velaryon, Viserys Targaryen
Note: What if? | Avvertimenti: Incest
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Una danza che apre il cuore




 

Aegon sbuffò, riempiendosi nuovamente il calice. Aveva perso il conto delle volte in cui aveva ripetuto la stessa routine quella sera: sbuffava, beveva e applaudiva quando vedeva suo nonno battere le mani. Persino lui si stava divertendo, e Aegon non riusciva a capirne il motivo. Credeva che odiasse Rhaenyra e i suoi figli – era ciò che lui e sua madre gli avevano insegnato: una puttana e i suoi bastardi volevano usurpare il trono che sarebbe spettato a lui e Aegon avrebbe dovuto opporvisi. 

Eppure anche Alicent non si era fatta problemi a prendere la mano di Rhaenyra quando lei l’aveva invitata a danzare e Aegon era certo di non aver mai visto sua madre così felice. 

Intorno al tavolo erano rimasti solo lui, Aemond, Otto e il re, che assisteva alla danza con un sorriso rilassato in viso. Aegon non ricordava di aver mai visto nemmeno lui con quell’espressione – di certo non rivolta verso di lui. 

Per suo nonno era una pedina, per sua madre una vergogna e per suo padre un fantasma. Non sarebbe mai stato all’altezza delle loro aspettative, non importava quanto ci provasse. 

Sospirò: lo sapeva da anni, quindi perché faceva ancora male? 

Spostò lo sguardo verso Aemond, che teneva il suo unico occhio fisso sui ballerini davanti a sé. O meglio, su uno in particolare di loro. Suo fratello non aveva fatto altro che fissare Luke per tutta la cena, e Aegon non riusciva a capire se pianificasse di strappargli la testa o baciarlo. Conoscendolo, forse entrambe. 

Dietro di sé sentiva musica e risate, ma non si voltò per assaporare quel mondo di cui lui non avrebbe mai fatto parte. Gli era bastato vedere il sorriso di Jace, rivolto a chiunque meno che a lui, per fargli passare il già poco interesse che nutriva verso quella serata. Un tempo, il giovane principe rideva alle sue battute, di qualunque natura fossero – alcune forse non le capiva fino in fondo, ma non mancava mai di fargli percepire il suo apprezzamento. Se Jace aveva risposto con educazione ai suoi commenti, quella sera, era stato solo per evitare che la cena degenerasse prima ancora di iniziare. Non lo ammirava più come quando erano bambini – e Aegon non poteva biasimarlo per questo.

Sospirò e svuotò un altro calice. Non sapeva per quanto ancora sarebbe durato quel forzato clima famigliare, ma non aveva più voglia di partecipare a quella farsa. 

Alzò gli occhi verso suo padre, seduto proprio di fronte a lui. Sarebbe potuta essere un’occasione per essere visto, per scambiare qualche parola con l’uomo che lo aveva messo al mondo e che, a quanto aveva sentito, non aveva fatto altro che bramare un figlio maschio fino al giorno della sua nascita; ma Viserys teneva lo sguardo fisso sull’unica figlia di cui gli importasse davvero e probabilmente non si sarebbe nemmeno accorto se Aegon avesse abbandonato la stanza. 

Probabilmente non se ne sarebbe accorto nessuno.

Si alzò e quando si voltò per raggiungere la porta si trovò faccia a faccia con Jacaerys. Aegon si sorprese per la sua vicinanza, ma poi pensò che doveva essere stanco e aveva semplicemente deciso di tornare a sedersi. Era stato lui a dare inizio alle danze, dopotutto.

«Ti va di ballare?» gli chiese Jace, prima che lui potesse aggirarlo per andarsene. 

Aegon aggrottò le sopracciglia. «Cosa?» disse, certo di aver sentito male.

Jace gli rivolse un piccolo sorriso e gli tese la mano destra, come aveva fatto con Helaena. «Balla con me, zio.»

«Non mi piace ballare» rispose d’istinto, pentendosene quasi subito. Non aveva mentito, ma ricordava un’occasione in cui danzare non gli era sembrato così noioso – una scommessa persa che coinvolgeva Luke e la mazza chiodata di Ser Criston, Jace che gongolava e chiedeva la sua ricompensa, e loro due che volteggiavano insieme dopo essere smontati da Sunfyre, prima che i custodi dei draghi informassero la regina e la principessa della loro scappatella tra le nuvole.  

Forse avrebbe potuto farlo di nuovo, stringerlo tra le sue braccia e dimenticare che esistesse qualcosa al di fuori di loro; ma che valore poteva avere una recita? Erano trascorsi sei anni e ancora sentiva la mancanza di Jace. Fingere che fossero tornati amici gli avrebbe solo reso più difficile imparare a odiarlo. 

«Zio?» Aegon si riscosse dai suoi pensieri. Jace era ancora lì e non sembrava intenzionato ad andarsene. «Una danza sola. O, insomma, qualunque cosa stiamo facendo laggiù» aggiunse, spostando lo sguardo verso il centro della sala. In effetti, nessuno stava eseguendo delle danze tradizionali, forse solo Rhaenyra e sua madre vi si avvicinavano. Daemon stava parlando con Baela, mentre Luke, Rhaena e Helaena si erano presi per mano a formare un cerchio e stavano semplicemente saltellando in tondo. 

«Tutto meno che danzare, direi» commentò Aegon.

Jace rise. «Allora, che ne dici? Non dovrai preoccuparti di fare la figura del pezzo di legno, là in mezzo.»

Aegon inarcò un sopracciglio. «Scusami? Io sono un ottimo ballerino, a differenza di qualcuno

Jace abbassò lo sguardo, facendo comparire un sorriso divertito sul volto dello zio. «Non sono male nemmeno io» si difese.

«Sicuro? Perché le mie caviglie hanno ancora i lividi lasciati dai tuoi piedi storti.»

«Ero un bambino!» esclamò. «E tu non conducevi per niente bene, quindi è anche colpa tua se sono stato lento a imparare.»

«E ora l’hai fatto?» 

Jace sollevò il mento, sicuro. «Sì.»

Aegon scosse la testa. Si passò una mano tra i capelli e aggiustò il suo farsetto, porgendogli poi la mano destra. «Va bene. Dimostramelo.»

Jace spostò lo sguardo dai suoi occhi alla sua mano. E sorrise. Sorrise come quando Aegon gli permetteva di accarezzare Sunfyre; come quando lo aveva aiutato a intrufolarsi nelle cucine per rubare dei dolcetti; come quando lo aveva guardato prima di dire il suo primo Dracarys

Mise la mano sopra la sua e Aegon la strinse prima che potesse cambiare idea e svanire di nuovo dalla sua vita. Si diressero al centro della stanza, prendendo il posto delle loro madri. Aegon avvertì gli occhi di tutta la sala puntati su di loro e anche Jace dovette accorgersene, perché abbassò lo sguardo e il suo volto si colorò di rosso – o forse quella reazione era causata dal braccio di Aegon che gli stringeva la vita, attirandolo a sé. Quando Jace sollevò di nuovo la testa, i loro volti erano così vicini che anche Aegon arrossì.

«Sappi che se ti sbagli» disse, per evitare che il ragazzo si accorgesse di quanto la sua vicinanza lo emozionasse, «farai una figuraccia che resterà nella storia dei Targaryen per l’eternità.»

Jace sbuffò e poi gli rivolse un sorriso divertito. «Vale anche per te.»

 

Non ricordò per quanto tempo avessero danzato, né se avessero fatto qualcosa di più che ondeggiare l’uno tra le braccia dell’altro. A un certo punto, Jace aveva menzionato uno scherzo che avevano fatto a maestro Mellos da bambini e in un attimo si erano ritrovati a ricordare il passato e raccontarsi i progressi che avevano fatto negli ultimi sei anni – Aegon si limitò a parlare di Sunfyre e apprezzò che Jace non cercasse di indagare oltre. 

Smisero di parlare solo quando le porte della stanza si aprirono, facendo entrare la portantina per riaccompagnare Viserys nelle sue stanze. Si fecero da parte, accennando un inchino come tutti gli altri mentre l’uomo attraversava la stanza. Sembrava ancora più vecchio di prima, eppure non mancò di sorridere a Rhaenyra e stringerle la mano, pregandola di prolungare il suo soggiorno almeno fino al parto. 

«Il quinto fratellino?» disse sottovoce a Jace. 

«Io spero in una bambina, sinceramente. Anche per mia madre, che ne ha sempre desiderata una.»

Aegon annuì. «Sì. Immagino che sarà dura per lei, con tutti voi mas...» Le parole gli morirono in gola quando suo padre, dopo aver salutato Rhaenyra, fece fermare la portantina anche davanti a loro.

«Vi siete… divertiti, ragazzi?» chiese, respirando a fatica.

«Molto, nonno» rispose Jace. «È stata una bellissima serata.»

L’uomo annuì.

«Già. Dovremmo cenare sempre insieme» aggiunse Aegon, certo che suo padre lo avrebbe ignorato come al solito. Jace gli strinse la mano che non gli aveva mai lasciato e sorrise, pensando che il suo commento fosse sincero – e forse, lo era davvero.

«Mi sembra… un’ottima idea» concordò Viserys. «Sapervi… tutti insieme… mi riempie di gioia.»

«Viserys, ora dovresti andare a riposare» gli suggerì Alicent, avvicinandosi a lui.

Il re annuì. Sollevò una mano e Aegon sussultò quando sentì la sua pelle raggrinzita sfiorargli il volto. Se mai suo padre lo aveva degnato di una carezza, lui doveva essere stato troppo piccolo per poterlo ricordare.

«Buonanotte… figliolo.»

Lasciò ricadere il braccio emettendo un lamento e venne scortato fuori, per tornare al caldo e alla pace del suo letto.  

Aegon rimase imbambolato a fissare il punto in cui suo padre era stato fino a un attimo prima. Sentiva ancora il suo tocco sulla pelle e quel figliolo rimbombare nella sua mente. Forse era stata la presenza di Rhaenyra e Jacaerys vicino che aveva permesso a Viserys di vederlo, ma non gli importava: per una volta, lo aveva guardato e non si era vergognato di riconoscerlo come suo figlio. 

«Credo che sia ora che andiamo tutti a riposare» annunciò Otto. «La notte è calata da tempo, ormai.»

Alicent e Rhaenyra si dissero d’accordo, per la gioia di Aegon: sentiva gli occhi bruciare e non intendeva mettersi a piangere come un bambino davanti a tutti loro. 

«Tutto bene?» gli chiese Jace, che doveva aver colto il suo turbamento. Aegon annuì appena. «Ti accompagno nelle tue stanze» disse, prima di uscire, trascinandolo con sé. 

Si fermarono dietro una delle colonne situate nel corridoio che portava agli alloggi reali. Nascosto nell’oscurità, Aegon lasciò che le lacrime scendessero lungo il suo viso.

«Dovevi proprio trascinarmi via così?» esclamò Jace. 

Aegon si passò una mano sul viso. «Scusa.»

Non era mai stato un grande estimatore di quella parola e Jace lo sapeva bene. Si avvicinò a lui, posandogli una mano sulla spalla.

«Aegon, che succede? Non… Mi sembrava che ti stessi divertendo.»

Aegon si lasciò sfuggire una risata tremolante. «Sì. Stasera ho ricordato il significato di quella parola.» Sospirò e posò la fronte contro la sua. «Ho scambiato più parole con mio padre cinque minuti fa che in vent’anni di vita. È stato… strano.» Decise di racchiudere in quel termine il miscuglio di agitazione, sorpresa, gioia e orgoglio che aveva provato nell’essere stato considerato da suo padre, anche se solo per pochi istanti.

Jacaerys rimase in silenzio, ma spostò la mano libera dalla sua spalla ai suoi capelli e prese ad accarezzarli. Aegon sospirò, beandosi di quel tocco gentile. Si chiese per quanto tempo sarebbe durata quella situazione – lui che non era più invisibile, che provava piacere senza il bisogno di forti stimoli esterni, che diceva la cosa giusta e non causava del male a nessuno. Avrebbe voluto che quella notte non finisse mai. 

Udì dei passi lungo il corridoio, probabilmente della loro famiglia. Si allontanò da Jace, asciugandosi il volto con la manica del farsetto. 

«Bene» disse. «Dopo questa scenetta patetica, posso andare a dormire.»

«Non sei stato patetico, Aegon» lo rassicurò Jace, stringendo la mano che non gli aveva mai lasciato. «È normale desiderare le attenzioni del proprio padre.»

Aegon si morse la lingua per impedirsi di fare un commento che avrebbe rovinato la serata appena trascorsa, limitandosi ad annuire.

«Da quanto tempo è in quelle condizioni?»

«Da sempre, più o meno» rispose. «Non ricordo di averlo mai visto davvero sano. Però nell’ultimo anno è peggiorato parecchio, credo fossero mesi che non lasciava la sua stanza. Il vostro arrivo gli ha dato nuova linfa, a quanto pare.»

Jace sorrise. «Speriamo che la sua salute migliori, allora. Così, anche tu potrai parlargli più spesso.»

Aegon annuì. Invidiava il suo ottimismo, ma non riuscì a dirglielo. Aveva espresso già troppe emozioni quella sera.

Gli arruffò i capelli, guadagnandosi uno sbuffo irritato che lo fece divertire. «Vedo che certe cose non sono cambiate, eh? Come la tua incapacità di ballare.»

«Piantala! E sei stato tu quello che mi ha quasi pestato un piede stasera.»

«Se lo dici tu» ribatté Aegon, facendo spallucce. Uscì dal loro nascondiglio, nel corridoio silenzioso illuminato solo dalla luce della luna, e Jace lo seguì. Quando si voltò per guardarlo, scoppiò a ridere vedendo i suoi capelli sparsi in tutte le direzioni. Jace lo fissò in cagnesco e si avvicinò minacciosamente a lui. Era cresciuto dall’ultima volta in cui si erano visti e, anche se era ancora più basso di lui, riusciva a guardarlo negli occhi senza che Aegon dovesse abbassare la testa.

«Sai, qualcosa in realtà è cambiato» disse Jace e la calma nella sua voce gli fece capire che stava meditando vendetta. Infatti, allungò le braccia verso la sua testa e gli scompigliò i capelli a sua volta. Aegon lo spinse via, non abbastanza in fretta però, e la risata soddisfatta di Jace gli fece intuire che la sua capigliatura doveva essere nelle stesse condizioni di quella del nipote.

«Mio principe.»

Criston Cole comparve dal lato opposto del corridoio, facendo spegnere all’istante la risata di Jace. Il cavaliere non era mai piaciuto molto ad Aegon e in quel momento lo odiò ancora di più.

«Tua madre ti sta cercando» disse Criston. «Credo dovreste andare nei vostri alloggi, entrambi.» Spostò lo sguardo su Jace e non provò nemmeno a nascondere il disgusto che provava per lui. 

«Sì, ha ragione» disse Jace, stringendo le labbra. Si voltò verso di lui e abbozzò un sorriso. «Allora, buonanotte, zio.»

Aegon annuì. «Buonanotte, nipote.»

Lo guardò raggiungere la sua stanza e fermarsi davanti alla porta. Jace si voltò e sollevò una mano per salutarlo ancora una volta. Non capitava mai che qualcuno lo cercasse ancora, dopo averlo lasciato. Aegon sorrise e ricambiò il gesto. Aspettò di vederlo entrare prima di voltarsi e dirigersi verso la sua camera. Passò accanto a Ser Criston senza degnarlo di uno sguardo: voleva che l’ultimo volto visto quella sera fosse quello sorridente e scarmigliato di Jace, per portarlo con sé nei suoi sogni e sperare di incontrarlo nuovamente il mattino successivo.

   
 
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