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Autore: Jeremymarsh    04/12/2022    9 recensioni
A venticinque anni, Miroku sa di essere un uomo molto fortunato: è fiero di ciò che concluso, ha persone accanto che lo amano e il Black Hole, il locale lasciatogli da Mushin che rappresenta una casa più dell’appartamento condiviso con lo zio e la sorellina a seguito della morte dei genitori. Aprire la sua porta agli altri, allora, rappresenta per lui il regalo più grande che potrebbe mai fare – ma anche il più intimo.
Eppure, per nessun altro mai è diventato un vero e proprio rifugio, non come lo ha sempre inteso Miroku. Così, quando la vita gli fa incontrare qualcuno che è stato meno fortunato di lui, non ha dubbi su ciò che deve fare.
[Questa storia partecipa ai 72 prompt in attesa del Natale indetti da Mari e Sofifi sul forum Ferisce la penna.]
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Miroku
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti ❤.  

Con l’arrivo di dicembre mi è parso il caso di cominciare a sbizzarci con le iniziative natalizie o – in questo caso – con i calendari dell’avvento. Questa one-shot è stata scritta per una casellina in particolare, scelta sul forum “Ferisce la penna”, che aveva tra i vari prompt la seguente citazione:

“Dicono che tutti nascano eroi. Ma se glielo lasci fare, la vita ti spingerà oltre la linea finché diventerai il cattivo.” 

Mi ha ricordato terribilmente una scena dell’anime tra Miroku e Inuyasha e perché non approfittarne, allora? I protagonisti sono sempre loro e la loro amicizia, ma in chiave moderna.  

Spero vi piaccia e di sentirvi nei commenti.  

Un abbraccio e buona domenica ❤. 

 

 

 





 

The Black Hole 

 

 

A venticinque anni, Miroku era certo di essere molto fortunato. Infatti, nonostante l’infanzia gli avesse riservato delle sorprese poco gradite, era sempre riuscito a rialzarsi, grazie anche all’affetto e al supporto di quei pochi che gli erano rimasti accanto.  

Aveva cominciato a lavorare nel bar dello zio Mushin, proprio sotto l’appartamento che condividevano, all’inizio delle scuole superiori. Ricordava benissimo il giorno in cui, di ritorno dalle lezioni, l’uomo gli aveva intimato di alzarsi dallo sgabello e cominciare a guadagnarsi tutte quelle bevande che si scolava mentre faceva i compiti. Probabilmente un altro ragazzo al posto suo avrebbe sbuffato, lamentandosi, ma lui era scoppiato a ridere e senza perdere tempo gli aveva strappato dalle mani il canovaccio per asciugare tutti i bicchieri bagnati. Da allora, il bar era diventato ancora di più la sua normalità: il pomeriggio aiutava i dipendenti nell’organizzazione e la pulizia del locale e quando si facevano le 21 – l'orario oltre cui non venivano più accettati minorenni – Mushin lo rispediva sopra con lo zaino pieno di compiti da svolgere e una cena racimolata nelle cucine. A diciotto anni, era stato assunto ufficialmente e pian piano che dimostrava il proprio impegno e la propria responsabilità gli venivano passati incarichi sempre più importanti, fino ad arrivare a quel momento. Dopo un quarto di secolo, Miroku era l’unico proprietario rimasto del Black Hole visto che Mushin gliel’aveva lasciato quando aveva deciso di andare in pensione e cambiare scenario.  

A venticinque anni, Miroku sapeva di essere molto fortunato: non tutti, d’altronde, trovavano un lavoro che li appagava e li rendeva indipendenti così presto. Certo, aveva i suoi lati negativi come gli orari sballati o l’aver spesso a che fare con gente poco raccomandabile che cercava solo la rissa, ma erano cose che era disposto a sopportare pur di avere quella sua fetta di paradiso.  

Miroku amava che il suo impiego gli permettesse di conoscere gente tanto diversa e interessante: non c’era mai un attimo di noia e sempre qualche chiacchiera da scambiare. Molti dei suoi clienti più affezionati tornavano perché trovavano che il proprietario del Black Hole avesse un buon orecchio e, all’occasione, sempre una parola di conforto, altri perché aumentava loro l’autostima quando era in vena di flirtare – e quando non era così? – e altri ancora perché avevano riconosciuto in lui il pettegolo numero uno fra tutti. Sì, perché a chiederglielo, Miroku avrebbe risposto che l’aspetto migliore di quel lavoro era sapere sempre tutto di tutti: era difficile avere a che fare con così tante persone, conoscerle, senza essere invischiato nella rete di informazioni. E di tutto ciò Miroku andava dannatamente fiero; d’altronde, riuscire a far sentire i propri clienti a casa era quello che aveva sempre desiderato.  

Ma quando quel freddo pomeriggio di inizio dicembre vide entrare qualcuno ben prima dell’orario di apertura capì subito che c’erano in ballo delle novità.   

La porta del Black Hole era sempre aperta per qualsiasi evenienza e a lui non dispiaceva essere a disposizione in caso di bisogno, per questo non reagì male a quell’anticipo. Tuttavia, un istinto gli diceva anche che quella volta le cose erano un po’ diverse e non sarebbero bastate delle parole a risolverle. “Inuyasha, amico mio, cosa ti porto oggi?” chiese accogliendo il mezzo demone che aveva cominciato a frequentare da qualche mese il locale – e Miroku era così bravo in quel che faceva che non aveva nemmeno impiegato molto nell’imparare ad interpretare i grugniti del giovane e, per questo, gli portò subito il primo ordine. Ma mentre fuori manteneva quel contegno gioviale per il quale era conosciuto, dentro di sé si chiedeva il perché dei cambiamenti che aveva appena visto in Inuyasha. Da buon osservatore, infatti, aveva subito notato il corpo più teso, l’espressione contrariata e il modo in cui stringeva i pugni come se stesse cercando di trattenersi. Certo, Inuyasha di suo era una persona molto schiva e burbera – sicuramente a causa della vita non proprio semplice che continuava ad avere –, ma non l’aveva mai visto in quello stato. Sapeva, però, che non avrebbe potuto investigare alla leggera ma anzi avrebbe dovuto aspettare che fosse lui a rivelargli qualcosa. Ciò, tuttavia, non voleva dire che sarebbe stato facile starsene buono. Rassegnato – e in cuor suo sperando che non fosse successo nulla di grave – gli porse il boccale di birra e poi si appoggiò con i gomiti sul bancone, osservandolo con il solito sorriso birichino per non fargli capire il suo vero stato d’animo.  

“Beh, non mi dici nulla? Nemmeno un saluto? Ohibò, speravo di cavarmela come padrone di casa, ma se non merito nemmeno un Ciao a quanto pare mi sbagliavo.” 

“Keh,” sbuffò Inuyasha dopo aver preso un sorso ed essersi pulito i baffi di birra. “Potresti fare di peggio.” 

“Come fai i complimenti tu, Inuyasha, nessuno.” Si portò una mano al petto e con l’altra si asciugò una finta lacrima sulla guancia. “Ne sono onorato.” 

Il mezzo demone si guardò intorno. “Solo oggi?” chiese, cercando di mascherare il tono più brusco del solito ma con scarsi risultati.  

Miroku fece spallucce, riprendendo a lavare le stoviglie davanti a sé. “È ancora presto, o sei entrato qui senza renderti conto dell’orario?” Con la coda dell’occhio studiò poi la sua reazione e, anche se Inuyasha la nascose subito, riconobbe subito l’espressione allarmata.  

“Nah, oggi avevo solo un po’ di tempo libero.” Poi prese un altro lungo sorso di birra per evitare di dire altro.  

Miroku annuì soltanto, consapevole che per oggi non avrebbe imparato nulla. “Beh, se ne hai da perdere, allora, perché non usi tutti i muscoli che metti in mostra per spostare quegli scatoloni? Dovevano arrivarmi domani, ma si sono anticipati e c’è mia sorella di turno. La conosci; sai che non sarebbe in grado di maneggiarli,” concluse spostando lo sguardo sulle sue braccia muscolose costrette dalla T-shirt che, anche a dicembre, Inuyasha si ostinava a indossare.  

“Keh,” ripeté annuendo. “Se lasciassi che fosse Kagome ad occuparsene se ne starebbero lì fino a Natale del prossimo anno.” 

 

 

***  

 

 

I giorni successivi andarono esattamente come quel pomeriggio: Inuyasha arrivava presto e sceglieva il solito sgabello per starsene lì a sbollire la propria rabbia mentre Miroku tentava di cavargli qualche parola in più senza però fargli capire il proprio intento. Non era facile, nonostante il barista avesse imparato molto su quello che ormai considerava più un amico che cliente, e ormai il suo investigare non era nemmeno più dovuto alla sua natura da pettegolo quanto a un genuino interesse verso il mezzo demone.  

Il quinto giorno, però, si scocciò e decise di andare dritto al sodo: voleva sapere cosa stesse accadendo nella vita di Inuyasha e, laddove possibile, offrirgli una mano. Era anche consapevole che non l’avrebbe accettata con facilità – probabilmente le poche volte che lo aveva fatto in precedenza, con altre persone, non era andata così tanto bene –, ma ciò non significava che avrebbe mollato la spugna. Tuttavia, non calcolò bene le sue mosse né comprese che dopo cinque giorni a cercare di sbollire e sopprimere la rabbia, Inuyasha non cercava altro che un capro espiatorio e lo trovò proprio in Miroku. Così, quando arrivò il momento e Miroku fece scivolare davanti a lui il solito boccale di birra, bastarono poche parole a farlo scattare. 

Inuyasha non aveva nemmeno ingoiato il primo sorso quando il barista passò all’attacco: “Allora, amico, è quasi una settimana che ho l’onore di avere la tua compagnia a quest’ora, ma fino a quando durerà la pacchia? Hai cambiato orari a lavoro?” Pensava di esserci andato giù leggero, senza far trasparire alcun tipo di accusa o sembrare impiccione, ma capì di aver sbagliato quando vide il mezzo demone irrigidirsi tutto d’un colpo.  

Quest’ultimo deglutì e poi, con tutta la calma possibile, gli lanciò un’occhiata che avrebbe potuto ucciderlo mentre il braccio posava così violentemente il boccale sul bancone da mandarlo in frantumi. Miroku indietreggiò di istinto, non perché avesse paura di lui, ma per evitare che le schegge di vetro lo colpissero, ma Inuyasha questo non lo capì, troppo preso dalla sua furia. “Beh, avrei dovuto immaginarlo che sarebbe finita così,” sibilò. “Perché avresti dovuto sopportare oltre la compagnia di uno sporco mezzo demone? Ma non ti preoccupare, non disturberò oltre.” E prima che l'altro potesse aprire bocca, gli lanciò delle banconote e si diresse a tutta velocità verso l’uscita.  

Miroku gli corse dietro, ma pur essendo molto veloce non era alla pari di un hanyou e quindi, quando raggiunse l’entrata, riuscì a stento a notare la figura in rosso che era Inuyasha saltare da un palazzo all’altro, ansioso di lasciarsi il bar che era stato il suo rifugio per gli ultimi mesi alle spalle. Il proprietario, mortificato, poté solo osservarlo impotente, chiedendosi in quale momento avesse suggerito che la sua presenza fosse sgradita.  

 

 

***  

 

 

“Non ho visto Inuyasha ieri sera,” esordì Kagome la mattina dopo tra un boccone e l’altro. Sebbene non vivesse più lì da un po’, aiutando il fratello con il locale si trovava spesso a dormire nell’appartamento per comodità.  

Miroku alzò lo sguardo dal suo caffè e le sorrise sornione. “Perché, sorellina, sei interessata?” 

Lei arrossì in risposta e sputacchiò un po’ del suo muffin, colpita da un attacco di tosse. “N-no, insomma, voglio dire... Mi è sembrato solo strano visto che da quando ha cominciato a frequentare il bar non è mai mancato a parte un paio di volte.” 

“Non ti preoccupare, non gli rivelerò che hai una cotta per lui,” la tranquillizzò agitando una mano e godendosi il suo imbarazzo. “Piuttosto,” continuò serio, “è colpa mia se ieri non c’era o, meglio, se è andato via prima.”  

“Perché? Pensavo foste amici ormai.” 

“E lo siamo ancora – o almeno spero. Il fatto è che nell’ultima settimana è sempre arrivato prima dell’orario di apertura e mi sono preoccupato, ma lui non è il tipo da confidarsi davvero, lo sai, no?” Kagome annuì, incitandolo ad andare avanti. “Allora ieri ho deciso che avrei osato un po’ di più e gli ho chiesto come mai avesse cambiato orari. Mi conosci, sai che-” 

“Che sei in grado di farti gli affaracci degli altri nel modo più subdolo possibile? Sì, lo so,” rise. “Ma con Inuyasha non ha funzionato e si è arrabbiato perché ti sei intromesso nella sua vita personale?”  

“No,” scosse la testa. “Ha dato di matto, accusandomi di volerlo cacciare e prima che potessi aprire bocca era già sparito. Non credo di essermi sentito mai così mortificato.” 

“Nemmeno quando la mia amica Sango ti ha dato un due di picche davanti a tutto il locale?” 

Fu il turno di Miroku di arrossire. “Quella è un’altra storia, e lo so che segretamente Sango ricambia il mio amore, ma no. Avresti dovuto vedere come mi ha guardato.” 

Kagome annuì ancora, prese un sorso di tè e poi si schiarì la gola. “Probabilmente si è sentito minacciato e ha reagito nel modo che conosce meglio: se ne è andato di sua spontanea volontà prima che tu avessi la possibilità di cacciarlo.” 

“Ma io non-ma certo! Come ho fatto a non pensarci subito,” esclamò battendo un pugno sul palmo aperto.  

“È molto triste, in realtà. Mi chiedo cosa lo ha reso la persona insicura e schiva che è,” affermò la minore, pensierosa. 

“Sì, sì.” Miroku cominciò improvvisamente a sparecchiare la tavola, strappando anche dalle mani della sorella la tazza ancora fumante e poi le fece segno di alzarsi. “Dopo penseremo a come fargli capire che ti piace e che può fidarsi di te, ma prima dobbiamo scoprire cosa gli è successo.” 

“Se mi dessi il tempo di finire,” ribatté Kagome riprendendosi la bevanda e andando a sedersi sul divano, “avresti qualche idea in più da dove partire.” 

Miroku alzò gli occhi al cielo, esasperato dalle sue azioni. “Sentiamo. Giuro che se è qualche idea su come flirtare senza-” 

“Miroku! Ma è possibile mai che per te tutto ruoti attorno a quello? Ti ho già detto che non è come pensi!” esclamò, tutta rossa.  

“Certo, certo,” la assecondò andando a sedersi accanto a lei e incrociando le braccia dietro il capo. “Allora?” 

“Allora probabilmente, visto che finora si era un po’ aperto con te, qualsiasi cosa è accaduta è bastata a farlo sentire talmente insicuro da dover cercare un rifugio per far diminuire un po’ quella sensazione.” 

“E tu pensi che il Black Hole lo sia?” 

“Ne sono sicura: il suo comportamento degli ultimi mesi ne è la prova.” 

Miroku le stampò un bacio sulla guancia e poi si alzò di scatto. “Muah! Sorellina, non so come farei senza di te!” Poi si affrettò verso l’uscita, afferrò giacca e chiavi e uscì. Prima di chiudere la porta urlo dietro di sé: “Se tutto fila liscio giuro che sarò io stesso ad aiutarti a confessargli i tuoi sentimenti!” 

 

 

*** 

 

 

Un paio di giorni dopo, Miroku aveva scoperto con disappunto che il datore di lavoro di Inuyasha lo aveva licenziato senza preavviso, avvalendo come scusa la sua irascibilità. E sebbene il barista avesse già imparato che, talvolta, il mezzo demone reagiva in modo sproporzionato, stentava a credere che avrebbe permesso a quel tratto della sua personalità di costargli un lavoro che aveva conquistato con fatica. Quindi, si era messo d’impegno e aveva approfondito le sue indagini: il vero motivo riguardava una nuova collega che uno dei capi aveva tentato di molestare e Inuyasha, trovatosi sulla scena, era intervenuto. Purtroppo, però, non solo l’uomo l’aveva denunciato per violenza ingiustificata, ma la donna che aveva aiutato si era rifiutata di testimoniare a suo favore a causa dei pregiudizi nei confronti dei mezzo demoni. In pratica, era già tanto se non era finito direttamente in una cella fredda, considerato il mondo in cui vivevano – molto contrario alle unioni miste.  

Non fu affatto contento di scoprire tutto ciò né di sapere che l’amico lo aveva creduto simile a coloro che gli avevano fatto un tale torto, ma allo stesso tempo non lo biasimava. Non conosceva il suo passato ma sapeva che, attualmente, Inuyasha era solo al mondo, tanto testardo e fiero da rifiutare anche la mano che gli veniva porta – o forse, rifletté Miroku, non era grado di riconoscere un sorriso sincero dietro le mille maschere che le persone indossavano. Tuttavia, si disse ancora mentre iniziava a lavorare, lui non era nemmeno il tipo da rinunciare così presto e sapeva che c’era ancora una possibilità per Inuyasha di aprire quella corazza dietro cui si era rifugiato senza essere, però, attaccato. In pratica, era più che determinato ad essergli d’aiuto, che lui lo volesse o meno.  

E proprio come aveva previsto, una settimana dopo, l’hanyou tornò al Black Hole ben prima dell’orario di apertura e si sedette al solito sgabello. Incrociò lo sguardo del barista che si era fermato per fissarlo e gliene rimandò uno di sfida; Miroku arcuò un sopracciglio e Inuyasha si rabbuiò. “Il solito,” disse infine distogliendo lo sguardo e perdendo del tutto contro Miroku che, in risposta, rise e afferrò il boccale più grande che aveva.  

“Offre la casa,” proferì quando glielo fece scivolare davanti pieno fino all’orlo. “Dopo tutto, presumo che tu sia un po’ a corto, no? A meno che tu non mi abbia tradito. In quel caso, sappi che ne sarei molto deluso.” E anche se avrebbe voluto fingere offesa, il suo sorrisetto era difficile da nascondere.  

Inuyasha alzò gli occhi al cielo prima di bere. “Hai perso un po’ del tuo smalto per caso? Di solito sei più bravo a farti gli affaracci degli altri; questa era prevedibile.” 

A quel punto, Miroku non seppe se essere costernato o sorpreso da quella risposta, nel dubbio scoppiò a ridere di cuore. “Ti sei appena meritato un secondo boccale, amico mio.” 

Il mezzo demone ghignò. “Sarà facile ubriacarsi stasera, allora.” 

“Chi ha detto che te l’avrei offerto stasera?” 

E con quel piccolo scambio di battute tutto fu lasciato alle spalle e tornò alla normalità, anche se era ancora troppo presto per cantare vittoria.  

Pur essendo contento di riaverlo al Black Hole e anche se apparentemente tutto era proseguito liscio dopo l’incidente, Miroku aveva avuto l’impressione che qualcosa non tornasse e non dovette aspettare troppo prima di avere la sua risposta. 

Una sera, mentre chiudeva il locale, sentì alcune voci alzarsi nei vicoli adiacenti, a quell’ora sempre pericolosi a causa di alcuni soggetti poco raccomandabili che bazzicavano nei dintorni. All’inizio, non gli diede poi molta importanza – non gliela dava mai –, ma si bloccò nel riconoscere tra di esse una in particolare: quella di Inuyasha.  

Facendo ben attenzione a non farsi sentire né vedere, si avvicinò quel che bastava per ascoltare i loro discorsi e capì subito che quello che stavano organizzando non avrebbe portato nulla di nuovo né avrebbe giovato alla situazione precaria di Inuyasha.  

Ancora, non lo biasimava per come si stava comportando – pur provando a mettersi nei suoi panni, sapeva che alcune cose non le avrebbe mai comprese – tuttavia, il fatto che fosse disposto a relazionarsi con quei tipi piuttosto che accettare il suo aiuto lo faceva incazzare di brutto. Strinse i pugni e lanciandosi un’ultima occhiata dietro, decise che non era il momento di intervenire. Avrebbe trovato un altro modo per far capire a Inuyasha che non era quella la strada giusta.  

 

 

***  

 

 

Sapeva che non avrebbe potuto dirgli che aveva origliato né poteva andare dritto al punto e quello lasciava quindi la possibilità che Inuyasha non comprendesse ciò che voleva dirgli – così come finora non aveva compreso che Miroku lo considerava davvero un amico –, ma era tutto ciò che poteva permettersi e ci avrebbe provato.  

Così, il pomeriggio dopo, appena lo vide arrivare, si stampò un sorriso in faccia e lasciò perdere la rabbia che covava. Parlarono per un po’ del più e del meno, mentre Miroku preparava il bar per l’apertura e Inuyasha beveva e l’osservava scocciato, e quando lo vide infine rilassarsi decise di cominciare.  

“Dì, un po’, Inuyasha...” 

“Uhm? È tornato il Miroku ficcanaso? Avrei dovuto saperlo che era troppo bello per essere vero.” 

Miroku roteò gli occhi. “Suvvia. Lo so che in fondo mi vuoi bene per quel che sono.” 

“Se lo dici tu.” Il mezzo demone fece spallucce.  

“Insomma, volevo sapere cosa fai nel tuo tempo libero, se oltre al trovare il Black Hole un luogo meraviglioso abbiamo qualcos’altro in comune. Ti piace guardare la tv? Qual è il tuo libro preferito? Qualche serie che ti ha colpito?” 

Inuyasha si bloccò con il boccale a mezz’aria e lo fissò con un sopracciglio arcuato, poi gli lanciò un’occhiataccia che sembrava voler dire ‘ti sembro il tipo che si interessa di questa roba inutile?’ 

Miroku scoppiò a ridere e gli diede ragione. “Non ci vedo nulla di male, potresti imparare qualcosa di utile.” 

“Imparo già abbastanza cercando di sopravvivere alla merda che c’è in giro. Non ho bisogno di qualche morale del cazzo recitata da attorini che non sanno nemmeno il significato di ciò che dicono,” sibilò in risposta il mezzo demone. 

Il barista deglutì e decise di cambiare strada; si appoggiò al bancone e lo guardò. “Ho capito. Rispondi a questa domanda, però...” Si prese alcuni secondi perché sapeva che, facendola, avrebbe potuto toccare un tasto dolente. “Da bambino volevi essere un eroe o il cattivo?” Non si stupì quando ricevette un’altra occhiataccia né del silenzio che seguì. Attese così tanto che alla fine si disse che anche quella tattica era fallita; fece per raddrizzarsi e andare nel retro a recuperare un po’ di cose quando Inuyasha parlò.  

“Quando ero piccolo e ingenuo, ho pensato di avere davvero la possibilità di interpretare l’eroe.” La frangia gli copriva del tutto gli occhi e Miroku non poté decifrare la sua espressione, ma la voce era a malapena un sussurro e questo gli confermò che non era un argomento di cui amava discutere. Si stupì anche che si fosse aperto, infine. “Ma mi è stato insegnato presto che non avevo speranze.” Rise a quel punto, ma era una risata fredda che fece gelare il sangue a Miroku. “Insomma, guardami: ho davvero l’aspetto di un eroe?” Contrasse la mano davanti a sé e le luci del locale si infransero per un secondo sui suoi artigli affilati facendoli brillare. “Se volessi, potrei ucciderti in un attimo con questi e tu non potresti opporti.”  

Sapendo che non avrebbe gradito frasi di circostanza o dei vuoti ‘mi spiace’, Miroku passò subito al contrattacco. “Ehi, dammi un po’ di credito: sarò un debole umano, ma non per questo così incapace. E poi dove l’hai letta questa cosa che gli eroi sono tanto noiosi?”  

Inuyasha sbuffò. “Vedila come ti pare. Io ti ho risposto.” 

“Non vuoi sapere cosa immaginavo di diventare da piccolo io?” Ottenne solo un’alzata di spalle. “Non ho avuto molto tempo per pensare agli eroi e ai cattivi, in realtà. Tuttavia, ho capito una cosa crescendo.” Le orecchie di Inuyasha si contrassero e seppe di avere la sua attenzione. “Forse nasciamo tutti eroi a questo mondo, ma è il modo in cui ci comportiamo a determinare cosa diventeremo, nessun altro ha questo potere. E proprio per questo, proprio perché alcuni non lo tollerano, tentano di spingerci a compiere il passo che ci renderà cattivi a tutti gli effetti.” Rimase in silenzio per alcuni secondi, poi aprì il rubinetto e pulì un bicchiere già splendente, come se nulla fosse.  

Inuyasha lo fissò, come se stesse ponderando le sue parole, infine si alzò sbuffando e si diresse verso l’uscita. “Certo che quando ti ci metti spari proprio un mucchio di cazzate.” 

Miroku sospirò e l’osservò andar via. Era sicuro di aver fatto centro e anche se l’amico aveva tentato di nascondere la sua reazione, non gliel’aveva data a bere.  

 

 

***  


 

 

Quella sera, per quanto tentasse, Inuyasha non riuscì a prendere sonno.  

Si era reso conto, sulla via del ritorno, di non ricordare nemmeno l’ultima volta che qualcuno si era preoccupato o affaccendato tanto per lui – anche velatamente. Vedeva ciò che Miroku stava tentando di fare e sebbene da un lato la cosa gli desse fastidio, dall’altro avrebbe voluto abbandonarsi a quella sensazione che continuava a nascondere in un angolo del suo cuore. Doveva essere bello avere qualcuno che si prendeva cura di te, che ci teneva tanto fino a quel punto, ma aveva troppa paura per lasciarsi davvero andare. Non voleva che la sua sfortuna o anche solo la sua reputazione procurassero guai a Miroku e alla sorella: aveva frequentato abbastanza il quartiere da capire che entrambi erano ben voluti e un punto di riferimento per tutti; incrociare ancora di più le loro strade non avrebbe giovato a nessuno e alla fine si sarebbe ritrovato comunque da solo se non per i sensi di colpa.  

Allora perché continuava a tornare al Black Hole?  

Si rigirò nel letto, appoggiò la testa sul braccio e osservò le luci esterne attraverso la minuscola finestra di camera sua. Dopo l’incidente aveva provato a stare alla larga dal bar, convinto di non poter fare ritorno, ma non aveva fatto i conti con la sua debolezza: era già troppo invischiato nelle loro vite per potersi ritirare senza conseguenze e, dopo tutto, lo faceva sentire bene sapere che c’era un posto dove potersi rifugiare e qualcuno ad aspettarlo. Era dannatamente bello e Inuyasha si era fatto incastrare, dimenticando le regole che seguiva da tutta una vita proprio per evitare scenari simili, per non farsi tentare.  

Ora, si diceva, quando tutto gli sarebbe stato strappato dalle mani sarebbe stato ancora peggio, perché aveva conosciuto qualcosa di diverso dalla solitudine.  

Si rigirò ancora e alzò la testa verso il soffitto, sospirando pesantemente. Forse Miroku non aveva tutti i torti, forse accettare la proposta di Renkotsu non era la migliore delle idee. Dopo tutto, conosceva i tipi come lui: se qualcosa fosse andato storto, lui se la sarebbe filata a gambe levate lasciando lui nei guai e questa volta non avrebbe potuto evitare la galera. Scosse la testa, non sapendo davvero come comportarsi, e forse aveva anche scelto la notte sbagliata per restare troppo sveglio. La mattina dopo avrebbe avuto l’ennesimo colloquio e se sperava che andasse a buon fine doveva per lo meno dormire un paio di ore. Così nascose la testa nel cuscino e costrinse il proprio cervello a spegnersi.  

Quando si svegliò, gli sembrò di essersi addormentato solo pochi minuti prima e subito capì che né il buonumore né il bel tempo sarebbero stati dalla sua parte, ciò nonostante, cerco di ignorare quei segni perché aveva davvero bisogno di quel lavoro e non poteva permettersi di essere negativo o dare un’impressione sbagliata – soprattutto quando bastava così poco per un mezzo demone come lui.  

Tuttavia, quando raggiunse il luogo dell’appuntamento, non fu fatto passare oltre la hall principale. Alla segretaria, infatti, bastarono due secondi per rendersi conto di ciò che era Inuyasha e, chiamato un suo superiore, le fu ordinato di non farlo passare per nessuna ragione: a quanto pare, coloro che avevano organizzato il colloquio non avevano capito che Inuyasha non fosse umano – o, almeno, non tutto umano.  

Di fronte a quel palese rifiuto, e con i nervi già instabili a causa degli avvenimenti delle ultime settimane, Inuyasha perse le staffe. Tutto ciò era la dimostrazione definitiva che per quelli come lui non c’era speranza e che cercare di essere buoni non portava da nessuna parte. A breve sarebbe stato cacciato da quel tugurio che chiamava casa, non avrebbe più avuto da mangiare né dove dormire; non aveva più nulla da perdere.  

Uscì di fretta dall’edificio, trattenendosi per non dare di matto e causare una scena lì, e si diresse senza indugio nei pressi del Black Hole, sapendo – da ciò che Renkotsu gli aveva detto in precedenza – che avrebbe potuto trovarlo da quelle parti. Dimenticò ogni riflessione fatta la sera prima e si disse che, a quel punto, seppure le cose fossero andate nel peggiore dei modi, se fosse stato arrestato la situazione non sarebbe poi peggiorata così tanto: in quel caso, almeno, avrebbe avuto un tetto sopra la testa.  

Ma le sorprese per quel giorno non erano finite e giunto all’angolo del locale si trovò di fronte a una scena raccapricciante: Renkotsu era lì, nella solita piazzetta, intento a picchiare una bambina per dei pochi spicci. Inuyasha riconobbe gli stracci di lei e la riconobbe come l’orfana che continuava a fuggire da tutti per paura di finire in un orfanotrofio; era una persona come lui, sola al mondo, ma non aveva mai dato fastidio a nessuno, e vederla ora in quello stato, mentre un viscido come Renktosu se ne approfittava, gli mandò ancora di più il sangue alla testa.  

Un secondo dopo era intervenuto: lo aveva allontanato dalla bambina con un pugno e poi, non contento, aveva cominciato a pestarlo, mentre attorno a lui si radunava pian piano la folla e qualcuno, a sua insaputa, chiamava le autorità.  

Era uno scenario che, a un occhio esterno – uno ignorante e bigotto – avrebbe indicato solo e soltanto Inuyasha come il colpevole, il mostro, il trasgressore. Ma lui non se ne era accorto, troppo preso dalla sua vendetta: in quel momento, Renkotsu stava pagando per tutti coloro che si erano presi gioco di lui negli ultimi anni. Così, quando all’improvviso si trovò costretto e ammanettato, immobilizzato da speciali misure per quelli come lui, si stupì.  

Alzò infine gli occhi e notò in ordine i suoi pugni insanguinati, la faccia irriconoscibile di Renkostu e la bambina che veniva soccorsa da dei paramedici. Il poliziotto che lo aveva fermato lo trascinò in malo modo lontano dalla vittima per far sì che potesse ricevere ugualmente assistenza e poi lo guardò come il peggiore dei delinquenti. Rendendosi conto del suo errore, Inuyasha strinse i denti e gliene rimandò indietro uno identico, ma questa volta – rispetto a ciò che era accaduto prima del suo licenziamento – non se ne pentì. Per lo meno, era contento di aver salvato la bambina muta: era davvero riuscito a essere un eroe – anche se per tutti gli altri sarebbe stato il cattivo. Stava per essere spinto con forza nella volante quando sentì la voce di Miroku – e sarebbe stato impossibile non riuscirci a causa della forza con la quale stava urlando a pieni polmoni.  

Il barista li raggiunse e poi si fermò per riprendere fiato. “Non arrestatelo,” pregò, infine, con il fiato che gli rimaneva.  

Il poliziotto lo guardò scettico. Conosceva Miroku e lo stupiva che potesse difendere un delinquente del genere. “Miroku, non abbiamo tempo da perdere. Guardati intorno e potrai trarre le somme da solo.” 

“Non ho bisogno di guardarmi intorno. Ho assistito a tutta la scena dall’inizio, prima ancora che voi foste chiamati.” 

L’uomo si bloccò e lo guardò con disapprovazione. “E perché mai non sei intervenuto? Ti rendi conto che poteva scapparci il morto?” 

“Stavo per farlo,” si difese il barista. “Ma Inuyasha mi ha preceduto.” 

Inuyasha?” 

“Sì, colui che state ingiustamente arrestando,” rispose serio.  

“Questo non è il momento delle prese in giro, Miroku,” intervenne la partner. “Se non fossimo arrivati in tempo avrebbe ucciso entrambi.” 

“E se foste arrivati ancor prima, avreste assistito a quell’uomo che picchiava la bambina per rubarle i pochi spicci che aveva racimolato,” urlò a quel punto Miroku, perdendo la pazienza. “Se non fosse muta potrebbe confermare tutto. E vi dirò di più: se cercherete il nome della vittima nel vostro database, scoprirete che è un delinquente che entra ed esce dalla galera per crimini simili! Non è la prima volta che assale un bambino e in altre occasioni sono stato io stesso a chiamare le autorità, come avrei fatto anche oggi se Inuyasha non fosse intervenuto.” 

“Non lo so, Miroku. Resta comunque che lo abbiamo visto con i nostri occhi,” continuò la donna riferendosi a Inuyasha. “Abbiamo le mani legate.” 

Miroku digrignò i denti e poi, senza aspettare, si diresse infuriato verso la piccola che stava osservando tutto con occhi spalancati. Di fronte a lei, addolcì lo sguardo e le chiese se poteva farle una domanda; lei annuì con il capo. “Lei è la vera vittima,” affermò sicuro Miroku, “quindi dovreste dare priorità alla sua versione, no?” 

La donna ancora sbuffò. “È spaventata e muta, come vorresti che ci fidassimo di una qualche sua testimonianza?” 

“Quindi mi state dicendo che ciò che mezzo demoni e bambini dicono non ha alcun valore? È questa la verità? In questo caso, allora, non dovreste più chiamarvi paladini della giustizia, dico bene?” 

“Ma come osi? Se continui così arresterò anche te!” sbottò quella avvicinandosi ancor di più.  

Il partner la bloccò, poi lanciò un’occhiata a Miroku come per dire ‘non esagerare’. “Forse dovremmo ascoltare un po’ tutti, non credi, Aiko?” 

“Prima voglio spedire quel mezzo demone nel luogo che più gli confà,” sputò.  

“In quel caso, io sarò il primo a dirigermi in caserma per sporgere denuncia nei tuoi confronti,” ribatté Miroku. “Sarà anche vero che i diritti dei mezzo demoni non vengono considerati in questo paese, ma qui c’è una piazza piena di testimoni che ti avrà osservato mentre vai contro la legge. Sicura che ti conviene?” 

“Finiamola così,” intervenne il primo poliziotto. “Fai la tua domanda alla bambina e poi noi interrogheremo anche gli altri per capire davvero come stanno le cose.” 

Miroku annuì, si guardò intorno riconoscendo quasi tutti coloro che li circondavano e si disse che, dopo tutto, c’era una grossa possibilità che sarebbe riuscito a liberare Inuyasha. Poi si accovacciò di fronte alla piccola. “Ehi, lo so che al momento sei molto spaventata, ma mi aiuteresti a salvare un amico indicando colui che ti ha aggredita e tentato di derubarti?” Vide il suo labbro inferiore incominciare a tremolare e, per un attimo, pensò che non avrebbe risposto, ma poi mosse di nuovo il capo su e giù e, senza esitazione, alzò il braccio in direzione della figura di Renkotsu ancora svenuta. “Ne sei sicura?” chiese per conferma. La bambina annuì una terza volta. “E quell’altro uomo lì, quello con i capelli bianchi e le orecchie buffe, ti ha aiutato?” Lei mosse il capo ancora più vigorosamente. “Hai avuto paura di lui?” Un no deciso fu la risposta. Soddisfatto, Miroku si rialzò in piedi e guardò la poliziotta con aria soddisfatta e saccente. “Ora potresti liberargli anche i polsi, che dici?”  

“La sua testimonianza non è sufficiente.” Sorrise, convinta di avere ancora la vittoria in pugno, ma non aveva contato i tanti che all’improvviso si fecero avanti, interrompendo il silenzio che era caduto sulla piazza.  

“Ma le nostre sì,” parlò per primo un vecchietto. “Se farete bene le vostre ricerche, capirete che tutti noi siamo stati sempre membri efficienti di questa città, Miroku in primis. In più, conosciamo anche quel giovanotto che state cercando di arrestare; frequenta il posto da mesi e non ha mai dato alcun tipo di problema.” 

Inuyasha, che aveva osservato tutto con un briciolo di speranza che gli nasceva nel petto, sgranò gli occhi nel sentire quelle persone avanzare in sua difesa una dopo l’altra. Vedendo come erano andate le cose e maledicendo la sua sfortuna per aver beccato la poliziotta razzista, si era convinto di avere una condanna irremovibile collegata al suo nome, ora invece... Incrociò lo sguardò con Miroku che, annuendo, gli chiese implicitamente di avere fiducia e, cosa strana, Inuyasha si fidò.  

A quel punto i due colleghi si scambiarono uno sguardo e quello più calmo si fece avanti, mandando la donna a occuparsi di Renkotsu che era ancora in mano ai paramedici. Poi si avvicinò a Inuyasha e gli liberò i polsi. “Per questa volta te la sei cavata, ragazzo.” Lui, in risposta, trattenne un ringhio. “Ma la prossima, quando vuoi fare l’eroe, non metterti nei guai. È un miracolo se sono riuscito a convincere la mia collega; lei ti avrebbe arrestato per aver pestato a sangue quell’uomo, anche se un criminale. Ciò nonostante, ti ringrazio per aver salvato la piccola.” Poi gli diede una pacca e lo lasciò solo con Miroku e gli anziani del vicinato, che quasi lo assalirono nel tentativo di dimostrargli la loro gratitudine.  

Si poteva affermare con certezza che Inuyasha non si fosse mai trovato in una situazione simile, ma stranamente essere al centro dell’attenzione non gli dispiacque del tutto.  

 

 

***  

 

 

Un po’ dopo, la situazione si calmò abbastanza per permettere a Miroku di portare dentro Inuyasha; racimolò ghiaccio, garze e antisettico e gli fece segno di sedersi. Il mezzo demone non ne fu molto contento, ma si lasciò medicare senza grosse lamentele. Lavorarono in silenzio per qualche minuto, prima che Miroku si decise a parlare. “Immagino, quindi, che non accetterai più la proposta di Renkotsu. Dico bene?” 

“Keh,” sbuffò l’altro, imbarazzato. “Non me la faccio con gente che se la prende con i più deboli.” 

Miroku alzò gli occhi al cielo. “Hai ragione, come ho potuto dubitare del tuo onore?” Poi, sorprendendolo, fece ciò che aveva desiderato fare da un po’: gli assestò un bello schiaffo dietro la nuca, gioendo dell’urlo sconvolto di Inuyasha. “Beh, che c’è... hai da ridire?” L’hanyou aprì la bocca pronto a farlo, poi sembrò ripensarci e scosse la testa. “Lo sapevo che eri più intelligente di quel che sembrava. Dopo tutto, non credere che quello che faccio per te lo faccia per tutti.”  

“Quindi fino ad ora cercavi solo il momento giusto per rinfacciarmelo?” Strappò la mano dalla sua presa così che Miroku rimase con la garza imbevuta alzata a mezza aria.  

“Per l’amore di ogni cosa buona e giusta, la smetti? Se il mio obiettivo fosse stato quello lo avrei fatto mesi fa! Ti considero un amico e credo di averlo dimostrato ampiamente. L’unica cosa che voglio in cambio è che tu smetta di dubitare di me.” Stavolta era furioso e non avrebbe accettato il solito comportamento. 

“Beh, mi biasimi?” chiese Inuyasha con il braccio alzato ad indicare l’esterno.  

“All’inizio non lo facevo, ma ora credo che tu abbia abbastanza prove da poterti fidare senza problemi.” 

“Io non mi fido mai di nessuno!” sibilò allora il mezzo demone. “Sono sempre riuscito a vivere solo in questo modo. Non puoi criticarmi!” 

“Stupido. Cercando sempre di risolvere tutto da solo non fai altro che peggiorare le situazioni!”  

“Bella predica da parte di chi non hai mai vissuto un giorno difficile in vita sua,” sbuffò.  

“Che ne sai tu della mia vita se con te non ne posso parlare? E se vuoi un consiglio spassionato, non dovresti fare supposizioni simili sulla gente senza essere certo di ciò che dici.” Sbatté la garza a terra e fece per andarsene; Inuyasha non lo aveva mai visto così arrabbiato. “Se credi che la mia sia semplice pietà, allora è evidente che non hai capito nulla di me e che finora mi sono solo illuso.”  

Inuyasha strinse i pugni, indeciso sul da farsi. Non doveva sentirsi in colpa, non doveva; Miroku non era nessuno per fargli la predica. Però, era anche vero che andarsene ora significava perdere quel briciolo di sicurezza che aveva accumulato da quando aveva cominciato a frequentare il Black Hole. “Non volevo,” sussurrò infine, in modo quasi inaudibile.  

“Non volevi cosa?” chiese Miroku, dandogli ancora le spalle.  

“Presumere.”  

“Hmph. Figurati se ti scusavi per il resto. E va bene,” accettò con nonchalance, afferrando dell’altra garza pulita. “Accetto le scuse, ma a una condizione.” 

Inuyasha ringhiò. “Oi, non starai esagerando ora?” 

“Affatto. Però, sai, durante le feste il locale è molto affollato e mi servono un paio di mani in più. La paga è buona, così come il datore di lavoro; chiedi pure agli altri.” Sorrise sghembo e alzò lo sguardo per osservare bene la faccia stupefatta dell’altro.  

“Non la voglio la tua pietà!” sbottò allora Inuyasha.  

“E chi ti ha detto che è pietà? Se farai schifo stai sicuro che tempo Capodanno e ti licenzio. Se invece mi dimostrerai che ci sai fare... potrei affittarti anche la stanza libera di sopra.” Finì il lavoro, incrociò le braccia e lo sfidò a rifiutare. Sapeva che la sua proposta era troppo allettante anche per un tipo orgoglioso come Inuyasha.  

“Keh. Ma non credere che lo faccia per te. Se non accettassi finiresti per schiavizzare anche tua sorella!” sbraitò, cercando di avere l’ultima parola. Però, il luccichio negli occhi del barista lo spaventò.  

“Ah, questa è bella. Allora avevo ragione dopo tutto,” affermò ridendo e accarezzandosi il mento. “Aspetta che lo dica a Kagome. O forse dovrei aspettare un po’ e cercare di guadagnarci qualcosa?” 

“Oi, cosa stai tramando, bastardo?” 

“Niente, niente.” Sventolò la mano davanti a sé. “Benvenuto al Black Hole, Inuyasha.” 

E questa volta, quando gli sorrise, fu impossibile per il mezzo demone dubitare. 
 

 
 

***  


 

 

Settimane dopo, appena finita la ressa data dalle festività, nel bel mezzo del turno, Miroku si appoggiò con i gomiti al bancone e osservò due dei suoi migliori impiegati flirtare durante un attimo di pausa: lei era diventata più diretta ultimamente e anzi si divertiva a vedere il rosso ormai una costante sulle guance di lui, e non demordeva, avendo ormai ricevuto abbastanza conferme per sapere che il suo interesse era ricambiato. Doveva solo pazientare, ma sapeva anche che ne valeva la pena, che lui valeva la pena.  

Miroku sorrise ancora di più guardando Inuyasha diventare sempre più sciolto sia con quel lavoro che con la sorella che, di conseguenza, era più felice e a lui, tutto ciò, non sembrava che un risultato perfetto. Anche se lui e Kagome avevano sperimentato tanti momenti felici in seguito alla perdita dei genitori, non ricordava un Natale bello come quello appena passato se non il primo con Mushin.  

Stiracchiandosi e cominciando a preparare un ordine che gli avevano appena fatto, distolse lo sguardo dai due e sorrise tra sé e sé. Quest’anno, come era successo tempo prima a lui e a Kagome, qualcun altro aveva trovato un rifugio al Black Hole e a lui andava più che bene così.  

 

   
 
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