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Autore: time_wings    18/12/2022    3 recensioni
[ATLA!AU - AtsuHina, IwaOi, OsaAka]
Atsumu e Osamu passano le loro giornate tra allenamenti noiosissimi e scippi fallimentari, nell'anello esterno di Ba Sing Se. La loro vita cambia radicalmente quando si ritrovano costretti ad aiutare Shouyou Hinata, un ragazzo misterioso che viaggia in groppa a un bisonte volante.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Keiji Akaashi, Osamu Miya, Shouyou Hinata, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciaaao allora questa storia è già esistita per molti mesi (cinque e un po' più, per la precisione) in formato One Shot nonostante il numero notevole di parole e l'evidente difficoltà che questo comportava perché nella mia testa era nata come One Shot e non riuscivo a vederla in nessuna altra maniera. Questo finché stamattina non mi sono messa a scrivere i progetti di scrittura per l'anno nuovo e ho plottato un seguito per questa storia. Ci ho visto la possibilità di costruirci una serie e improvvisamente il fatto che fosse una OS mi ha disturbato un sacco quindi eccomi arrivata a fare ciò che avrei dovuto fare cinque mesi fa. Se l'avete già letta è ESATTAMENTE la stessa storia, non la rileggete, è completamente inutile, è proprio uguale. Se non l'avete già letta ecco le istruzioni per l'uso che comparivano nella versione cancellata, però sintetizzate perché erano inutilmente lunghe: se non avete visto Avatar fa niente, è tutto spiegato, se l'avete visto è ambientata 15 anni prima dei fatti di Avatar e ci sono easter eggs, divertitevi! La storia è scritta con l'intento di non snaturare lo spirito della serie, quindi i nomi dei luoghi inediti, i paesaggi, alcune usanze sono stati mantenuti quanto più vicini allo stile della serie. Oooookay, grazie per l'attenzione e buooona lettura genteh!






Breve trattato sulla semina di fallimenti






 

Acqua.
Terra.
Fuoco.
Aria.
Molto tempo fa, nel mondo regnava la più completa armonia. Poi tutto cambiò quando la Nazione del Fuoco decise di attaccare. Solo l’Avatar, padrone di tutti e quattro gli elementi, poteva fermarla, ma quando il mondo aveva più bisogno di lui, scomparve.
Sono passati ottantacinque anni e dell’Avatar ancora non si hanno tracce.

 
 
PARTE PRIMA

Ba Sing Se

 
I gemelli Miya avevano perso il conto delle volte in cui avevano detto loro che erano destinati a fallire.
E l’avevano perso perché se ne infischiavano. Non che credessero di essere destinati al contrario a chissà quale ricchezza, ma il futuro remoto non aveva alcuna importanza.
A dire il vero non se la cavavano granché neanche con quello prossimo, perché nella lista di cose che si aspettavano sarebbero successe quel giorno ecco cosa non figurava: un bisonte volante, il Dai Li e una verità scomoda che veniva a galla. Senza contare che mai avrebbero immaginato che avrebbero lasciato quello schifo di posto. Presumibilmente per sempre.
L’acciottolato correva ai loro piedi nella forma di un pretesto, una gentile concessione pronta a piegarsi, se solo glielo si chiedeva gentilmente e con i corteggiamenti appropriati.
“Ehi!” urlò un uomo. Indossava un copricapo verde scuro che lo faceva assomigliare a un carciofo ed era tenuto su così male che il signore se lo manteneva con una mano, mentre agitava l’altra correndo come un matto. Il 90% delle volte, quando qualcuno si rivolgeva ai gemelli Miya con ‘ehi’, dopo aggiungeva sempre anche… “Tornate qui!”
Atsumu rise, intascò il borsellino tintinnante e indicò suo fratello.
“Fermatevi, vi dico!”
L’uomo mosse una mano per acciuffarli, ma, un attimo prima di sfiorare la maglietta di Atsumu, Osamu mosse il polso e un ciottolo si levò verso l’alto, fluttuando in aria giusto il tempo di esibirsi in qualche rapida rotazione, poi fece lo sgambetto al signore.
Lui incespicò ma non cadde. Anni e anni di convivenza con quel copricapo improbabile dovevano averlo reso un equilibrista provetto.
Sullo sfondo, case squallide si susseguivano in un turbinio di bianco sporco e tetti scuri. Odori acri spuntavano agli angoli delle strade come visitatori fantasma. Secondo il modesto parere di Osamu Miya, se non ti uccideva la noia lo faceva l’anello esterno di Ba Sing Se.
“Ma vedi un po’ tu se…” la voce dell’uomo si perse nella loro stessa velocità.
Ba Sing Se era una città complicata. Troppo grande perché vi si potesse accostare un solo aggettivo, troppo mutevole perché due poi fossero coerenti. Nessuno poteva dire di conoscerla come le sue tasche, non c’era anima al mondo che vantasse una mappa di ogni vicolo, ogni locale da evitare, ogni affare da accaparrarsi e ogni amore da gustare, ma l’anello esterno non aveva segreti per Osamu e Atsumu.
Lo navigavano come marinai esperti nel mare più calmo del mondo e, quando le acque minacciavano tempesta, semplicemente se la cavavano con l’astuzia.
I ragazzi si scambiarono un’occhiata d’intesa, poco più lenta dello scintillio che si coglie solo incrociando lo sguardo del proprio riflesso, appena più veloce di quella che si intuisce negli occhi di un fratello. Osamu pestò un piede per terra e sollevò le braccia. Un muro poco più alto di lui si levò dalla terra come se qualcuno avesse cercato di avvicinare i lembi opposti di un tappeto. La pietra scricchiolò e si assestò e, mentre la loro povera vittima si concedeva un momento di sorpresa, i gemelli si infilarono in una delle mille stradine buie che il nuovo muro adesso nascondeva.
“Aaaah” Atsumu rallentò il passo e incrociò le mani dietro la testa. Le mura degli edifici così vicini facevano rimbombare la sua voce. Da qualche parte una goccia d’acqua si infrangeva in plick costanti nel silenzio surreale del vicolo. Le monete del malcapitato che avevano seminato tintinnavano nella tasca di Atsumu a ogni suo passo. “Questa non me l’aspettavo proprio, ‘Samu.”
Lui scrollò le spalle. Stava per dire qualcosa, ma due mani spuntate dal nulla si infilarono nei colletti delle loro casacche e li costrinsero ad arrestarsi con uno strattone non soffocante, ma non gentile. Se la presa rigida non fosse stata abbastanza per svelare l’identità dello sconosciuto alle loro spalle, dall’altro lato della strada si fece avanti Aran, braccia incrociate e un sopracciglio alzato, impossibile dire se fosse divertito o deluso.
“Soddisfatti?” domandò la voce di Kita alle loro spalle. Li lasciò andare per guardarli in faccia e sollevò una mano all’altezza del petto di Atsumu, il palmo rivolto verso l’alto. “Non ha senso derubare i profughi di guerra. Non stanno mica trasferendo interi patrimoni.” Atsumu non accennò ad alzare lo sguardo, Kita lo incalzò a vuotare il sacco. Letteralmente.
Con un sospiro, Atsumu e Osamu si scambiarono un’ultima occhiata sconfitta, poi Atsumu depositò il borsellino con le monete al centro del palmo di Kita. Pensò che la presenza di Aran fosse completamente inutile, così inutile che l’unica possibilità era che fosse lì per godersi lo spettacolo della loro umiliazione.
“Era… molto facile, li stava praticamente sventolando, dovevi veder…” Atsumu si interruppe, perché il volto di Kita non tradiva alcuna emozione. In realtà non lo faceva mai, ma anni di esperienza avevano insegnato ai gemelli che con lui non serviva vedere il disappunto, bastava sentirne l’odore.
Kita si voltò per andarsene con il ‘loro’ borsellino e diede un’occhiata al muro che Osamu aveva alzato. “Bella tecnica,” commentò nel formato di un dato di fatto, poi sparì in cerca del vero proprietario di quelle monete.
Atsumu si grattò il palmo della mano sinistra. Era impossibile ragionare con Kita, perché l’aveva già fatto lui per tutti. Non gliene fregava niente di cosa fosse giusto o sbagliato, gli importava solamente che qualcosa avesse senso ed era difficile fare cose stupide e pretendere poi di giustificarsi, se si veniva messi davanti alla sua logica. Poiché Atsumu passava metà della sua vita a fare cose stupide e l’altra metà a giustificarsi, il suo rapporto con Kita era… burrascoso.
“Andiamo alla Zanna del Serpente?” propose Aran, abbandonando le braccia sulle spalle dei gemelli e guidandoli verso il locale.
Evidentemente non era una domanda.
 
Quello che nessuno sapeva era che il dominio della terra era una cosa che si affinava per strada. Atsumu aveva passato ore, giorni, anni a congelarsi il culo sulle panche di pietra della Zanna del Serpente, a farsi fare ogni tipo di scherzo da suo fratello e i suoi amici. Più li vedeva esercitarsi, diventare i dominatori migliori del vicinato, dell’anello esterno, di Ba Sing Se, del Regno della Terra, dannazione, del fottuto mondo intero, più gli prudevano le mani.
Perché a Ba Sing Se la guerra era finita da un pezzo, il che rappresentava una lieta e gioiosa novella senza dubbio. Il problema era che Atsumu era la guerra, o meglio ne era una prova. E quindi non doveva esistere.
Un errore di sistema in camicia e mani bucate.
La Zanna del Serpente aveva quattro tavoli rotti e quindici sedie dalle gambe non troppo stabili. La sedicesima era sparita una notte di quindici anni prima, stando alle storie dell’uomo gioviale dietro il bancone. La storia completa cambiava periodicamente, più o meno ogni settimana. Se si facevano bene i conti, si poteva ricevere sempre la stessa versione e darla così per vera. Ai ragazzi piaceva fare i rappresentanti ognuno di una versione diversa e, di tanto in tanto, fingere di svelare l’inganno nel locale e lanciarsi in arringhe insensate per difendere l’onore della loro versione. Ormai non si capiva più dove finisse la disonestà del proprietario e dove iniziasse la sua tenerezza nel vederli divertirsi così.
Ma la Zanna del Serpente non era solo una catapecchia dalla clientela eccentrica. In tutto quel nero di tetti e puzza di pesce avariato, il retro del locale offriva un rettangolo di pietra rialzato simile a un palco e panche nello stesso materiale tutt’attorno. Era la meta preferita di vecchi dominatori ubriachi smaniosi di divertimento e giovani dominatori sobri impazienti di migliorarsi.
Ed ecco perché Atsumu, in quel frizzante pomeriggio di chissà-quando, si stava gelando il culo sulla panca sul retro del locale.
Osservò suo fratello e i loro amici tirarsi sassi a vicenda, tenendo annoiato un cucchiaio di legno tra i denti. Negli anni avevano inventato centinaia di giochi e solo la metà di questi non prevedeva l’uso di un dominio, il che significava che Atsumu prendeva parte solo a una fetta di divertimento.
Kita schivò una pietra appuntita e scattante e la costrinse a infrangersi contro la lastra che fece emergere da terra con un movimento metodico della mano, poi mosse rigido un braccio, sferzando l’aria, e tagliò la lastra orizzontalmente per spedirla contro Aran.
Atsumu sospirò annoiato, perché i suoi amici erano ufficialmente entrati nella loro seconda mezz’ora di… qualunque cosa stessero facendo, e la voglia di farsi schiacciare da uno dei loro pericolosissimi attacchi rischiava di divorarlo vivo. Abbandonò la testa all’indietro, liberando un altro sospiro (è possibile che volesse farsi sentire dagli altri, perché, come tutti sanno, è sempre bene lamentarsi il più rumorosamente possibile), poi chiuse gli occhi contro il sole.
Lo immaginò sputare fuoco, lì ad almeno cinquanta milioni di Ba Sing Se intere di distanza. Fiotti e lingue e cascate di trasparenza incandescente, capaci di radere al suolo la loro città inespugnabile, capaci di abbattere le sue mura e, assieme a quelle, la divisione sociale stupida che costituivano.
Atsumu non odiava Ba Sing Se. Era la sua casa, era l’unico posto al mondo che avesse mai davvero conosciuto, era sicurezza, protezione da un mondo esterno che forse neanche esisteva. Però a volte sembrava una prigione. E, per quanto Osamu dicesse di stare bene lì, Atsumu sapeva che per lui era lo stesso.
Mentre pensava al sole, alle sue fruste e alla sua frustrazione, percepì un’ombra passare come una nuvola sopra le sue palpebre chiuse. Poi qualcosa nel cielo ruggì, cosa in cui le nuvole non si dilettano di sovente.
Atsumu aprì gli occhi di scatto.
Non è errato affermare che il suo cervello faticò a elaborare il bisonte volante che stava atterrando… be’ su di loro. Poi Aran, che era senza ombra di dubbio il più assennato della cricca, urlò. Non era una cosa molto alla Aran, ma un bisonte che minaccia di schiacciarti può tirar fuori ogni sorta di reazione.
Alla fine, però, l’animale non si accomodò sulle loro teste, ma effettuò un paio di spirali eleganti a mezz’aria e si posò delicatamente a qualche metro da loro, consentendo al ragazzo che viaggiava sulla sua schiena di scendere con altrettanta eleganza.
“Ehilà!” disse lui, sollevando una mano in segno di saluto e sorridendo. Se Atsumu non avesse avuto tutte le rotelle fuori posto, avrebbe notato la nota nervosa e urgente nel suo sorriso. Ma Atsumu non aveva neanche una rotella nel posto giusto e quindi si innamorò. “Vi andrebbe di farmi un favore?” Se Atsumu non avesse avuto cacca di capra essiccata al posto del cervello, avrebbe capito che il rumore di passi secco e cadenzato in avvicinamento era strettamente collegato al favore a cui accennava quell’angelo. Ma Atsumu aveva cacca di capra essiccata al posto del cervello e quindi abbassò lo sguardo sulle sue mani. Con una gesticolava e con l’altra reggeva una mazza lunga e completamente assurda. Si concesse un solo, piccolissimo pensiero sconcio.
Osamu scambiò un’occhiata veloce con suo fratello, lesse qualunque porcata gli fosse passata per la testa, poi fissò Aran, Kita e la loro voglia di rigare dritto in un anello in cui semplicemente non potevi. “Me ne occupo io,” sussurrò agli amici. Poi al ragazzo: “Che hai fatto?”
“Il Dai Li.”
Atsumu notò un accenno di azzurro sul dorso delle sue mani e, per la prima volta in vita sua, realizzò di avere davanti un’altra creatura che non sarebbe dovuta esistere. Era così abituato a pensare di essere l’unico al mondo che, per un attimo, stentò a crederci.
“Grazie,” continuò lo sconosciuto.
Osamu pestò un piede per terra e una scalinata di roccia si disegnò in contorni via via più tridimensionali, snodandosi sottoterra. Era troppo buio perché si potesse capire dove conduceva. “Andiamo?” domandò a quel punto. Ma non stava guardando lo sconosciuto, stava guardando lui. Tutto ciò che Atsumu riuscì a notare era che la scala era larga abbastanza per consentire il passaggio anche al bisonte.
Un errore di sistema.
 
“Sei un dominatore dell’aria?” domandò Atsumu, incapace di frenare la lingua, non appena Osamu ebbe richiuso il passaggio sopra le loro teste. “Ma non eravate spariti tutti nel nulla?”
“Spariti nel nulla?” arrivò una voce da qualche parte nel buio. Atsumu aveva già imparato ad associarla alla parola Shouyou. “Ma che diamine vi prende in questa città?”
“‘Tsumu?” intervenne Osamu, sempre da qualche parte nel buio, ma una diversa. “Ti spiace?”
‘Ti spiace?’ era la frase che Osamu utilizzava quando erano soli, lontani da occhi indiscreti, quando ciò che rendeva Atsumu impossibile tornava momentaneamente utile.
“Certo che sì, ‘Samu, mi spiace eccome,” sussurrò Atsumu, perché a volte, quando si era al buio, si era sempre un po’ abituati a non farsi scoprire svegli dalla mamma, anche se la mamma non l’avevi. “Dicevi?” Cercò di far suonare la sua voce il più neutra possibile, per nascondere il tono supplichevole verso cui tendeva il suo istinto.
“Sembra che viviate fuori dal mondo!” si lamentò Shouyou. Atsumu lo immaginò alzare gli occhi al cielo, le ciglia chiare che seguivano quell’onda e mostravano l’arco perfetto che formavano. “Quando sono arrivato mi si è avvicinata una tipa con un sorriso enorme, ha detto: ‘Io sono Joo Dee e questo è l’anello interno di Ba Sing Se’, riuscite a crederci? Mi ha messo i brividi! Poco dopo, invece, stavo chiedendo informazioni e all’improvviso swoosh mi sono trovato contro tutti i guerrieri più forti della città! Questi… Sì, insomma, questi tizi del Dai Li.”
Osamu e Atsumu si arrestarono. Shouyou se ne accorse perché non sentì più i loro passi e il bisonte perché andò a sbattere contro le loro schiene. Era soffice.
“Perché stai scappando dal Dai Li?” domandò Osamu, la voce tutta un terreno che sondava.
Shouyou esitò. “Perché mi stanno rincorrendo!”
Atsumu scoppiò a ridere e riprese a camminare. “Ti sta chiedendo perché ce l’hanno con te, Shouyou.” Disse il suo nome come se fosse stato solo un altro piccolo tesoro che aveva rubato, un lusso che si potevano concedere solo gli amici più intimi e che culminava con la casualità di chi non ci faceva neanche più caso. Invece lo assaporò.
“Oh, ma è proprio questo il punto, io non ne ho idea! Mi hanno guardato storto quando ho detto loro che venivo dal Tempio del Nord e cercavo informazioni. Ho detto: ‘Io sono Shouyou Hinata, uno dei pochi dominatori dell’aria rimasti durante la guerra’.” Prese fiato, fu il suo turno di fermarsi nel bel mezzo del loro assurdo cunicolo. “E LORO HANNO ATTACCATO SUBITO ME E MUGI! E allora prima che me ne rendessi conto shaaa è partita una strana mano di pietra volante che mi voleva afferrare. E Allora io ho fatto fiùùù verso l’alto…”
Ogni volta che Shouyou si lasciava andare a un’eloquentissima onomatopea, la accompagnava a un gesto che i gemelli non vedevano, ma percepivano. Il ragazzo muoveva l’aria attorno a loro in soffi che li colpivano come attacchi fantasma, una battaglia di cui stavano sperimentando una versione attenuata.
Affascinante.
“Mugi? Quel coso ha un nome?”
“EHI! Certo che ha un nome, potrei chiederti la stessa cosa.”
“Io non sono mica un coso.” 
“Non c’è alcuna guerra a Ba Sing Se,” ribatté Osamu, il tono poco più appassionato di quello di un’affermazione. “È finita almeno cinquant’anni fa.”
“Cinquant’anni fa? Siamo in guerra da ottantacinque anni!”
La terra sopra le loro teste iniziò a tremare, il bisonte volante cominciò ad agitarsi. Atsumu non augurava a nessuno di trovarsi con un bestione agitato in uno spazio così stretto. Non che avesse tutta questa esperienza per mettersi a dispensare consigli, ma una sola volta e un po’ di buon senso bastavano a costruire un assioma.
Osamu chiuse tutte le crepe nel terreno che aveva aperto perché respirassero laggiù, rinforzò il soffitto con rocce e pietre e sbarrò la strada in entrambe le direzioni: quella da cui venivano e quella che stavano seguendo.
“‘Samu, soffocheremo,” gli ricordò Atsumu, in un sussurro che il fratello ignorò.
I passi ammutolirono di colpo, un silenzio innaturale calò sulla terra. La permeò, si infilò nelle sue pieghe, la affogò. Ma ad Atsumu prudevano le mani.
Il suolo esplose, si aprì verso la superficie come una lattina presa a martellate. Osamu tentò di rimarginare la ferita, ma era una battaglia non equilibrata. Un solo dominatore contro una ventina dei migliori addestrati del Regno della Terra: il Dai Li.
Shouyou si infilò nella fessura come un proiettile, ma leggero come una piuma. Sollevò in alto quella sua mazza strana e la fece roteare finché il vento che provocava non si addensò in fruste spiraleggianti.
Poi il tempo tornò a scorrere a velocità normale.
Il bisonte si levò anche lui verso il cielo, scalciando con la coda e sfondando il resto della terra che li copriva. Osamu dispose le braccia lungo i fianchi, morbide e coi palmi rivolti verso l’alto, poi le alzò piano, sollevandoli entrambi su una colonna di terra e riportandoli in superficie.
Atsumu non stava capendo un cazzo, a eccezione della cosa più importante: erano circondati.
Ora, Atsumu non era un povero imbranato, era un criminale di tutto rispetto. Era stato circondato, fermato, braccato da più o meno ogni genere di persona a Ba Sing Se: altri ladri, bande, vittime che aveva scelto male, qualche guardia di basso livello, una volta persino il Dai Li, ma avevano lasciato perdere dopo poco perché a nessuno importava di un ragazzo povero dell’anello esterno che travolgeva scappando un carretto di cavoli.
Però questa volta era diverso. Questa volta sembrava una questione tanto pericolosa quanto allettante.
Osamu e Shouyou iniziarono, per qualche ragione, a fare gioco di squadra. Suo fratello sollevò un anello di pietre attorno a loro, poi le fece riatterrare e sbriciolare, Shouyou trasformò quella polvere in un polverone e insieme iniziarono a tirare pietre alla rinfusa attorno a loro. Atsumu si convinse che, in mancanza di altri ruoli da ricoprire, lui avrebbe dovuto essere la mente, la guida di quella spedizione, ma era impossibile pensare lucidamente quando si trovava bloccato in quel casino, accecato dal terreno, una fame crescente non nello stomaco ma intasata nella trachea e le mani che prudevano. Tantissimo.
Gli attacchi del Dai Li divennero più precisi. Un soldato si fece strada in quella nebbia, un altro rese una porzione del cerchio di terra in cui erano costretti un tappeto di spine, Osamu lo capì un attimo prima che queste li infilzassero tutti e due e trascinò Atsumu via con uno strattone.
Mugi, il bisonte di Shouyou, aveva le zampe bloccate da uno strato ostinato di roccia e il suo padrone non aveva tempo di liberarlo.
Le mani di pietra del Dai Li iniziarono a sfrecciare a un passo dalle loro orecchie, tracciando traiettorie rettilinee simili a laser. Shouyou le spazzava via, Osamu le frantumava, Atsumu tentava come uno scemo di schivarle.
“Ci serve una via d’uscita!” gridò Shouyou, mentre spediva un misto d’aria e pietra in direzione di un soldato.
“‘Tsumu, attento!” gridò suo fratello.
Atsumu si voltò di scatto, una mano di pietra puntava dritta alla sua faccia. Aveva i pugni serrati al punto che sentiva le unghie incidere i palmi. Registrò distrattamente suo fratello alzare una mano e Shouyou tirare su un piede per difenderlo. Non ce l’avrebbero mai fatta prima dell’impatto.
Così Atsumu attaccò. Si abbassò di scatto e il prurito svanì. Disegnò un cerchio di fuoco attorno a loro, alzò le fiamme verso l’alto e le udì crepitare, vive, pulsanti, in smaniosa attesa di essere liberate dalle catene della sua volontà e divorare il mondo intero.
Il fuoco è vivo, gli aveva detto una volta sua madre, il giorno in cui l’aveva costretto a nasconderlo. Tutti gli altri dominatori piegavano gli elementi al loro volere. Smuovevano aria, acqua e terra preesistenti, ma il fuoco era l’unico elemento che nasceva dal dominatore, perché a smuoversi era l’animo.
Il Dai Li arretrò, Atsumu vide paura e sorpresa agitarsi insieme alle fiamme riflesse nei loro occhi. Era la prova inconfutabile che Shouyou aveva ragione. La guerra esisteva, non era finita cinquant’anni prima. Non c’era nessun errore di sistema, ma doveva esserci un errore nel sistema, se bastava un ragazzo volante a demolire le loro bugie.
“Salta su!” gridò Shouyou da un punto imprecisato alla sua destra. Si voltò a guardare Osamu arrampicarsi goffamente sul bisonte e Hinata che gli faceva segno. Corse verso l’animale, un altro palmo di pietra lo attaccò, ma Shouyou lo deviò con la mano che un attimo dopo gli porse per issarsi sul bisonte. Atsumu l’accettò e si accomodò sulla sella. Non seppe spiegarsi se la scintilla che aveva avvertito quando aveva stretto la mano di Shouyou fosse una conseguenza del suo attacco o qualcosa di completamente diverso.
Il bisonte prese quota e si fiondò in cielo.
 
Sulla schiena di Mugi, Osamu osservò Ba Sing Se rimpicciolire e brillare sotto il sole gentile del primo pomeriggio. Si voltò per incontrare lo stesso sguardo strabiliato di suo fratello, ma si sorprese a scoprire che Atsumu era concentrato sul cielo blu cobalto dell’altitudine. Osamu scosse la testa e tornò a guardare Ba Sing Se. Da quella prospettiva, le cose che avevano visto acquistarono un nuovo senso.
Ecco cos’era realmente Ba Sing Se, capitale del Regno della Terra: un’utopia. Non c’era nessuna guerra, perché mura così alte e impenetrabili significavano protezione, ma anche isolamento, e ogni bugia poteva diventare verità. I profughi non erano famiglie decimate da una guerra avvenuta cinquant’anni prima, ma persone con ustioni ancora fresche. Un dominatore del fuoco non era un errore di sistema, un ricordo sbiadito di una guerra che cinquant’anni prima li aveva resi dei mostri, ma un nemico del Regno ancora molto minaccioso.

 

   
 
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