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Autore: Louis Agreste    04/12/2022    1 recensioni
[Presenti spoiler accennati del primo episodio de "La scelta dei Kwami"]
Disclaimer: in data di pubblicazione, l'episodio in sé non è ancora uscito. Qui vi è accenno a fatti già conosciuti, alcuni poi approfonditi e gestiti secondo le mie necessità di narrativa.
Marinette sta affrontando un periodo piuttosto difficile e Adrien, come unico obiettivo, ha quello di starle accanto, senza pressarla, e ricordarle che lui, per lei, ci sarà sempre.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Sabine Cheng, Tom Dupain
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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I Have a Present: Our Future

Marinette, quel giorno, aveva trovato la forza di mettersi alla scrivania per guardare il monitor del proprio computer. Su questo, stavano venendo trasmesse le ultime immagini registrate delle due supereroine che, dall’altro giorno, avevano preso il posto di Ladybug e Chat Noir. Queste: Scarabella e Nekomusume. La prima, che lei sapeva essere Alya, aveva già avuto esperienza sul campo come Rena Rouge, Rena Furtive e anche come portatrice del miraculous della coccinella, per un periodo talmente breve che nemmeno i giornalisti avevano fatto in tempo a conoscerla. La seconda si era rivelata un tantino più ostica da osservare, visto il tipico colore verde degli occhi cambiato in uno rosso fuoco e i dettagli del costume tendenti a un blu scuro o un azzurro, assieme al nero. Però, nonostante la confusione iniziale, Marinette aveva riconosciuto anche lei: Kagami, in precedenza Ryuko.
Le due, entrambe sue amiche, all’inizio avevano faticato a collaborare, più per l’idea fin troppo fissata nella testa della ragazza giapponese di “dover affrontare ogni combattimento a spada – bastone – sguainata e testa alta”. Alya, alias Scarabella, si era ritrovata costretta a riprenderla più volte, ma non perché non fosse capace di reggere il ruolo, più per il suo non riuscire ad agire assieme a qualcuno, soprattutto se senza ordini diretti. Dopo questo, erano riuscite a fare squadra e avevano sconfitto l’akumizzato, il primo di quelli che erano diventati tre, con quello comparso quel giorno.

«Scarabella, Scarabella! Tu sei un’allieva di Ladybug?»
«Sei qui per sostituirla definitivamente?»
«Cosa?! No, assolutamente no!» - Aveva negato la ragazza, con l’aggiunta di diversi movimenti delle mani.

«E tu Nekomusume? Sei la sostituta di Chat Noir?»
«… Eh…»
«Non sai parlare?»
«I-Io-…»
«Perché non è tipico tuo fare battute?»
«Non hai voglia di rispondere?»
«Ehi!» - Aveva urlato Scarabella, non appena si era accorta della situazione della sua partner. - «Ma vi sembra il modo di trattare una persona? Lasciatela respirare! Il fatto che non sia identica a Chat Noir è davvero un problema? Ha accettato di proteggere voi cittadini, assieme a me, durante l’assenza dei vostri beniamini e voi la ripagate così?!» -

A Marinette era scappato un sorriso a quella scena. Le sue dita avevano ripreso ad accarezzare le orecchie del piccolo gatto peluche che aveva tra le dita. Sbatté le palpebre, ma non reagì al percepire i propri occhi lucidi.

«… Stai bene?»
«Sì.»
«Allora possiamo anche andare!» - Esclamate quelle parole, Scarabella aveva afferrato il proprio yo-yo, ma, cosa che Marinette, dalla registrazione, non era riuscita a vedere, invece di lanciare questo verso l’appiglio più vicino, il suo sguardo era stato catturato dai movimenti ripetuti della coda, fin troppo realistica, della sua partner.
«… Grazie…» era stato il sussurro che le era arrivato, quasi per miracolo, all’orecchio.

«Non sono il tipo che ignora certi comportamenti. Tu cerca di tornare a casa senza incappare in altri di loro. Va bene?»
«Va bene.»
«Sayōnara, Neko
«… Sayōnara.» Aveva risposto la ragazza, prima di afferrare il proprio bastone e darsi la spinta con questo per fuggire il più lontano possibile da quelle arpie di giornalisti.

Nadja era, poco dopo, ricomparsa a schermo intero e allora, Marinette, aveva deciso di mutare la messa in onda. Era rimasta immobile, con il dito a pochi millimetri dal tasto sinistro del mouse e il puntatore fermo sulla X che avrebbe chiuso la finestra del browser. Mosse poi l’altra mano, per rimettere il piccolo pupazzo nascosto dietro al cuscino. Rimase a fissare la donna in silenzio, questo finché la vista non le si offuscò. Mosse il dispositivo verso il bordo sinistro e ridusse la finestra a icona, prima di tirare su la testa, con gli occhi chiusi, e prendere un profondo respiro. Si lasciò andare contro lo schienale e buttò fuori l’aria, ma non rivolse lo sguardo verso il soffitto.
Diede l’occasione al silenzio di circondarla, avvolgerla… quasi soffocarla. I brividi cominciarono a percorrerle i fianchi ma, solo e soltanto, quando un occhio azzurro e un occhio verde, circondati di bianco, le apparirono davanti senza preavviso, lei si tirò su di colpo, come se si fosse appena svegliata da un incubo. Aveva il viso bagnato, ma non di sudore…

«Io ti amo così come sei, milady.»
«… Così adesso possiamo sposarci!»
«È un sogno poter vivere la mia vita con te…»
«… Tutto questo è… sbagliato.»
«Basta…»

Aveva finito per piegarsi in avanti e potersi reggere la testa fra le mani, ma tutto questo non la smetteva di provocarle dolore. Era come se una montagna fosse appena crollata e tutti i detriti avessero individuato come obiettivo il suo cranio. Ma, un dolore lancinante, lei non faceva che sentirlo anche all’altezza del petto, dove nemmeno miliardi di coltellate o morsi di formiche proiettile sarebbero riuscite a fare più male.

«Abbracciami… Marinette!»
«… Smettila…»
«Ehi, Marinette?»
«Siamo noi contro il mondo!»
«… Ti prego…»
«… Marinette?»
«… Non hai perso me.»
«Non è vero!»
«Marinette!»

Al richiamo, la ragazza spalancò gli occhi e, per un millisecondo, scambiò la gli occhi verdi, che si era ritrovata davanti, ma soprattutto la voce, per quelli del supereroe. Però non poteva essere Chat Noir… Nemmeno lui aveva più il suo miraculous, loro due non si sarebbero mai più visti.

«Marinette?»

Lui, in ginocchio, allungò la mano per asciugarle le lacrime e lei, al non sentire nient’altro che pelle a contatto con la propria, trovò la forza di sbattere le palpebre e scacciare le lacrime che le offuscavano la vista. Quando incrociò di nuovo il suo sguardo, si rese conto di non avere davanti il suo partner.

«A-A-…» A quei suoi tentativi di chiamarlo, il ragazzo rispose con un mezzo sorriso, un po’ storto.

Anche a lui era sfuggita una lacrima, ma non ci diede troppo peso. Aveva tenuto l’altra mano appoggiata a terra, ma gli venne spontaneo toglierla da lì per appoggiarla sull’avambraccio destro di lei, crollato assieme all’altro sulle sue gambe.

«… Che-Che cosa…?»
«Mi mancavi…»
«… Adrien…» Il ragazzo passò il pollice sopra alla sua palpebra non appena lei chiuse l’occhio. Finì per appoggiarsi al suo palmo quando lui le sfiorò i capelli con l’indice e il medio.

«Non se sia stato sesto senso o meno, ma… io ci sarò sempre per te. Sei la mia super Marinette, ma nulla ti vieta di essere debole, sai?»
«… Mh…»
«Vuoi un abbraccio?»
«Adrien… Rischio di macchiarti la camicia…» Aveva tentato di dissuaderlo anche guardandolo, ma lui aveva semplicemente alzato le spalle, subito dopo aver piegato di lato la testa.

Marinette non insistette. Adrien allontanò le mani dal suo corpo e si mise più comodo a terra, con le braccia aperte. Lei, con fatica, riuscì a scendere dalla sedia e raggiungerlo sul pavimento. Non gli si lanciò addosso, anzi, fu più lui ad avvicinarsi per poterla abbracciare stretta, ma, non appena si ritrovò con la fronte appoggiata alla sua spalla, Marinette finì quasi per stritolarlo.

«… Scusa…»
«Va tutto bene,» le rispose sussurrando, quando le sue dita avevano già preso a passare tra i suoi capelli. «Provare sentimenti non è mica un crimine.»
«Ma… Ma-!»
«Ma… ri… ne… tte.» Sussurrò lui, ancora, tra un intreccio e l’altro con un suo ciuffo. «… È il tuo nome.»
«… Lo so…»
«Lo so che lo sai.»
«… E allora…» tirò su con il naso, mentre le palpebre, gonfie, erano diventate pesanti «… perché l’hai sillabato?»
«Perché io amo il tuo nome.»

Marinette si irrigidì contro il petto del ragazzo, ma poco dopo si lasciò ancora di più nascondere da questo, forse anche per il colore rosso che avevano preso le sue guance.

«… Adrien?»
«Sì?»
«Non sei proprio arrabbiato con me…?»
«No,» rispose, con aggiunto movimento leggero del capo.

«… Perché?»
«Non è colpa tua se stai affrontando un periodo difficile… E poi capisco che tu non ne voglia parlare, se solo pensarci ti riduce così.»
«… Mh…»
«Me ne parlerai quando ti sentirai pronta. Posso aspettare un po’…»
«Ma io-… Io non-… Io non voglio…»
«Marinette?»
«Mh?»

Lei, alzato lo sguardo, incrociò subito quello del ragazzo. Lui smise di passare le dita tra i suoi capelli e prese ad accarezzarle direttamente la testa. Al vederla arrossire, si trattenne dal ridacchiare.

«L’unica cosa che voglio io è sapere se posso fare qualcosa per te, per tirarti un po’ su… Tu hai fatto tante di quelle cose per me.»
«… Non penso di meritarmi tutti questi ringraziamenti…»
«… E ringra-cugino-nasi?» Domandò lui, dopo essere rimasto qualche secondo con lo sguardo rivolto altrove.

Marinette, sgranati gli occhi, trovò la forza di rialzare lentamente lo sguardo. Adrien dovette serrare la bocca per non scoppiare a ridere.

«… Tu sei pazzo.» Riuscì poi a dirgli, con un mezzo sorriso.

Lui sembrò tranquillizzarsi in quel momento. Le portò dietro le orecchie le due ciocche che solitamente le coprivano queste ultime e, con i pollici, prese ad accarezzarle le guance.

«Sì, forse sì…»
«… Davvero?»
«Mh mh…» Sussurrò, mentre le palpebre di lei stavano tornando pesanti per colpa delle sue continue carezze.

«… Devo preoccuparmi?»
«Qualcuno ti ha fatto del male?» Chiese, con la testa leggermente piegata di lato e un sorriso accennato.

Marinette a quelle parole sgranò gli occhi.
Fu un millisecondo, ma questo bastò ad Adrien per perdere il sorriso. Di prima mano sapeva molto più di quanto Marinette immaginasse e altri puntini li aveva collegati alla vista della reazione di lei all’assenza della sua versione trasformata la prima volta. Si sentiva in colpa per averla praticamente abbandonata, ma non si era ritrovato davanti a nessun’altra opzione.

«… Pensi che non rivedrai più il tuo amico Chat Noir?»
«Mh…» fu l’unico verso che riuscì ad emettere. Le lacrime erano già tornate a percorrerle le guance.

Lui si premurò di asciugargliele ancora una volta, delicatamente. Quando lei si strinse nuovamente a lui, Adrien prima appoggiò il mento sulla sua testa e poi prese a strofinarcisi contro, piano.

«Une fée sur un balcon… toute seule sans son chaton…♪» canticchiò, anche lui con gli occhi chiusi.

A Marinette si alzarono appena i lati della bocca a quei versi, ma non reagì in nessun modo esagerato.

«… Perché proprio una fata?» Chiese sottovoce, dopo che lui aveva intonato quegli stessi versi un’altra volta.

Rimase in attesa. Lui si allontanò un po’ e, subito dopo, ad arrivare fu l’indice di lui, a contatto con il suo naso. Lei finì con l’arricciarlo, per il solletico, e lui rise al vederla chiudere con forza gli occhi e allontanarsi.

«Ti sarebbe piaciuto essere una fata, no?»
«Quando ero piccola, ti ho detto!»
«Per me sei una fata.» Le disse, con le guance leggermente arrossate.

Il colore scarlatto contagiò anche lei, che serrò la bocca e distolse lo sguardo.

«Non vedo perché dovrei… Le fate non esistono.»
«Le fate esistono se tu credi in loro.» Le ricordò, prima di avvicinare l’indice abbastanza da metterglielo sotto il mento, così da alzarle leggermente il viso e poterla nuovamente guardare negli occhi. «Io credo in te, crederò sempre in te.»
«Adrien…» tentò, ancora, di richiamarlo lei, prima che lui le sfiorasse di nuovo la punta del naso con l’indice. «Solitamente una persona che non ci crede basta a far morire una fata.»
«Non lo permetterò.» Dichiarò, con aggiunta negazione col capo.

Non perse il sorriso. Questo, addirittura, si allargò quando Marinette roteò gli occhi.

«… Marinette?»
«Mh?» Il suo essersi messo a giocare con alcune sue ciocche di capelli, sfuggite dai codini quasi sfatti, continuava a distrarla. «Cosa c’è?»
«Tu sai… che cosa non amo, di te?»

Lei, subito dopo essere diventata paonazza e aver spalancato la bocca, assieme agli occhi, abbassò lo sguardo d’istinto e deglutì rumorosamente per non rimanere ancora in silenzio.

«No, io… non lo so.»
«Dannazione, speravo che almeno tu lo sapessi…»

Lui aveva tentato di mantenere la recita, ma, al vedere prima lei chiudere gli occhi, come per pregare di non aver mai risposto, e poi portarsi una mano alla bocca proprio per non ridere, gli cadde la maschera e non tentò nemmeno di recuperarla.

«… E io speravo, per una volta, in un discorso sensato.»
«Che bassa opinione che hai di me…»
«… Ma davvero non c’è nulla che non ami di me?»
«Non amo… quando ti sminuisci e non credi in te stessa. Però, in quel caso, ci sono io che ti sto ancora più vicino e che ti tiro su di morale… Quindi no, non c’è nulla che io non ami di te.»
«… Vedessi la situazione con i miei occhi… Perderesti anni della tua vita ad elencare tutte le cose peggiori sul mio conto.»
«… Da quando hai un conto?»
«I-… Su di me, Adrien.» Il suo tentativo di mantenere quella faccia stizzita svanì come il suo non appena lui sorrise divertito.

«… Marinette?»
«Che c’è?» Domandò, questa volta con un evidente tono divertito.

«Sei…» cominciò a sussurrare, con la fronte a pochissima distanza dalla sua «… Sei…»
«Cosa…?»
«… Non lo so.»
«Ehehe… Cosa? Non sai chi sono?»
«Io so perfettamente chi sei, Marinette Dupain-Cheng…» rispose a tono lui, mentre era occupato ad accarezzarle le dita e, allo stesso tempo, avvicinarsi pericolosamente al suo viso.

«E allora perché hai aggiunto: “non lo so” al “sei”?»
«… Perché ho perso il conto delle cose che sei per me.»
«Dai…»
«Sono serio, Marinette… Io perderei tutti gli anni della mia vita ad elencare le cose migliori su di te.»
«… Non è un po’ troppo tempo?»
«… Non vuoi che io lo perda a scrivere cose su di te invece di passare il tempo con te?» Domandò, con i denti in vista e lo sguardo come illuminato.

Marinette non gli rispose. Arrossì ancora e distolse lo sguardo, ma questo non impedì ad Adrien di lasciarle un bacio sulla guancia e poi strofinare la punta del naso sullo stesso punto. Al sentirla ridere, lui sembrò trovare l’ennesimo buon motivo per continuare a respirare.

«Ehe! Smettila!»
«… No…» sussurrò, con gli occhi lucidi.

«Che c’è?» Domandò, infatti, lei poco dopo, spaventata dal tono di voce.

«Non voglio smettere di farti ridere… Non voglio adesso e non vorrò farlo mai.»
«Io non ero seria, Adrien.»
«Sì, però… Io davvero non voglio. Voglio continuare a sentire la tua risata. Io amo la tua risata…»
«… Anche io amo la tua.» Confessò anche lei, dopo aver rivolto per l’ennesima volta lo sguardo verso il pavimento.

Lui, con entrambe le mani occupate a stringere e accarezzare le sue, accettò quel silenzio senza ripensamenti. Lei ritrovò la forza di tornare a guardarlo dopo un po’ e le si dischiuse la bocca alla vista della faccia che aveva, chiaramente da pesce lesso. Non rise, rimase a fissarlo.

«… Tu mi hai sempre fatto ridere, Marinette. Sei sempre stata capace di rendermi felice, come se fosse un tuo talento naturale.»
«Essere maldestra è, effettivamente, un mio talento naturale…» gli ricordò, serrando la bocca e alzando anche le sopracciglia.

Adrien ridacchiò ancora. Si avvicinò di nuovo a lei con il viso e arrivò a sfiorarle la punta del naso con il proprio, con gli occhi chiusi.

«… Voglio anche la tua felicità, Marinette.»
«Alla tua non pensi?»
«Io sono felice,» le rispose, prima di sfiorarle il lobo con l’indice, «posso stare con te.»
«… Prima o poi ci saranno altre cose. Non devi sempre e solo pensare a me.»
«Lo so. Quando ci saranno altre cose, penserò anche ad altre cose… Ma, adesso ci sei solo tu, quindi ti tocca sopportarmi per tutto il tempo.»
«Perché tu sei, ovviamente, un disturbo… giusto?» Chiese, prima che un soffio le arrivasse al timpano. «Adrien!»
«Ehehehe! Andiamo, non perdere le staffe…»

Marinette, secondi dopo, si allontanò. Lui si ritrovò costretto a serrare la bocca per non scoppiare a ridere, ma i suoi occhi azzurri sgranati gli resero l’obiettivo quasi impossibile.

«Che c’è?»
«… Non ho parole.»

Adrien sorrise di nuovo. Le lasciò anche l’altra mano e riprese a pettinarle i capelli, senza, però, interrompere il loro gioco di sguardi.

«Stai ridendo internamente e… con gli occhi, mi stai chiedendo di sposarti.»
«No…» Lei aveva tentato di sfuggirgli, in qualsiasi modo, ma il suo stesso corpo si stava rifiutando di obbedire.

«… È davvero l’umorismo la chiave per il tuo cuore?»
«Non saprei… Tu che dici?»
«… Dico che lo voglio io il velo.»
«Adrien…»
«… Io voglio anche che sia tu a realizzare il mio abito.»
«Adrien… Vogliamo davvero entrare nei particolari di queste cerimonie importanti?» Se lui avesse saputo, l’avrebbe presa a male parole: quante volte lei aveva immaginato quel giorno da quando l’aveva conosciuto… Se poi era da aggiungere il sogno fin troppo reale avuto con Chat Noir, allora era da reclusione.

«… Voglio essere io a farti aspettare, quel giorno. Voglio essere vestito di bianco come te. E voglio che sia tu a togliermi il velo dagli occhi.»
«… Perché?»
«Beh… Nonostante sia tua caratteristica anche l’arrivare in ritardo…» Lei aveva sgranato gli occhi e infilato la lingua tra le labbra prima di avventarsi su di lui con una mano, senza forza. Lui aveva afferrato la stessa per poter intrecciare le loro dita e mettersi a disegnare cerchi sul palmo, senza distogliere lo sguardo da lei: «… A conti fatti, sono io ad essermi accorto tardi della situazione. Quindi… come altra promessa, quel giorno voglio arrivare dopo, per l’ultima volta.»

A Marinette si era dischiusa la bocca a quelle parole. Però, il pensiero di dover ascoltare altre due spiegazioni, la portò a reprimere le proprie emozioni, per non farlo smettere subito di parlare. Voleva sapere il resto, ne aveva bisogno.

«Poi… Tu pensa a… come se i vestiti, insieme, formassero una tela ancora nuova. Quando sarà, nonostante io sostenga che tutto sia già stato inciso su tavole di pietra, io e te diventeremo… una cosa sola. Pensa a quella tela come… la nostra vita. Io, la mai vita, da quel giorno in poi, voglio viverla insieme a te, dipingerla con te, darle una forma con il tuo aiuto. Scoprire i più bei e brutti colori al tuo fianco, senza ripensamenti, con due pennelli che lasciano permanenti schizzi diversi.»
«… E il velo?»
«Schopenhauer, un filosofo tedesco, parlava del velo di Maya. Questo, secondo lui, impediva all’uomo di vedere la vera realtà del mondo…» aveva smesso di guardarla solo in quel momento, per deglutire ed evitare di rimanere con la gola secca «… e io, quel giorno, me ne libererò, perché affronteremo il mondo insieme, con i punti di vista l’uno dell’altra.»
«… Insieme, contro il mondo?» Ripeté lei, subito dopo che un riflesso le aveva attraversato entrambi gli occhi.

Adrien annuì. Passati diversi secondi, Marinette riuscì a connettere di nuovo e, subito dopo aver sbattuto le palpebre, riaprì bocca.

«Queste sarebbero… le tue promesse?»
«Forse… Ci sono così tante altre cose che vorrei dirti.»
«… Io già penso di non meritare quelle che hai appena detto.»
«Tu meriti tutto e anche di più.» Sussurrò, prima di allungare la mano libera dietro il suo orecchio per poterle, finalmente, sciogliere il codino e passare le dita tra i suoi capelli corvini.

«Io… farò tutto quello che posso. Cercherò di… realizzare ciò che conta così tanto per te.»
«Per te no, Marinette? Non è qualcosa a cui hai pensato?»
«L’ho fatto anche troppe volte… Però stiamo parlando di qualcosa che non conta solo per me, conta per entrambi.»
«A me importa avere te di fronte, al mio fianco e alle mie spalle. Quel giorno… e per sempre.»
«… Non è un po’… affrettato parlarne adesso?»
«Per me no. Da quello che mi sembrava di aver capito, nemmeno per te… Quindi perché me lo chiedi?»
«Non lo so… Non è un po’ infantile?»
«… E allora?» Sussurrò, mentre le sfiorava con il pollice l’anulare. «A me non importa se lo è o no… Io so che non mi spaventa pensarci. È qualcosa che… sotto sotto vorrei adesso, ma, al tempo stesso, voglio aspettare ad avere.»
«… Sì, ti capisco…»
«Pensa, poi, che io te lo volevo regalare un anello…» mormorò, con un sorriso accennato.

«… Cosa?» Credeva che le sarebbe uscito solamente un sussurro, ma la sua voce si era chiaramente rotta a un certo punto.

Per un attimo, Adrien si era spaventato. Poi, però, al ritrovarsi i suoi occhi lucidi a pochissima distanza dai propri, la sua bocca si dischiuse e lui quasi perse la capacità di parlare.

«… Qualcosa non va?»
«Nulla, i-… I tuoi occhi…»
«… Cosa?» Chiese, subito dopo aver tirato su con il naso e sbattuto un paio di volte le palpebre nel tentativo di scacciare via le lacrime represse.

Adrien, invece di rispondere, come aveva fatto fino a poco prima, con parole scandite per bene una dietro all’altra, ne borbottò diverse a voce talmente bassa che Marinette storse la bocca e riacquistò una minima parte del proprio raziocinio.

«Cosa?»
«… Prometti che non mi prendi in giro?»
«… Mi hai fatto commuovere, due secondi fa, e adesso, di punto in bianco, mi chiedi di non scoppiare a riderti in faccia? Perché?»
«… Promettimelo.»
«Te lo prometto,» rispose, ancora dubbiosa sul mostrare o meno la propria confusione in merito.

«… Foioaveeuafiiaoniuoiohi…»
«Eh?» Marinette era un’esperta in fatto di problemi di comunicazione, ma, quel borbottio misto incantesimo in lingua morta, neanche un elfo di mille anni sarebbe stato capace di interpretarlo.

Adrien non ricordava di aver mai provato così tanto nervosismo, misto imbarazzo, nella sua vita, ma riuscì comunque a schiarirsi la gola prima di incrociare nuovamente gli occhi che avevano dato inizio a quel casino.

«Un respiro profondo…»
«… Voglio avere una figlia con i tuoi occhi.»

A differenza di Adrien, che aveva preso aria per neanche mezzo secondo, Marinette aveva cercato di mostrargli il modo giusto di farlo e poi si era bloccata a metà dell’operazione. Successivamente si era strozzata con l’aria e Adrien era subito scattato in avanti per farle da supporto mentre lei era occupata a tossire contro l’interno gomito.

«… Sai che a questo punto preferivo essere preso in giro?» Mormorò, quando lei aveva più o meno superato quel momento.

«… Un attacco alle spalle sarei riuscita a gestirlo meglio…»
«Scusa…» mormorò, prima che lei, preso un altro respiro, tossisse un’ultima volta e poi tornasse a guardarlo. «Forse avrei avrei fatto meglio a risparmiarmelo.»
«… In realtà, io…» Ripreso un altro respiro, la ragazza appoggiò il palmo a terra e, nonostante la vicinanza tra loro, riuscì ad incrociare nuovamente il suo sguardo e aprire la bocca. «Quella è… una cosa a cui ho cominciato a pensare tempo fa, molto… tempo fa.»
«… Davvero?» Adrien era incredulo, sgranando gli occhi aveva rischiato di farseli uscire dalle orbite.

«Sì…» Le era scappato un sorriso un po’ tirato al ricordo. «Da quella volta in cui… ho saputo che ti trovavi al parco qui vicino, per un set fotografico con Vincent. Ero lì a dare di matto, a fantasticare… quando ancora riuscivo a parlarti a malapena.»
«Cosa di preciso?» Chiese, sottovoce, come se ci fosse qualcun altro lì ad ascoltare, subito dopo aver appoggiato la mano sulla sua per poterle accarezzare il dorso.

«… Inizialmente solo un succo di frutta.»
«Ah sì?»
«Poi il matrimonio, la casa… Due bambini, poi tre… Un cane, un gatto… Poi il gatto no, ma-»
«Il criceto sì,» completò lui, con un sorriso che la costrinse ad allontanarsi un minimo per respirare.

Era la prima volta che gli diceva quelle cose in faccia, ma si era rivelato molto più semplice del previsto.

«Insomma, questo…»
«… Altri particolari?»
«La… probabile figlia, che mi era venuta in mente… Non ricordo gli occhi, ma aveva i capelli biondi.»
«Davvero?»
«Sì… Con i codini legati sopra alla testa.»
«Ehehe…» Marinette non riusciva a reggere per troppo tempo il suo sguardo e Adrien, al tempo stesso, non riusciva a smettere di sorridere. «Gli altri due, invece?»
«Avevano il mio colore di capelli, ma… uno dei due li aveva sparati ovunque.»
«Nooo… I miei capelli sono intrattabili…» Mugolò lui, quando aveva già chiuso gli occhi e se li era anche coperti con una mano.

Li riaprì poco dopo, quando senti altre dita passare tra i suoi ciuffi biondi.

«… Io li amo i tuoi capelli.»
«Anche io amo i tuoi», aggiunse, prima di allungare velocemente la mano per sciogliere anche l’altro codino.

Marinette avrebbe voluto prendersela, ma, al vedere lui sistemarsi entrambi gli elastici su un polso, proprio non ci riuscì. Di nuovo sentì le sue dita passarle tra i capelli e gli occhi si chiusero da soli, come obbligati da un incantesimo, che il ragazzo non aveva avuto il bisogno di pronunciare.

«Avevi… pensato anche ai nomi?»
«Possiamo passare oltre quelli?»
«Perché…?» Sussurrò, nel tentativo di provocarla. Fu lei, però, a immobilizzarlo con il semplice modo di arrestare le palpebre a metà.

«… Nulla, è che… Li ho scelti solo io, a pensarci adesso mi sembra da egoista.»
«Tu dimmeli, prima.» La esortò lui, con un mezzo tono di sfida.

«Avevo pensato… Louis, Emma e poi… Hugo.»
«… E io dovrei lamentarmi? Mi piacciono.»
«Ma non li hai scelti tu…» ripeté Marinette, con, di nuovo, lo sguardo rivolto verso il basso.

Adrien, quasi subito, sembrò intenzionato a scuoterla un’altra volta, ma non lo fece. Rimase in silenzio per un po’, a pensare. Marinette, questa volta, si lasciò fin troppo coinvolgere dal silenzio. Fece per aprire bocca e chiedergli cosa, all’improvviso, avesse smesso di andare, ma lui sgranò un minimo gli occhi e poi tornò a sorriderle.

«… Qualcosa non-?»
«Tu, Emma, l’hai scelto per caso?»
«Sì… Perché?»
«Ehehe, davvero?»
«Cosa c’è da ridere?»
«… Tu sai come si chiama mia madre, Marinette?»
«Ah, ehm… E-Emilie?»
«Esatto. Tu come ti chiami?»
«… Adrien.»
«Dillo. Come ti chiami.»
«Marinette.»
«Non noti niente?» Le chiese, rivelando poi un sorrisetto al vedere il suo sguardo aggrottarsi dalla confusione.

«… No? Cosa dovrei notare?»
«Emilie… Marinette… Em… Ma… Emma…?»

A quel suo modo di spiegarle cosa era arrivato a collegare in neanche dieci secondi, il cervello di Marinette sembrò sul punto di esplodere. Aveva sgranato gli occhi anche lei, poi aveva aperto la bocca e poi, nonostante lui fosse impegnato a ridacchiare, non riuscì ad esprimere a parole il suo stato d’animo.

«Come… Come hai…? Come?»
«… Più perfetta di così non potevi essere.» Sussurrò, prima di lasciarle un bacio sulla fronte.

Lei ancora non sapeva come reagire. Era incredula.

«Io-… Io non-…»
«Ti ha sconvolta così tanto?»
«Adrien, è da pazzi questa cosa! Tu come hai fatto ad accorgetene?!»
«Ci ho solo pensato… Tutto qui.»
«… Tu sei pazzo. Veramente, pazzo.»
«Pazzo di te, Marinette.» Le disse, chiudendo così la questione che avevano aperto poco prima.

Lei aprì la bocca per rispondere, ma, con nuovamente il viso in fiamme, storse la bocca e girò la testa di lato dall’imbarazzo. Così facendo, involontariamente, diede la possibilità ad Adrien di avvicinarsi di nuovo e baciarla dietro l’orecchio.

«E poi suonano bene…»
«… Davvero?»
«Sì… Louis, Emma e Hugo… Dupain-Cheng.» Lei sgranò gli occhi e finì per arretrare con la testa. Lui, schivato all’ultimo il riflesso, non perse il sorriso quando incrociò i suoi occhi sgranati. «… Nemmeno Adrien Dupain-Cheng suona male.»
«… Adrien…»
«Che c’è?»
«… Sul serio?»
«Sì,» rispose, subito dopo aver annuito.

Marinette era, di nuovo, rimasta impalata a guardarlo, in silenzio. Credeva che avrebbe continuato inesorabilmente a perdere la facoltà di parlare con quel ragazzo accanto. Era capace di zittirla e sorprenderla anche solo respirando, era da non credere.
Lui, passati diversi secondi, si avvicinò di nuovo al suo viso e la baciò di nuovo su una guancia.

«… Non riesci proprio a starmi lontano?»
«Dovrei…?» Domandò a sua volta, quando aveva di nuovo incrociato i suoi occhi.

Marinette non rispose a voce, negò semplicemente con la testa. Adrien si allontanò per tornarle di fronte, ma le sue mani, come avessero una vita propria, tornarono sul viso della ragazza, ad accarezzarle le guance.

«Adrien… Sicuro di star facendo tutto questo solo perché sì?»
«… Forse,» sussurrò, prima di percorrerle la mascelle con i mignoli e poi allungare le mani per spostare sulle spalle i suoi capelli corvini. «Perché? Tu cosa pensi?»
«… Penso che mi dai l’idea di qualcuno che ha paura di star vivendo un sogno,» disse sottovoce. Allungò anche lei la mano, ma per disordinare i capelli di lui: «Nulla, da quando sei arrivato, mi sta dicendo che dovrei andarmene.»

Lui sembrò non reagire in particolar modo, ma, passato un secondo, quasi si avventò su di lei, per abbracciarla stretta. Lei ricambiò quasi subito, ma, invece di circondargli il busto con entrambe le mani, una, di nuovo, raggiunse la zazzera bionda del ragazzo, mentre quest’ultimo aveva cominciato a strusciarsi contro i suoi capelli e la sua spalla con la testa.

«… Non me ne vado…» aggiunse lei, di nuovo a bassa voce. Aveva anche finito per affondare il naso nei suoi capelli.

Socchiuse gli occhi per un attimo, prese un respiro profondo e poi avvicinò la bocca al suo orecchio.

«… Adrien?»
«Mh?»
«… Ti amo, Minou
«Ti amo anch’io, Buginette…» singhiozzò lui, prima di stringerla leggermente più forte. Si aggrappò alla sua giacca come se, veramente, lei sarebbe potuta scomparire da un momento all’altro: «… Scusa…»
«Va tutto bene…»
«… Ti amo…»
«… Ti amo anch’io.» Gli rispose, ancora sottovoce.

Il respiro di lui si era fatto più corto, per via dei singhiozzi, e quello di lei, calmo, riuscì comunque a tranquillizzarsi, insieme alla sua mano che non aveva mai smesso di accarezzargli la testa.

«… Marinette…?»
«Mh?»
«Io sono… un tuo fan. Super, super… fan…»
«… Davvero?»
«Mh…» Mugugnò, prima di tirare su con il naso nel tentativo di arrestare le lacrime.

«È tutto ok, tranquillo Chaton…»
«… Marinette…?»
«Sì?» Sentì la sua presa farsi ancora più ferrea, ma non reagì in nessun modo particolare.

«… Non permetterò a nessuno di farti del male… Mai più. Mai, mai… più.»
«Non potrai proteggermi sempre… lo sai?»
«Sì, però… Però io-»
«Ho sempre avuto paura di crollare, per tutto quello che trasportavo sulle mie spalle… Tu mi hai fatto capire che ho tutto il diritto di cedere, quando non ce la faccio più. Così come quando sei appena arrivato… io mi sono lasciata andare e lo stesso stai facendo tu adesso.»
«… Mh…»
«… Quando sarai al tuo punto più basso, io ci sarò per aiutarti a risalire. Indossa la maschera per non permettere agli altri di bearsi dei tuoi punti deboli, ma puoi lasciarla cadere quando sei con me. Anche tu sei il mio super Adrien, ma hai tutto il diritto di essere fragile.»
«Mh…»
«… Hai capito, gattino?» Sussurrò vicino al suo orecchio, prima che lui tirasse un’ultima volta con il naso e poi alzasse finalmente testa per incrociare nuovamente il suo sguardo.

Marinette gli sorrise, nonostante la lacrima solitaria che le aveva percorso il viso e raggiunto il mento. Adrien prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, quando Marinette appoggiò per un secondo le labbra sulla sua guancia.

«Marinette… io-»
«… Hai solo quelle due parole sulla punta della lingua, vero?» A quelle parole, lui arrossì prepotentemente. Lei sorrise soltanto, non le scappò nessuna risatina: «Ti amo anch’io.»
«… Ingiusta.»
«Cosa?»
«Sei ingiusta… e dispettosa,» borbottò lui, imbronciato come un bambino.

«Cosa posso fare per farmi perdonare?»
«… Chiudi gli occhi,» la sfidò, con lo sguardo rivolto da tutt’altra parte.

Lei rivolse per un attimo il proprio al soffitto e poi fece come richiesto. Data la situazione, Marinette aveva ristretto il campo di concentrazione alla propria testa, ma nulla ci si avvicinò in particolare. Sentì qualcosa alle mani, le stesse che Adrien non aveva mai lasciato andare se non fino a poco prima, ma non arrivò nulla di quello che lei aveva finito per aspettarsi.

«… Aprili.»
«Volevi proprio mantenerlo il mu-.»

Si era bloccata dal continuare non appena i suoi occhi erano finiti sul cerchio di metallo che adesso si trovava attorno al suo anulare sinistro.

«… Adrien…»
«Non ho mai detto che erano riusciti a dissuadermi,» precisò, con il ritrovato sorriso caldo e dolce.

Marinette, ancora una volta, rimase in silenzio, mentre lui continuava ad accarezzarle le dita.

«Buginette, io… Io non ho bisogno del miraculous del coniglio…» Adrien si era focalizzato sulle sue dita per evitare il suo sguardo, ma, quando trovò il coraggio di incrociarlo di nuovo, il suo sorriso si ridimensionò: solo un lato rimase alzato. Le sue guance erano tornate rosse, al contrario di quelle di Marinette che, come quando lui era appena arrivato, avevano appena ridato il via libera alle lacrime: «… Perché io già quel giorno, sotto la pioggia… ho tenuto in mano l’ombrello che mi ha mostrato il mio futuro.» Lei, che già aveva serrato la bocca per evitare di scoppiare a piangere di nuovo, aveva addirittura cominciato a tremare per colpa dei singhiozzi trattenuti: «… Mi ha mostrato te, Marinette.»

La diretta interessata tentò di aprire bocca, ma il ragazzo si avvicinò a lei troppo in fretta. Aveva appoggiato la fronte alla sua, forse per dire che neanche lui se ne sarebbe andato… non questa volta. Aveva chiuso gli occhi per prendere un respiro profondo, riaperti questi, incrociò subito quelli di lei: lucidi, paragonabili all’acqua cristallina, nonostante la presenza delle onde.

«E tu… sei stata e sei tuttora, il mio presente

Davanti a lei non riusciva proprio a tenere la bocca chiusa. Aveva così tante cose per la testa che aveva bisogno di esternarle, di dirle proprio a lei. Non riusciva a starle troppo tempo lontano, forse per colpa degli incubi e delle paure nati in situazioni critiche. Questo a lei era dispiaciuto un po’ all’inizio, per motivazioni che, adesso, credeva di aver capito abbastanza. Per il resto, ormai, era consapevole che niente li avrebbe più separati… Un po’ come le loro labbra in quel momento, che si erano ritrovate, dopo diversi giorni, per merito di lei. Si era quasi avvinghiata, come lui ricordava di aver fatto per liberarla dall’akuma, ma non gli era dispiaciuto affatto.
Agli occhi di chiunque altro sarebbe passato come brusco o quasi violento, per lui era stato più simile a una carezza.

«Un modo per zittire te… sono riuscita a trovarlo… alla fine…»
«… Eh?» Gli uscì, con una fatica paragonabile a quella che gli era capitato di provare dopo fin troppi bicchieri di latte.

«Avresti preferito… il filo, Minou…?» Lui sembrava essersi appena ripreso da chissà quale botta, riusciva a malapena a sbattere insieme gli occhi. «Mh?»

Se il ragazzo non avesse completamente perso la testa in quel frangente, avrebbe ripensato al suo kwami, che, davanti a una scena come quella, sarebbe scoppiato a ridere e non avrebbe smesso di farlo per ore.

«… Forse è meglio alzarsi, non credi?»
«… Mh.»
· · ·
 
Tom, occupato a sistemare la cucina assieme alla moglie, si raddrizzò al sentire la botola della camera della figlia aprirsi.

«Non avventarti su di loro…» sussurrò la donna, memore tutte le altre volte in cui entrambi si erano messi un po’ troppo in mezzo nella vita sentimentale di loro figlia.

«Lo so, lo so… Però voglio sapere se va tutto bene.»
«Perché non dovrebbe?»
«Beh-»
«Mamma, papà?»

Il secondo, come se fosse stato appena colto sul fatto, alzò di scatto le braccia e Sabine, previdente, riuscì a salvare in tempo i piatti che il marito avrebbe dovuto lasciare nel lavandino. L’uomo rivolse lo sguardo verso la figlia e la ritrovò davanti alla scaletta, appoggiata con una mano al corrimano. Alle sue spalle, Adrien era occupato a pettinarle i capelli con le dita.

«Sì… Principessa?»
«… È successo qualcosa?» Chiese lei, prima che il padre muovesse nuovamente le braccia di scatto per nascondere le mani dietro la schiena.

«Assolutamente niente, tesoro! Perché?»
«Non so, sembri… agitato.»

Tom negò freneticamente con la testa e poi rivolse un sorriso alla figlia. Marinette non parve tanto convinta, ma ritrovò il sorriso quando Adrien le sfiorò il collo per raccoglierle i capelli.

«Si può sapere che stai facendo?»
«Nulla…»
«Sei stato sempre tu a sciogliermi i codini, o sbaglio?»
«… Sì?»
«Adrie-»
«Ferma! Non voglio farti male…» l’avvertì, poco prima che lei girasse la testa per guardarlo.

Sabine, una volta riuscita a sistemare davvero i piatti, si allontanò dal lavandino e alzò lo sguardo sul marito. Le parve leggermente più rilassato di prima, adesso occupato a guardare i due con gli occhi lucidi.

«… Voi due invece, Marinette?»
«Cosa?» Domandò lei, mentre Adrien si stava togliendo un solo elastico dal polso con l’ausilio dei denti.

«Tutto ok? Adrien mi è sembrato abbastanza preoccupato all’inizio.»
«Ah, sì… Tutto ok,» le rispose, con aggiunto un leggero movimento del capo.

Tom, in quel momento, scosse la testa e poi sbatté le palpebre. Si rese conto della presenza della moglie al proprio fianco e, nel tornare a guardare sua figlia e Adrien, ritrovò quest’ultimo leggermente più distante, occupato ad osservare la ragazza da lontano.

«Cosa? Ti sei spaventato?»
«No, ti ammiravo.»
«… È un tentativo di approccio tipico dei cecchini?»
«Forse,» le rispose, con i denti in vista e la punta della lingua sotto a questi.

«… Tom, non avevamo da finire un lavoro?»
«Ma abbiamo appena-… Oh! Sì, giusto!» Rispose, dopo essersi reso conto, fortunatamente in poco tempo, dell’intenzione della moglie.
«A voi dispiace se ci allontaniamo, ragazzi?»
«No, perché dovrebbe?» Domandò Marinette, quando Adrien era appena tornato alle sue spalle per abbracciarla.

«Era per sapere. Adrien non mi ha detto se aveva o meno i minuti contati.»
«Non l’ha detto neanche a me,» commentò la figlia, che alzò lo sguardo non appena il ragazzo appoggiò il mento sulla sua testa. «Devi andare o no?»
«… Se posso restare per cena…»
«Se vuoi puoi restare per sempre.» Tom si rese conto troppo tardi delle parole che gli erano appena scappate.

Sabine chiuse gli occhi, arresa, e incrociò le braccia al seno prima di sospirare. Tom rivolse lo sguardo al soffitto e chiese quasi perdono in silenzio. L’assenza di reazione esagerata da parte della figlia, però, catturò l’attenzione di entrambi i coniugi.

«… Non guardarmi così, io non ho detto niente.» Parlò, invece, Adrien, quando i due erano appena tornati a guardarli.

«Papà, ti prego, non dargli corda che lo fa veramente.»
«Come se ti dispiacesse…» borbottò Adrien, inizialmente con una faccia innocente e lo sguardo rivolto chissà dove.

Al vedere Marinette tentare di bloccarlo, la evitò spostandosi di lato e arretrando verso il divano.

«Fai silenzio, tu!»
«… Lo sai che esiste un solo modo, Chevaliere.» Le ricordò, con di nuovo uno dei suoi tipici sorrisi maliziosi.

Marinette, colta in flagrante, sgranò gli occhi e fece per raggiungerlo, ma il ricordo di avere i genitori a due passi la riscosse.

«… Mi sembra di capire che tra voi due va tutto bene.» Commentò, infatti, Sabine al ritrovarsi addosso gli occhi della figlia.

«Ah… sì?»
«… Figliolo, cosa preferisci per cena?»
«Non ho preferenze… Qualsiasi cosa è in vena di preparare.»
«… Posso una versione mini di un probabile buffet nuziale…?» Domandò, sottovoce, Tom alla moglie, con un bellissimo sorriso stampato in faccia.

«Se riesci a farlo senza che loro se ne accorgano…»
«Adrien, puoi ridarmi l’elastico?»
«… No?»
«Come no?»
«È mio adesso.»
«… Adrien.»

Lui, ora seduto comodo sul divano, stava osservando lei, appoggiata con entrambe le mani allo schienale.

«Mi fai un codino?»
«Ahhh… Capriccioso di un gatto.»
«Mi ami anche per questo…» sussurrò, quando lei si era appena inginocchiata alle sue spalle, visto il suo essersi girato preventivamente per evitare che a lei risultasse scomoda la posizione.

«… Sì, ma non dirlo in giro.»
«Posso urlarlo ai quattro venti?»
«Non ai sedici? Sei solito pensare in grande…»
«Ehehe!»
«Ti va di passarmi l’elastico adesso?»
«Prometti che non me lo rubi come hai fatto con il mio cuore?»
«… Sono al tanto così dallo soffocarti, Adrien.»
«Di baci?»
«… Sì,» crollò lei, sulle sue spalle assieme al finto tono duro.

Il ragazzo si tolse l’elastico dal polso e, nel muovere busto e testa per guardare la ragazza, quest’ultima gli lasciò un bacio a stampo a tradimento sulle labbra. Lui sgranò gli occhi sul momento e lei, con le palpebre socchiuse, gli rivolse un largo sorriso.

«… Got your tongue, kitty cat

Entrambi avevano smesso di badarci, ma Tom e Sabine rimasero notevolmente sorpresi alla vista di quella scena. Tom, soprattutto, con la sua bocca aperta e le mani sulle guance.
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Angolo autore:
Sì, un'altra oneshot a tema Miraculous, questa volta molto più carina, dolce e, soprattutto, a lieto fine.
Se vi va, potete lasciarmi una recensione, altrimenti vi ringrazio ugualmente per essere passati.

- Louis_
   
 
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