Il bilancio di una vita

Dall’alto del suo piedistallo, la lama riflette senza pietà le linee attorno agli occhi di Arjen.
Il silenzio è di nuovo pesante come un sudario da quando lui e Freki hanno abbattutto l’ultima creatura meccanica nella stanza precedente; alle loro spalle, la via del ritorno verso le stelle e l’aria fresca della notte è totalmente libera.
Non serve essere un Maestro bardo per sapere che nulla di buono è mai venuto da armi magiche sigillate per secoli sul fondo di un sotterraneo. Eppure, quella spada maledetta potrebbe essere l’unico potere in grado di sciogliere l’incantesimo che da tre decenni imprigiona l’anima di Querquen in un cristallo.
Allora perché le sue dita esitano ancora a pochi centimetri dall’elsa?
Alle soglie dei sessant’anni, Arjen Summerwind può definirsi un uomo realizzato. Le sue canzoni risuonano in ogni taverna dai deserti del sud fino ai confini di Samiken. Ha Isabel al suo fianco, e giovani apprendisti che lo adorano e che assicureranno alla compagnia degli Allegri Buffoni un futuro radioso per ancora molto, moltissimo tempo.
Trent’anni di lussi e gloria contro trent’anni di prigionia nel laboratorio di un necromante pazzo. Se voltasse le spalle adesso, non ci sarebbe redenzione.
O forse sì, gli gridano i bagliori rossi provenienti dal cristallo attorno al suo collo. Deve chiudere gli occhi per proteggersi dall’intensità della luce, ed è come tornare ai tempi in cui era giovane e Querquen gli urlava in faccia che ne aveva abbastanza delle sue canzoni e che alla prossima nota gli avrebbe incenerito il liuto con un dardo tracciante.
Nemmeno il suo amico di un tempo desidera che lui paghi il prezzo della sua libertà. Quel testardo farebbe esplodere il cristallo in mille pezzi pur di non metterlo in pericolo.
Se è una giustificazione morale che cerca, Querquen stesso gliela sta donando.
Le dita di Arjen tremano ancora mentre stringono il cuoio consunto dell’elsa.