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Autore: _p_ttl_    16/12/2022    2 recensioni
Merlin, come spesso accade, scompare per qualche giorno venendo meno a importanti compiti affidatigli da Arthur. La punizione dovrebbe essere esemplare ma a preoccupare il mago è più il cambiamento del principe nei suoi confronti. Inoltre, Merlin non è disposto ad accettare tutto ciò che Arthur decide essere lecita punizione.
Questa storia partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP.
La parola scelta è Oodal, dalla lingua Tamil (lingua parlata in India, Sri Lanka e Singapore): quella finta rabbia che gli innamorati ostentano dopo un banale litigio, un grande amore mascherato da rabbia che può servire a ritrovarsi con più gioia quando si fa la pace.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Questa storia partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP.
La parola scelta è Oodal, dalla lingua Tamil (lingua parlata in India, Sri Lanka e Singapore): quella finta rabbia che gli innamorati ostentano dopo un banale litigio, un grande amore mascherato da rabbia che può servire a ritrovarsi con più gioia quando si fa la pace. 



CHI NON LITIGA NON FA PACE

‘Questa volta giuro che lo ammazzo con le mie mani. Altro che gogna, la gogna gli sembrerà una vacanza a confronto.’
Arthur camminava a passo di marcia lungo i corridoi del castello ignorando guardie e servitù che gli porgevano cenni e saluti e fulminando con lo sguardo chiunque provasse a dirgli qualcosa o malauguratamente si trovasse sul suo cammino. Le braccia distese lungo i fianchi ondeggiavano avanti e indietro in modo minaccioso ad ogni passo e teneva i pugni così stretti da far diventare bianche le nocche. Lo sguardo aggressivo e la mascella serrata non dovevano essere molto rassicuranti, tanto che più di qualche serva, dopo un piccolo inchino appena accennato, aveva cambiato strada per non rischiare di avvicinarsi troppo. Il respiro era accelerato per la rabbia e per il passo sostenuto. Stavolta quel babbeo del suo servitore l’aveva fatta proprio grossa. Scese di corsa le scale e percorse a gran velocità il corridoio che portava allo studio di Gaius. Bussò col pugno contro la porta con un po’ troppa forza e non attese che pochi secondi prima di riprendere a battere la mano aperta sul legno scuro chiamando a gran voce il suo servitore.
Merlin e Gaius erano intenti  a stendere della valeriana da essiccare su un panno di tela quando la furia del principe cominciò ad abbattersi sull’uscio della loro piccola e umile dimora. Smisero immediatamente di sistemare ordinatamente l’erba per le tisane calmanti di Lady Morgana e si guardarono meravigliati. Gaius accennò un sorriso sadico come per chiedere al suo protetto come se la sarebbe cavata quella volta, mentre l’espressione di Merlin era a metà tra lo sconcertato e il terrorizzato.
“Bene, mi chiedevo proprio quanto avremmo dovuto aspettare prima che succedesse questo…”, Gaius trattene a stento una risatina e Merlin gli rivolse uno sguardo torvo serrando le labbra.
“Non siete per niente divertente, Gaius.”
A interrompere il battibecco fu un pugno più forte degli altri contro la porta, che fece sobbalzare l’anziano medico.
“Merlin! Apri questa dannata porta! Scansafatiche che non sei altro!”
La voce alterata di Arthur non lasciava presagire nulla di buono e il giovane mago sentì un brivido corrergli lungo la colonna vertebrale fino a fargli rizzare i capelli sulla nuca.
“Mi dispiace, figliolo. Spero solo non ti uccida.”
Con queste parole Gaius si diresse verso la porta mentre Merlin fece il giro del tavolo sperando che, con un impedimento fisico di mezzo, Arthur non lo avrebbe preso a botte prima di permettergli di dire anche solo una parola. Quando il medico aprì la porta, per poco il pugno del principe, pronto a battere nuovamente contro il legno, non lo colpì dritto in testa. Spaventato, si coprì istintivamente il viso con le mani piegandosi leggermente all’indietro e Arthur fece appena in tempo a fermarsi e ricomporsi.
“Lui dov’è?”
“Buongiorno Arthur…”
“Lui dov’è?”
La situazione era forse più grave di quanto avevano immaginato.
“Be’, è qui…”
Gaius fece un passo indietro e si scansò di lato per permettere al principe di entrare e di avere una buona visuale sull’interno dello studio. Merlin cominciò ad agitare nervosamente le mani in aria terrorizzato, blaterando qualcosa circa il gran da fare che aveva avuto in quei giorni. Lo sguardo assassino di Arthur lo trapassò da parte a parte, il viso era contratto in una smorfia di puro furore, non lo aveva mai visto così arrabbiato.
“Risparmia il fiato Merlin, ti servirà. Ti farò urlare così tanto per il dolore.”
La serietà di quella frase ebbe il potere di congelare Merlin sul posto. Arthur percorse con grandi falcate lo spazio tra l’uscio e il tavolo e comincio a massaggiarsi un polso tenendo lo sguardo fisso sul viso del servitore che, dal canto suo, non osava proferire parola. Era capitato che Arthur si arrabbiasse, che lo punisse con lavori sfiancanti o intere giornate alla gogna, che gli facesse dispetti per il puro gusto di esasperarlo o per vendicarsi di qualcosa, ma non si ricordava di averlo mai visto in quel tale stato di alterazione. Il fremito delle spalle era percettibile anche a un metro di distanza e il respiro era pesante e irregolare.
“Qualsiasi cosa abbia fatto mi dispiace molto…”
“Ah, nemmeno sai cosa hai fatto?”, lo interruppe Arthur bruscamente.
“Io non…”
“Non peggiorare la tua situazione.”
Oh-oh.
Gaius restava immobile a guardare la scena pregando in cuor suo che, qualsiasi cosa il suo protetto avesse fatto, trovasse in fretta il modo di scontare la sua colpa o stavolta avrebbe davvero dovuto mandare un messaggero a Ealdor per dare a Hunith una brutta notizia. Merlin intanto stava seriamente pensando di scappare nella sua piccola stanza e chiudersi dentro con la magia, al diavolo le leggi di Camelot. Tanto se non lo avesse ucciso il re lo avrebbe fatto suo figlio e aveva la netta sensazione che lo avrebbe fatto in un modo molto più lento e doloroso di una decapitazione.
“Sai, è davvero preoccupante che tu ignori i tuoi doveri in questo modo. Forse ancora non ti è chiaro che il tuo lavoro è servirmi e obbedire ai miei ordini. E magari non farmi fare la figura del cretino! Hai forse qualche problema di memoria o di comprendonio?”
In circostanze diverse il giovane mago gli avrebbe risposto a tono, stuzzicandolo anche un po’, ma in quel momento la sua vita era già abbastanza in bilico sull’orlo di un precipizio e non gli parve il caso di mettere il dito nella piaga, così optò per un silenzio colpevole, lo sguardo basso e le dita che si attorcigliavano nervosamente tanto da fargli male.
“Sai cosa c’era ieri?”
Silenzio.
“Il banchetto in onore di re Rodor e della principessa Mithian. E se non erro, oltre al fatto di non aver presenziato al banchetto, di non avermi aiutato a prepararmi e di aver messo in difficoltà il resto della servitù, tu avevi anche il compito di sistemare le stanze per i nostri ospiti e di accoglierli e occuparti di ogni loro bisogno.”
Sono finito.
“Sei sparito per due giorni. Re Rodor e sua figlia hanno trovato le loro stanze con le finestre sbarrate, piene di polvere, i letti senza le lenzuola. Ho cercato personalmente qualcuno che portasse i bauli dei nostri ospiti nelle stanze assegnate e re Rodor, in imbarazzo, ha insistito per provvedere personalmente a farlo. Ho dovuto trovare qualcuno che pulisse e ordinasse le stanze pregando il re e la principessa di uscire a fare una passeggiata o a cavallo. Senza contare tutti gli obblighi nei miei confronti a cui non hai adempiuto, e stamattina non ti sei nemmeno degnato di venirmi a svegliare e a scusarti con una motivazione quantomeno un minimo credibile per la tua prolungata assenza e per avermi fatto fare la figura peggiore che avessi mai potuto fare. Merlin, dovrei cacciarti. E prima dovrei farti frustare. E sarebbe anche poco.”
La vena sulla tempia di Arthur pulsava pericolosamente e Merlin, a quel punto, avrebbe davvero voluto scappare il più lontano possibile e non tornare mai più. Pazienza per il destino, Kilgarrah se ne sarebbe fatto una ragione. Gaius, non potendo dire nulla sulla pietosa accoglienza riservata a re Rodor e alla principessa Mithian, cercò di intercedere quantomeno sull’assenza di quella mattina spiegando al principe che gli aveva chiesto personalmente di aiutarlo con l’essiccazione delle erbe per Lady Morgana ma appena iniziò a parlare Arthur alzò una mano in aria per zittirlo senza nemmeno guardarlo. Lo sguardo restava fisso sul servitore.
“Non ora Gaius. Non difenderlo. Vedi Merlin, mio padre, ignaro di tutto, se l’è presa con me. Non gli ho raccontato nulla solo perché altrimenti ti avrebbe fatto ammazzare e, credimi, non voglio che mi tolga la soddisfazione di farlo personalmente.”
“Mi dispiace Arthur.”
Merlin parlava piano, la voce tremava leggermente. Si stupì di sé stesso e della reazione che stava avendo. Di solito era impertinente, testardo, ora invece, nel vedere Arthur così arrabbiato, si sentiva davvero male. Sperava vivamente che gli sarebbe passata e che lui se la sarebbe cavata come sempre con qualche giorno alla gogna, ma mai era venuto meno ad un impegno così importante e mai il principe era stato così duro e serio. Il respiro di Arthur non accennava a regolarizzarsi e a Merlin il suo sguardo faceva fisicamente male.
“Sono stato…”
“Sta’ zitto”, lo interruppe bruscamente. “Non mi interessano le tue scuse e le tue bugie. Questa volta me la pagherai.”
Detto ciò, il principe gli diede le spalle e uscì, sparendo velocemente oltre il corridoio senza nemmeno salutare Gaius.
Merlin e il vecchio cerusico si guardarono e l’anziano vide negli occhi del suo apprendista un profondo terrore. Il ragazzo senza dire nulla andò a nascondersi nella sua piccola stanza. Chiuse a chiave la porta e si stese sul letto duro e scomodo. Il destino era doloroso, crudele e beffardo. Lui rischiava la vita quasi ogni giorno, faceva di tutto per difendere Arthur, Camelot e il regno che avrebbero dovuto costruire, partiva da solo per missioni suicide e questo era il ringraziamento. L’odio del suo principe. La sua rabbia e la sua ingratitudine. Continue punizioni, umiliazioni, insinuazioni poco lusinghiere sulla sua persona e la sua etica. Era a dir poco terrorizzato da ciò che lo attendeva. Me era anche arrabbiato e addolorato. Ancor di più della preoccupazione per la punizione che Arthur avrebbe scelto per lui, a fargli paura era l’idea che potesse davvero cacciarlo. Il dolore che sentiva al centro del petto al pensiero di dover abbandonare Camelot, al pensiero di dover abbandonare lui, aveva poco a che fare col destino e la loro missione, ma questo Merlin aveva imparato ad accettarlo col tempo. Con tanta fatica aveva smesso di combattere ciò che sentiva, ma ammetterlo almeno a sé stesso non l’aveva reso meno doloroso. A volte si chiedeva se facesse più male ciò che provava in sé, nel suo essere folle e sbagliato, o il fatto che fosse unilaterale. Certi giorni ringraziava la Dea per il fatto che il principe non lo vedesse nemmeno, perché sapeva che ciò che sentiva era sbagliato, che non avrebbe dovuto esistere. In questo modo ignorarlo e confinarlo era più facile. Altri giorni si nascondeva a piangere come un ragazzino perché avrebbe dato tutto ciò che aveva per ricevere da Arthur anche un solo sguardo. Forse essere cacciato, andare via, lontano da Camelot e da tutto questo, gli avrebbe fatto bene, gli avrebbe dato modo di leccarsi le ferite e di andare avanti senza lui, senza Albion e senza nessun destino più grande di lui a gravargli sulle spalle. Si raggomitolò in posizione fetale e nascose il viso nel cuscino che presto si bagnò delle sue lacrime silenziose.

Il giorno seguente e quello dopo ancora Merlin li passò alla gogna. Si stupì del fatto che tutta la furia del principe ereditario si fosse tradotta solo in quello. Il terrore per un eventuale ordine di allontanamento dalla cittadella o per qualche decina di frustate si era trasformato in stupore. Possibile che la sua punizione fosse la solita gogna protratta per due giorni invece che uno? Arthur non aveva nemmeno avvertito suo padre del reale motivo della disastrosa accoglienza riservata a re Rodor e a sua figlia. Aveva lasciato che il re lo ritenesse responsabile, nonostante, come Merlin sapeva bene, ci tenesse più di ogni altra cosa alla considerazione che suo padre aveva di lui.
In realtà, Arthur aveva preso quella decisione perché nemmeno la furia cieca difronte a quella gravissima mancanza del suo servitore aveva scalfito il rispetto che nutriva per lui. Aveva sempre avuto la sensazione che dietro ogni carenza, ogni sbavatura, ogni errore, ogni assenza o insufficienza di Merlin ci fosse un motivo valido, anche se a lui non era dato conoscerlo. Far finta di credere alle sue patetiche scuse lo faceva sentire umiliato. Non poteva accettare che lui pensasse di farlo fesso a quel modo. Ma in cuor suo sapeva che il suo servitore non lo aveva mai considerato un fesso. Che in qualche modo capisse che faceva solo finta di accettare come vere le sue assurde e patetiche motivazioni. O almeno così gli piaceva pensare. Gli piaceva credere che Merlin avesse di lui una considerazione di un certo livello, che riguardasse la persona che era e non il suo ruolo di principe ereditario. Così, averlo vicino era in un lampo diventato più importante del resto. Dire la verità a suo padre avrebbe significato rischiare che lui decidesse di fargli seriamente del male o che, ancor peggio, decidesse di mandarlo lontano da lui. E lui Merlin lo voleva vicino, forse anche in modi in cui non avrebbe dovuto. Però non aveva potuto evitare che la sua rabbia si traducesse in un muro di silenzio tra lui e il servitore.
Dal giorno dopo la punizione, non aveva più rivolto a Merlin una sola parola. Il ragazzo svolgeva tutti i suoi compiti. Lo svegliava al mattino, lo lavava, lo vestiva, gli portava colazione, pranzo e cena, lo preparava per gli allenamenti, gli lucidava l’armatura, lavava i suoi vestiti, ma tutto in un assordante e innaturale silenzio. Arthur aveva persino acceso l’ultima candela della ghirlanda dell’avvento in attesa di Yule da solo. Le precedenti tre le avevano accese insieme, alla luce del fuoco del camino, prima che Merlin lo preparasse per la notte. Erano stati momenti magici e delicati, più intimi del sentire le mani del servitore spogliarlo e lavarlo. Arthur aveva letto chiaramente la delusione e la tristezza negli occhi dell’altro quando, entrando nelle sue stanze a portargli la cena, aveva trovato l’ultima candela già accesa.
Il giovane mago, dopo lo stupore per la punizione fin troppo leggera, si era reso conto che non era stata leggera per nulla. Non sapeva perché Arthur avesse deciso di non prenderlo a frustate, ma per il suo cuore il silenzio e l’indifferenza bruciavano più di qualsiasi lesione inferta da una frusta. Era quella la vera punizione. La candela dell’avvento era stata uno schiaffo in pieno viso. Aveva faticato a trattenere le lacrime, sentendo il dolore premere all’altezza della gola nello sforzo di non piangere. Tornato nella sua piccola stanza illuminata dalla luce dell’ultimo quarto di luna prima di Yule, si era raggomitolato sotto le lenzuola pensando che forse essere cacciato e non vedere Arthur mai più avrebbe fatto meno male del vedere sparire nel nulla ogni briciola del loro rapporto, di quella che era stata la loro complicità.

Quella mattina Merlin si era avviato lungo il corridoio che conduceva alle stanze del principe con il vassoio della colazione tra le mani. Come ogni giorno lo avrebbe poggiato sul grande tavolo davanti al camino e l’avrebbe svegliato. Arthur si sarebbe alzato senza dire una parola, avrebbe mangiato e si sarebbe fatto vestire in assoluto silenzio come accadeva ormai da un paio di settimane. O almeno questo era ciò di cui il giovane mago era convinto. Invece, entrando nelle stanze dell’erede al trono, Merlin lo aveva trovato già sveglio e anche vestito coi suoi abiti per l’allenamento, seduto al tavolo ad aspettare la colazione. Sentì una rabbia feroce pervaderlo. Sbatté la porta con malagrazia e lasciò cadere il vassoio davanti ad Arthur con un tonfo sordo.
“Oltre ad aver smesso di parlarmi e aver iniziato a darmi ordini tramite Gaius, avete anche deciso che non avete più bisogno dei mei servigi? Cacciatemi allora!”
Arthur alzò gli occhi sul servo, guardandolo incredulo. Un affronto del genere non era tollerabile, anche se per un secondo, uno solo, aveva pensato che fosse bello tornare a vedere l’impertinenza e l’assenza di riguardo verso i ruoli di Merlin.
“Come osi parlarmi in questo modo?”
“Ah, quindi ce l’avete ancora la lingua!”
“Zitto!”
Arthur era furioso. Si era alzato facendo strisciare la sedia sul pavimento e aveva alzato l’indice contro Merlin con fare minaccioso.
“Tu sei un ingrato, un pazzo! Dovresti baciare la terra dove cammino per non averti fatto cacciare o peggio!”
“E invece sarebbe stato meglio se lo aveste fatto!”
Il principe restò impietrito da quelle parole. Quindi Merlin voleva andare via? Gli sembrò di aver ricevuto un pungo dritto nello stomaco. Aveva fatto di tutto per proteggerlo da suo padre e quello era il ringraziamento.
“Sparisci, Merlin.”
Merlin aveva il respiro accelerato e il cuore gli batteva all’impazzata. Se questo era il suo destino non gli andava affatto bene. Aveva accettato anche un folle sentimento da dover nascondere, aveva accettato la sofferenza di dover rinunciare ad ogni pretesa su di lui, di doverlo vedere un domani con una moglie e degli eredi. Ma la sofferenza dovuta al muro alzato tra di loro e al sentirsi completamente inutile non poteva accettarla. Senza dire una parola si girò e uscì dalle stanze di Arthur, che dal canto suo decise che gliel’avrebbe fatta pagare.

Due giorni dopo era in programma un banchetto per festeggiare un trattato stipulato col regno di re Rodor. La discussione dei punti del trattato era stata proprio uno dei motivi per cui re Rodor e la principessa Mithian erano stati ospiti di Uther poco più di due settimane prima, nell’occasione che aveva dato il via a quella specie di guerra fredda tra Merlin e Arthur. Quale miglior situazione per dare a Merlin una lezione?
Stavolta l’accoglienza era stata impeccabile. Nella stanza riservata alla principessa, Merlin aveva anche sistemato un ricco mazzo di fiori di campo raccolti da lui stesso. Il servitore aveva provveduto ad ogni bisogno e aveva soddisfatto ogni richiesta e lo fece sorridere il fatto che re Rodor gli avesse detto che se avessero avuto lui ad accoglierli anche la volta precedente sarebbe stato sicuramente tutto perfetto. Se solo il re avesse saputo che in realtà la colpa dell’accoglienza disastrosa era stata proprio sua forse non sarebbe stato così gentile con lui, o comunque non avrebbe dispensato così belle parole.
La tavola era stata apparecchiata con cura e arricchita con preziosi centrotavola e vassoi decorativi. I commensali avevano preso posto e il banchetto procedeva lieto e festoso. Lady Morgana aveva trovato nella principessa Mithian una gradevole e sveglia interlocutrice e Arthur era impegnato in una conversazione con suo padre e re Rodor riguardo l’estensione di accordi pacifici anche ad altri regni confinanti coi loro. Merlin stava riempiendo di vino il bicchiere vuoto di uno dei numerosi ospiti quando sentì pronunciare il suo nome.
“Merlin, ragazzo, vieni qui!”
Re Rodor aveva teso una mano nella sua direzione e gli faceva segno di avvicinarsi. “Uther, questo ragazzo mi ha detto di essere il servitore personale del principe Arthur. Sei fortunato ragazzo, ha riservato a me e mia figlia un’accoglienza impeccabile ed è sempre stato pronto a soddisfare ogni nostro bisogno con efficienza, gentilezza e col sorriso. Merita delle lodi pubbliche.”
Merlin, con le guance arrossate per l’imbarazzo, si era avvicinato e aveva rivolto un sorriso al re e poi a sua figlia. Arthur bevve un sorso di vino e poi sorrise ironicamente.
“Che strano. Pensare che ogni cosa che la scorsa volta è andata storta è stata proprio colpa sua.”
Il sorriso scomparve istantaneamente dal viso di Merlin. Re Rodor si girò a guardare il servitore e poi il principe. Anche Uther rivolgeva a suo figlio uno sguardo interrogativo.
“Vedete, avevo incaricato personalmente Merlin di sistemare le vostre stanze. Lui non l’ha fatto, è sparito per giorni senza avvisare nessuno e senza dare nessuna spiegazione. È venuto meno a tutti i suoi doveri verso di voi e verso di me, ha messo in difficoltà tutto il resto della servitù e noi in cattiva luce. Non ha nemmeno avuto la decenza di dirmi dove è stato. E non è la prima volta. Capita spesso che sparisca nel nulla e tralasci i suoi doveri. Vero, Merlin?”
Merlin era immobile, congelato sul posto, la brocca di vino ancora tra le mani. Fissava Arthur negli occhi, incapace di guardare altrove per paura di incontrare gli sguardi di tutti puntati su di lui. Un brusio percorreva la sala da un capo all’altro e il ragazzo davvero non riusciva a credere che il principe avesse fatto una cosa del genere. Umiliarlo pubblicamente, durante un banchetto. Sentiva le lacrime pizzicargli gli occhi e, per evitare di farle scendere, prese a stringere spasmodicamente la brocca di vino fino a far diventare bianche le nocche. Uther guardava suo figlio senza capire perché non glielo avesse detto prima né il motivo per cui Merlin non fosse stato adeguatamente punito. Arthur non ci mise molto a comprendere la gravità di ciò che aveva appena fatto. Il viso di Merlin era contratto in una smorfia che lasciava trasparire imbarazzo, rabbia e dolore. Non si meritava di essere trattato così e lo sapeva bene. Tutta la voglia di punirlo era improvvisamente scomparsa e Arthur avrebbe voluto solo cancellare ciò che aveva appena fatto. Congedò il servitore, che si affrettò ad uscire dalla sala. Gaius, seduto all’estremità della tavolata, avrebbe voluto seguirlo per assicurarsi che stesse bene, ma non poteva abbandonare il banchetto.
Il principe si rese davvero conto della portata di ciò che aveva fatto quando fu costretto a discutere animatamente per ore, dopo che la festa fu finita, con suo padre per convincerlo a non prendere provvedimenti contro Merlin. Riuscì a far rinunciare Uther alla sua idea di farlo frustare e rinchiuderlo nelle segrete per tre giorni solo assicurandogli che avrebbe provveduto personalmente a punirlo adeguatamente.

Il giorno seguente Merlin si presentò nelle stanze del principe dopo l’ora di pranzo. Si richiuse la porta alle spalle e si fermò in piedi al capo opposto della tavola a cui Arthur era seduto. Cominciò a parlare prima ancora che l’altro potesse dire qualcosa.
“Non posso credere che l’abbiate fatto davvero.”
Arthur rimase in silenzio, le braccia incociate sul petto.
“Umiliarmi in quel modo, davanti a tutti, ospiti, servitù…”
“Era il minimo.”
“Il minimo!? Vi rendete conto di tutto ciò che faccio per voi?”. Merlin aveva alzato il tono della voce e Arthur si alzò in piedi sporgendosi in avanti, la tavola a dividerli. Anche lui prese ad urlare.
“Fai il tuo lavoro, Merlin! E lo fai anche male!”
“Io ce la metto tutta!”
“A sparire!?”
“Andrò via.”
Arthur fece per parlare ma richiuse subito la bocca. Sbatté le palpebre un paio di volte guardandolo incredulo. Forse aveva capito male.
“Come scusa?”
“Avete capito, me ne vado. Vado via. Dovrete trovarvi un altro servitore.”
Tutta la rabbia che Arthur sentiva parve dissolversi. Una sensazione di vuoto lo pervase e la paura che Merlin potesse andare via davvero lo investì con violenza.
“Tu… Tu non puoi andartene.”
“Certo che posso”, gli rispose il ragazzo con voce malferma. Anche lui era visibilmente scosso.
“Merlin no, io…”
“Voi cosa? Tanto è palese che non apprezzate la mia presenza e il mio lavoro, nemmeno mi parlate più.”
Arthur era nel panico. Fece il giro della tavola fino a trovarsi a pochi passi dal suo servitore.
“Merlin ieri ho litigato con mio padre per ore per evitare che ti punisse o ti mandasse via.”
Merlin non capiva. Prima Arthur arrivava nello studio di Gaius infuriato come mai lo aveva visto prima, poi il tutto si traduceva in una semplice gogna, poi smetteva di parlargli e iniziava a far da solo cose che erano sempre state compito suo, dopo ancora lo umiliava pubblicamente per poi difenderlo contro suo padre. Doveva essere completamente pazzo. Decidere di andare via era stato difficile, ma non c’era alternativa.
“Merlin, ti prego…”
“Arthur, io non vi capisco. Voi siete pazzo. Voglio solo andare via.”
“Tu non puoi andartene!”
Arthur lo afferrò per un braccio. Merlin fece per divincolarsi ma la stretta era troppo forte. Il cuore prese a battergli all’impazzata, Arthur era così vicino…
“Lasciatemi…”
“Non posso. Non posso perderti, Merlin.”
Gli occhi del principe avevano una luce che Merlin non aveva mai visto prima. Ad ogni parola Arthur si avvicinava un po’ di più. Ormai i loro visi erano a pochi centimetri l’uno dall’altro. Il mago riusciva a sentire il respiro caldo dell’altro solleticargli la pelle. La voce era un sussurro flebile.
“Non voglio perderti… Perdonami. Volevo solo che tu capissi cosa avevo fatto per te. Prendermi la colpa davanti a mio padre, non punirti… E tu non capivi… Io ero arrabbiato…”
Merlin ormai non riusciva più a pensare lucidamente, lui era così vicino… spostò lo sguardo sulle sue labbra e poi tornò a guardarlo negli occhi. Arthur dovette accorgersene perché prese a guardarlo con un’espressione strana, come se volesse chiedergli il permesso di fare qualcosa. Poi all’improvviso Merlin sentì le labbra di Arthur premere sulle sue. Sgranò gli occhi incredulo e si irrigidì, ma durò solo pochi secondi. Animato come da un improvviso fuoco, prese il volto del principe tra le mani e spinse a sua volta le labbra su quelle dell’erede al trono. La lingua di Arthur gli sfiorò il labbro inferiore e Merlin la accolse. Continuarono a baciarsi con una foga che nascondeva anni di attese, desideri e sofferenze finché non dovettero separarsi per respirare affannati. Gli occhi di entrambi erano lucidi e Merlin si aggrappò con entrambe le mani alla blusa di Arthur.
“Merlin, così mi rovini la blusa…”
“Tanto la devo lavare e sistemare io.”
Le labbra di Arthur si allargarono in un sorriso che animò tutto il suo viso.
“Allora resti!”
Entrambi scoppiarono a ridere. Tutta la rabbia era svanita al primo sfiorarsi delle loro labbra. Merlin sapeva che non poteva andare da nessuna parte senza Arthur, e Arthur sapeva che gli avrebbe perdonato mille altre giornate di lavoro mancate senza una spiegazione e che lo avrebbe sempre difeso da suo padre.
“Resto…”
“Mi farai diventare pazzo…”
“Testa di fagiolo già lo siete, non credo la pazzia possa fare molti altri danni.”

 
  
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