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Autore: LaceyPotter    28/11/2022    0 recensioni
Quando Smaug si impadronì della Montagna Solitaria, il principe dei nani perse tutto: il suo regno, la sua casa, la sua famiglia. Intenzionato a riconquistare Erebor, Thorin Scudodiquercia componerà una compagnia di tredici nani con l'aiuto di Gandalf il Grigio. Per far sì che la missione abbia successo però, saranno necessari altri due membri nella compagnia: uno scassinatore e un alchimista.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 1 

Beth Lomien 

 

 

Ormai la fine di marzo era vicina. La neve si era sciolta completamente, l’erba era più verde che mai e sui rami degli alberi germogliavano foglie e boccioli. Un tranquillo silenzio avvolgeva il bosco sotto la luce della luna e al centro di esso vi era una radura ben curata e protetta dagli alberi, nascondendola da occhi indesiderati. 

Al centro di questa radura vi era Lomien House, un’enorme villa di legno e mattoni che si ergeva imponente. Per un estraneo sarebbe apparsa tetra e minacciosa; una casa stregata sperduta nel bosco, da cui bisognava starne alla larga. Ma alla luce del sole appariva in maniera completamente diversa: ogni apparenza spettrale svaniva e Lomien House appariva magnifica e accogliente per gli sventurati. La villa era circondata da giardini ben curati, ricolmi di fiori, frutta, radice e starne erbe che impregnavano l’aria di un’enorme varietà di odori e profumi. 

O almeno, così appariva un tempo. Ormai non ci passava più nessuno in quella casa. Quasi tutte le stanze erano state chiuse a chiave, le tende tirate e i mobili erano stai ricoperti da teli bianchi per proteggerli dalla polvere. In quella casa ci vivevano almeno trenta persone, ora ce n’era solo una.  

Il silenzio venne interrotto all’improvviso da qualcuno, che bussava impetuosamente la porta urlando aiuto. Tutto quel baccano svegliò di soprassalto la proprietaria di casa, che quella notte aveva faticato tanto per riaddormentarsi. E proprio quando era riuscita a prendere sonno, Beth Lomien si ridestò troppo bruscamente, maledicendo chiunque fosse alla sua porta. Sprofondò il viso nel suo cuscino, sperando che l’individuo alla porta se ne andasse, ma i colpi alla porta aumentarono sempre di più. 

<< HO CAPITO! ARRIVO! >> urlò Beth.  

Uscì dal letto, si mise la vestaglia e, dopo essere scesa al piano terra, andò ad aprire la porta. Davanti a lei c’era una ragazzina di 12 anni circa di buona salute, ma dagli abiti che indossava si poteva benissimo intuire che fosse una serva. 

<< Siete voi Lizbeth Lomien? >> le chiese. 

<< Sono io >> le rispose assonnata. 

<< Vi prego, dovete aiutarmi! Il mio padrone sta male! >> la scongiurò prendendole le mani. 

<< Come ti chiami? >>. 

<< Dollie >> 

<< D’accordo Dollie >> disse Beth allontanando le mani dalle sue e si sedette su uno dei gradini dell’ingresso. 

<< Cos’è successo al tuo padrone? È malato? Qualcuno ha tentato di avvelenarlo? Sta morendo? >>. 

Beth le parlò con tono pacato, cercando di fare ordine in quella situazione. 

<< No, è gravemente ferito! >> le rispose Dollie. << Era andato a cavalcare ma il suo cavallo si è imbizzarrito all’improvviso ed è caduto in un fosso! Si è rotto una gamba ed è molto grave! Non riesce più a sopportare il dolore >>. 

Dollie iniziò a piangere. 

<< Ho capito >> rispose Beth con tranquillità, << Da quanto tempo ha la gamba rotta? >> le chiese. 

<< Da due giorni >> rispose Dollie con tristezza. 

Beth si svegliò completamente non appena sentì quelle parole e la rabbia prese il posto della stanchezza. 

<< Due giorni? >> ripeté esterrefatta e guardò Dollie con rimprovero. 

<< Ha una gamba rotta da due giorni, sta impazzendo per il dolore e tu vieni a dirmelo solo adesso, disturbandomi nel cuore della notte?! >>. 

Dollie la guardò colpevole senza riuscire a dire una parola. Beth si arrabbiava facilmente quando sentiva cose del genere, soprattutto per questi problemi da dilettanti. 

<< Avevamo chiamato un dottore immediatamente >> tentò di spiegare Dollie, tirando su col naso. << Ma il padrone non è migliorato affatto. Anzi è peggiorato! >>. 

<< E allora perché sei venuta qui? >> le chiese Beth ammorbidendo un po’ il tono della voce. 

<< La padrona si fida del dottore e non voleva che nessun altro lo curassero. Ma il padrone non accenna nessun miglioramento. Voi siete un alchimista e ho insistito per chiamarvi, ma la padrona non ha voluto ascoltarmi. Sono venuta fin qui di nascosto >>. 

Dollie le spiegò tutto questo piangendo, ma subito si asciugò le lacrime con la manica. 

<< Vi prego, aiutatelo Miss Lomien! Prometto che vi pagheremo >> insistette la ragazzina. Certo che l’avrebbe aiutato. Beth non aveva un buon carattere, ma non era una cattiva persona. Lei era un alchimista ed era suo dovere curare la gente. 

<< Va bene Dollie. Aspetta qui, torno subito >>. 

Beth si alzò in piedi e corse in camera sua, giusto il tempo di mettersi un paio di pantaloni di pelle neri e degli stivali. Si legò i capelli, prese la sua borsa e scese di corsa le scale. Si infilò in tutta fretta un cappotto bordeaux, chiuse l’enorme portone rosso con un colpo secco, corse verso le stalle e, dopo aver raggiunto Dollie, montò a cavallo seguendola al galoppo. 

Non ci misero molto a raggiungere la meta: giunsero davanti ad un piccolo maniero di pietra, poco lontano da un piccolo villaggio ai confini di Brea. 

Una guardia fu sospettosa e tentò di sbarrarle la strada, ma si arrese subito dopo che Dollie gli rilevò il suo nome. Così le chiese umilmente scusa e le lasciò passare, portando nelle stalle i cavalli. Le urla del padrone di Dollie si sentivano dall’ingresso, così Beth corse su per le scale, seguita a ruota dalla ragazzina e aprì di colpo la porta della camera da letto. Era ridotto male: la gamba rotta era avvolta da bende insanguinate, appoggiata su un cuscino, mentre il pover'uomo delirava nel sonno, completamente sudato da capo a piedi. 

<< Chi siete voi? >> chiese la moglie a Beth, la quale era seduta sulla sponda del letto, tenendo la mano al marito. Beth non la degnò di uno sguardo e disse a Dollie di di andarle a prendere una bacinella d’acqua, panni e bende pulite. Si tolse il cappotto e lo mise sul fondo del letto con la sua borsa. 

<< Spostati >> disse, spingendo via il medico. 

<< Hei! Ma come vi permettete? >> rispose lui offeso. 

Beth non gli rispose e toccò la fronte del malato con una mano, mentre con l’altra sentì sotto il collo il battito cardiaco. Era bollente e il cuore batteva all’impazzata. 

<< Cosa fate? No, non toccatelo! >> disse stizzita la donna. 

<< Adesso me ne occupo io >> le rispose semplicemente e andò ad aprire tutte le tende e le finestre che c’erano nella stanza. A giudicare dall’odore non venivano aperte da un bel po’ di tempo, perciò era necessario cambiare l’aria. 

<< No! Ma cosa fate?! >> urlò la moglie, << Dobbiamo tenerlo al caldo! >>. 

Beth non la ascoltò, infischiandosene anche del medico. 

<< Per cuocerlo vivo? >> le rispose sarcastica. 

Nel frattempo Dollie era tornata con tutto l’occorrente. 

<< Dollie! >> la sgridò la padrona, << Sei stata tu a chiamarla, non è verò? >>. 

Dollie non disse niente, guardandola spaventata. Tentò di dire qualcosa, ma non ci riusciva, limitandosi a balbettare. 

Fortunatamente Beth la vide in difficoltà e rispose per, << E ha fatto bene. A quanto pare è l’unica in questa casa che abbia un po’ di cervello >>. 

La padrona si girò verso di lei, rimanendo scioccata. 

<< Ma come osate! >> urlò offesa. << Ho assunto il miglior dottore del villaggio per curare mio marito >>. 

<< Mi duole contraddirvi signora, ma siete un’idiota. Avete assunto un incompetente >> le rispose senza troppi peli sulla lingua. Il che era vero. Se fosse stato un bravo medico, non avrebbe mai lasciato il proprio paziente in quel pessimo stato: privo di aria respirabile, sudato e con un pessimo bendaggio alla gamba. La padrona di casa e il medico continuarono ad urlare, intimandole di andarsene. Ma Beth non aveva alcuna intenzione di perdere tempo con quegli imbecilli, così li buttò fuori dalla stanza chiudendo a chiave la porta e gridando << Fuori dai piedi! >>. 

Continuarono ad urlare, prendendo la porta a pugni e a calci, ma lei li ignorò. 

<< Dollie aiutami >>. 

Le due ragazze tolsero in fretta e furia coperte e lenzuola bagnate di sudore, poi toccò la stessa cosa alla camicia da notte dell’uomo. Senza esitare, Beth aprì la sua borsa e tirò fuori una bomboletta di vetro bianco dalla forma cilindrica, poco più grande di un calice. Dopo averla agitata velocemente su e giù, tolse il coperchio dalla bomboletta e spruzzò sopra al malato un’enorme quantità di liquido bianca, che in pochi secondi si tramutò in ghiaccio. 

<< Copriamolo con i panni, presto! >>. 

Dollie prese i panni e la aiutò ad avvolgerglieli attorno al corpo assieme al ghiaccio. L'uomo rimase senza fiato per l’improvviso cambio di temperatura e cominciò a tremare. Beth ripose la bomboletta nella borsa e tirò fuori una boccetta, contenente una strana sostanza blu notte. Sarebbe stato facile scambiarla per dell’inchiostro. Poi, tirando fuori anche una siringa, ne prese pochi milligrammi e lo iniettò al padrone, facendolo cadere in un sonno profondo senza più tremare. Con l’aiuto di Dollie, Beth tolse con estrema abilità le bende sporche a applicò sulla ferita un paio di unguenti. Uno fresco e verdastro per disinfettarla e uno colloso e appiccicoso come miele per rimarginarla e rimettere le ossa al proprio posto in pochi giorni, il tutto applicato con un pennellino. La gamba fu fasciata con delle bende pulite e immobilizzata con delle stecche di legno. 

Per tutta la notte Beth rimase sveglia a vigilare sul suo paziente, seduta su una sedia piuttosto scomoda. Dollie cercò di rimanere sveglia anche lei, la stanchezza ebbe il sopravvento su di lei e si addormentò su una poltrona. Fu solo all’alba che il suo padrone aprì finalmente gli occhi e la ragazzina pianse di gioia vedendolo sveglio. 

Beth le disse di andare a chiamare la moglie e lei corse si sotto immediatamente, lasciandoli soli. 

<< State bene? >> gli chiese Beth. 

<< Mi sento meglio, sì >> le rispose. << Ho tanta sete >> aggiunse dopo un po’ leccandosi le labbra secche. 

<< Ora vi do un po’ d’acqua >>. Beth riempì un bicchiere e lo aiutò a bere. 

<< Grazie >>. 

L'uomo la osservò attentamente, finché non la riconobbe. 

<< Voi siete Lizbeth Lomien, l’Alchimista di Rubino >>. 

Detto ciò abbassò lo sguardo sul petto di Beth, dove scintillava appeso al suo collo un rubino rosso sangue romboidale. Il gioiello del dio Lomien, una delle dieci divinità che crearono gli alchimisti. Gioielli del genere ne esistevano solo altri nove, indossati solo dagli alchimisti più potenti al mondo. 

<< Beth >> lo corresse lei, << Beth Lomien >>.  

Odiava il suo nome per intero, preferiva essere chiamata “Beth”. 

<< È stata mia moglie a chiamarvi? >>. 

<< No, è stata Dollie >>. Beth pronunciò il suo nome con un leggero tono di orgoglio, 

<< È in gamba quella ragazzina >>. 

<< Sì, lo è >>.  

Il governatore le diede ragione. << L’avevo trovata per strada, qualche anno fa... Vestita di stracci, tremante dal freddo e malnutrita, stesa per terra nel fango. L'ho portata qui e lei, sentendosi in debito, ha iniziato a lavorare per me >>. 

Continuò a parlarne quando venne interrotto dalla moglie e Dollie, che entrarono nella stanza con le lacrime agli occhi. Beth, invece, prese le sue cose e uscì dalla stanza per dare un po' di intimità alla coppia. Per tutta la mattina il padrone continuò a ringraziarla, deciso a ripagarla con una grande quantità di monete d’oro e una ricca colazione.  

Prima di andare Beth gli consegnò il secondo unguento. Gli avrebbe rimarginato la ferita in meno di due giorni, raccomandandogli di usarlo una volta la mattina e una volta la sera prima di andare a dormire. Beth, finalmente, uscì dal maniero e Dollie le consegnò il denaro guadagnato, accompagnandola dal suo cavallo. 

<< Grazia di tutto Miss Lomien >>. 

<< Figurati >> le rispose Beth facendole l’occhiolino, << SE dovesse succeder qualcosa, avvertimi >>. 

Salì sul suo cavallo e tornò verso casa, mentre Dollie la salutava con la mano. 

****************** 

Non le ci volle molto, ma con gli occhi impastati di sonno per aver passato la notte in bianco, le sembrò di metterci un’eternità. Almeno il suo stomaco er apieno e aveva guadagnato un bel mucchietto d’oro. Ma non avrebbe avuto tempo per mettersi comoda. Doveva ancora fare un sacco di cose e al solo pensiero le veniva la nausea. Ma lamentarsi non le sarebbe servito a niente e poi tutto ciò era diventata una routine.  

Quando finalmente arrivò, portò il suo cavallo nelle stalle, entrò in casa e salì su per le scale al secondo piano, raggiungendo la sua camera. Dopo aver rimesso la borsa al suo posto, tirò fuori dall’armadio una custodia in pelle piena di coltelli, di varie forme e dimensioni. Alcuni se li legò alla vita con una cintura, altri li mise dentro gli stivali. Tornò velocemente alle stalle e senza perdere tempo, si allenò incessantemente. 

Corse, fece flessioni, addominali, prese a pugni un grosso sacco pieno di sabbia, si arrampicò su una fune ed infine tirò fuori i coltelli, scagliandoli e lanciandoli con forza e precisione contro manichini e bersagli mobili. Finì di allenarsi zuppa di sudore e piena di rabbia. Tutte le volte che arrivava ai manichini le ribolliva il sangue, diventava una furia e, a volte, li squarciava senza fermarsi, immaginando che fosse lui. 

Dopo aver rimesso tutto a posto, ritornò in casa e si fece un bagno ristoratore, restando in silenzio per tutto il tempo a fissare il vuoto. Quando uscì dall’acqua e si asciugò, si mise degli abiti puliti, prese un cesto e si diresse nel suo giardino per curarlo e raccogliere ciò che le serviva. Quella era la parte più complicata da gestire: innanzitutto era enorme quanto un palazzo, pieno di orti, serre, pozzi e fontane. Inoltre, se lo curava una persona sola, era facile che qualcosa sarebbe appassita. Poi c’erano delle piante particolari dotate di capacità magiche, molto difficili da trovare, a cui bisognava prestare molta attenzione: bisognava piantarle in un certo periodo dell’anno, in un certo momento della giornata e prendersene cura per un certo periodo di tempo. Beth ricordava ancora quel giardino verde, ricco e rigoglioso; quando lei era ancora una bambina e viveva felice con tutti i suoi servitori, giardinieri e i suoi genitori. Per tutta la mattina, Beth fertilizzò la terra con il concime, la innaffiò con l’acqua del pozzo e tolse le erbacce. Si mise poi a raccogliere fiori, erbe, radici e spezie, mettendole nel cesto e quando vide il sole a mezzogiorno, portò tutto in cucina. 

Aveva una gran fame! Si preparò delle fette di pane sottili ricoperte di burro e formaggio fuso. Un pasto semplice e veloce, ma da leccarsi le dita. 

Finito di mangiare, prese il cesto e si diresse nel suo laboratorio sotterraneo: non c’erano finestre, perciò per illuminare l’ambiente usava molte candele, bracieri e fiaccole. I lampadari erano sempre sporchi e pieni di cera fusa, l’ambiente era fresco e umido e si sentiva sempre un miscuglio di odori strani. 

Sopra a dei lunghi tavoli di legno c’erano molti piccoli calderoni composti da metalli diversi: rame, stagno, acciaio, ecc... Alcuni erano già pieni, altri erano vuoti e puliti. Alle pareti vi erano degli scaffali, librerie, armadi di legno e teche di vetro. Beth riempì d’acqua un calderone vuoto e lo mise sul fuoco. Mentre aspettava che bollisse, tirò fuori dal cesto tutti gli ingredienti: li tritò, li polverizzò, li spremette, li bollì e li mise sopra agli scaffali dentro a de barattoli. Dentro il calderone mise un ingrediente alla volta, usando mestoli, contagocce e, ogni tanto, alzò e abbassò la fiamma per cambiare temperatura. Poi andò a controllare gli altri calderoni già pieni, per assicurarsi che tutto procedesse bene. 

Andò avanti così per quasi tre ore, finché non tirò fuori da uno degli armadi dei cofanetti di legno pieno di fiale e contenitori per unguenti. Li riempì tutti quanti, finché i calderoni non si svuotarono e li inserì con cura nei cofanetti. Le ci volle tutto il pomeriggio, ma riuscì a finire. Con un montavivande trasportò tutti i cofanetti al piano terra e dopo averli inseriti dentro a una grande cassa, si diresse a Brea per poterli vendere, trasportandoli su un carro legato al suo cavallo. 

La maggior parte erano filtri, usati unicamente per scopi medicinali: rimedi per il raffreddore, il mal di gola, la febbre... Fino ad arrivare a dei filtri che curassero malattie gravi o tumori. E unguenti per rimarginare le ferite. 

Riuscì a venderli tutti, soprattutto nell’ospedale, mentre nella mensa dei poveri vendette molti infusi. Gli infusi erano le pozioni più leggere e venivano usate per scopi nutritivi: potevano sfamare i malnutriti o, per i più vanitosi, facevano dimagrire o far scomparire i brufoli. 

Per i più ricchi aveva delle piccole dosi di pozioni particolari: potevano far diventare le donne bruttine, bellissime e seducenti, far acquisire delle capacità fisiche impressionanti... Ma solo per un tempo limitato. Inoltre, Beth raccomandava sempre di assumerne la giusta quantità, altrimenti sarebbero apparsi dei gravi effetti collaterali. Una volta aveva dato una pozione di bellezza ad una giovane donna ricca, viziata e vanitosa... e incredibilmente stupida! E lei anziché assumere la dose consigliata, la bevve tutta. Per qualche giorno divenne la donna più bella del suo villaggio, ma poco dopo divenne bruttissima e una marea di brufoli le erano comparsi sul volto. Ovviamente diede la colpa a Beth e le ordinò di farla tornare come prima, ma lei non gliela diede vinta: innanzitutto la rimproverò per non aver preso la giusta dose, dandole della stupida. Secondo, se voleva il rimedio per la sua faccia, avrebbe dovuto prima porgerle le sue scuse. Lei si rifiutò all’inizio, ma non riuscì a resistere neanche un giorno con quel brutto viso, così tornò da Beth chiedendole scusa in ginocchio e in una settimana ritorno normale.  

Odiava quel tipo di persone! Talmente superficiali ed immature che, quando non la ascoltavano, doveva ricorrere a quei ricatti morali che si usavano con i bambini. 

Fortunatamente non tutti erano così stupidi. Quel pomeriggio tutti la ascoltarono attentamente e Beth guadagnò un sacco di soldi! Nella sua cassa non rimase neanche una fiala e riuscì a tornare a casa prima del solito. 

Il sole all’orizzonte stava tramontando, ma lei non ebbe fretta. Continuò a pensare a tutto quell’oro che aveva guadagnato. Con quello, più l’oro che aveva ricevuto quella mattina, sarebbe riuscita a pagare la propria casa almeno per un mese. 

Gli alchimisti in generale erano immensamente ricchi, soprattutto per quello che guadagnavano, facendo viaggi molto lunghi ma molto redditizi. 

Dopo la morte dei suoi genitori però, Beth non viaggiò mai e il denaro iniziò a scarseggiare: dovette licenziare tutta la servitù e si accontentò di guadagnare soldi a Brea, vendendo le proprie pozioni insieme a tutti i costosi e prestigiosi abiti si sua madre.  

Quando tornò a casa e riportò il suo cavallo nella stalla, si tolse gli stivali rimanendo a piedi scalzi e preparò per cena del manzo stufato.  

Fu in quel momento che sentì bussare alla porta. All'inizio ne fu perplessa, poi sbuffò contrariata. Non aveva ancora cenato e già venivano ad infastidirla.  

Si recò nervosa alla porta d’ingresso e quando l’aprì, rimase a bocca aperta. 

Difronte a lei c’era un uomo anziano molto alto, che la fissava sorridente. Aveva una lunga barba ispida con indosso una lunga e logora tunica grigia. Sulla testa portava un cappello a punta e tra le mani reggeva un bastone. 

<< Buona sera, Miss Lomien >> le rispose. 

Tutto quello che Beth riuscì a dire fu, << Gandalf? >>. 

   
 
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