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Autore: Risa_chan    15/12/2022    5 recensioni
Era rimasto intrappolato dentro una scatola. Non era ancora riuscito a uscire nonostante respirare diventava ogni giorno sempre più difficile e la sua forza veniva meno.
Shoyo premette lo sciacquone del wc e uscì dal cubicolo. Andò al lavello, si lavò le mani il più lentamente possibile. Voleva prendere tempo per cercare una via di fuga dal locale e scappare più veloce e lontano possibile. Non trovandone nessuna, dovette tornare nella sala.
Una mano gli afferrò il gomito stringendolo troppo forte. «Dove diavolo sei stato?»
Shoyo cercò di divincolarsi. «Mi stai facendo male, lasciami».
Il suo fidanzato Jiro strinse ancora più forte.
[25 DAYS OF FICSMAS - CHALLENGE DI DICEMBRE] del gruppo [NON SOLO SHERLOCK]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Nuovo personaggio, Shouyou Hinata, Tadashi Yamaguchi, Tobio Kageyama
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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  #25daysofficsmas


Note Iniziali:

Non posso crederci! Sono riuscita a finirla! E’ stato davvero bello e divertente scrivere questa fic. La challenge e i prompt mi hanno davvero ispirata tantissimo. Parlare di violenza domestica mi spaventava a morte, spero di essere riuscita a pararne nel modo giusto.
Temo che i personaggi siano un po’ OOC per cause di trama, ma mi sono impegnata per mantenerli IC il più possibile.
Presto la pubblicherò anche su efp.
Niente, spero che vi piaccia.
Kiss
Risa

 
 
TITOLO: Forte abbastanza
FANDOM: Haikyuu!!
RATHING: Giallo
PERSONAGGI: Hinata Shoyo, Kageyama Tobio, Nuovo personaggio, Tsukishima Kei, Yamaguchi Tadashi, Osamu Miya.
COPPIA: [KageHina] accenni [TsukkiYama]
AVVERTIMENTI: AU, Violenza domestica, possibile OOC.
PROMNT:  Giorno 15  Dicembre:
  • Sei davvero uno sciocc* se pensi che...
  • X invita Y  a trasccorere la notte a casua sua
  • Y non è solo quando conosce X
  • Violenza domestica
 
 
Era rimasto intrappolato dentro una scatola. Non era ancora riuscito a uscire nonostante respirare diventava ogni giorno sempre più difficile e la sua forza veniva meno.
Shoyo premette lo sciacquone del wc e uscì dal cubicolo. Andò al lavello, si lavò le mani il più lentamente possibile. Voleva prendere tempo per cercare una via di fuga dal locale e scappare più veloce e lontano possibile.  Non trovandone nessuna, dovette tornare nella sala.
Una mano gli afferrò il gomito stringendolo troppo forte. «Dove diavolo sei stato?»
Shoyo cercò di divincolarsi. «Mi stai facendo male, lasciami».
Il suo fidanzato Jiro strinse ancora più forte.
Ogni volta che provava a lottare per aprire quella scatola, Jiro lo schiacciava con maggior violenza per impedirglielo.
Il primo schiaffo che gli aveva dato bruciava ancora; erano andati a convivere da un mese o giù di lì; Shoyo si era permesso di chiacchierare con un vicino come aveva sempre fatto con tutti.
Jiro aveva pianto e pregato che lo perdonasse, aveva giurato che non sarebbe più accaduto. Shoyo stupidamente gli aveva creduto.
Spoiler: non era stato l’ultimo. Erano arrivati anche pugni e calci, più passava il tempo più le botte diventare più violente.
Viveva nella paura di muoversi: all’improvviso poteva trovarsi steso a terra senza saperne il motivo.
Shoyo non poteva parlare, ne guardare qualcuno negli occhi mentre gli rivolgevano la parola, non poteva uscire con i suoi amici oppure uscire da solo. Doveva tornare a casa senza cambi di programmi, altrimenti, era un ingrato, un egoista, uno pronto a tradire la fiducia che avevano riposto in lui.
Shoyo doveva essere solo di Jiro in ogni senso possibile, nemmeno lui poteva decidere di sé stesso.
Perché aveva permesso che la morsa sul suo collo si stringesse a tal punto?
Secondo l’opinione di chi diceva di amarlo, era soltanto un idiota incapace di vivere senza qualcuno disposto a dirigerlo e controllarlo.
Non poteva essere così, aveva vissuto bene prima, no?  Shoyo valeva più di così…tuttavia sentirselo ripetere ogni giorno come un mantra ha finito per crederci anche lui.
«Ehi Jiro, ti voglio presentare una persona.»
Il suo ragazzo si voltò verso il suo collega sorridendo come se nulla fosse. «Con piacere!»
La rabbia sul suo viso sembrava volatilizzata mentre stringeva la mano dello sconosciuto.
Tornava sempre la persona che lo aveva conquistato quando parlava con chiunque, tutti tranne che con Shoyo.
«Lui invece è Hinata Shoyo, il compagno di Jiro».
 Hinata fece un breve inchino dicendo qualche parola di circostanza senza neanche alzare lo sguardo.
«Kageyama Tobio piacere di conoscerti».
Shoyo arrischiò un occhiata al nuovo arrivato, e due occhi blu scuro lo fissavano imperscrutabili. D’istinto si sistemò il collo del maglione giallo ocra che indossava.
«Tobio è un mio vecchio compagno delle medie, è stata una sorpresa incontrarlo qui,» disse Kindachi.
Ogni tanto uscivano a bere qualcosa insieme ai colleghi di lavoro di Jiro. Sceglievano sempre bar alla moda che servivano champagne e stuzzichini costosi.
Shoyo gli odiava, troppo ingessati, finti e pretenziosi.
 Jiro chiese affabile: «Come mai è una sorpresa?»
In quel momento ricordava troppo un serpente a sonagli pronto a saltarti alla gola, Shoyo avrebbe voluto scostarsi da lui, però, Jiro gli stringeva la vita fingendo di essere la coppia affiatata e innamorata ideale.
«Non sono interessato a questi posti,» rispose Kageyama.
«Perché sei tutto lavoro altroché,» lo prese in giro Kindachi.
Kageyama rispondeva alle domande ma non ne faceva mai a sua volta, erano gli altri due a portare avanti la conversazione. Rimase con loro giusto il tempo che imponeva la cortesia prima di congedarsi e andarsene.
 Shoyo era rimasto accanto a Jiro come un fantasma silenzioso ed invisibile, eppure, Shoyo poteva giurarci, Kageyama aveva inseguito il suo sguardo per spingerlo a rivolgergli la parola. Sembrava sfidarlo a reagire, a spezzare la sua gabbia a mani nude.
Non rivolgere la parola a qualcuno di sua iniziativa era il modo che aveva trovato per sopravvivere; era sbagliato, insano, lo sapeva ma Shoyo non vedeva alternative.
Così ignorò e tacque.
 
***
Kageyama non era fisionomista, tendeva dimenticarsi delle persone con cui non aveva a che fare quotidianamente.  Spesso non sapeva associare il nome ai volti di conoscenti o di chi aveva incontrato una volta soltanto.
Tobio ricordava solo ciò che gli interessava.
Appena intravide Hinata Shoyo tra gli scaffali al supermercato lo riconobbe all’istante.

«Oi,» salutò.

Sorpreso, Hinata alzò lo sguardo dalla confezione di riso che teneva nelle mani.  Quando incontrò il suo sguardo, si irrigidì: «Ciao, cosa ci fai qui?»
Era spaventato, continuava a guardarsi in torno per accertarsi di non essere visto parlare con lui.
Tobio strinse la presa sul manici del suo cestino.  «Faccio la spesa boke».
Shoyo s’imbronciò stizzito. «Beh certo, non ti ho mai visto e mi chiedevo se abitassi qui vicino».
Tobio alzò le spalle: «non abito nelle vicinanze ma questo supermercato è a metà strada tra il lavoro e casa mia. Mi servivano delle cose che avevo dimenticato così mi sono fermato».
«Oh certo, capisco, è stato un piacere rivederti, devo…»
Non erano fatti suoi, tuttavia, Tobio non riuscì ad ignorare il taglio che spaccava la bocca rosa di Hinata. «Cosa hai fatto al labbro?»
Shoyo si coprì con una mano cercando di nasconderlo. «Non è niente, è stata colpa mia, sono sbadato».
Tobio provò ad indovinare.  «Hai avuto un incidente?»
Shoyo annuì cercando di sorridere. «Una specie».
L’impressione che aveva avuto su Shoyo, la sera in cui l’aveva a conosciuto, era giusta.
I segni c’erano tutti: lo sguardo battagliero e disperato, i lividi al collo nascosti sotto un dolce vita, il labbro spaccato, nascondere la verità dietro le menzogne, la paura paralizzate per aver incontrato Kageyama per caso al supermercato. 
Shoyo subiva violenze ogni giorno, da chi, era facile dedurlo.
Quante volte lo aveva già fatto?  Coperto di vistiti per non farsi vedere, raccontato che i segni dei pugni non erano niente, era lui ad essere sbadato, troppo goffo… ma Tobio non era nessuno per contraddirlo.
«Sono cose che capitano,» Tobio si mosse di un passo, «ti ho trattenuto fin troppo».
«Ci vediamo,» lo salutò Kageyama prima di continuare per la sua strada.
O per lo meno era ciò che si era prefissato di fare.
 Tobio tornò a casa senza avere un attimo di pace. La sua mente continuava a rivivere la conversazione che aveva avuto con Shoyo; cercava di scrollarselo di dosso, a dirsi che non erano fatti suoi, ma niente. Faticò ad addormentarsi la sera, il suo sonno fu disturbato ed agitato come non gli era capitato da parecchio.
Il giorno dopo non andò meglio; l’immagine di Shoyo ferito e spaventato continuava a interferire con il suo lavoro.
Kageyama chiuse il laptop con violenza. Non riusciva a concentrarsi, tanto valeva fare una pausa. Andò a preparare un caffè alla macchinetta.
Hinata Shoyo gli aveva invaso la testa e non sembrava volersene andare.
Ma non poteva aiutarlo.
Non era un cavaliere dall’armatura scintillante pronto a salvare la principessa dal drago: non poteva dire basta al posto di qualcun altro, però, sapeva quanto le persone come Hinata Shoyo avessero bisogno di supporto.
Kageyama suo mal grado conosceva abbastanza la situazione da sapere come agire. Non poteva stare con le mani in mano.
Era un pensiero che aveva in testa che non lo lasciava in pace. Shoyo gli ricordava troppo com’era Miwa quando era ancora sposata con il suo ex marito, l’inferno in cui viveva, e la sensazione di impotenza che aveva provato lui.
E se doveva essere sincero con se stesso, semplicemente voleva rivedere Shoyo, voleva conoscerlo, qualcosa in lui lo colpiva a tal punto, che no, non avrebbe mai lasciato perdere.
 
***

Era normale si disse.
Kageyama frequentava lo stesso supermarket perché gli era comodo, i prezzi vantaggiosi e la qualità eccellente.  Sebbene non fosse proprio ad un passo da dove abitava era sulla sua strada, non veniva lì per lui.
Dapprima, lo incontrava sporadicamente, si scambiavano qualche convenevole per cui non valeva la pena soffermarsi.
Le coincidenze cominciarono ad aumentare sempre più spesso: ogni pretesa era buona per conversare, la fila al banco, alla cassa, in fine gli capitò di uscire insieme dal negozio.
Diventò una specie di usanza: facevano la spesa insieme, chiacchieravano, si scambiavano ricette.
«Il riso al curry di mio nonno è il migliore,» disse Kageyama.
«Sono curioso di provarlo,» Shoyo appoggiò il sacchetto con dentro un grosso cavolo nero sulla bilancia. 
 Si spostò di lato per permettere a Tobio di pesare i suoi spinaci.
«Se mi dai il tuo numero ti mando la ricetta tramite WhatsApp».
Hinata si pietrificò sul posto. Avrebbe dato il numero volentieri a Tobio per la ricetta ma se Jiro l’avesse scoperto, avrebbe potuto pensare male, che lui lo stava tradendo e si sarebbe arrabbiato tantissimo.
 Senza volerlo le parole scapparono dalla bocca di Shoyo: «Jiro non vuole».
Kageyama non si scompose, anziché chiedergli che risposta assurda era, chiese: «Jiro è molto geloso?»
Shoyo annuì lentamente.
«Basta non farglielo sapere,» spiegò Kageyama come se fosse del tutto normale, «segna il mio numero sotto un falso nome tipo, il dentista o qualcosa del genere».
Shoyo aprì la bocca dalla sorpresa. Un altro essere umano avrebbe semplicemente lasciato perdere e probabilmente avrebbe cominciato ad ignorarlo, Tobio no, gli dava una soluzione.
Kageyama sogghignò.  «E se vuoi stare ancora più tranquillo, cancella anche i messaggi. Non può arrabbiarsi di qualcosa che non sa».
Quello non era poi così normale.
Shoyo iniziò a pensare che Tobio stesse cercando di aiutarlo, di ridargli fiato, quello che invece Jiro gli spezzava.
E Dio solo sapeva quanto aveva bisogno di riprendere fiato, di sentirsi meno solo.
«Prendi il cellulare ti detto il mio numero,» disse Hinata.
Uscirono dal supermarket insieme.  Un nuovo numero sotto un vecchio contatto del lavoro che non gli serviva più e che Jiro non avrebbe mai sospettato quando avrebbe guardato il suo cellulare.
«Ti va di prendere un caffè?» gli chiese Tobio a bruciapelo.
 Shoyo esitò, ma Kageyama non demorse.
«Ho sentito Kindachi oggi, deve rimanere al lavoro fino a tardi,» disse casualmente, «ti faccio un po’ di compagnia e non passi il resto del pomeriggio da solo».
Se Kindachi rimaneva fino a tardi anche Jiro avrebbe fatto tardi.
Kageyama aveva intuito che qualcosa non andava, e gli stava porgendo una mano senza dirlo, a Hinata bastò afferrarla.
Per la prima volta Shoyo gli sorrise. «Va bene.»
 
***
 
La neve aveva smesso di cadere da qualche giorno, il sole pallido riscaldava abbastanza da fare una passeggiata fino ad un piccolo caffè lungo la via alberata.
«Sono un pr, mi occupo di pubbliche relazioni in un agenzia specializzata».
«In parole povere sei la faccia delle aziende,» Tobio si sfregò le mani prima di infilarle più profondamente nelle tasche del cappotto.
«Non solo, cerco di costruire relazioni positive tra istituzioni, aziende e pubblico con la clientela».
Da come parlava doveva piacergli molto quello che faceva.  Stare in mezzo alle persone, parlare con tutti cercando di metterli a loro agio, lo faceva tutto il tempo.
Era lo stesso giovane uomo che lo aveva a mala appena salutato quando lo aveva conosciuto.
«Tu invece?»
Tobio ghignò: «direttore di gestione del rischio».
Shoyo si voltò esterrefatto: «lavori per il governo?!»
«Collaboro anche con il governo,» precisò Tobio.
Nonostante fosse molto giovane era riuscito a raggiungere una posizione di rilievo abbastanza velocemente grazie al suo impegno e dedizione.  Tobio si immergeva, non vedeva altro che i suoi obiettivi o problemi che incontrava, aveva spesso trascurato la sua vita privata per questo. Ma amava troppo quello che faceva per trovare tempo per altro.
A meno che non trovasse fuori qualcosa che lo passionasse allo stesso modo.
 
Jiro era fuori per un viaggio di lavoro per una intera settimana, e se pure a fatica, Kageyama aveva convinto Shoyo a uscire durante il weekend.
«Scommetto che non ci riesci,» decretò Tobio.
«E invece sì, sono veloce ed agile, mettimi alla prova, se hai coraggio!»
Tobio non se lo fece ripetere. «Chi arriva prima a quell’insegna».
«Ci sto».
Si misero in posizione, un piede davanti al altro, pronti a scattare.
«1 2 3 Via!»
Non avevano scarpe né vestiti comodi, eppure, corsero con le ali ai piedi, veloci come il vento; i loro cuori battevano furiosamente, i polmoni bruciavano per lo sforzo ma la fatica era liberatoria.
L’unico obbiettivo era vincere.
«Ho vinto!» esclamò trionfante Tobio.
Gli occhi di Shoyo brillavano di luce propria. «Rifacciamola, ti batterò senz’altro».
Si teneva un fianco con una mano e il viso sofferente fece supporre a Tobio che Jiro gli avesse lasciato qualche ricordo prima di partire.
Shoyo era capace di sorprenderlo e di scatenare in lui le emozioni più disparate.  Mentre Tobio cercava di cogliere la sua fiducia e dargli la possibilità di aprirsi, scoprì i lati di lui che era stato costretto a reprimere a causa della relazione malsana con Jiro.
Hinata era energico, passionale e ferocemente competitivo. Proprio come lui.  
«Hai velocità e riflessi incredibili, avevi ragione».
Shoyo sorrise, stava per ribattere quando il suo cellulare squillò. Le labbra si abbassarono istintivamente.
«Devo rispondere».
Afferrò il cellulare: «Ciao Jiro».
Più passava il tempo e più si rendeva conto di quanto fosse ferrea la presa di Jiro. 
Lo subissava di chiamate e Shoyo doveva rispondere al primo squillo. Provocava un’enorme pressione psicologica dalla quale era difficile sottrarsi.
Hinata però era forte abbastanza da riuscire a mantenere lucidità per capire quanto quel nodo stretto alla sua gola fosse sbagliato. 
«È strano vero?»  chiese Shoyo quando chiuse la chiamata.
Teneva la testa bassa, si tormentava le mani dal nervosismo. «Ricevere chiamate continue dal tuo ragazzo non è normale».
«È di certo inusuale, ma nessuno può giudicare,» rispose sincero, «io non ti giudicherò mai».
Tobio voleva aiutarlo a liberarsi, ormai non aveva più dubbi.
Per riuscirci doveva convincere Shoyo ad aprirsi e per fare ciò era estremamente importante che, Jiro non avesse il minimo sospetto che Kageyama fosse entrato nella vita di Shoyo.
Il segreto stava nell’utilizzare quegli spazi di tempo, i quali Jiro non poteva minimamente controllare.
Le pause pranzo erano un ottimo spazio per aiutare Shoyo a respirare.
 L’Onigiri Miya aveva sempre una saletta privata per Tobio, e quando potevano pranzavano insieme.  
Il periodo natalizio era esploso in pieno ed era impossibile non notarlo.
Il ristorante era stato decorato di fili di luci colorate, un abete decorato con palline di vetro dipinte, un Babbo Natale appeso alla parete che sembrava scendere dal soffitto con una scaletta.
Anche Tobio doveva ammettere che gli addobbi natalizi mettevano allegria al solo guardarli.
Kageyama lo stava aspettando già seduto al tavolo, osservando una volta l’orologio, una volta sbirciava la porta che poteva vedere dalla zona riservata. Aspettare di rivedere Shoyo era il suo nuovo passatempo preferito.
Le labbra di Tobio si contrassero istintivamente quando una testa rossa comparve con il fiatone.
Shoyo si srotolò la sciarpa dal collo e si diresse verso di lui.
«Ciao, è tanto che aspetti?» si tolse il cappotto e lo appoggiò su una sedia libera prima di sedersi con un piccolo tonfo.
«Non più di tanto».
Fece finta di non notare l’occhio nero che aveva cercato di coprire con del fondotinta, e chiamò il cameriere, per ordinare.
Nel periodo natalizio tutti sembravano sempre più felici, tutti tranne Shoyo che sembrava spegnersi sempre di più.
«Come va?»
«Oh bene! al lavoro stiamo organizzando un grosso evento per natale,» fece una pausa, «a casa un po’ meno».
Non avevano mai parlato apertamente della questione, solo frasi a metà, discorsi vaghi o parlavano per metafore, ma sapevano tutti e due di cosa stessero parlando.
Tobio stava aspettando che fosse Shoyo a decidere cosa dire e quando farlo.
«Ti va di parlarne?»
 Shoyo sbuffò. «Di cosa? Che il mio ragazzo mi picchia e io glielo permetto?»
Kageyama non commentò e rimase in silenzio.
«Qualsiasi cosa faccio è quella sbagliata,» Shoyo prese aria, «e ogni volta va sempre peggio».
«Non sai cosa fare, vero?» chiese Tobio.
Shoyo annuì. «Non lo so, non so come ho fatto a finire in questa situazione, io…»
 «Non è colpa tua. E’ colpa dell’incidente».
Era un bel modo di definire Jiro. Un incidente umano, uno sbaglio colossale.
La voce di Hinata tremò: «ma ho permesso che accadesse».
«A tutti capita di inciampare e cadere, nessuno può dire il contrario,» disse Kageyama.
Il cameriere arrivò con le ordinazioni.
Tobio aspettò che si allontanasse prima di continuare: «tutti possiamo incontrare persone sbagliate, trovarsi in situazioni inimmaginabili, non è colpa tua se accadono».
«La tua vita appartiene a te soltanto, sei tu che decidi cosa fare, come e quando».
 
***
 
 
 La bomba esplodeva sempre allo stesso modo. La miccia poteva variare, un rumore di troppo, la risposta sbagliata ad una domanda ma il risultato non variava.
Jiro lanciò il piatto sul muro, sfilò la tovaglia dal tavolo scagliando bottiglie bicchieri e tutto il contenuto sul pavimento.
Poi fu il turno di Shoyo. Non ci andò leggero.
Quando Jiro se ne fu andato sbattendo la porta, ci mise parecchio tempo prima di rialzarsi.
Faceva fatica a respirare, aveva un forte dolore all’addome, probabilmente qualche costola rotta, il naso sanguinava e il viso gli faceva un male cane.
Shoyo lentamente, aggrappandosi al muro, si mise in piedi.  Osservò la scena: di solito avrebbe provato a rimettere a posto la stanza, quella volta no.
Prese dalla tasca dei suoi pantaloni un pezzo di carta con un numero di telefono.
Era troppo stanco di quel dolore, stanco di sopportare le botte e le urla. Era da un po’ che provava a reagire ma Jiro era stato capace di sottrargli ogni forma di speranza.
Se fosse stato abbastanza forte allora…
«Sei più forte di lui, credici».
Le parole di Kageyama che continuavano a ronzagli nella testa.
«So cosa significa mia sorella ci è passata. Conosco qualcuno che potrebbe aiutarti».
 Qualcosa scattò in lui, non avrebbe concesso un minuto di più. Prese un borsone e vi buttò dentro più vestiti che poté.
Afferrò la maniglia del portone e la chiuse dietro di sé per sempre.
 

***
 

Non sapeva dove andare, tanto per cominciare. Da sua madre e sua sorella era escluso; Jiro sarebbe andato per prima da loro.
Aveva tanti amici prima ma aveva perso i contatti con molti di loro. Era così che lo voleva no, solo inerme sotto i piedi.
Per la prima volta dopo anni sentì rabbia ribollire nelle vene.
Mai più.
Guidò fino ad una zona residenziale, davanti alla terz’ultima villetta con il giardino ben tenuto.
Suonò alla porta.  
«So che è tardi ma…»
Tsukishima svettava in tutta la sua altezza sopra di lui. Un gigante davanti ad un uccelletto spelacchiato con un’ala rotta.
Kei non disse una parola, e si fece da parte per farlo entrare. Lo portò nel salotto.
«Tadashi, prendi la cassetta del pronto soccorso!» esclamò.
Shoyo sentì dei passi scendere le scale e il volto dolorosamente famigliare di Yamaguchi comparve allarmato. «Ti sei ferito?»  
Quando riconobbe il volto tumefatto di Shoyo sussultò: «Sho-chan oh mio Dio! cosa ti ha fatto?»
Kei prese la valigetta dalle mani del suo ragazzo. «Dovresti andare al pronto soccorso…»
Shoyo annuì. «Sì e voglio denunciare Jiro per violenza domestica».
Sul viso di Kei raramente vedeva un emozione diversa dallo scherno ma, in quel momento, lesse solo sollievo.
«Meno male».
«Hai un posto dove andare, Sho-chan?» chiese Tadashi.
«Volevo chiedervi se potreste ospitarmi».
Tadashi sorrise. «Tutto il tempo che vuoi».
Kei non ebbe da obbiettare. «E’ deciso, ti porto all’ospedale».
I suoi amici erano sempre stati dalla sua parte ma avevano le mani legate, erano rimasti in silenzio sperando che Shoyo un giorno avrebbe chiesto il loro aiuto.
Eccoli pronti a sostenerlo.
Il cellulare di Shoyo squillò. Aveva avuto molto meno tempo del previsto.
«Non rispondere,» consigliò Tadashi.
«No, devo farla finita».
Rispose. La voce di Jiro gli ruppe un timpano per quanto urlava. Aveva bevuto, come sempre quando gli girava la luna storta.
«Dove diavolo sei?! Non posso lasciarti solo un minuto, razza di…», Shoyo sentì un rumore incomprensibile seguito da un imprecazione di Jiro, «Torna subito a casa».
«Non torno a casa».
Jiro non si aspettava una risposta così secca e rimase interdetto. «Stai scherzando?»
«Non tornerò a casa mai più. E’ finita,» Shoyo ripeté il concetto scandendo bene le parole.
Jiro rise. «Sei uno sciocco se pensi che…»
«Lo sciocco sei tu se pensi di poter decidere sulla mia vita ancora una volta.  Non ti avvicinerai mai più a me».
Chiuse la chiamata e spense il cellulare.
«Sono pronto, andiamo».
 
***
Un altro Natale stava arrivando senza che Tobio se ne fosse realmente accorto.
Tobio camminava fra le vie del centro cercando di non scivolare sulla neve caduta di fresco ed evitare di scontrarsi con le persone che andavano e venivano tra le baracche id legno per comprare oggetti dai colori sgargianti o bere bevande calde in tazze di coccio.
Kageyama voleva solo pranzare nel suo ristorante di fiducia e tornarsene subito a lavoro. Entrò dentro L’origini Mya, batté i piedi sul tappeto per togliere la neve sugli scarponi.
«Ehilà Tobio!»
Kageyama ricambiò il saluto di Osamu con un gesto della mano mentre si sedeva al bancone del ristorante per mangiare qualcosa di veloce prima di tornare in ufficio.
«Il solito?» gli chiese.
«Il solito,» confermò.
Osamu era un tipo tranquillo, socievole sì ma anche riservato. Non forzava mai una conversazione quando capiva che il suo interlocutore non era interessato. Quel giorno, al contrario, aveva voglia di parlare con lui.
«Ti manda i saluti Tsumu,» gli raccontò.  Spillò la birra in un bicchiere e poggiò la pinta sotto un porta bicchiere davanti a lui.
Tobio ne bevé un sorso. «E ’ tanto che non lo vedo, come sta?»
«Il solito stronzo,» rispose passandogli il piatto che aveva ordinato, «mi ha chiesto come stavi quando ci siamo sentiti».
«Ah,» disse monocorde.
«Me lo sono chiesto anche io». 
Osamu lo disse come se non fosse una cosa strana da dire. Kageyama pranzava sempre nel suo ristorante durante la settimana, non poteva chiedersi una cosa del genere.
«Mi vedi, sto bene,» disse perplesso.,
Osamu fu diretto.
«Ti vedo e non stai bene da…», si mise una mano sul mento fingendo di riflettere, «… vediamo, ah sì!»
«Più o meno da quando non vieni qui con quel tuo amico rosso». 
Non contento, Mya Osamu chiese: «Cosa gli è accaduto?»
Non vedeva Shoyo da un anno. Il suo cellulare era stato disattivato, e non aveva altro modo di contattarlo. Poteva provare al lavoro ma aveva preferito di non farlo. Kindachi gli aveva confidato che alla fine aveva denunciato Jiro, e la situazione era delicata.
Se non si era fatto vivo con lui, doveva avere un buon motivo.
Ma faceva male non poterlo vedere e sentire la sua voce. Alla fine, Tobio Kageyama si era innamorato come un cretino.
Shoyo era estroverso, carismatico e magnetico.
La luce dietro quei gli occhi sofferenti era debole ma ancora vivida; Tobio l’aveva vista e non l’avrebbe mai dimenticata.
Osamu non era un suo amico intimo ma non aveva voglia di mentire.
«Sei perspicace,» fece tentennare la posata sul piatto, «ha una situazione complicata».
«Beh,» Osamu non finì la frase e spalancò gli occhi, «parli del diavolo…»
Tobio si voltò.
Shoyo era entrato nel locale e si guardava in torno cercando qualcuno. Quando vide Tobio sorrise. Non era un sorriso normale, era aperto e abbagliante.  
Aveva un aspetto diverso, non era qualcosa di spiegabile a parole.
«Qualsiasi cosa deve essere passata,» disse Osamu prima di allontanarsi.
Hinata lo raggiunse; indicò lo sgabello accanto a quello di Kageyama. «Posso sedermi?»
Tobio rispose di sì.
Guardare Shoyo ordinare sembrava un miraggio, un’illusione molto reale ma sempre frutto della sua mente. Eppure, eccolo lì per cercare lui.
C’erano tante cose che avrebbe voluto chiedergli, dalla sua bocca uscì quella meno probabile di tutte.
«Vuoi passare la notte a casa da me?»
Shoyo scoppiò a ridere. «Non è presto per domande del genere?»
«Non volevo…»
Shoyo non se la bevve. «oh, intendevi quello, altroché».
Tobio arrossì.
«Non preoccuparti, non è un problema sono un uomo libero,» fece una pausa, «di più, l’altro ieri Jiro è stato condannato».
«E’ un ottimo risultato,» disse Tobio esterrefatto.
«Ero malconcio quando sono andato all’ospedale per curarmi e denunciare. Inoltre, amici e vicini hanno testimoniato in mio favore».
«E grazie al tuo amico avvocato esperto in maltrattamenti è stato un gioco da ragazzi, quindi grazie per avermelo consigliato».
Tobio scosse la testa: «era il minimo che potessi fare».
L’ordine di Hinata arrivò e mentre mangiarono si misero a parlare.
Shoyo per sicurezza aveva preso sei mesi di aspettativa, ma dal mese successivo avrebbe ripreso il lavoro.
Si era inscritto ad una squadra di pallavolo dilettante e andava regolarmente da una psicoterapeuta. Lo stava aiutando a superare il trauma e a riprender in mano la sua vita.
Uscirono dal ristorante e fecero un tratto di strada insieme.
Tobio si fermò all’angolo in cui doveva girare. «Beh io vado da questa parte».
«Accetto l’invito,» disse Shoyo improvvisamente.
Kageyama registrò la frase ma non il significato.
Shoyo si avvicinò e gli sfiorò le labbra: «passerò la notte da te, lo vuoi ancora?»
Kageyama sorrise: «Puoi scommetterci».
Era l’inizio di qualcosa, ne era certo, sarebbe durata per molto, molto, molto tempo.
 

Note finali:
Ho deciso di inventarmi un nuovo personaggio perché mi era insopportabile usare uno qualsiasi dei personaggi di hq.
 
 

 
   
 
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