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Autore: cartacciabianca    11/09/2009    4 recensioni
[Assassin's Creed II]
A spasso per Firenze col cuginetto Marcello di Carlo.
Saprà Ezio sopportare le bighellonate del giovanotto e pazientare sino a sera in sua compagnia? Ecco in che modo l’innocenza di un bimbo può porre rimedio alle profonde cicatrici fatte sulla pelle d’un uomo che ha perduto la via della ragione, vendendosi come assassino al Magnifico Lorenzo de’Medici.

-Vi ha scritto la vostra fidanzata?- domandò squillante come una tromba.
Restai allungo in silenzio, con in mano il messaggio e lo sguardo fisso sulla lettera di Lorenzo. –No- sbottai, nascondendo il mio fastidio dietro una comunissima maschera di serietà.
-Allora è la mamma?- chiese ancora; la sua vocina acuta, da bambino vero e proprio, mi graffiava il timpano e l’orecchio, aumentando il mio stato d’insofferenza nei suoi sbadati confronti
-No!- ribadii intascando il messaggio.
[…]
-Ezio- chiamò una terza volta.
-Che cosa c’è ancora?!- ringhiai esasperato.
Marcello di Carlo chinò la testa da un lato. –Ho fame- disse.
Alzai gli occhi al cielo, che in quel frangente appariva come una spessa parete di roccia che ci separava dall’esterno: noi, incastrati come topi. –Grandioso! Ti sembra questo il momento?!-.
[…]
-Carina quella!- indicò la donna seduta sul bordo della fontana.
-Non si indica, stupido- gli abbassai il braccio con un gesto veloce. –E poi- cominciai io –la conosco. Si chiama Ghiletta… Ghiletta qualcosa-.
-Quindi ve la siete già portata a letto- ridacchiò lui.
Sobbalzai. –E a te chi le racconta certe cose?!- eruppi.
-Allora è vero!- si alzò in piedi dalla panca e si diede alla corsa. Era un bene per lui che cominciasse con un po’ di vantaggio, ma di lì a dieci metri l’avrei acchiappato e menato come si deve!
-Marcello! Torna subito indietro!- gridai scattando all’inseguimento. –Se t’accahiappo, guarda!- ringhiai, e girai tutta Firenze inseguendo le sue risate da idiota.

Una storia ispirata al gameplay con commento del responsabile della produzione Jean-Francois Boivin, rilasciato negli ultimi giorni su You Tube. I fatti si svolgono proprio durante il periodo del gioco ripreso da quelle immagini e ammetto che come one-shot sarebbe potuta crescere a mo’ di raccolta, ma rammento solo ora di avere molto altro a cui pensare. Un po’ corta, lo ammetto. Le vicende coprono la distanza di poche ore, ma è tutto quello che sono riuscita a ricavare da quel video poiché altro non sappiamo per quanto riguarda la trama, i personaggi, incarichi e missioni. Spero solo di avervi incuriositi! ^o^
[Personaggi: Ezio Auditore da Firenze + Nuovo Personaggio]
Genere: Demenziale, Avventura, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ezio Auditore, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quando uscii di casa e mi mescolai alla folla, non immaginavo che quella sarebbe stata una giornata indimenticabile, insolita, ma soprattutto parecchio insofferente. Non avevo il minimo pensiero al fatto che quella stessa sera sarebbero cominciati guai e problemi di dimensioni gigantesche! …nonostante la taglia del soggetto in questione fosse pari alla metà della mia.
Ricordo che quella mattina s’era consumata nel monotono, tra un traffico e un altro per le chiassose vie di Firenze. Il sole si andava a nascondere dietro le mura dei palazzi, allungando la loro ombra sulle strade che incombevano al buio e nel fragore di una città che resta sveglia fino a tardi. Le voci confuse di centinaia di passanti mi giungevano alle orecchie, io che ero seduto su una panca sotto un portico, al riparo dal sole che insinuava due dei suoi raggi sulla via dove affacciavo. Si diffondeva una magnifica luce arancio di tramonto, e un venticello autunnale spazzava via certe vecchie foglie ancora di poco verdi da un albero recintato nel centro della rotonda vicino.
Me ne stavo buono a prendermi del riposo su quella panca; i gomiti poggiati sulle ginocchia piegate, la schiena un po’ curva e gli occhi bassi a mirarmi le scarpe. Indifferente al resto del mondo che mi circonda, isolato nei miei pensieri, nelle emozioni di odio, paura e sconforto che ancora provavo per via delle ultime sciagure capitate sulla nostra famiglia…
Insomma, come se non ce ne avessi già abbastanza di tormenti, d’un tratto mi arrivò sulla spalla un pallone, che poi rotolò accanto alle mie caviglie.
Quando sollevai la testa e guardai nella direzione dalla quale era comparso quell’oggetto, chinandomi a raccoglierlo, vidi un ragazzino venire verso di me quasi correndo, con passo allegro e spensierato. Poteva avere sì e no una decina d’anni, ed era leggermente mal vestito, per via di sicuro del poco conto che poteva avere uno come lui in questa città di nobili musici e pittori.
Si fermò dinnanzi a me e mi strappò la palla di mano senza dire null’altro a parte: -Hai una brutta faccia!- rise anche mentre s’allontanava continuando a saltellare, richiamato dalla voce della madre che, di molto distante più avanti, s’era fermata sull’ingresso di una bottega.
-Marcello! Vieni subito qui!- strillò la dama.
Il bimbo se ne andò in quel verso giungendo al fianco della madre. E mentre lei parlava con animo ed odio al commerciante di quella bottega, lui si rigirava il pallone tra i piedi con tante allegre risatine.
Non seppi perché, forse per via della stanchezza, ma non riconobbi subito quella donna. Né lei né la sua voce; entrambe le cose mi parvero del tutto nuove ed estranee, così me ne tornai a sguardo basso e per i pensieri miei; almeno finché nella mia mente non si accese una candela di ragione.
Balzai in piedi all’istante e rimasi allungo mirando quella dama e il suo bambino Marcello. –Non è possibile…- mormorai a fior di labbra muovendo un passo in avanti, nella loro direzione. Non appena fui abbastanza vicino da poter udire di cosa lei discuteva con l’uomo di bottega, l’attenzione del suo giovane figlio si volse a me.
Intimorito, spaventato dalla mia figura che era il doppio della sua, il bimbo andò a nascondersi dietro la gonna della madre che nel frattempo proseguiva nel litigio col mercante.
-Chilometri per arrivare fin qui e adesso mi dite che l’avete venduto?!- eruppe la dama.
-Guardate voi stessa!- protestò lui mostrandole un foglio di carta ripiegato. –L’ordine che avevate risale a tre anni addietro- disse.
La donna, esasperata, stava per chiudere l’acceso di scorso, ma il gesto che ebbe Marcello di tirarle un po’ la gonna, la fece voltare prima verso di lui, che successivamente le indicò me dalla parte opposta.
-Ah, perdonatemi- assentì lei. –Mio figlio e il suo pallone ne combinano tante assieme, e…-.
-Lucilla- chiamai.
La dama alzò gli occhi nei miei, e le ci volle del tempo, parecchio, per riconoscermi. Solo quando nelle sue pupille s’accese una scintilla e le sue labbra si schiusero, capì chi aveva di fronte. –Ezio!-.
Si gettò ad abbracciarmi sul momento, stringendomi come un pupazzo di pezza. –Dio!- aggiunse poi allontanandosi di un metro. –Quanto… quanto sei cresciuto!- esultò squadrandomi dalla testa ai piedi. La gioia affiorò sul suo viso attraverso le guance arrossate e la bocca aperta allungo senza proferire parola. –Come… cosa ci fate qui?- chiese.
-Ci abito- ridacchiai.
-Sì, sì!- fece un gesto con la mano. –Lo so, ma intendo qui, adesso!-.
-Veramente dovreste dirmelo voi, zia, cosa ci fate a Firenze- dissi io con un tono decisamente meno estasiato e sorpreso del suo.
La donna parve calmarsi. –Devo fare degli acquisti per il matrimonio di Cecilia. Avevo intenzione di regalarle un quadro, ma il signore- fulminò con un’occhiataccia l’uomo della bottega –l’ha venduto- sbottò.
Sgranai gli occhi. –Cecilia si sposa?- domandai incredulo –Di già?-.
La donna giunse le mani in grembo e sorrise gioiosa. –Sono trascorsi otto anni, Ezio. Quando l’avete vista l’ultima volta aveva ne aveva quindici, era ancora una bambina- pronunciò. –Adesso che ne ha compiuti più di venti, è abbastanza grande, non credete?-.
-Certo, che stupido- assentii distratto. –Allora portatele i miei auguri più sentiti- dissi.
-Ovviamente- mi arrise.
-Che coincidenza incontrarvi qui- sorrisi io. –Ditemi, Lucilla: in famiglia vostra si va bene? Come sta vostro marito?-.
La donna inclinò lo sguardo d’altra parte sfuggendo al mio, e sul suo volto nacque un’espressione di amara tristezza. –Carlo è morto, Ser Ezio. Di poco è accaduto, ma siamo felici che il matrimonio di Cecilia possa renderci un uomo in casa- sospirò.
-Capisco- dissi affranto.
-Ora ditemi voi di vostra casa, messere!- si tirò su d’un tratto. –Vostro padre, a lui va bene?-.
-… Sì, molto- mentii.
-E di vostra sorella, ditemi!- gioì.
-Si trova bene con le amiche- risi. –E’ una gran chiacchierona come voi, dovreste incontrarvi. Anche mia madre, la vostra di sorella, è allegra e soddisfatta-.
-Vi credo. Mia sorella dev’essere proprio fiera del figlio che ha messo al mondo-. La donna mi sorrise. –E voi, ora ditemi di voi…- abbassò il tono di voce. –Studiate ancora all’accademia? Oppure seguite le orme di vostro padre come banchiere?-.
-Gli studi all’accademia li ho terminati, ed ora…- m’interruppi pensandoci su. –Ora... mio padre non desidererebbe altro da me- vaneggiai.
-Immagino- stava per aggiungere dell’altro, ma il giovincello dietro di lei le tirò ancora la veste, e Cecilia gli poggiò una mano sulla testa. –Ah, Ezio, permettetemi di presentarvi l’ultimo arrivato di famiglia di Carlo- sorrise. –Marcellino, saluta tuo cugino Ezio, forza- fece allegra spingendo il giovane in avanti.
Marcello si tenne ben stretto alla gonna della madre nascondendosi meglio. –Salve- mormorò solamente, e le guance gli si tinsero di un rosa acceso.
-E lui da dove sbuca?- chiesi stupito.
-Ero in cinta quando viaggiai per Milano assieme a mio marito. Non lo sapevo, perciò non lo dissi a nessuno. Giunta e sistemata in casa, misi al mondo questo bricconcello- ridacchiò.
-Quindi gli affari vi vanno bene finché il matrimonio c’è- dissi.
-Esattamente- fece un profondo respiro.
-Quanto vi trattenete a Firenze?- domandai.
-Sino a venerdì. Per giovedì devo essere a Milano. Si festeggia là col gran cenone- esultò. –Se solo riuscissi a comprare un buon quadro per mia figlia maggiore- sospirò. –Questo pezzente qui non ha rispetto!- ringhiò contro all’uomo di bottega che era rimasto zitto tutto quel tempo.
-Ehi! Attenta a come mordete, cagna!- sbottò nervoso l’artista.
-Aspettate Lucilla- mi frapposi tra lei e il proprietario del locale. –Posso procurarvi io un buon quadro. Un amico sarebbe entusiasta quanto voi della mia offerta-.
Le luccicarono gli occhi. –Di grazia, Ezio, non datevi questo disturbo-.
-Ma figuriamoci! V’ho detto che è un amico-.
-Allora vi credo- sorrise lei. –Grazie-.
D’un tratto mi accorsi che nell’arco di qualche metro mancava qualcosa, o meglio qualcuno, così chiesi alla dama: -Lucilla, vostro figlio?-.
La donna si voltò più volte a destra e sinistra, a nord e sud, ma ci accorgemmo all’unisono che il ragazzo s’era allontanato sulla strada. Stava in piedi davanti ad un uomo di guardia e lo fissava con insistenza e un dito puntato al braccio.
-Ti sto toccando? No! Ti sto toccando? No! Ti sto toccando? No! Ahahah!- rideva beffandosi dell’immobilità e della serietà dell’uomo che impugnava l’asta di una lunga alabarda. Al fianco di quella guardia ce n’era una seconda.
-Ti sto toccando? No!- continuava a ridere il ragazzino.
La guardia si voltò verso il compagno. –Ti prego, scollamelo di dosso- sibilò a denti stretti.
L’altro, che nelle mani non aveva nulla e un rango più basso d’armatura indossava, si chinò all’altezza del bimbo. –Senti, ragazzino- cominciò. –Perché non vai a dar noia a qualcun altro?- provò.
Marcello gli scoccò un’occhiataccia. –Hai una brutta faccia!- scoppiò in lacrime dalle risate.
-Brutto…!!!- digrignò quello con l’alabarda perdendo del tutto la pazienza.
Mi allungai in quella direzione prima che potesse accadere dell’altro. Mi frapposi tra il figlio di Lucilla e il soldato, mentre con una mano trascinavo il bimbo dietro la mia schiena.
-Suvvia, signori, è un bambino. I bambini giocano- dissi sinceramente.
Mi squadrarono entrambi dalla testa ai piedi.
-Nobile- sussurrò quello spoglio d’armatura che indossava i calzoni colorati. –Meglio stare calmi!- suggerì al compagno.
La guardia con l’alabarda tornò dritto e con lo sguardo alto. –Perdonateci, messere, ma vi preghiamo di tenere ‘sto fanciullo con le catene-.
-Sì, certo!- sibilai spingendo via il moccioso. –Sei nei guai, ragazzino!- aggiunsi mentre tornavamo accanto alla madre del piccolo.
-Non avrei saputo come scusarmi con quei signori- scosse la testa Lucilla quando le fui affianco; Marcello andò a sedersi sulla panca dove poco prima ero stato seduto io. Le gambe a penzoloni, la palla sottobraccio e gli occhi bassi.
-Non c’era bisogno che vi scusaste. L’ho detto anche a loro: è un bambino, e i bambini giocano. Quei due avrebbero dovuto essere più pazienti- dissi.
-Sareste un ottimo padre, Ezio- commentò la donna assorta in chissà quali pensieri. –Perché alla vostra età girate per queste strade ancora tutto solo, mi chiedo- pronunciò distratta.
Sfuggii alla sua richiesta inclinando lo sguardo. –Adesso ho altro di cui occuparmi, e decisamente poco tempo anche per pensarci-.
-Va bene- sospirò la donna. Ci fu un lungo silenzio poi, quando Lucilla si voltò a guardare il figlio e tornò su di me con gli occhi, disse: -Ezio, ho bisogno che mi facciate un immenso favore-.
Le ultime parole famose.
Mi riscossi dal filo di tormentosi ricordi. –Ditemi- feci disponibile, ma quanto me ne sarei presto pentito…
-Ho molti giri da concludere per la città, tra banche e conti da chiudere prima di fare ritorno a Milano. Potreste occuparvi di Marcello fino a sera?- chiese.
Sbiancai sul momento. –Occuparmi di… vostro figlio?- balbettai.
-Sempre se non avete altro che urge le vostre mani, ovviamente- sorrise.
-No, no- feci incerto. –Affatto, credo di potere fino a… quando?!- domandai all’istante.
-Per l’ora di cena potrete riportarmelo in Piazza della Signoria. Sarò lì ad attendervi a cose fatte-.
-Va bene, ma…-.
-Credetemi- insisté. –È un ragazzo dolcissimo, buonissimo, calmo, ubbidiente, ve lo assicuro. Farà tutto quello che gli direte di fare-.
Ci riflettei un poco. –Hmm, qualsiasi cosa?-.
La donna annuì. –E poi corre, salta come un grillo e s’arrampica come rango per tutta casa! E’ molto svelto, agile, ed intelligente. Saprà aiutare più a voi di quanto potrebbe a me in banca- ridacchiò.
-Non avete tutti i torti, madame- sorrisi.
-Allora è deciso-.
Feci un gesto d’assenso. –Sì, credo di sì-.
-Marcello!- chiamò lei, e il bambino scattò in piedi venendole incontro. Quando le fu affianco, Marcello spostò i suoi grandi occhioni verdi su di me stringendosi la palla al petto.
-Il cugino Ezio ti farà compagnia fino a ‘sta sera. La mamma continua da sola a fare i suoi giri in città, così puoi giocare con lui- disse lei chinandosi all’altezza del figlio, sistemandogli la manica del giacchetto castano scuro che indossava.  –Devi promettermi che gli ubbidirai e da bravo farai tutto quello che ti dice, d’accordo?-.
Il bambino annuì convinto sorridendo spensierato.
-Che bravo- gli baciò una guancia. Sollevandosi in piedi e tornando di fronte a me, aggiunse: -Se comincia a crearvi qualche problema, mettetelo subito in riga-.
-Sarà fatto- pronunciai serio.
-Ancora non so come sdebitarmi-.
-Ora andate, o troverete chiusa la banca- le dissi indicandole la strada.
-Fate i bravi! Tutti e due!- ridacchiò la donna allontanandosi, e non appena la sua figura fu inghiottita da quelle dei passanti, mi voltai verso Marcello che stava immobile al mio fianco, fissando il punto esatto dove sua madre si era dissolta in quel mare di folla.
-Vedrai come ci divertiamo tu ed io- sbuffai. I progetti che avevo per quel giorno saltavano tutti! Imprecai tante di quelle volte che dovetti faticare pur di trattenermi.
-Se fossi un ragazzino meno petulante- cominciai io attirando la sua attenzione –tua madre avrebbe potuto tenerti con sé!- ringhiai.
-Ehi…- si lagnò quello.
-Forza, andiamo- ordinai seccato. –Anch’io ho dei giri da fare- borbottai.
Il ragazzino mi corse dietro per tenere il passo; il pallone sottobraccio e le gambette scattanti. –Dove stiamo andando?!- chiese tutto pimpante.
-‘Sta zitto-.
-Ma…-.
-Zitto!-.
-Uffa-.
-Cominciamo bene, eh?- blaterai.
Scendemmo una scala, camminammo lungo tutto il corso centrale del quartiere e giungemmo in un’appartata rotonda che collegava varie strade. Trovai lì ad attendermi un venditore ambulante col suo carretto pieno di fiale ed erbe strane, sistemato addossato alla parete d’una casa. Lui che si sbracciava incitando la folla a comprare, proponendo il suo mercato e i suoi prezzi, era vestito d’un lungo abito nero. Dei guanti scuri, un capello piatto e una maschera bianca col nasone da corvo.
Marcello si andò a stringere alle mie spalle, lasciandosi sfuggire un gemito di stupore e timore.
-Desiderate, messere?- domandò l’uomo con voce arcigna, mentre il suo occhio curioso cade sulla minuta figura del bimbo nascosto dietro la mia veste.
Scansai Marcello stendendo un braccio, e ottenuta abbastanza distanza dal bimbo che volevo non udisse, mi riferii al mercante con queste parole: -Veleno. Una fiala. Per aghi- scandii bene.
Il venditore m’accontentò quasi subito, dopo aver frugato tra le cianfrusaglie del carretto e i vari scomparti. Mi diede la fiala che nascosi in una sacca dietro il mantello che pendeva dalla mia spalla sinistra; porsi lui 250 fiorini e mi allontanai di lì senza badare se Marcello facesse lo stesso.
Il bambino riapparve come per magia al mio fianco, e la sua improvvisa comparsa mi fece sobbalzare.
-Piantala- eruppi distogliendo lo sguardo da lui e riprendendo a camminare.
-Quel signore mi ha fatto paura- si lagnò lui venendomi dietro. –Quella maschera era… inquietante- balbettò.
-Lo so- risi tra me e me. –Serve per spaventare i bambini curiosi come te e tenerli lontani- mi beffai.
-Che cosa hai comprato da lui?- domandò curioso.
-Non ti deve importare- risposi seccamente.
Lo sentii sbuffare mentre faticava a tenere il mio passo. –Uffa, però… non mi sto divertendo affatto!- frignò.
-Credi che me ne importi qualcosa?- ringhiai.
-Sei cattivo! E lo dirò alla mamma!-.
Mi voltai e lo afferrai per un braccio tirandomelo sulla schiena. Lo misi a cavalcioni sulle mie spalle e il ragazzo non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto di cosa stesse succedendo, che si ritrovò di un metro e passa più alto della media.
-Wow!- gioì tenendosi in equilibrio con la schiena dritta.
-Guarda adesso come ti diverti!- sibilai io riprendendo a camminare.
Minuto e mingherlino com’era non mi diede alcun fastidio portarlo per strada in quel modo. Almeno fin quando, svoltando in un vicolo buio, saltai su un gruppo di casse e via sull’asse di legno che sporgeva dalla parete. Faticando un po’ balzai sul muro e afferrai la sporgenza d’una finestra.
-Reggiti!-.
-Ehi, ma che stai facendo?!- si stupì Marcello tenendosi serrando le braccia attorno al mio collo.
-Non così… stretto!- ansimai senza fiato.
-AAAAAAAAAH!- gridò spaventato tenendosi stretto anche il pallone.
-Se non la pianti di strillare…- ringhiai io afferrandogli un polso e slacciandomelo di dosso. –Ti faccio cadere!- lo minacciai tenendolo a penzoloni nel vuoto, mentre io mi tenevo ben saldo al cornicione di quella finestra e lui calciava l’aria sotto i suoi piedi dimenandosi per lo spavento.
-Va bene, va bene! La smetto! Ma mettimi giù!!!-.
I suoi occhi pieni di terrore mi fulminarono in un istante, il tempo che impiegai a riportarmelo cavalcioni sulla schiena, ma questa volta con le sue gambe attorno ai fianchi anziché sulle spalle.
-Non andiamo giù- dissi io riprendendo la scalata, e il suo peso quasi nullo mi semplificava i movimenti bilanciandomi quasi. M’issai con forza e grazia sul tetto; feci scendere il bambino dal mio corpo e lo vidi traballare sulle sue stesse gambe poco attento su quali tegole deboli mettesse i piedi.
Capii all’istante che gli stesse girando la testa. –Stai bene?- chiesi secco.
Annuì, ed io non indagai oltre.
-Perché…- inghiottì lanciando uno sguardo all’altezza che ci separava dalla strada. –Perché l’hai fatto?! E come, soprattutto!- esultò scettico.
-Mi piace farlo- ridacchiai. –E in un certo senso, sento di doverlo fare- mormorai distratto.
-Che forza…- commentò.
-Avanti, andiamo-.
-Ma non scendiamo?- domandò. –Perché siamo saliti? Ed ora come scendiamo?!- chiese più curioso che preoccupato.
-Fa’ meno domande e seguimi in silenzio-.
Non trascorse molto tempo prima d’incontrare un uomo di guardia su un tetto d’una casa. –Sta’ nascosto- dissi indietreggiando e, stendendo un braccio, spinsi il piccolo Marcello dietro ad un camino.
-Che fai?- domandò il bimbo.
-Ssssh!- gli serrai le labbra con la mano, e inquietandolo abbastanza con un solo sguardo, riuscii a farlo tacere.
Mossi qualche passo in avanti, verso la guardia che mi dava le spalle. Quando quella si voltò, impiegai la metà del tempo per stendere il gomito, caricare il colpo e in fine, sparare.
Il boato riecheggiò per le strade e si levarono in volo mille piccioni da un tetto vicino, mentre Marcello si copriva le orecchie stringendo le ginocchia al petto.
La guardia s’accasciò morta sulle tegole grondando sangue dal petto. Tornai da Marcello e lo afferrai per il polso costringendolo ad alzarsi e seguirmi.
-Cos’è stato?…- chiese in un filo di voce.
Gli intimai di tacere continuando a camminare e girandomi solo per dargli la mia muta parola che diceva ancora una volta “silenzio”.
Giungemmo in prossimità d’un terrazzo che ospitava l’ampia gabbia in legno e grate di alcuni piccioni.
-Che belli! Piccioni viaggiatori!- gioì il giovane.
-Resta indietro- eruppi io. –Potresti spaventarli-.
Marcello mi obbedì tentando lo stesso di adocchiare l’interno della gabbia.
Mi avvicinai alla serratura, girai la chiave, l’aprii ed infilai un braccio afferrando il pennuto con mano ferma e delicata. Questo non oppose resistenza alcuna; si lasciò prendere e accarezzare nel frattempo che prelevavo il messaggio dalla sua zampina sottile.
-Vi ha scritto la vostra fidanzata?- domandò squillante come una tromba.
Restai allungo in silenzio, con in mano il piccione e lo sguardo fisso sulla lettera di Lorenzo. –No- sbottai, nascondendo il mio fastidio dietro una comunissima maschera di serietà.
-Allora è la mamma?- chiese ancora; la sua vocina acuta, da bambino vero e proprio, mi graffiava il timpano e l’orecchio, aumentando il mio stato d’insofferenza nei suoi sbadati confronti
-No!- ribadii intascando il messaggio.
La lettera diceva di recarmi a sud di Santa Maria Novella, in uno dei mercati al chiuso. Lì avrei trovato un nobile di cattivo conto e riguardo alla famiglia Medici e, con l’incarico datomi da Lorenzo di eliminarlo, ago e veleno in tasca e un moccioso sulla coscienza, non potevo far altro che accettare.
Mi allontanai dal terrazzo e Marcello mi venne dietro di corsa. Portandomelo sulle spalle scendemmo da quei tetti e c’incamminammo per le strade come il resto della gente normale.
-Dove stiamo andando?- chiese.
-Al mercato- risposi con la coscienza a posto, senza avergli mentito.
-Devi comprare qualcosa?-.
-No-.
-E allora cosa devi fare?-.
-Parlare con una persona-.
-La tua fidanzata?-.
-No!-.
-E allora chi t’ha scritto?-.
-Lorenzo-.
-Il Magnifico de’ Medici?!- si stupì ad occhi sgranati.
-Sei piuttosto colto per la tua età. Lucilla aveva ragione sulla tua intelligenza- notai con un accento d’apprezzamento.
-Grazie- gonfiò il petto il ragazzo. –Anche voi siete un tipo sveglio, cugino- ridacchiò.
Sospirai portando pazienza. Molta pazienza.
Calava il sole più svelto man a mano che le ombre dei palazzi s’allungavano e il cielo s’incupiva ad oriente. Il buio s’allargava nei vicoli e sotto i portici, sulle piazze e nelle acque di fontane e canaletti. Chiudevano le botteghe e si abbassavano le serrande delle case.
-Manca tanto?- sbuffò il bambino palleggiando con un piede ogni tanto.
-Non la conosci proprio Firenze, vero?- ghignai.
-Non sono mai stato a Firenze fin ad oggi- disse lui.
-Ma almeno ti piace-.
-No-.
Aggrottai la fronte e, approfittando del fatto che Marcello era distratto, cominciai a preparare l’ago che intinsi nel veleno. –E perché mai dici ciò?-.
-Non lo so…- assentì il giovane calciando il pallone e riprendendolo tra le caviglie due passi dopo. Gli occhi bassi a tenersi attenti sul movimento dell’oggetto circolare. –So solo che voglio tornare a casa. La gente di qui mi fa paura, come quel signore che vendeva, ed è strana, come voi, cugino…- mormorò affranto.
-Già…- sospirai.
Giungemmo al mercato verso le prime ore notturne.
-Siamo arrivati- annunciai guardandomi attorno. Entrai nel mercato coperto e Marcello mi seguì come la mia ombra tenendo il pallone sotto braccio e le dita della mano strette al tessuto della mia camicia.
Il mio bersaglio, il nobile con l’armatura seguito da una guardia con alabarda, chiacchierava allegramente nel centro del mercato con il fabbro di una bottega. Tutt’intorno la gente animava quel lugubre luogo di voci e suoni.
-Aspettami lì- dissi indicandogli un luogo isolato dove sorgeva una panchina in pietra.
Marcello obbedì e si sedette là, zitto e buon col pallone in grembo.
Dopo essermi accertato che il piccolo Marcello non potesse vedermi, mi avvicinai ad un folto gruppo di gente che stava in un angolo e gettai delle monete a terra. Come galline affamate che beccano i semi dal suolo, si gettarono con foga e strepitanti sui cento Fiorini perduti.
Distolta l’attenzione dalla zona attorno al mio bersaglio, mi avvicinai alle spalle della sua guardia. Penetrai con l’ago dove l’armatura non andava a coprire. Si riversò uno schizzetto di sangue che mi macchiò il guanto: una cosa da nulla in compenso alla scena che si vide dopo.
Mi allontanai di qualche metro, indietreggiando come fecero molti.
La guardia cominciò ad agitare l’alabarda nell’aria della sua sfera, fin quando il mio bersaglio gli andò incontro come uno scemo a braccia aperte.
-Amico, che ti pren…- non riuscì a terminare che l’ascia tagliente dell’alabarda gli segò la testa e nel mercato fu il panico.
Con prontezza e passo svelto tornai da Marcello e lo tirai in piedi per un polso. –Andiamo- dissi solo. Lasciammo quella zona ancora prima che il bambino potesse voltarsi e vedere tutto quel sangue versato davanti alla porta d’un umile fabbro.

-È tardi: dovete portarmi da mia madre, cugino- disse Marcello ad un tratto mentre traversavamo una piazza.
-Non ancora- pronunciai invece io con serietà.
-Ma…- tentò di replicare.
-Ho detto che è ancora presto. Adesso piantala di seccare, di’ e fa’ solo quello che ti dirò. Mi serve il tuo aiuto-.
-Il mio aiuto?- si stupì lui un po’ confuso.
-Sì, hai capito bene, il tuo aiuto-.
-Di che si tratta?-.
-Ti sto portando in un luogo che di sicuro ti piacerà- sorrisi guardandolo. –Ma per arrivarci ci sono alcuni enigmi da risolvere. Un tipetto sveglio come te può rimediare, non credi?-.
Il bambino si strinse nelle spalle. –Va bene!- accettò.
Traversammo la piazza e, giunti incontro ad un gruppo di mercenari venduti alla mia causa, li richiamai con un braccio nella mia direzione. Quelli si mossero in branco come lupi e mi vennero dietro.
-Chi è il marmocchio?- domandò uno di loro.
Marcello si strinse al mio fianco alzando il naso per poter guardare in faccia quei quattro colossi che ci accerchiarono. Vedendomi tranquillo in loro compagnia, parve rasserenarsi di un pelo.
-Mio cugino Marcello di Carlo- annunciai io a gran voce. –Salutatelo, avanti- arrisi.
-È un piacere conoscere vostri parenti, Ser Ezio- disse uno stringendo la mano al piccoletto.
-Non un piacere, un onore!- lo corresse un altro.
-Ragazzi, adesso basta- richiamai l’ordine. –Dobbiamo superare quelle guardie- indicai il gruppo di alabardieri di ronda come statue davanti all’ingresso di un cortile.
-Consideratele già fuori combattimento, messere!- ruggì di gloria un mercenario, e al suo seguito andarono i restanti tre.
-Oh Santa Miseria…- assentì Marcello nascondendosi dietro di me quando lo scontro tra i mercenari e le guardie ebbe inizio.
Si trattò di una dozzina di secondi e tutti i popolani nella piazza fuggirono al vedersi versare del sangue. L’area si ritrovò abbastanza deserta anche quando due delle guardie vennero messe al tappeto.
-È il momento, andiamo!- dissi tirandomi Marcello addietro di corsa. Superammo guardie e mercenari intenti nella lotta, corremmo nel cortile e rallentammo solo nel momento in cui mi resi conto delle due guardie appostate sul fondo.
-Resta qui, fermo, non guardare- gli ordinai, e il figlio di Lucilla si nascose dietro ad un cipresso.
Avanzai tra un’ombra e l’altra delle piante, in fine mi slanciai con uno scatto sui due malcapitati affondando entrambe le lame dai polsi nelle loro nuche. S’accasciarono l’uno sull’altro, crollando al suolo come abbracciati e con in volto ancora quel ghigno di dolore.
Ringraziando infinite volte il Da Vinci, nascosi i loro corpi dietro ad alcuni vasi, dopodiché richiamai l’attenzione del giovane Marcello con un fischio. Il ragazzo balzò in piedi e mi corse incontro, percorrendo tutta la distanza col fiatone.
-Ci siamo- annunciai avvicinandomi all’insenatura circolare; alle mie spalle il giovanotto ammirò circospetto le mie mani esperte che fecero scattare lo strambo meccanismo a forma di “A”, la stessa che portavo raffigurata sulla cinta. Vi era il volto d’un teschio che si divise in tre parti e rotolò il meccano ingegno che aprì un passaggio sotterraneo.
-Wow…- Marcello era senza parole. Si sporse in avanti col busto adocchiando l’oscuro tunnel che conduceva nel limbo. Stava per perdere l’equilibrio quando lo afferrai tirandolo dietro e poi sulle spalle.
-Reggiti, si scende- dissi.
-Dove andiamo? All’Inferno?- chiese lui serrando un braccio attorno al mio collo e l’altro sul pallone dal quale non s’era allontanato un solo minuto.
Mi calai con lentezza e attenzione giù dal passaggio, scivolando coi piedi sulla ruvida e sgretolosa superficie d’antica pietra. –No- risposi.
-Dalla tua fidanzata?-.
-No!- strillai, ma la mancata cautela mi fece sbilanciare all’indietro perdendo così la presa sulla roccia.
-AAAAAAAAAAAH!- strillò lui.
Le mie ginocchia pronte ed audaci attutirono il colpo piegandosi, le mie braccia fecero altrettanto mentre il corpo del ragazzino, per l’improvviso impatto, veniva lanciato via dalla mia schiena. Rotolò tra polvere e pietre, finché non si ritrovò spiazzato alla parete più avanti. Quando aprì gli occhi, il giovane Marcello cacciò un altro grido balzando in piedi.
Era circondato di teschi ed ossa, ratti e insetti d’ogni tipo.
-DOVE SIAMO!?!?- strillò ancora chinandosi a raccogliere da terra il suo pallone.
-Fa’ silenzio, avanti!- sibilai io. –Questi luoghi sono antiche catacombe perdute- dissi avvicinandomi a lui, evitando di schiacciare qualche vecchio residuo umano. –Più avanti c’è un enigma che non riesco a risolvere da giorni, ed oltre c’è un passaggio che porta ad una tomba piena di tesori e ricchezze, Marcello- lo incitai. –Aiutami a raggiungere quella tomba, e parte del malloppo sarà tuo-.
-Andiamo!- balzò e s’incamminò quasi correndo.
-Frena, frena! Vado avanti io- dissi tirandomelo dietro, e il bambino si tenne attaccato al mio fianco.
S’innalzava un’alta parete in pietra lavorata cento metri avanti in quel corridoio. L’unico passaggio per topi e pipistrelli erano delle vecchie grate arrugginite poste troppo in alto per arrivarvi, anche arrampicandosi.
-Ecco il meccano che non riesco a sbloccare- indicai alla mia destra, e il ragazzo si avvicinò ad osservarlo.
-Hmm…- fece lui assorto in chissà quali pensieri.
-Allora?-.
-Portate pazienza, cugino!- eruppe infastidito.
Sbuffai. –Altro tempo perso, lo sapevo…- borbottai.
Marcello seguì con gli occhi verdi la catena che collegava il meccano all’innesco che sollevava alcune pietre per bilanciare. Il tutto unito ad un secondo intruglio di ingranaggi che sembravano perforare la parete aprendo una via. -Ho trovato!- strillò d’un tratto.
-Cosa…- non riuscii a terminare che Marcello poggiò a terra il pallone che aveva sotto braccio. Caricò un calcio e in fine spedì la palla a colpire quel vecchio groviglio di ruggine e metallo. Il peso cadde verso il basso, e si sollevò la porta che conduceva alla tomba attraverso un altro corridoio.
Lo abbracciai con foga stritolandolo per bene. –E bravo cuginetto!- gli scompigliai i capelli levandogli per un istante il capello.
-Sì, sì! Adesso andiamo, però!- si lagnò lui sfuggendo dalle mie braccia. Andò ad afferrare il suo pallone caduto più avanti e si fermò dove cominciava un burrone. –Ehm…- si schiarì la gola.
Mi guardai attorno cercando di trovare un’altra via. Di fatti la trovai: c’erano delle assi in legno e in metallo che pendevano nel vuoto sopra il pozzo oscuro creatosi dove il pavimento era crollato.
-Vieni, avanti- gli porsi la mano.
Marcello quella volta montò in groppa senza farsi aiutare da me, che non ci fu neppure bisogno di avvertirlo di reggersi.
Saltai sulla prima asse con leggerezza e maestria, così sulla seconda e via appeso come una scimmia su quella di metallo. Mi dondolai due volte e in fine balzai sull’ultima asse in legno, per poi schiantarmi nel fragore di armi ed equipaggiamento contro la parete. Mi ressi ad alcune sporgenze della pietra e, metre Marcello si teneva ben stretto alla mia schiena a mo’ di zainetto, m’issai sulla sponda opposta.
-Eccoci, dovremmo essere arrivati- dissi lasciando che il bimbo smontasse dalle mie spalle.
Mi avvicinai alla parete arrotondata verso l’esterno, ma, tastando ogni punto in rilievo degli affreschi su di essa dipinta, non trovai passaggio alcuno per oltrepassarla.
Erano ormai minuti, forse un’ora che mi trafficavo invano nel tentativo di aprire una porta che sembrava non esserci. Alla fine persi le speranze e mi lasciai crogiolare al suolo con le spalle alla parete dipinta.
-Ezio- chiamò Marcello.
-…Sì?- feci distratto, affranto, stanco e distrutto.
-Io vi piaccio?-.
-No-.
Dopo un’altra dozzina di minuti udii chiamarmi ancora: -Ezio-.
Sospirai chiudendo gli occhi. –Sì?-.
-State cercando un modo per farci uscire, vero?-.
-… sì-.
-Ezio- chiamò una terza volta.
-Che cosa c’è ancora?!- ringhiai esasperato.
Marcello di Carlo chinò la testa da un lato. –Ho fame- disse.
Alzai gli occhi al cielo, che in quel frangente appariva come una spessa parete di roccia che ci separava dall’esterno: noi, incastrati come topi. –Grandioso! Ti sembra questo il momento?!- gridai con furia.
Un altro lungo silenzio.
-Ezio!- chiamò Marcello.
Mi voltai di colpo, pronto a mollargli un pugno in faccia se…
Trovai il figlio di Lucilla esposto in avanti al dirupo; guardava in basso. –Lì! C’è un passaggio, lo vedete?- chiese quando gli fui accanto.
Il burrone finiva trenta metri più in basso con un pavimento di marmo rovinato dai secoli e coperto di macerie. Marcellino aveva visto bene: c’era uno stretto cunicolo che sembrava portare ad un punto prossimo. Adocchiai con più attenzione, sorprendendomi di trovare del fieno ammucchiato oltre un alto cancello.
-La nostra via alla ricchezza, Marcellino!- goii io caricandomelo in braccio per sua sorpresa e, mentre mi stringeva le braccia attorno al petto, mollava la presa sul suo pallone adorato.
-EZIOOOOOOOO!!!- gridò come una femminuccia quando mi lanciai nel vuoto e precipitai verso il basso oltre quel cancello. Atterrai di schiena nel fieno dopo una mezza capriola e ne uscii per primo tirandomi dietro il giovane Marcello.
Qualche istante dopo cadde al mio fianco il suo pallone che era rimbalzato da una parete all’altra dello stretto passaggio.
-La strada è ancora lunga, avanti- dissi spazzandomi via alcuni steli dalla veste, e Marcello fece altrettanto seguendomi. Si chinò a raccogliere il pallone e mi fu alle spalle di corsa.
Traversammo una vasta serie di sale, fin quando, arrampicandoci su una parete, non fummo costretti a salire di un livello perché la via s’interrompeva ad una sporgenza, alla quale era affacciata una guardia.
-Oh-oh…- gemette il piccolo Marcello.
-Sssh- sussurrai io. Un istante dopo feci leva sulle gambe, mi sollevai, afferrai la guardia per il pantalone e, infilando la lama nella sua carne, lo tirai giù oltre le mie e le spalle del ragazzo.
-Wuhahah!- fece elettrizzato il giovane.
-Andiamo!- gioii io.
Ci trovammo a dover traversare un altro tratto sospesi nel vuoto saltando da una trave all’altra. Mi appesi poi al resto di un vecchio candelabro, col quale mi diedi una spinta in laterale potendo virare in aria. Atterrai saldamente sopra il meccano in legno d’una leva che Marcello mi aiutò a sollevare e poi premere.
-Ci siamo!- s’illuminò il viso del ragazzo quando si sollevò una spessa parete di pietra che conduceva di certo alla tomba dei tesori.
Ma ahimé, a controllare quel passaggio vi erano alcune guardie che si sparpagliarono sospettose per la sala.
-Questa non ci voleva- lagnò.
-Marcello-.
-Sì?-.
-Resta qui, chiaro? Non ti muovere!- gli ordinai facendolo sedere nascosto dietro una colonna. Dopodiché mi lanciai dall’alto di una decina di metri, richiamai la lama dal polso e mi avventai sulla guardia più vicina. Ne arrivò un’altra, spaventata e allarmata tentò un approccio, ma con qualche palla fumogena riuscii a scappargli da sotto il naso. Corsi verso la terza, ma questa si allontanò all’istante.
-Saverio!- gridò l’uomo nell’armatura. –Tornerò con le altre guardie!- e scappò.
Partii all’inseguimento con uno scatto delle gambe, recuperai parecchio terreno nonostante quel tipetto lì ce la mettesse tutta ad ingannarmi e tagliarmi la strada.
Finalmente, ad un buon punto per colpirlo, e abbastanza vicino, saltellai su un grumo di pietra e terra e spiccai un balzo avventandomi in fine con la lama nella sua gola.
Il mio restava così un anonimo nome.
Trovai la sala che conservava reliquie e tesori, presi con me quello che cercavo e qualcosina in più. Rintracciare il passaggio che portava all’esterno fu altrettanto facile. Entrava della luce da un alto lucernario che raggiunsi in poche abili mosse d’arrampicata. Spostai il tombino e fui finalmente all’esterno, potendo bearmi dell’aria pulita e profumata della mia Firenze bagnata dalle prime luci dell’alba.
M’issai sul marciapiede e feci per richiudere il tombino, quando mi ricordai di essermi dimenticato qualcosa… o qualcuno!
-Giocate a nascondino?- domandò una voce seria, arrabbiata e, peggio di tutto… di quel bambino.
Mi sollevai in piedi voltandomi subito dopo. –Marcello!- sibilai furente.
Il ragazzo mi guardava ad occhi sgranati. –Sì?-.
-Come hai fatto ad uscire?!- feci scettico.
-La guardia che non avete ucciso, Ser Ezio, mi ha portato in città- ridacchiò.
-Eh?!- mi sporsi in avanti.
-Venite- mi prese la mano trascinandomi dietro di sé. –Dobbiamo tornare da mia madre! È l’alba, cugino, sarà molto in pena e arrabbiata, vedrete!-.
Non avrei scommesso il contrario.

Seduti su una panchina in Piazza della Signoria, vedevamo la gente affollare le strade dopo una notte che Firenze tutta aveva dormito e noi eravamo stati a caccia di tesori. Il piccolo Marcello s’era addormentato sulla mia spalla, ed entrambi avevamo gli abiti luridi, sporchi e stracciati per via delle mille fatiche che il mestiere di avventuriero di catacombe compensava. Il sole si fece alto in cielo, e persino io m’ero permesso di schiacciare un pisolino.
Venne l’ora di pranzo, e ancora non si aveva l’ombra della dama madre di Marcello, che invece era ora sveglio e pimpante.
-Cugino- chiamò.
-Hmm…- lagnai io tra sonno e realtà.
Marcello mi diede uno scossone. –Cugino Ezio, svegliatevi- disse.
Socchiusi gli occhi. –Che cosa c’è? È arrivata tua madre?- domandai.
-No, ma guardate!- gioì. –Quella donna vi sta fissando da quanto sono sveglio!-.
Seguii il suo sguardo seppur con un po’ di fatica per via dell’annebbiamento che avevo in testa, residuo del poco riposo. –Ah, quella…- sbadigliai. –Flavia Sifretti- feci una smorfia.
-La conoscete?- si stupì lui.
-Sì, ma non vedi quant’è brutta?- eruppi.  
-Carina quella!- indicò una donna seduta sul bordo della fontana.
-Non si indica, stupido- gli abbassai il braccio con un gesto veloce. –E poi- cominciai io –la conosco. Si chiama Ghiletta… Ghiletta qualcosa-.
-Quindi ve la siete già portata a letto- ridacchiò lui.
Sobbalzai. –E a te chi le racconta certe cose?!- eruppi.
-Allora è vero!- si alzò in piedi dalla panca e si diede alla corsa. Era un bene per lui che cominciasse con un po’ di vantaggio, ma di lì a dieci metri l’avrei acchiappato e menato come si deve!
-Marcello! Torna subito indietro!- gridai scattando all’inseguimento. –Se t’accahiappo, guarda!- ringhiai, e girai tutta Firenze inseguendo le sue risate da idiota.
































Muhahaha! Non vi do tregua, e avevo avvertito del fatto che l’ispirazione di questi periodi è quella che non manca! Perciò, ecco che vi presento una nuova one tutta da scoprire, comprendere e ridere! Perché ammetto che realizzarla, svilupparla nel suo insieme di personaggi e ambientazione è stato curioso e vero intrattenimento. Ora mi resta solo da correggere quella moltitudine di errori nell’altra ff postata ieri. Ovviamente sono costretta ad allegare il link dal quale l’ambientazione della storia è ripreso con fedeltà nel dettaglio.

http://www.youtube.com/watch?v=k-NzkHRSwaQ&feature=related

I diritti alla Ubisoft Montreal che sta per annunciare un altro meraviglioso capitolo della saga Assassin’s Creed.
Un hip-hip-hurrà per UBISOFT! HIP-HIP-HURRAAAAAAAAAAAAAA’!!! XD
A prestissimo con un’ultima one che ho in mente sempre su AC II!
Elik!
   
 
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