“Dove sono?”.
Non sa da quanto tempo sta camminando, né perché.
Mette avanti un passo dopo l’altro, senza scopo, né meta.
Non ricorda l’istante in cui ha iniziato quel cammino, non sa se ci sarà un dopo.
I suoi piedi sono nudi, ha indosso solo un pigiama leggero e fa freddo in quel paesaggio di roccia grigia, spoglio.
Niente alberi, niente vita.
Solo rocce aguzze che gli feriscono la pelle indifesa mentre cammina.
Sente dolore, ma non vuole fermarsi: qualcosa gli suggerisce che, se si fermasse, sarebbe perduto, non si ritroverebbe più.
“Sono già perso… non so dove sto andando, non so chi sono, né perché sono qui”.
Sente che gli manca qualcosa…
Qualcuno…
Eppure, non conosce neanche la propria identità.
Nella sua mente si alternano due figure evanescenti: due volti pallidi, uno ha gli occhi blu e freddi, l’altro verdi, innocenti.
Il viso di una di queste due figure ha capelli lunghissimi e neri, che si estendono come spire di serpenti e avvolgono l’altra figura, tanto più piccola, così piccola che è sul punto di scomparire.
In qualche modo, quelle due figure gli appartengono entrambe, si riconosce in entrambe, ma piange per quella più piccola, perché la percepisce perduta e sconfitta.
“Se scompare… io non esisterò più…”.
Sul volto dagli occhi blu prende forma un ghigno, i suoi occhi ora sembrano fiamme di demone:
“Non esisti già più, piccolo Shun… non sei mai esistito, perché tu sei me e solo io esisto”.
Trema, mentre la figura allarga il mantello, è grande, enorme, copre tutta la sua visuale.
Può solo restare inerme e indifeso, mentre le tenebre lo avvolgono.
 
 
***
 
Con un sussulto, i suoi occhi si aprono e quel che era tenebra diventa luce.
È sdraiato in un ambiente morbido e una mano è sulla sua fronte, è calda, non fa paura.
Lui però si sente ancora confuso, ancora non capisce.
“Dove… dove sono?”.
“Sei a casa, Shun… sei con me”.
Shun… quello è il suo nome…
Lui è Shun… sacro guerriero di Athena.
Gli viene da piangere, non trattiene un singhiozzo e con una mano si copre gli occhi.
La mano sulla sua fronte sale ad accarezzagli i capelli:
“Era solo un incubo, fratellino… uno di quei maledetti incubi”.
Il suo Niisan…
In quell’incubo non ricordava niente, non ricordava se stesso e non ricordava loro, i suoi fratelli.
La mano si abbassa e, dietro al velo delle lacrime, dietro al viso di Ikki-Niisan, ne scorge un altro, due occhi azzurri bellissimi, che lo guardano con comprensione e un affetto che gli stringe il cuore.
“Niisan… Hyoga…”.
Tra le lacrime riesce persino a sorridere, perché ora sa dove si trova.
“Sono a casa…”.
I suoi due grandi amori sorridono, annuiscono, Ikki-Niisan si porta una sua mano alle labbra:
“Sei a casa… anche io sono a casa. Non ti lascerò più, fratellino”.