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Autore: vielvisev    30/12/2022    1 recensioni
Fix it e What if molto introspettivo.
Hermione è torturata al Manor davanti a un Draco già pieno di dubbi.
Sono ragazzi diversi, sia provenienza, che per carattere, ma forse son più simili di quel che pensano.
Una storia che si basa sui "Se" e sui "Ma".
Se Draco Malfoy avesse voluto salvare Hermione. Se lei avesse accettato il suo aiuto.
*** DAL TESTO ***
Ma ora che si ritrovava riversa sul pavimento di Malfoy Manor, la vista sfocata, la sensazione di vetri nelle vene che la faceva contorcere a terra, il respiro spezzato, Hermione riusciva a vedere solo lo sguardo vitreo di Draco Malfoy, così simile a quello di Remus quando aveva perso Sirius. Così disperato, vuoto, impaurito.
E se Draco Malfoy avesse voluto aiutarla?
(...)
“Prendete me” urlava il rosso e Draco si rese conto in quel momento che avrebbe fatto volentieri a cambio anche lui con la Granger, mentre la nausea gli invadeva la gola e le lacrime gli lambivano gli occhi. Si rese conto di non voler davvero vivere in quel mondo e di aver troppo paura di morire, ma che resistere a quella tortura era troppo.
(...) riuscì a pensare una sola cosa: “E se... avesse salvato la Granger?”
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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.Save us. Save the world.


 
Ron Weasley era caduto dal suo cavallo tra i riquadri bianchi e neri della scacchiera quasi sei anni prima. 
Quella era stata la prima volta in cui Hermione Granger si era chiesta “E se...?”
E se fosse morto? E se lei non fosse riuscita a risolvere l'indovinello di Piton? E se Harry non avesse avuto la prontezza di reagire all'attacco di Raptor? E prima ancora di ciò... e se Ron avesse sbagliato le sue mosse? E se si fosse dimenticato di Harry o di lei durante la partita, o se per salvarli dall'essere mangiati dagli enormi pezzi degli scacchi avesse dovuto rinunciare alla vittoria? E se...?

 Non aveva smesso a lungo, Hermione, con i suoi “E se...?”. Anche una volta al sicuro nella torre di Grifondoro aveva continuato a chiedersi internamente come sarebbe potuta andare in mille e più varianti. Il cervello che galoppava nel mondo dell'ipotetico, gli occhi sgranati persi a osservare i ricami del suo baldacchino rosso e oro. 
 E non aveva avuto pace, nemmeno negli anni successivi. Hogwarts non sembrava essere in fondo un luogo poi così sicuro e il destino di Hermione si era intrecciato sempre più strettamente con quello impervio e fragile di Harry Potter.
 E se Ginny non avesse riversato tutto il suo cuore in quel diario? E se Harry non fosse stato in grado di parlare Serpentese? E se Piton non avesse insegnato l'Expelliarmus, in quell'unica lezione di duello tra maghi?
 Hermione affogava in tutte quelle variabili. Ricamava mondi probabili che non esistevano. Ci creava sopra soluzioni ipotetiche, studiava con fervore per essere pronta per ogni via che non era mai stata imboccata. E mentre le sue gambe si allungavano e il suo corpo perdeva le tracce dell'infanzia, in quel periodo di vita che avrebbe dovuto essere incrinato solo dai dubbi che portava l'adolescenza, Hermione non se ne rendeva nemmeno conto di crescere. Perché mentre lei si faceva donna, non  pensava ad altro che a ogni possibile futura scelta. A ogni possibile conseguenza.
 E se Harry non avesse imparato a evocare il suo Patronus quell'anno? E se Remus avesse ricordato la pozione quella notte di luna piena? E se Grattastinchi avesse mangiato Crosta? E se i gemelli non avessero dato ad Harry la mappa? E se lei non avesse ottenuto la Giratempo per seguire i suoi innumerevoli corsi?
 Hermione a volte si sentiva schiacciata da tutte quelle possibilità, ma allo stesso tempo era confortata dall'idea che tutte le scelte prese fino a quel momento avessero risparmiato loro la vita. Harry era ancora lì al suo fianco, con il suo sguardo verde distratto, sempre perso su qualche pensiero. Il suo sorriso delicato. I suoi capelli arruffati. 
 E anche Ron era lì. A fare da necessario collante tra loro. Con la sua grassa risata, le lentiggini perse nel bianco latteo che era il suo volto, la fronte perennemente aggrottata. Hermione amava profondamente i suoi amici.
E se i denti non le fossero cresciuti? E se Cedric avesse deciso di infischiarsene del suo buon cuore e avesse invece preso la coppa per primo? E se Barty Crouch jr si fosse invece dimenticato una sera di prendere la Polisucco, mentre era a cenare in Sala Grande davanti a tutti? E se...

 Poi erano cominciati anche i “Ma...” a un certo punto. Concilianti e pragmatici, a limitare le sue fantasie e tutte quelle domande che la tormentavano. Ma Ron era stato in grado di giocare la partita. Ma Crosta era davvero solo un topo al tempo. Ma era ovvio che Piton insegnasse loro a disarmare per difendersi. Ma. Ma. Ma. Tanti “Ma” per cercare di dare un equilibrio. Hermione era efficace e giusta in quei ragionamenti, convinta di avere stretto un patto con sé stessa che le avrebbe concesso di continuare ad andare avanti. A non pensare all'oscurità incombente come la loro fine. A ridere nei momenti di spensieratezza che lei e gli altri due si concedevano in mezzo a mille orrori.

Poi però gli “E se...” si erano arrestati bruscamente due anni prima. Quando Hermione aveva scoperto che Sirius era morto dietro un velo e a dirglielo era stato Remus, mentre la accompagnava in infermeria. Il dolore che aveva visto sul volto del mannaro le era entrato dentro, sotto la pelle, fino al cuore, come un manto gelido. Le aveva tolto il respiro, lasciandola inerme e pensare a come sarebbe potuta andare: se Harry non fosse stato impulsivo, se Piton non lo avesse cacciato dalle sue lezioni di Occlumanzia, se Sirius non avesse trattato male Kreacher... ed era diventato tutto troppo difficile.
 Hermione aveva chiuso gli “E se...” dentro di sé così a fondo da cambiare quasi sé stessa. Perché per definizione non si può variare il passato con un “E se...”, è solo qualcosa che rimane ipotetico. Ma Sirius era morto. 
Questa era l'unica realtà tangibile. Ed Hermione aveva fatto suo il dolore di Remus, l'aveva compreso troppo a fondo, lasciandosi devastare dallo sguardo vitreo e senza scopo del mannaro. Lasciandosi ferire in modo definitivo dalla solitudine e sofferenza dell'uomo. Hermione era cresciuta di colpo. Aveva capito.^

 Aveva visto improvvisamente la guerra per quel che era. Aveva compreso la morte, l'ingiustizia e il loro destino con estrema chiarezza e insieme al puro terrore che aveva cominciato a correrle nelle vene, era arrivata la consapevolezza.  Forse era a causa della morte di Sirius che era riuscita a pensare di cancellare la memoria dei suoi genitori per proteggerli. Era grazie alla solitudine di Remus, privato della sua stessa vita pur respirando ancora, che Hermione aveva capito che non c'erano confini al peggio e che non stavano più giocando a probabilità su una scacchiera. 
Se loro muovevano i pezzi con tentativi studiati e rimuginati, il terrore nelle ossa di sacrificare anche solo un pedone per quella partita, Voldemort era invece troppe mosse avanti. Ed era pronto a sacrificare ogni singolo pezzo senza alcun riguardo, purché potesse fare scacco matto. Voldemort era disposto ad arrivare a dichiarare la fine dei giochi al re bianco con il re nero: sé stesso. Sé stesso e forse solo l'ombra di Tom Riddle chiuso in un pezzo di anima a fargli da spalla.
 Hermione non si era fatta annichilire da quei pensieri però. Si era sentita solo più spietata. E spazzato via dalla mente analitica il mondo delle ipotesi, con i suoi “E se..” era rimasta solo della pragmatica e spaventosa lucidità. Erano rimasti i “Ma...” snocciolati per frenare, giustificare, temporeggiare, riflettere. 
Ed era con un “Ma ha solo sedici anni” che aveva chiuso il problema “Malfoy è un Mangiamorte”. 
Si era rifiutata di crederci. “Ma. Ma. Ma.” aveva reagito con un “Ma” a ogni accusa di Harry. 
 Ma tu ti fissi sulle cose, Harry. Ma, non puoi essere ossessionato da Malfoy. Ma, forse è la mappa che sbaglia. Ma. 
 
Poi Malfoy aveva ucciso Silente, o almeno ci aveva provato, disarmandolo e poi cedendo al terrore, e il cuore di Hermione Granger aveva infine tremato. Le sue acute certezze, la sua logica, si erano frantumati. E aveva compreso di aver attraversato un nuovo confine. Nulla era più abbastanza.
 Così aveva perso anche i “Ma..” e si era ritrovata solo a reagire. Era affogata nella missione. Aveva pianificato ogni cosa con ossessionata perfezione. Aveva superato la paura, il disprezzo, l'etica, la sua visione della vita e del mondo. 
 Aveva applicato il suo incantesimo di estensione invisibile sulla sua borsetta di perline e ci aveva buttato dentro tutto: anche la sua infanzia, la sua speranza, il suo buon cuore. Aveva chiuso la cerniera e si era preparata a combattere.

 Ma ora che si ritrovava riversa sul pavimento di Malfoy Manor, la vista sfocata, la sensazione di vetri nelle vene che la faceva contorcere a terra, il respiro spezzato, Hermione riusciva a vedere solo lo sguardo vitreo di Draco Malfoy, così simile a quello di Remus quando aveva perso Sirius. Così disperato, vuoto, impaurito. 
E se Draco Malfoy avesse voluto aiutarla?


* * *

Draco Malfoy non si era mai fatto molte domande nella vita. Non si era mai chiesto se dovesse essere grato della sua posizione di prestigio, se desiderasse davvero essere un Serpeverde, o se i suoi genitori fossero brave persone. 
Draco Malfoy era abituato a vivere la vita con il sorriso sul volto di chi sa di cadere sempre in piedi. Non aveva mai dovuto domandarsi se un giorno il cibo, le lenzuola di seta e il suo privilegio, che era così abile a usare tra i coetanei, gli sarebbe stato tolto. Aveva semplicemente vissuto. Era stato fiero del suo nome, del suo potere, della sua immensa casa con siepi, giardini ed eleganti pavoni candidi. E non avrebbe mai voluto sentirsi in colpa per questo.
 Draco Malfoy era stato cresciuto da poche carezze materne, una manciata di sguardi orgogliosi e una grande aspettativa sulle sue spalle. Non si era mai lamentato di ciò, inconsciamente pensava che la sua vita non potesse essere migliore di così. Era graziato da un'intelligenza fine, una lingua svelta, un viso gradevole. 
Era circondato da un'elite che nutriva per lui grandi speranze, da compagni di scuola duttili e facilmente corruttibili, da ragazze che fin da bambine lo guardavano come si guarda un principe nelle favole della buonanotte. Per Draco Malfoy non c'era mai stato giusto, o sbagliato: solo una semplice linea grigia da seguire. 

 Un equilibrio intessuto di insegnamenti rigidi, riguardi velati, opinioni discordanti e concetti intrisi dell'etica Purosangue e della sua personale idea di potere e prestigio.
 Draco Malfoy aveva goduto della placida sicurezza in cui la sua esistenza affondava e si era presto detto che se per difendere quello stile di vita doveva semplicemente sorridere alle persone giuste e ferire quelle sbagliate, allora poteva essere in grado di mantenere la sua buona stella. 
 Aveva studiato il galateo nei minimi dettagli, conosceva la storia militare e genealogica della sua famiglia, parlava fluentemente inglese, russo, francese e in modo sufficiente anche il tedesco e l'italiano. Era un discreto duellante, buon conoscitore delle Arti Oscure e un Occlumante superiore alla media. 
 Era anche un Legilimens naturale, il prossimo erede di ben due storiche famiglie e possedeva la capacità di sopravvivenza e preservazione che conveniva al suo rango. Draco Malfoy aveva pochi difetti, a parte una personalità plasmata dal padre e dalle aspettative, ed era fiero della vita che si stava disegnando e del futuro a cui ambiva.


 Poi tutto però era crollato. Lo stucco sulle crepe della sua famiglia si era sgretolato. Il senso di colpa, gli attacchi di panico, la sensazione di impotenza avevano incrinato ogni sua certezza. Le bruciature sul loro albero genealogico erano diventate voragini e nemmeno tutti i galeoni nel suo caveau erano riusciti a garantire più la sicurezza del suo futuro. 
 Se fosse morto in fondo, che cosa poteva comprare con delle monete? 
Draco Malfoy non aveva battuto ciglio nell'apprendere che suo padre era stato arrestato. In un automatismo raro aveva svestito il suo ruolo di figlio e si era blasonato dell'appellativo “Erede Malfoy”. Aveva assunto le sue responsabilità, preso il marchio, quasi senza rendersene conto. Aveva stretto la mano della madre con sicurezza, sorreggendola. 
Era stato abile Draco. Tutti sembravano ricordarsi solo del fatto che era un ragazzo con il marchio su un braccio, che era parte di una famiglia in caduta libera, che non era stato in grado di uccidere Silente. Nessuno ricordava che a soli 16 anni aveva aggiustato due Armadi Svanitori, anzi ancora prima, che aveva pensato agli Armadi Svanitori. 
 Nessuno gli dava il merito della sua preparazione in ogni aspetto, della sua curiosità vorace, della sua cultura sopra la media, delle ore di studio, strategia e preparazione che aveva esaurito su sé stesso per compiacere gli altri.

 Era stato solo, Draco Malfoy. Per un anno intero, ma forse anche da molto, molto più tempo. Solo a portare avanti parallelamente il ripristino dei due Armadi e altri tentativi, ragionando febbrilmente e occupandosi al contempo di mantenere sotto Imperius Madama Rosmerta. E aveva anche continuato a seguire le lezioni, il giovane Draco, cercando di fingere di non essere sul punto di cadere in pezzi. Mettendosi insieme con respiri e lacrime amare.
 Tutti si ricordavano solo i suoi fallimenti e a un certo punto a Draco era andata bene così. Non dare nell'occhio. Nessun Se. Nessun Ma. Meno onore gli veniva promesso, meno probabilità c'erano che una cruciatus lo colpisse. E una cruciatus in quel momento avrebbe potuto frantumarlo in mille brandelli. Perché Draco Malfoy era consumato. 
 Gli incubi erano diventati ricorrenti, i rumori troppo forti lo facevano sobbalzare. Temeva il buio. Si svegliava coperto di sudore ogni mattina. Non sapeva più di chi fidarsi. Non di sua zia, che per mezza infanzia aveva idealizzato nella sua testa e che ora gli pareva disumana. Non di suo padre, che forse avrebbe potuto vendere la sua pelle per un po' di prestigio. Non di Piton, così imperscrutabile e gelido, dietro quello sguardo scuro e distaccato. 
Draco Malfoy aveva scoperto cosa fosse l'insonnia e la paranoia. Si era fatto un'ombra, aveva cominciato a muoversi lungo i muri, sempre attento ad avere le spalle coperte. L'Occlumanzia così densa nella sua mente gli aveva fatto dimenticare a volte anche di sé stesso. Si doveva sforzare di concentrarsi sulle cose, così come di espandere la cassa toracica, quando il nodo in gola gli rammentava che per vivere doveva respirare. 
 Draco Malfoy aveva perso appetito. Aveva perso voglia di eccellere. Non era più ammaliato dall'Oscurità, non voleva più riconoscimenti. Improvvisamente si era visto desiderare con tutto sé stesso una cena tra amici. Bere del caffé amaro sulla spiaggia. Una festa di Natale di quelle organizzate da sua madre quando era bambino, che lui sbirciava in silenzio dalla ringhiera della scala del primo piano, ammaliato dalla musica e le luci.

 Si era ritrovato a sperare di potersi considerare neutrale, di ignorare il marchio, il suo cognome, le aspettative. Aveva desiderato come un assetato di sedersi in Sala Grande e cenare in tranquillità, ridendo della goffaggine di Goyle, sorridendo a Pansy, provando per la prima volta in vita sua a parlare con i suoi compagni di Casa.
 Avrebbe voluto dire a quel Theodore Nott che era piuttosto bravo in Pozioni e che non sarebbe stato affatto male studiare insieme biblioteca. Avrebbe voluto voltarsi verso Blaise Zabini senza vedere quel leggero sorriso di scherno che l'italiano, dichiaratamente neutrale in quella guerra, gli riservava sempre più spesso.
Avrebbe voluto volare all'alba, Draco Malfoy. Con il vento in faccia e senza la sensazione di essere in fuga da qualcuno.

 Ma la sua mente si rifiutava di concepire i “se...” e i “ma...”. La sua disperazione aveva annegato la sua speranza, lasciandolo inerme e debole, codardo e senza via d'uscita. Draco Malfoy non pensava al futuro, non pensava a una redenzione, non pensava a un modo per cambiare la sua sorte. Respirava, un passo dietro l'altro, trascinandosi in avanti, cercando solo di sopravvivere un altro giorno ancora.

Draco Malfoy aveva considerato sé stesso e la sua anima persi. Fino a quel momento. Fino a quando i suoi occhi vacui e grigi non si erano posati sul trio dei miracoli. Su quei tre che in fondo invidiava perché così simili alla versione di sé che avrebbe voluto sperimentare.   Quella che dà fiducia, che si appoggia agli altri, che si mette in discussione. 
 Il trio dei miracoli. Quei tre Grifondoro che mentre venivano masticati dall'oscurità, sempre più feriti e a brandelli, continuavano a tenersi per mano, a guardare all'obbiettivo finale, a vivere con quel fuoco brillante nel loro sguardo. 
Il sentimento di odio e rassegnazione, mischiato a pura ammirazione e stanchezza, invase Draco. Si udì dire che “Non era certo che quello fosse Potter” e quasi si stupì dell'audacia provata, mentre dall'esterno probabilmente tremava di paura.
 “Guardalo bene Draco” sussurrò Narcissa e lui avvertì la pressione leggera della mano della madre sulla sua spalla.
Avvertì il terrore, la tensione, la sensazione improvvisa e acuta di essere sul punto di prendere una scelta che avrebbe potuto cambiare le carte in tavola. Udì le sue labbra schiudersi e sussurrare, di nuovo “Non so” e subito dopo “Forse”. 
Osservò, incapace di agire, mentre Potter e Weasley venivano trascinati via, mentre sua zia afferrava la Granger per i capelli e se la tirava dietro lungo il pavimento lucido, fino al salone principale. Rimase immobile, mentre la ragazza scalciava disperata, lo sguardo color cioccolato che eppure ardeva di concentrazione, mentre probabilmente ragionava sul prossimo passo, su tutte le vie di fuga. Persino allora. Persino mentre era forse sul punto di morire. 
Draco Malfoy si sentì invadere da una punta di ammirazione per quell'ostinato attaccamento alla vita che la grifona dimostrava. Avvertì come la sensazione di uno strano calore espandersi nel suo petto e fargli tremare le mani. Nonostante sua zia la stesse torturando e umiliando, come una bambola di pezza totalmente in suo controllo, la Granger sembrava illuminata di dignità e coraggio. Rialzava il mento dopo ogni cruciatus. Lottava.
 Il punto in cui la mano di Narcissa era ancora posata sul suo braccio sembrava bruciare. Draco continuò a osservare, con il respiro che faticava ad arrivare ai polmoni, in un rantolo sottile, simile a un fischio. Sentì come una forza che lo radicava al terreno, impedendogli di lasciare la stanza come avrebbe voluto, il panico che gli inondava la mente in fiotti, mentre lentamente comprendeva di aver mentito per i tre Grifondoro, di aver tardato di un poco la loro fine, senza nessun motivo valido. Si chiese perché lo avesse fatto. Mentre le labbra aride gli si spaccavano e gli occhi si sgranavano. Mentre le grida della Granger riempivano la sala e quelle di Weasley riecheggiavano in lontananza.
Prendete me” urlava il rosso e il giovane Malfoy si rese conto in quel momento che avrebbe fatto volentieri a cambio anche lui con la Granger, mentre la nausea gli invadeva la gola e le lacrime gli lambivano gli occhi. Si rese conto di non voler davvero vivere in quel mondo e di aver troppo paura di morire, ma che resistere a quella tortura era troppo.
Si disse più e più volte, nel tentativo di placare il suo panico “Ma... sono solo un ragazzo, non ripongono in me troppa fiducia, non mi uccideranno davvero se scoprono che ho mentito” poi però la realtà si fece più nitida, il suo senso di colpa consistente e Draco Malfoy riuscì a pensare una sola cosa: “E se... avesse salvato la Granger?”

* * *

Hermione urlò ancora e ancora, fino a non riconoscere più la sua stessa voce. 
Continuava a ripetere come un mantra “Non so nulla, non so nulla” con il terrore che le sue fragili pareti occlumantiche potessero cadere, con il terrore di tradirsi. Ed Hermione sapeva che non tradirsi era l'unica cosa che contasse in quel momento. Scivolò sul pavimento liscio e scuro, le unghie che cercavano inutilmente appiglio. Avvertì il suo corpo attraversato da spasmi e scossoni. Ogni legamento che si stremava, ogni briciola di resilienza che si frantumava. 
Non aveva mai messo in conto di dover resistere alla tortura. Aveva pensato che sarebbe stata uccisa subito, usata come esca, non torturata in cerca di informazioni. Aveva pensato di essere considerata solo feccia, una Nata Babbana. Poco importante. Aveva pensato di dover resistere al disgusto, alla sofferenza di non dire addio a chi amava. Non a quello.
 Hermione pregò nella sua mente confusa dal dolore che Harry e Ron non cercassero di salvarla, che fossero solo focalizzati a fuggire. Non considerò nemmeno per un secondo la sua possibilità di salvezza, accettò dentro di sé di morire. Aveva dato ai due amici tutto quel che poteva, ma era consapevole di essere solo una pedina. Un elemento sacrificabile.
Harry era quello importante. Harry doveva fuggire. Questa era l'unica cosa che contava davvero e l'unica cosa a cui riuscisse a pensare. Lei, Bellatrix Lastrange che rideva e la insultava, Narcissa Black e il suo sguardo chiaro sgranato, Draco Malfoy con la morte nel cuore. Tutti loro erano elementi minuscoli. Granelli di sabbia insignificanti che avrebbero potuto inceppare il grande ingranaggio per un secondo e poco più. Erano il male minore ed erano sacrificabili. 
Mentre la lama del coltello della Mangiamorte sopra di lei le tagliava la pelle, formando lettere che non riusciva a leggere, Hermione si torse e gridò senza più alcun controllo e fu allora che lo vide. Draco Malfoy. Draco Malfoy con il suo sguardo vacuo ed Hermione, per la prima volta da quando era entrata in quella stanza, provò speranza. E se...
 
“Ti prego. Salva Harry” cercò di dire lui, ma le labbra si spaccarono in urla e il suo corpo tremò. 
Hermione annegò nel grigio di Draco Malfoy e quasi perse conoscenza.


* * *

La mano di sua madre, tiepida e ferma, fu l'ultima cosa della sua vecchia vita per cui Draco Malfoy provò dispiacere di lasciarsi alle spalle, ma era troppo tardi per fermarsi. Le urla della Granger invasero la stanza ancora più acute e i suoi occhi color ambra erano rivolti verso di lui adesso. Draco la ricordava al suo banco di scuola, a scrivere febbrile i suoi appunti, la ricordava in ogni luogo del castello, sola con un libro o accanto ai suoi amici. Aveva creduto di non aver mai prestato troppa attenzione a lei, di averla sempre considerata un'appendice di Potter e Weasley, invece ora, davanti a quel dolore così insopportabile, Draco si rese conto di sapere molte cose di lei. 
Sapeva che tutti i sabati stava in biblioteca, per esempio, era il motivo preciso per cui lui non ci andava mai in quel giorno della settimana. Sapeva anche che la ragazza beveva molto the, mentre lui invece lo disdegnava. Sapeva che la Granger non apprezzava la divinazione, cosa in cui stranamente concordavano. 
Sapeva anche che lei non era affatto portata per il volo, che era brava invece in Pozioni, che era una dei pochi a seguire con lui il corso di Aritmazia. Sapeva che voleva lavorare al Ministero perché l'aveva raccontato una volta alla McGranitt. Sapeva che era Nata Babbana, che il suo secondo nome era Jean, che il primo giorno sull'espresso di Hogwarts aveva aiutato a cercare il rospo di Neville Paciock chiedendo a tutto il treno se lo avessero visto. A tutto il treno compreso lui. Lo aveva guardato in faccia senza essere a conoscenze delle loro differenze, aveva fatto la sua domanda pragmatica e sfacciata, lasciando il giovane Malfoy quasi affascinato.
Hermione Granger era una persona intera. Draco Malfoy non poteva negarlo. La ricordava bambina e ora la vedeva quasi donna. Così stoica eppure distrutta, il fuoco di chi combatte in quegli occhi resi fragili dal dolore. Hermione Granger era solo una ragazza, non troppo diversa dai suoi compagni di Casa, probabilmente. Non troppo diversa da lui. Era solo una ragazza e lui stava assistendo in silenzio alla sua disgregazione, senza battere ciglio, mentre lei cercava disperatamente di dirgli qualcosa. A lui. 
 “Madre. Devi fermare tutto questo”

Draco sussurrò quelle parole alla donna senza nemmeno rendersene conto. Teneva ancora lo sguardo sulla Granger e sentì la presa della madre stringerlo appena più forte intorno al suo avambraccio, senza però che proferisse parola. Narcissa Black osservava la tortura con freddezza, pallida e ferma. Gli occhi chiari vuoti, le labbra serrate in una linea dura. Ma Narcissa Black non era affatto una stupida, e mentre fingeva dell'ingenuità centellinata davanti a tutti, dietro il suo viso di porcellana, aveva una mente affilata che galoppava a pieno regime e Draco ne era perfettamente consapevole.
 “Madre...” ripeté il ragazzo in un sussurro, mentre le grida della Granger si facevano roche a causa del dolore.
Narcissa si voltò a guardarlo questa volta e prese un respiro, mentre Draco sussurrava ancora un: “Ti prego
 “Ancora un minuto Draco” rispose inaspettatamente lei “Ancora un solo minuto”
 “Madre... non ha un minuto. Lei...” rispose in un fiato, sentendo il sapore della disperazione sul palato.
“Ti importa della ragazza?” lo fermò tagliente la donna. Rigida. Severa.
 “Sì” rispose lui di istinto “Sì, mi importa”
Non sapeva se fosse vero, ma non gli parve una menzogna. Le urla della Granger ora gli stavano affondando nel petto, distruggendo una ad una tutte le sue rimostranze, le sue scuse, i suoi falsi miti. Si vergognava di non agire semplicemente, correndo verso Bellatrix e fermando quella tortura, ma non voleva esporre la sua famiglia senza che ne avessero un preavviso. Si vergognava anche di dover chiedere appoggio a un famigliare però, ma poi si rese conto che in realtà era la prima volta che lo faceva. La prima volta che chiedeva a sua madre di aiutarlo, che si esponeva in disaccordo su quella follia. Che era sé stesso probabilmente.
 E poi accadde: la Granger smise di urlare e il silenzio intorno a loro si fece assordante.   Narcissa lo guardò e annuì, senza battere ciglio e Draco sentì il tocco della madre scivolare via. La vide avanzare verso la sorella con calma rara, il mento sollevato, lo sguardo quieto. La sentì dire “Bellatrix. Fermati per favore”. 
Non riuscì però a provare nemmeno stupore per quella scena incredibile: le due sorelle Black che si fissavano e comunicavano senza dire ad alta voce nemmeno una singola parola. Draco riuscì solo a prendere un breve respiro, poi però il mondo esplose all'improvviso e Potter, Weasley e un elfo domestico, che riconobbe come Dobby, irruppero nella stanza. Volarono incantesimi. Cadde a terra l'enorme lampadario a dividerli in due gruppi distinti. Successe tutto estremamente veloce, eppure agli occhi di Draco a rallentatore.


 Lo capì in un istante. Hermione, riversa a terra a pochi passi da Bellatrix, era troppo debole per raggiungere i suoi amici sulle proprie gambe, ma Harry Potter e Ronald Weasley non l'avrebbero lasciata indietro. Ed era stupido come atteggiamento forse, ma lui sapeva semplicemente che non era nella loro natura mettere le cose nella giusta prospettiva.

 Cercare di correre verso la Granger però, per quanto fosse un intento nobile, avrebbe firmato anche la loro condanna a morte. E fu allora che Draco vide chiaramente lo spiraglio. La crepa minuscola del suo futuro in cui avrebbe potuto infilarsi e fuggire se avesse avuto il coraggio di agire e si stupì nel rendersi conto che il coraggio lo aveva. 
 “Draco vai” gridò Narcissa e lui si riscosse, lanciò un solo sguardo alla madre e poi corse in avanti. 
 Non prese nemmeno la bacchetta dalla sua tasca, come sarebbe stato intelligente fare. Non pensò razionalmente. Il suo intero mondo in quel momento ruotava intorno alla figura minuta di Hermione Granger che lo guardava, stesa a terra rannicchiata, mentre respirava debolmente, pallida e appena cosciente, eppure ancora viva.
 “Malfoy. Devi salvare Harry” gli sussurrò con sguardo sgranato la ragazza, appena lui fu abbastanza vicino a lei, ma Draco non si fermò a confortarla, né si prese la briga di rispondere. 
 Sentiva il tempo che avevano a disposizione esaurirsi. Si gettò a terra, afferrò il corpo della Granger come fosse una piuma e si rimise a correre, nella direzione opposta. Lei stretta contro il suo petto, fragile e sottile. 
Bellatrix, i Ghermidori, suo padre. Erano tutti rivolti verso i due Grifondoro, si aspettavano che fossero loro a correre verso la ragazza. Non si guardavano alle spalle, i Mangiamorte, non credevano che fosse il giovane Malfoy ad agire. 
 Eppure era esattamente ciò che stava avvenendo e quando se ne resero conto era troppo tardi. 
Draco sentì i muscoli bruciare mentre si lanciava verso i due ragazzi che lo guardavano con occhi sgranati. Si chiese come dovesse essere dal loro punto di vista. Vedere il giovane Serpeverde che correva verso di loro a tutta velocità con Hermione Granger tra le braccia, ma non se ne curò, troppo concentrato su quel minuscolo spiraglio, la via d'uscita. 
 Fu Weasley ad afferrarlo per la spalla, sibilando un “Che mi venga un colpo, Malfoy, ne hai fatta una giusta”. Poi tutto il mondo si capovolse e si ritrovarono confusi nella smaterializzazione e l'unica cosa su cui Draco si concentrò, mentre la casa dove era cresciuto tra sfarzi e grandi ambizioni spariva davanti alla sua vista, fu il peso della Granger contro il suo petto e il pensiero della sguardo chiaro di sua madre.


Atterrarono su una spiaggia bianca. L'aria era salmastra e calda, il vento leggero, l'alba illuminava di rosa e giallo l'orizzonte. Erano salvi. Erano salvi.
 Draco sbatté le ciglia un paio di volte e poi si rannicchiò intorno al corpo della Granger. Lei respirava lentamente e lui scoppiò improvvisamente a piangere. Si aggrappò alla ragazza con tutte le sue forze, affondò il viso nei capelli di lei, mentre il peso di ciò che aveva appena fatto lo schiacciava al terreno. 
Aveva lasciato la sua casa, i suoi genitori, ciò che aveva sempre creduto di essere, alle sue spalle e lo aveva fatto perché Hermione Granger lo aveva guardato dritto negli occhi, implorando silenziosamente il suo aiuto. Perché Hermione Granger lo aveva visto. Era riuscita ad andare oltre le sue maschere e vederlo chiaramente per quello che era.
Aveva un pugnale affondato nel suo costato, Draco Malfoy, ma non avvertiva il dolore. Non sentì nemmeno i passi concitati dei due Grinfondoro che si avvicinavano a loro. Non sentì il rosso che sibilava “Cazzo è ferito Harry. Non riesco a credere che gli dobbiamo la pelle. Bastardo di un Malfoy”. Né sentì Potter che gridava al suo elfo domestico di aiutarlo a portarli tutti al sicuro nella casa alle loro spalle. Draco Malfoy avvertì solo la mano fresca e insanguinata della Granger poggiarsi sul suo viso. Venne assorbito dal suo sguardo color ambra, improvvisamente così dolce, dal suo sorriso appena accennato. Venne risucchiato dalla sua voce rauca e spezzata che diceva “Mi hai salvato la vita Draco Malfoy?”.
 

* * *


Draco Malfoy era diventato la sua ombra. Ovunque si girasse Hermione lo trovava lì a guardarla, a un passo da lei, come fosse pronto a prendersi un'altra volta un pugnale nel costato per difenderla. Altre mille volte. Forse. 
Draco ci aveva messo quasi una settimana a riprendere forze e la ragazza gli era stata accanto tutto il tempo. Inizialmente lo aveva fatto con la scusa di dover ricambiare il favore, poi perché le piaceva passare la giornata insieme al biondo, anche se lui restava semplicemente in silenzio. Era cosciente, Hermione, che senza l'intervento di lui, sarebbe probabilmente morta ora. In solitudine, lontana dai suoi amici, se loro si fossero rivelati abbastanza furbi da lasciarla indietro. Cosa di cui dubitava. O proprio accanto a loro, a marcire probabilmente in qualche fossa comune, o appesi come monito per la Resistenza, se Harry e Ron fossero stati così folli e testardi da cercare di salvarla. Cosa di cui era certa.
Senza Draco Malfoy quindi tutti loro sarebbero morti. Forse l'intero mondo magico sarebbe stato condannato.

Inizialmente era di nuovo affogata nei suoi “E se...” e “Ma...”. Aveva cercato logica e giustificazione alla loro situazione e provato a valutare ogni singola variabile. Aveva cercato di capire almeno perché lui l'avesse salvata. Perché avesse messo tutto in discussione per lei. Poi però aveva smesso di farsi domande e analizzare il passato e aveva messo anima e corpo semplicemente nel curare quel ragazzo spezzato e fragile sotto le sue dita. Era tornata pragmatica, Hermione. 
 Si era fatta insegnare da Fleur come cambiare gli impacchi sulla ferita che il pugnale di Bellatrix aveva lasciato nel costato di lui. Aveva imparato a fare incantesimi diagnostici. Aveva vegliato il suo sonno, controllando la sua salute.
 Draco Malfoy era solo esausto inizialmente, quasi mai cosciente e quando i suoi occhi grigi si posavano su di lei, seppur raramente, sembravano solo vacui e tormentati, come focalizzati su qualcosa di molto distante. Liquidi di senso di colpa.

 Hermione però non si era persa d'animo con lui. Non lo aveva accusato, né aveva mai forzato i suoi silenzi. Era stata paziente. Una figura disponibile e gentile a sua disposizione. Si era presa cura di lui. Lo aveva ascoltato e rispettato.
Lo aveva svegliato dai suoi incubi, aveva portato per lui libri per spezzare la noia, lo aveva svestito e lavato con una cura clinica e distaccata, creando però inavvertitamente un'intimità sempre più densa. Era rimasta al suo fianco ogni notte e giorno e quando infine lui era stato di nuovo in grado di alzarsi e muoversi per la casa, Hermione non era stata in effetti così stupita di vederlo trasformarsi nella sua ombra. Lo aveva trovato persino giusto. Confortante.

La routine che si creò poi tra loro a seguire, istituì un nuovo equilibrio. Passavano molto tempo insieme e parevano in perfetta sincronia. Il loro modo di muoversi nello spazio era così coordinato e istintivo che nessuno sembrava davvero turbato da quella strana visione della giovane Grifondoro e del ragazzo che la seguiva ovunque. Erano due persone che insieme avevano visto il fondo della loro esistenza e insieme si erano risollevati. 
 Cominciarono a parlare a volte tra loro a quel punto, Draco ed Hermione. Prima in sussurri timidi, poi sempre più in scioltezza. Si recavano d'istinto nella stessa stanza a dormire ogni sera, per cancellare gli incubi a vicenda. Quando c'era un rumore troppo forte si afferravano per mano. Sembravano tendere l'una verso l'altro anche a distanza.

 Draco partecipava alle conversazioni dei tre Grifondoro semplicemente ascoltando. Non sembrava interessato a quel che dovevano fare, non interveniva a meno che non fosse direttamente interpellato. Il suo unico desiderio sembrava essere non essere troppo distante da Hermione, non si capiva se perché volesse difenderla, o temesse di non poter respirare se si fosse allontanata. Ed Hermione cercava il biondo con lo sguardo ad ogni suo passo e sembrava rilassarsi veramente solo quando lui era a portata di tocco, lo includeva nei loro ragionamenti e stringeva lui la mano.
 Harry e Ron erano troppo grati di essere vivi e di avere la loro amica con loro per risollevare antichi rancori. Erano stati curiosi di quell'evolversi della situazione, ma non avevano inferito. Avevano inizialmente provato a parlarne con lei, ma ora osservavano semplicemente con attenzione, discutendo molto tra loro ed evitando domande scomode che potessero spezzare quella nuova simbiosi. Si erano velocemente adattati a quel nuovo equilibrio, cercando di essere semplicemente grati e abbastanza intelligenti da vederne il lato positivo.

 I giorni passavano e i tre Grifondoro, alla presenza neutra del Serpeverde, ragionavano sulle prossime mosse, guarivano, collaboravano.


* * *


“Voglio dire. Potevi dirlo che ti piaceva Hermione, Malfoy” lo stuzzicò una sera Ron, sorridendo sornione sotto i baffi “Avresti reso tutto molto più semplice ammettendolo e basta, sai? Al posto che essere un furetto platinato tanto a lungo”
 Harry ridacchiò e scosse la testa, lanciando uno sguardo veloce al biondo. Draco sbatté solo le ciglia senza sapere cosa rispondere, forse in difficoltà anche solo ad allineare i suoi pensieri. Hermione gli posò una mano sulle sue e gli sorrise con dolcezza, prima di guardare intenerita i due amici seduti di fronte a loro. 
 “Lascialo stare, Ron” commentò con una scrollata di spalle.
 “Il mio era un complimento, Mione” si difese il rosso “Voglio dire: ad averlo saputo prima che poteva essere così utile avremmo perso molto meno tempo a dubitare di lui. Non mi sono reso ancora conto del fatto che ti ha salvato. Siamo vivi grazie a lui: Draco Malfoy. Non so se riuscite a capire il mio sconcerto”
 Hermione sorrise ancora, ma Harry invece corrucciò la fronte. 
 “Non sappiamo bene nemmeno perché tu l'abbia fatto Malfoy, in effetti” disse il bambino che era sopravvissuto “Non sei obbligato a dircelo eh. Ti siamo grati in ogni caso. Ma tra poco dovremo muovere la nostra prossima mossa e sarebbe bello sapere quale sarà la tua.”
 Draco alzò il capo e osservò il moro, rimanendo per un lungo attimo in silenzio. 
Erano in veranda e potevano sentire in lontananza il rumore ritmico delle onde del mare. Era una serata tiepida di fine aprile e il Serpeverde era ancora incredulo di essere lì, vivo, circondato da tre Grifondoro. Spostò lo sguardo su Hermione che sorrideva ancora lui, esortandolo forse a rispondere, ma lui in realtà non sapeva perché lo avesse fatto.

 Non aveva una risposta per Potter, questa era la verità. Hermione lo aveva guardato, aveva chiesto aiuto, e tutto il suo fragile palazzo interiore era crollato, mettendo in mostra tutte le sue cicatrici. Non aveva potuto fare altro e una volta che l'aveva stretta a lui aveva capito di non poter più stare distante da lei. Si era come risvegliato e tutto il suo equilibrio improvvisamente aveva cominciato a dipendere da Hermione Granger, dal suo perdono, la sua presenza. 
 Aveva iniziato a notarne tutti i dettagli, di lei. Si era sentito inebriato dalla sua persona, dal suo buon cuore, si era sentito legato a lei dal destino. Aveva cominciato a rivalutare tutto il mondo magico da un nuovo punto di vista, aveva visto con chiarezza tutte le crepe e ipocrisie del suo passato. Si era lasciato curare, lavare e confortare da lei. Per lei aveva abbassato tutte le sue pareti occlumantiche, aveva condiviso i suoi incubi e si era permesso di respirare.
Forse era il trauma comune, forse era perché lei era stata il suo spiraglio di libertà. Draco non lo sapeva e continuò a guardare Potter negli occhi, fino a quando il silenzio non si fece quasi teso e infine si udì dire: “Non potevo rimanere senza far nulla e guardare Hermione morire.”

 Non l'avevano ancora sentito pronunciare il nome della ragazza ad alta voce, Potter e Weasley, ed entrambi si fecero ancora più stupiti e sorrisero di velato imbarazzo. Poi Harry lo riguardò in volto con una smorfia curiosamente amichevole. 
“Beh, son contento che qualcuno dei vostri abbia voluto voltare le spalle a Tom Riddle” 
“Non penso di essere l'unico a voler voltar le spalle all'Oscuro, Potter”
 “Lo spero, Malfoy” rispose il Grifondoro e non era affatto aggressivo, cosa che continuava a stupire il biondo. 
 Nessuno dei tre ragazzi lo stava mettendo alle strette, o a disagio in quei giorni. Nemmeno Luna Lovegood e quel Dean Thomas che eppure lo osservava perplesso da lontano. Nessuno gli stava rinfacciando nulla. Stavano tutti passando il tempo  a leccarsi le ferite e anche se il biondo sospettava che l'atteggiamento tranquillo dei due ragazzi fosse mitigato dalle parole di Hermione, per lui era comunque sorprendente. 
 Avrebbe voluto dire loro quanto era grato di essere sfuggito al suo incubo. Avrebbe voluto dire loro che aveva pensato di morire infinite volte quell'anno, che la magia nera aveva premuto su di lui fino a farlo quasi impazzire, che non sapeva più se quello che lo guardava allo specchio era ancora sé stesso. Avrebbe voluto essere in grado di spiegarsi. Avrebbe voluto sentirsi utile, chiudere quella guerra, trovare soluzioni.


“Draco” 
 Hermione lo guardava, leggendolo dentro. La ragazza, riusciva a percepire l'agitazione del Serpeverde e strinse lui delicatamente la mano. Ron ed Harry distolsero lo sguardo, lasciando loro una relativa quiete e privacy. 
 Aveva pensato che ci sarebbero state urla e litigi, Hermione. Aveva creduto che Harry o Ron sarebbero andati su tutte le furie nel vedere il modo in cui lei e Malfoy interagivano, invece erano tutti straordinariamente pacati, o forse stanchi. Vecchi in corpi di adolescenti che non avevano più voglia di battagliare tra loro.
 Hermione non sapeva nulla di Draco Malfoy, in realtà, ma era cosciente di essere stata sul punto di morire, di aver sentito quasi distintamente la divisione tra il suo corpo e la sua coscienza e che poi il Serpeverde l'aveva strappata da quella fine, l'aveva stretta contro di sé e l'aveva portata via, prendendosi persino un pugnale nel costato. E l'odore, il ritmo del respiro e la presenza del ragazzo al suo fianco erano diventati per lei essenziali, erano il costante ricordo che lei fosse ancora lì. A godere del tramonto primaverile, l'odore di salsedine intorno a lei, la sabbia fine sotto i suoi piedi.
Lei e Draco si erano visti nudi di qualunque aspetto che non fosse il loro desiderio di sopravvivere. Si erano aggrappati l'uno all'altra. Erano diventati una cosa sola, l'una lo spiraglio di fuga dell'altro e non sarebbero bastati tutti i “E se...” e “Ma...” della storia a cambiare ciò. 
 “Anche mia madre la stava per salvare” sussurrò Draco al nulla. 
 Hermione sussultò e poi fu Ron il primo a sorridere al biondo ed Harry quello ad alzarsi, posare una mano sulla sua spalla e dire “Lo so, Malfoy. Lo so. Abbiamo visto il tentativo di Narcissa. E quando sarai pronto a combattere, sei libero di unirti alla nostra missione, se ti interessa. Tu aiuti noi e noi cerchiamo di salvare tua madre.” 
 “Ok” rispose solo Draco e Potter annuì.
 I due Grifondoro si allontanarono poi, sussurrando un “ vi aspettiamo a cena”. Hermione li guardò con affetto, poi si voltò verso il biondo Serpeverde a cui stava ancora stringendo ancora la mano. 
 “Tutto bene?” gli chiese.

 “Non so. È incredibile essere qui. Mi sembra di aver distrutto ogni cosa, a volte.” 
 “Lo hai fatto in effetti.” annuì lei “Non sarà facile, ma noi siamo al tuo fianco, ok? Io lo sono”
 “Come fate a non odiarmi?” chiese lui con voce rauca e rotta e lei scoppiò a ridere. 
 “O credo che Ron ti trovi piuttosto sgradevole, ma si sta sforzando di essere gentile”
 “Perché?”
 “Perché gliel'ho chiesto io”
 “Perché? Tu non mi devi nulla” sussurrò il ragazzo incredulo. 
 “Oh, io ti devo tutto Draco Malfoy. Se non fosse per te ora forse saremmo tutti morti. Il fatto di esserti preso anche un pugnale nel costato per noi, poi, ti ha messo in una luce ancora migliore, se posso.”
 Rimasero in silenzio mentre la luce calava, ognuno in preda ai propri fantasmi. Draco Malfoy non era coraggioso, aveva dovuto improvvisare per esserlo. Hermione Granger di coraggio ne aveva invece da vendere e aveva dovuto accettare, per una volta, di essere lei quella che aveva avuto bisogno di aiuto. 
Ci sarebbe stato un tempo poi per chiarirsi, mettere in discussione, accettare le proprie ferite, ma per il momento c'era una guerra in corso che aveva bisogno di loro. Di lei almeno. E Draco non era sicuro di potersi allontanare da Hermione Granger, la persona che infine aveva fatto crollare le barriere. Quindi sarebbe stato al suo fianco. Avrebbe accettato l'offerta di Potter, forse.
“Non si fidano davvero di me, vero?” chiese e lei rise di nuovo, cristallina e lasciò andare la sua mano per sfregarsi il viso. 
 “Perché dovrebbero Draco, sei sempre stato un autentico sterco di troll con loro”

 “E perché dicono che posso aiutarvi?”
 “Perché si fidano di me e perché tu ora puoi scegliere la tua strada”
 “Sembra incredibilmente stupido lasciarmi libertà di agire. Potrei tradirvi.”

 “Essere incredibilmente stupidi a volte fa parte dell'essere Grifondoro” disse Hermione, si alzò in piedi, pulendo i jeans dalla sabbia umida e tendendo poi di nuovo una mano verso di lui “E poi la domanda è: vuoi davvero tradirci?”
 Draco esitò un istante, ma accettò l'aiuto della ragazza. Si tirò in piedi, ma non lasciò la presa sulle dita di lei e tornarono verso la villa tenendosi stretti, forse per paura di cadere, non nella realtà, ma dentro sé stessi.
 “Chi l'avrebbe mai detto Draco Malfoy” scosse il capo lei, incredula.

 “Che cosa?”
 “Di noi due. Che passeggiamo per una spiaggia tenendoci per mano con uno strano equilibrio tra noi”
 “Mia madre”
 “Come scusa?” chiese Hermione. 
 “Mia madre l'avrebbe detto.” disse lui e quasi sorrise “Al mio secondo anno non facevo altro che insultarti a casa e mia madre mi diceva sempre che sembravo totalmente ossessionato da te e che era piuttosto curiosa di sapere quanto ci avrei messo a chiederti di uscire, o a innamorarmi di te”
 “Beh non è ancora arrivato quel momento, sbaglio?” chiese Hermione, il rosa sulle guance. 
 “No, non ancora, no” disse Draco Malfoy e cadde per un attimo un silenzio denso in cui si sentì un codardo. 
Erano quasi arrivati alla casa quando la ragazza si voltò verso di lui. Gli occhi ambra luminosi, le guance rosate e tutti quei capelli ricci e disordinati intorno al volto. Era così bella e sé stessa che Draco faticava a credere che fosse la stessa persona che aveva visto sul punto di morire sul pavimento di Malfoy Manor. D'istinto le sue dita sfiorarono là dove sapeva essere nascosta la cicatrice inferta da Bellatrix “sanguemarcio” ed Hermione, accorgendosi del gesto, sorrise ancor più dolcemente. 
 “Sai cosa adoravo fare ad Hogwarts, Malfoy?”
Lui si schiarì la voce, nervosamente “No”. 
 “Batterti sul tempo, batterti in tutte le materie, essere più svelta di te” disse la ragazza divertita e lui si accigliò appena. 
 “Ok, Granger... quindi?”
 “Non è una cosa a cui rinuncio volentieri questa... quindi...” disse lei, guardandolo negli occhi “che ne dici, appena finisce questa guerra, di prenderti uno spiraglio di tempo. Io e te. Andare insieme a bere un caffé insieme. Magari un giorno me lo avresti chiesto, ha ragione tua madre, ma prima di quel momento abbiamo molto da fare e saremo tutti focalizzati a salvare il mondo, quindi te lo chiedo io ora, per il futuro, battendoti decisamente sul tempo: ti va di uscire con me Draco Malfoy?”. 
 Era incredibilmente rossa sulle guance ora, ma teneva il viso coraggiosamente rivolto verso di lui, speranzosa. Le spalle dritte, il mento in alto, l'aria quasi sicura di sé. Una vera Grifondoro.
 “Questa sì che è una mossa ardita, Granger”
 “Anche quella di salvarmi dal Manor lo era.”
 “Touché.”
 “Allora Malfoy? Mi dici sì a questo appuntamento?”

 “Quando finisce la guerra?”
 “Si, quando finisce. Non potremo salvare tutto il mondo, Malfoy. O meglio, lo salveremo, io, Harry e Ron. Poi però rimarremo soli con noi stessi ed è probabile cadremo in pezzi, lo sai. Ma ci saremo l'un per gli altri e io ho bisogno che ci sia anche tu per me, ormai. Ti chiedo di salvarmi da me stessa, Draco”

 “Dopo che tu hai salvato il mondo”
 “Una cosa del genere. Sai: l'istinto dei Grifondoro è salvare tutti, quello dei Serpeverde salvare chi amano e sé stessi. Facciamo che io salvo il nostro mondo futuro e tu salvi noi due. Hai già dato prova di saperlo fare”
 “Ci sto” sussurrò lui e lei sorrise. 
Si stringevano ancora le mani tra loro e si guardavano negli occhi. Forse erano usciti da quella stanza formando una persona in due e per quelli si sentivano così vicini. Forse erano passati attraverso troppo per resistere da soli nel mondo. Nessuno avrebbe potuto saperlo se non loro, ma continuarono solo a stringersi l'un l'altra forse per ore intere, fino a quando Draco Malfoy non trovò assolutamente giusto appoggiare la fronte su quella di lei e poi chinarsi a baciarla. Fino a quando Hermione Granger non trovò assolutamente giusto affogare in quel grigio tempesta dei suoi occhi e lasciarsi andare a quel momento di dolcezza.
Non si chiesero “E se...” non proposero “Ma...”

 “Dici che Potter e Weasley mi uccideranno per questo?” chiese lui contro le labbra di lei dopo minuti di oblio.
 “Dopo la guerra... forse” disse lei stringendolo appena.

Ancora non sapevano che Draco Malfoy si sarebbe buttato tra Potter e l'Anatema che uccide, nella battaglia finale. Non sapevano che la bacchetta di Sambuco, di cui Draco era l'inconsapevole padrone, si sarebbe rifiutata di agire contro di lui. Non sapevano che mentre Voldemort guardava loro sconcertato, Potter avrebbe approfittato della distrazione del Mago e lo avrebbe attaccato. Non sapevano ancora che l'Anatema mai uscito dalla bacchetta di sambuco sarebbe così esploso contro il mago che aveva tentato di lanciarlo. Non sapevano che il corpo dell'Oscuro Signore sarebbe crollato a terra in modo banale, come un sacco vuoto. Non sapevano che Hermione sarebbe poi corsa attraverso tutta la Sala Grande per arrivare a Draco Malfoy, baciarlo e mormorare infinite volte "Stupido, stupido Serpeverde", prima di abbracciare anche Harry. Di abbracciare entrambi.

Non sapevano nulla. Draco Malfoy ed Hermione Granger. 

Ma risero insieme. Si strinsero. Si fecero mute promesse. 
Ripresero a respirare.



*Angolo autrice*

Ciao lettori. 

Era un po' che non pubblicavo. Volevo farlo per Natale, ma non sono riuscita a finire la storia che avevo in mente (che magari pubblicherò comunque in questo periodo di festa), avevo però questa One Shot Dramione pensata per la "To be writing Challenge" di Bellaluna  sul forum "Ferisce più la penna", che a causa di problemi tecnici era rimasta in sospeso. 

Questo è un what if, ma anche un fix it, gigante (e introspettivo), su uno dei momenti più scuri dell'ultimo libro, che non ho mai perdonato alla Rowling di aver sottovalutato. Hermione viene torturata di fronte a Draco Malfoy, già spezzato e pieno di dubbi. 

La cosa, per me, non può per me non lasciare il segno. Non può portare in modo logico alla scena di Draco nella stanza delle necessità durante la battaglia. 

Chi mi segue so che amo la coppia e ho provato a dare loro una dignità nel dolore condiviso. Mi sono permessa un piccolo omaggio al personaggio di Narcissa, che amo.

Fatemi sapere cosa ne pensate. 
Buone feste
Con affetto 
vi

  
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