TEMATICA ESTIVA DELLA MAILING LIST
“IL
TEMPIO DI SHUN”
“MEMORIE
CELATE NELLA NOTTE”
RICORDI
SEGRETI – IL PROFUMO DELLE ROSE
Mi
sveglio di soprassalto, ansimando, completamente
sudato.
Socchiudo
gli occhi, cercando di calmare il tremito convulso del mio corpo e regolarizzare
il mio respiro, il cuore sembra quasi scoppiarmi nel petto
lacerato.
Ma
il mio tentativo è pura utopia, sento le braccia tremare, e non sono sicuro che
sia a causa della fresca aria notturna di Grecia.
Mi
rannicchio sotto le leggere coperte del mio letto, ma nulla, la testa mi pulsa maggiormente e non riesco a
riaddormentarmi.
Sbuffo,
voltandomi verso la finestra lasciata spalancata, un refolo di vento mi
scompiglia i capelli già di loro disordinati, strappandomi un debole
sorriso.
È
bello sentire nuovamente il tocco del vento sulla pelle, non avrei mai pensato
di poterlo sentire ancora, non dopo aver respirato la putrida e stagnante aria
del Meikai, pesante come piombo, odore come di cadaveri in decomposizione
eterna.
Al
solo pensiero, il mio corpo trema ancora.
Dinanzi
ai miei occhi, la Meridiana si scorge benissimo in tutta la sua interezza, la
fiamma azzurra dell’Ariete si sta lentamente spegnendo, a malapena sono le due
del mattino e per l’ennesima volta mi ritrovo sveglio, in questo letto troppo
grande per me, in questa stanza troppo vuota e fredda.
Mi
rigiro ancora, lo sguardo cade sul soffitto, illuminato d’argento, la Luna, la
grande Regina notturna veglia su di noi, la sua rassicurante luce mi infonde
nell’animo una genuina gioia.
Tutte
le sofferenze patite, in fondo, sono servite a
qualcosa.
Un
movimento troppo brusco, però, mi infligge un dolore quasi
insopportabile.
Passo
una mano sulle bende, nel vano tentativo di placare le fitte che la pelle,
appena rimarginata, mi infligge; e dire che ne ho passate di
peggiori…
Tutto
è avvolto nel silenzio della notte, una calma quasi irreale, da
sogno.
Alle
mie orecchie giunge il suono attutito di acqua che scorre, sembra la ninna-nanna
perfetta, ma qualcosa si annida nel mio cuore, e non riesco a dargli un nome,
una forma.
So
solo che non riuscirò più ad addormentarmi per
stanotte.
Con
un gesto stizzito, scosto le coperte, poggiando i piedi sul freddo marmo della
stanza, seduto sul soffice giaciglio che ormai da giorni non
lascio.
Sento
il viso avvampare per la febbre ancora alta, per qualche istante, la testa mi
gira a tal punto che quasi ricado sul materasso umido; ma l’equilibrio non mi
abbandona per fortuna e, dopo qualche istante, decido che posso tentare di
uscire di qui, respirare aria pura, godere nuovamente della vista delle stelle,
del Santuario finalmente pacifico e addormentato, di Athene, in lontananza,
illuminata dalle sue mille luci, tentare di udire le gioiose grida dei caciaroni
abitanti, perdermi nel fissare il mare luccicante, le lampare delle barche fuori
a pesca, piccole lucciole sull’enorme distesa marina, col dolce sciabordio
lontano delle onde, lo stormire degli ulivi scossi dalla profumata brezza di
Grecia, percepire i Cosmi placidi e familiari dei miei compagni, il frinire
delle cicale...
Tutto
questo mi manca immensamente.
Col
cuore colmo di questa nuova forza derivatami dal desiderio quasi impellente di
rivivere tutto ciò, mi alzo in piedi, sorreggendomi cautamente alla sedia in
ulivo grezzo poggiata accanto al mio letto.
C’è
un logoro e consunto mantello, segno che qualcuno, sino a poche ore fa, stava
qui a vegliarmi; lo afferro, drappeggiandolo sulle spalle scarne e ricoperte di
sgraziate cicatrici: un soave profumo femminile giunge alle mie narici, un
profumo dolce e delicato, familiare, come quello di una
mamma.
Le
lacrime cominciano a salire dolorose e calde, abbraccio incosultamente la ruvida
stoffa, appropriandomi di questo delicato aroma.
Un
profumo che per tanti anni ho cercato.
Seika-neesan,
sorella mia, chissà quanto mi hai vegliato, nei miei deliri causati dalla
febbre, accudendomi anche nelle minime cose, lunghe ore di veglia nella notte,
protetta solo da questo leggero mantello.
E
sento anche molti altri odori familiari, Saori, sono sicuro che questo mantello
sia tuo, Shiryu, fratello e amico, mio migliore amico, su questo mantello sento
aleggiare anche il gradevole profumo delle erbe di Cina, che ormai impregnano in
modo indelebile la tua pelle, anche tu sei rimasto accanto a lei per tutto il
tempo, cercando di starle il più possibile vicino?
Mi
asciugo velocemente le lacrime, non è più il tempo di piangere, è il tempo di
essere felici.
Muovo
qualche passo verso la porta, giro la maniglia in ferro battuto, il fresco
metallo dà un minimo di sollievo alla mia pelle
accaldata.
Esco
nel corridoio deserto e avvolto nella penombra, gli alti soffitti mosaicati
rappresentano scene del mito, nel buio scorgo a malapena la mostruosa testa di
Medusa sopra di me, i lunghi capelli serpentiformi tenuti saldamente dall’eroe
Perseo, una smorfia di trionfo dipinta sul viso pallido, il naso tipicamente
greco in armonia col resto del viso allungato.
L’elmo
poggiato sulla spalla, sporcato del sangue del mostro, la pelle solcata da
ferite.
Ignoro
i pensieri e mi dirigo a passo spedito verso l’andron di ingresso, i piedi nudi
sul freddo marmo non fanno alcun rumore.
Supero
le altre porte, odo i respiri pesanti e addormentati dei miei fratelli e sono
quasi tentato di entrare nelle loro stanze, ma non posso, nè voglio, privarli
del meritato riposo.
Con
un sospiro, raggiungo l’enorme e imponente ingresso.
Una
guardia fa per fermarmi, ha sguainato da sua lancia ma, non appena mi vede,
abbassa repentinamente l’arma, inchinandosi leggermente in segno di scusa, ne
scorgo sul viso l’espressione preoccupata, in effetti non sono proprio al meglio
delle mie forze.
Gli
rivolgo un cenno d’assenso distratto ed esco nell’ampio
cortile.
La
fresca aria mi rinvigorisce, infondendomi nuova forza.
Dinanzi
a me, qui, sulla rocca della Tredicesima Casa, vedo gli altri Templi, la
Meridiana, ormai il fuoco del Toro è vicino a spegnersi, Athene, ancora più
bella di come ricordavo.
Il
frinire delle cicale è un suono a dir poco splendido per le mie
orecchie.
Sento
sotto le mie dita la ruvida ghiaia graffiarmi leggermente i piedi, il vento
insinuarsi sotto il mantello, sotto le bende sul mo petto, sul mio viso, sui
miei capelli.
Mi
lascio totalmente avvolgere dal suo abbraccio, chiudo leggermente gli occhi,
facendomi trasportare dai soavi profumi.
E
odo ancora quel delicato rumore di acqua che scorre.
Incuriosito,
cerco di capire da dove provenga, ma nulla.
Mi
guardo attorno, sulla scalinata non c’è nessuno, la guardia all’ingresso è
troppo lontana per potermi vedere.
Un
sorrisetto furbo si dipinge sul mio viso.
Senza
aspettare altro, comincio a scendere lungo la
scalinata.
Il
rumore si fa sempre più vicino a mano a mano che mi avvicino alla Dodicesima,
presieduta da Aphrodite.
Sono
curioso, voglio capire che cosa sia questo rumore.
Lanterne
disposte lungo tutta la scala illuminano il percorso, quindi non mi è troppo
difficile scovare un cancelletto arrugginito semi-aperto; senza far confusione,
in perfetto silenzio, mi faccio strada, qualcosa mi graffia le caviglie scoperte
ma non gli do molto peso.
Per
qualche minuto cammino alla cieca, un forte odore di terra bagnata e di erba mi
solletica il naso, ma finalmente raggiungo la fine del tortuoso sentiero, e lo
spettacolo che mi si para dinanzi è splendido.
Rose,
centinaia di rose, di svariati colori, bianche, nere, e rosse, ondeggiano
delicate sotto il tocco del soffio di Eolo, aiuole di un brillante verde
smeraldo brillano per la rugiada alla luce di lucerne che circondano tutto il
cortile, al cui centro vi è una bellissima fontana, è questo il suono che mi
attirato sin qui, il suono dell’acqua che mi ha
incantato.
Il
rosso intenso di queste rose, così simile al sangue, quasi mi sconvolge e allo
stesso tempo mi inebria, il candore di quelle bianche mi fa quasi ripugnare di
me stesso, mi fa sentire quasi sporco.
Avevo
quasi scordato le rose di Pisces, è passato un bel pò di
tempo.
Con
un tremulo sorriso, mi avvicino timoroso all’aiuola più vicina, prendo una rosa
rossa, di un dolcissimo e intenso cremisi.
La
strappo delicatamente, rigirandomela tra le mani sottili, le spine mi feriscono
le dita, graffiandomi leggermente i palmi, avvicino il fiore al viso,
inspirandone il profumo.
Una
miriade di emozioni e sensazioni piacevoli si fanno strada in me, tutte le ansie
e le paure che fino a poco fa mi ottenebravano l’anima sembrano sparite come
neve al sole.
Ora,
potrei anche dormire....
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Mi
risveglio improvvisamente, fresco e riposato come se avessi dormito giorni e
giorni un sonno tranquillo e privo di sogni.
Ma
il luogo dove mi trovo non lo riconosco.
Non
è la Tredicesima, e nemmeno uno dei Templi, li conosco
tutti.
Però,
questo posto ha un che di solenne.
Mi
metto in piedi e comincio ad esplorare.
Attraverso
qualche stanza vuota, desolata, sino a giungere in un enorme salone e qui,
stupefatto e scioccato, mi blocco.
Sento
mancarmi il respiro.
Davanti
a me, in lontananza, scorgo una sagoma familiare, una torre da cui viene
irradiata, come una preghiera, una dolce melodia; e poi, una superba armatura,
“lo scale di Poseidon” non posso fare a meno di mormorare, stupito, un Cosmo
possente impregna tutto attorno a me, ma ne percepisco uno anche più piccolo,
debole come un lumicino.
Muovo qualche passo nell’andron, confuso.
Cosa ci faccio qui?
E Poseidon?
Cosa sta succedendo?
Il Dio che avevamo affrontato con fatica tempo fa si erge
dinanzi a me fiero e potente come nel passato più recente, alza il suo tridente
e con esso attacca.
Istintivamente chiudo gli occhi, preparandomi all’impatto,
ma non sento nulla, nessun dolore.
Mi volto.
Rannicchiata in un angolo, immersa in una pozza vermiglia,
vedo Shaina, a terra, ferita gravemente e priva di sensi.
“Avete protetto Seiya con uno scudo, chi siete?” tuona il
Dio, adirato, non si sta rivolgendo a me, sembra quasi che non mi veda; seguo il
suo sguardo e sgrano gli occhi, riconoscerei dovunque quelle due figure,
lo scudo che tengono in mano.
“Shiryu, Hyoga...” mugolo spaventato, vedendoli in quelle
condizioni pietose, le mani strettamente unite, le vesti stracciate e le cloth
distrutte; gli occhi vacui di Shiryu infliggono un dolore immane al mio cuore,
povero amico mio, di nuovo cieco... Non hai mai voluto raccontare cosa ti sia
accaduto di così tremendo da farti nuovamente perdere la capacità di vedere.
E tu, Hyoga, come hai fatto a perder l’occhio? Ti sei
scoperto in battaglia, o glielo hai lasciato fare? Non lo so, nemmeno tu hai mai
voluto raccontare alcunchè di ciò che hai patito durante quel combattimento, ne
sei uscito solo privo di quell’occhio sinistro, da allora celato da biondi
ciuffi e una robusta fasciatura.
Ma perchè mi ritrovo qui?
Sono sveglio o sto ancora sognando?
Mi tocco il braccio, lo sento insolitamente freddo.
Non mi vedono, che io sia semplicemente invisibile?
Eppure, il mio corpo è qui.
“Seiya, non ti lascio morire da solo...” “Moriremo assieme,
fratello!”.
Le parole basse e affaticate dei miei compagni, come già a
suo tempo, mi rincuorano, infondendomi un gran calore.
Ricordo perfettamente quel momento, è stampato in modo
indelebile in me assieme a tanti altri piccoli momenti, alcuni più dolorosi
altri meno, ma sempre importanti.
In quel momento, cosa provai?
Cosa provai veramente, oltre al male fisico dovuto alle
ferite?
Stavo per cadere ormai nell’abbraccio della Morte, quando
udii quelle voci decise e affettuose starmi vicino, fu solo grazie a loro se,
quella volta, mi salvai.
Cado in ginocchio aggrappandomi a questa memoria, come se
fosse il mio salvagente nell’Oceano tempestoso in cui Poseidon voleva
trasformare la Terra, un così caldo ricordo.
D’improvviso, la stanza comincia a scomparire, dissolvendosi
come la nebbia quando il primo sole fa capolino dalle nuvole cupe, intiepidendo
un poco l’aria umida e fredda del mattino, e io mi ritrovo nuovamente
all’aperto, la distesa sottomarina ha un che di familiare, l’acqua fredda
attorno a me mi fa capire che devo essere nei pressi di uno dei mari polari.
Comincio a camminare guardingo, guardandomi attorno di
continuo, sento che qualcosa non va.
Improvvisamente, con mia somma gioia, vedo correre accanto a
me Hyoga, i lunghi capelli biondi smossi dalla corrente sottomarina, più simile
a un vento in verità, la cloth lucente, anche se danneggiata in più punti, quei
due splendidi zaffiri al loro posto.
Sorrido e, anche se non mi può vedere, corriamo assieme,
affianco come dovrebbe essere in battaglia, uniti contro tutto e tutti, non
separati come troppe volte è accaduto.
Lo vedo concentrato, il viso contratto in una smorfia,
dolore, sofferenza e malinconia, tutte queste emozioni albergano in lui in
questo momento.
Scorgo una benda sul suo collo, impregnata di sangue, una
brutta ferita all’apparenza; ma lui sembra non badarci e continua a correre,
immerso nei suoi pensieri.
Posso solo stargli accanto.
Finalmente, giungiamo a destinazione.
La colonna dell’Oceano Artico si erge minacciosa davanti a
noi, l’aria si fa sempre più gelida, un brivido percorre la mia schiena, il
sangue mi si gela nelle vene, che razza di Cosmo malevolo sento provenire da
questi dintorni.
“Hyoga, non pensavo ti avrei rivisto ancora vivo!”
Una voce roca riecheggia attorno a noi, rompe il silenzio
della distesa sottomarina.
Anche il mio compagno si ferma, intimorito quasi, leggo lo
stupore sul suo viso; ecco, compare finalmente il Marine responsabile di tutto
questo, sulla scala che porta alla sua Colonna, colonna che verrà abbattuta
presto, ne sono certo, questo strano Generale non sembra poi così forte.
“Il Cloth di Cygnus... ti sta bene, Hyoga...” ridacchia, ha
un che ti ironico e cattivo questo tono, i miei sensi sono all’erta.
“Insomma, chi sei?!” replica l’interessato, agitato, non
ricordo di averlo mai visto così sconvolto.
“Hai dimenticato il volto di chi ti salvò la vita?” continua
il nostro nemico; con un gesto lento, si leva l’elmo, mostrando un viso di
ragazzo, più o meno dell’età del mio russo amico, una spettinata chioma
incornicia un viso pallido, orrendamente sfigurato nella parte sinistra, privo
di un occhio.
La sua vista quasi mi ripugna, chi è costui?
Ma Hyoga sembra quasi soggiogato da questo personaggio, non
ne comprendo il motivo; si avvicina, il viso solcato di lacrime, sembra
conoscerlo.
“Isaac... Isaac...” lo sento mormorare, mentre si avvicina a
lui, cade in ginocchio dinanzi a lui, come se volesse sottomettersi. Non c’è
alcun sentimento di rivalsa nel suo gesto, solo abbandono.
Restano così per qualche istante, che rapporto c’è tra
loro?
All’improvviso, il Marine sferra un pugno a tradimento
contro il mio compagno, scagliandolo parecchi metri più in là, il mio cuore ha
un sussulto, perchè lo ha colpito così crudelmente?
Corro subito accanto a lui, le ferite hanno ripreso a
sanguinare, tingendo la fredda pietra su cui sta disteso, mentre il Generale gli
rivolge dure parole colme di ostilità.
Come pensavo si conoscevano, e anche da parecchio tempo, mi
pare di capire che fossero compagni di addestramento sotto Camus
dell’Acquario.
Ma allora, come può accanirsi su una persona con cui ha
condiviso tutto, sofferenze, gioie, paure? Come può, mi chiedo? Cosa l’ha spinto
a comportarsi così?
Non posso fare molto, solo assistere impotente allo
svolgersi degli eventi.
Dalla voce di Isaac vengo a sapere la dura verità, mai avrei
pensato che Hyoga nascondesse tutto questo dolore nel suo cuore, la morte della
madre... Ne ero a conoscenza, come tutti, ma i dettagli mi sono sempre stati
oscuri; il suo ardente desiderio di rivederla l’ha portato a rischiare
troppo.
E gli ha portato via un amico
Quello stesso amico che ha rischiato la propria vita per
salvare la sua.
Quello stesso amico che, pianto morto, ora si ritrova
dinanzi a lui come nemico.
Che ora è posto a difesa della Colonna Artica, allievo di
Camus passato dalla parte di Poseidon, posseduto dallo spirito del mostruoso
Kraken delle leggende, signore incontrastato delle gelide acque del Nord.
Spettatore silenzioso, osservo con preoccupazione e paura lo
scontro in atto, uno scontro il cui finale sembra ormai deciso, il Generale
sovrasta il mio compagno d’armi, l’indice e il medio della mano destra del
Marine si avvicinano, simili a tenaglie, all’occhio sinistro del loro
nemico.
Vorrei urlargli di scappare, ma non mi sentirebbe, la mia
voce riecheggerebbe invano quaggiù; istintivamente, serro le palpebre, un urlo
lacerante mi trapana le orecchie, sento un dolore sordo sin nel profondo del
cuore, vorrei piangere, ma nemmeno questo mi è concesso.
Per qualche strana ragione, sto esplorando i ricordi di
Hyoga, posso solo assistere e per alcun motivo interagire con essi.
Tremando, mi accingo a sollevare leggermente le
palpebre.
Il sangue sgorga copioso dal suo viso, deturpato
irrimediabilmente.
Amico mio, adesso capisco molte cose.
Capisco i tuoi sentimenti, il perchè di quell’orbita vuota
da quella battaglia, il grande segreto che nascondevi dentro di te, l’odio che
per te stesso provavi dopo quell’incidente, nascondendolo sotto il tuo essere
così cupo e silenzioso.
La perdita di tua madre pensavo fosse l’unica ragione, ma
ora so che non è solo per questo.
Vorrei solo abbracciarti e starti vicino, cercare in ogni
modo di aiutarti, ma non me lo permetteresti nemmeno, il tuo orgoglio di Cygnus
ne uscirebbe irrimediabilmente ferito e per te sarebbe una cosa ben peggiore
della morte.
Lo scontro continua, ma tutto comincia nuovamente ad
appannarsi, dissolvendosi e mi ritrovo catapultato da un’altra parte, nel bel
mezzo di una nuova battaglia.
Mi ci vuole poco per scorgere Shiryu fronteggiare un
imponente guerriero dalla pelle scura, armato di una lunga lancia d’oro.
Lo Scale brilla intensamente, risaltando maggiormente
sull’intera figura, non robusta ma alquanto sottile, i lunghi capelli chiari
scivolano sino a terra quasi, lasciati liberi dall’elmo; un ghigno come di
disprezzo dipinto sul viso abbronzato dal sole d’India, è così diverso dal
nostro Shaka, anche il portamento è differente, benchè entrambi siano nati e
cresciuti nelle terre bagnate dai violenti monsoni estivi.
“Io sono il Generale dei Mari che protegge questa colonna
dell’Oceano Indiano, Krishna di Crisaore.” si presenta.
“Io sono Dragon..” comincia a sua volta Shiryu, ma il nemico
lo blocca, impedendogli di presentarsi, “Non mi interessa il tuo nome,” afferma,
“Non ha senso conoscere il tuo nome!” esclama, imbracciando la sua arma, “Perchè
sarai morto tra qualche secondo per il colpo di questa lancia d’oro!” partendo
all’attacco.
Senza nemmeno avere la possibilità di contrattacare, vedo il
mio amico cadere a terra, colpito numerose volte da una forza invisibile, la
lancia non l’ha nemmeno sfiorato, chi diavolo è questo Krishna?
“Questa lancia ha un sacro potere con cui riesce a colpire
qualsiasi malvagità... è assolutamente impossibile evitarla.” dichiara
sibillino, l’arma brilla come un faro al minimo movimento, “è inutile, nessuno
può evitare la lancia di Crisaore.” continua, ripartendo all’attacco.
“PROTEGGIMI MIO SCUDO!” urla Shiryu, coprendo la difesa.
L’arma ha un brillante guizzo verso il petto del mio
compagno, con orrore la vedo penetrargli le carni e le vesti, il pesante scudo
del Drago è come carta sotto il suo potere.
Questa volta non posso fare a meno di urlare, ma la mia voce
sembra spegnersi non appena fuori dalle mie labbra, ancora una volta mi è
impossibile aiutare, posso solo assistere e nient’altro.
Stringo i pugni, questa sensazione di impotenza è veramente
odiosa.
Il rosso cremisi del sangue sporca nuovamente i gradini di
una delle colonne, sgorga copioso dal fianco del mio amico, del mio carissimo
fratello; corro al suo fianco, tremendamente preoccupato, non so proprio cosa
fare, l’acuminata punta dorata è quasi totalmente infissa nelle carni.
Ma lui non crolla, non si lascia sopraffare dall’immenso
dolore che, sicuramente, sta provando, resiste stoicamente, anche se vorrebbe
urlare.
Non cede, la misssione è più importante, il salvataggio di
Athena ha la precedenza, lo so: anche io, mentre lui era impegnato in questa
difficile sfida, avevo il mio bel daffare, così come Shun e Hyoga, come Shaina e
Kiki, ognuno di noi era impegnato nello svolgere al meglio il suo compito.
Ma assistere impotente a una simile sofferenza, mi lacera il
cuore, non riesco a vedere uno dei miei fratelli soffrire in questo modo, non
riesco ad accettarlo, anche se ciò è solo un ricordo, seppur doloroso.
“io sono... uno dei Saint di Athena.... non posso morire
invano...” sussurra, la voce sottile come un alito di vento, è così
impercettibile che quasi non riesco a udirla.
Alza di scatto il braccio destro, gli occhi rilucenti di
decisione disperata: “IN CAMBIO DELLA MIA VITA, RIUSCIRO’ ALMENO A SPEZZARE LA
TUA LANCIA D’ORO!” urla, sento crepitare il cosmo attorno a lui, forte e
brillante.
Il taglio della mano si abbatte con fragore sull’elsa.
Ma senza successo.
Il metallo robusto ha assorbito egregiamente il colpo.
L’arma è intatta.
Vedo Shiryu cadere a terra, la lancia estratta a forza dal
suo fianco dolorante, Krishna fissarlo mentre scivola al suolo, apparentemente
indifferente.
Non è da lui lasciarsi abbattere in questo modo, che sta
succedendo?
Nemmeno Shura è riuscito a sconfiggerlo, anche la Morte l’ha
più volte risparmiato, non può finire così.
Il silenzio è tremendo, riesco a udire solo il passo lento
del nemico che si allontana, tutto il resto sembra come ovattato, anche il
rumore del mio respiro.
Ma qualcosa aleggia nell’aria attorno a noi, un tenue
bagliore dorato, quasi invisibile a occhio nudo, ma presente.
Una sensazione familiare si fa strada in me, un leggero
movimento della mano di Shiryu mi fa capire che è ancora vivo.
Sorrido, lo sapevo che non sarebbe finita così, lo scudo del
Dragone riluce d’oro, l’intera sua Cloth splende; ma è il suo braccio destro ciò
che sorprende di più.
Sembra forgiato nell’aureo metallo, da esso, sento provenire
una forza senza eguali, senza confini.
Lo vedo alzarsi, un Cosmo amico, dalle tinte verdi e oro,
viene emanato dal suo corpo.
Krishna si volta, la curiosità dipinta sul suo viso: “non
puoi rimanere sdraiato finchè non sei morto?” chiede piatto il nemico, “cosa
pensi di poter fare?”.
“Distruggerò la tua lancia d’oro”, afferma risolutamente il
mio compagno, reggendosi in piedi, respira a fatica, ma leggo nei suoi occhi la
decisione e la forza che lo ha sempre spronato.
“Come ti chiami?” interloquisce improvviso Crisaore.
“Shiryu di Dragon.” replica secco, guardandolo.
Un’aura dragonica di immensità tale da abbracciare l’intera
piana sottomarina si eleva alle sue spalle, un nobile e splendido drago
ruggisce, danzando nell’aria e viaggiando verso le stelle.
Dai lunghi baffi crepita elettricità.
“Crisaore... ti mostrerò la vera forza dello scudo del
drago, lo scudo resuscitato grazie al sangue d’oro e...” sussurra, mentre vedo
le spire del Drago avvolgersi attorno al suo petto, “LA POTENZA DI CUI è DOTATA
LA SACRA SPADA EXCALIBUR!” esclama, il braccio destro splende come se fosse una
stella.
Sono stupito, Excalibur, l’essenza di Shura del Capricorno
riviveva nel mio amico dalla loro battaglia.
Un sorriso orgoglioso mi sale alle labbra, l’onore e la
forza dell’Undicesimo Custode continuarono la loro missione assieme a
Shiryu.
E mentre la sfida continua davanti ai miei occhi, non posso
fare a meno di pensare una cosa.
Ognuno di noi, sin dai tempi di Athene, è stato sempre
protetto dallo spirito di uno o più Gold Saints.
È strano pensarci adesso, che tutto è finito, ma assistere a
questa scena mi da questa sensazione, che già davanti al Muro del Pianto si era
tramutata in certezza.
Nell’esatto momento in cui vidi i primi, sinceri sorrisi sui
volti dei nostri carissimi compagni, fieri avversari e preziosi alleati,
qualcosa scattò in me, e anche se le lacrime ottenenbravano la visuale, sono
sicuro.
Il mio sguardo e quello di Aiolos si sono incrociati.
Così vale anche per Camus, Shaka, il Vecchio Maestro e tutti
gli altri.
Nell’esatto momento in cui i loro Cosmi si sono uniti nella
punta della freccia di Sagitter, parte del loro spirito è entrato in noi, nella
nostra lotta contro Hades non eravamo completamente soli, sono rimasti con noi
sino alla fine, sino a quando non sono ritornati sulla Terra con noi.
Sono rimasti con noi, confortandoci e sorreggendo le nostre
anime; non potevano fare altro.
Devo ammettere che il pensiero di avere tutte le
responsabilità sulle nostre spalle mi ha spaventato un pò, sarebbe stato stupido
non avere paura.
Ma non cambierei nemmeno un decimo dei miei ricordi, di
questi ricordi, non riuscirei a pensarmi nemmeno per un’istante fuori da
essi.
Ciò che ho visto in queste battaglie mi ha fatto capire
molte cose, è stupefacente la forza di volontà che può muovere il mondo.
Non avevo mai pensato a tutto questo, eppure, in un certo
senso, è stata proprio questa forza il motore di tante nostre battaglie, è stata
questa forza a spingerci a continuare ad andare avanti.
Ogni nostro ricordo, ne ho avuto la prova, è permeato da
questa forza e, anche se la sofferenza, fisica e psicologica, ha avuto una
grande parte in questo dramma, io sono contento di questi miei ricordi.
Shiryu.... Hyoga.... Voi, che tra noi siete stati quelli che
meno avete voluto metterci a conoscenza del vostro passato, non posso
biasimarvi, fratelli miei.
Ho sofferto moltissimo nel vedervi così, solo vedervi,
immagino cosa potrebbe aver significato per voi raccontare.
Non vi chiederò nulla, anche se le domande affollano la mia
mente.
Non chiederò nulla, mi limiterò a conservare in me queste
esperienze.
Fino alla fine.
Le sagome dei due combattenti si stanno dissolvendo
lentamente sotto i miei occhi, una splendida luce prende, a mano a mano che
scompaiono, il loro posto.
Non so come sia stato possibile tutto ciò che ho vissuto
stanotte, ma ne farò tesoro.
Un sonno improvviso cala su di me.
EPILOGO:
“FÅNIG!! FORZA, SVEGLIATI!”
Una voce furibonda con un marcato accento straniero giunge
alle mie orecchie, facendomi sollevare a viva forza le palpebre pesanti, sono
disteso su qualcosa di incredibilmente morbido e umido.
Mi sfrego gli occhi, cercando di mettere a fuoco chi ho
davanti, una folta capigliatura bionda è l’unica cosa che, per ora, riesco a
distinguere; lineamenti delicati su di un viso pallido, familiare.
“Aphrodite...?” chiedo incerto, distinguendo finalmente il
Saint di Pisces.
Uno scapellotto mi piomba inesorabile sulla fronte.
“Si, razza di stupido!”, ribatte furibondo, “Ti sembra il
caso di addormentarsi nel bel mezzo del mio giardino? Sei stato fortunato,
piccolo stolto, se non fossi sceso quaggiù, tu saresti morto, intossicato dal
polline delle mie rose!” ribatte seccato, aiutandomi a mettermi seduto.
Solo adesso riesco a distinguerlo meglio, il viso tirato, le
occhiaie marcate e una leggera veste di lino al posto della Cloth, troppo
leggera per difenderlo dal freddo della notte; le mani con cui mi sorregge sono
decisamente gelate, tremano un poco per la bassa temperatura, nemmeno lui deve
essersi ancora ripreso del tutto.
Mi stringo maggiormente nel mantello, la testa mi gira
parecchio; avevo scordato quanto il polline di queste sue creature sia
micidiale, sono stato davvero imprudente.
“Aspettami qui.”.
La voce di Pisces, la sento allontanarsi, come la sua
presenza, per poi ritornare qualche minuto dopo, passandomi qualcosa in mano,
una tazza in terracotta dipinta colma di un denso liquido ambrato dall’odore
asprigno; con aria schifata, lo guardo dubbioso: “Bevi.” afferma lui spiccio,
inginocchiandosi accanto a me, “Cosa sarebbe sta robaccia?” chiedo io,
esaminandone con sospetto il contenuto, “Una tisana, la preparo io. È una delle
poche cose che può neutralizzare il potere delle mie rose. Di solito non serve,
ma questa volta si, ora bevi!” spiega lui, guardandomi male.
Avvicino la tazza alle labbra, qualche sorso scivola giù per
l’esofago.
Una sensazione di bruciore mi invade la gola, la bocca e il
naso, togliendomi il respiro e facendomi tossire come un dannato; la tazza mi
viene tolta di mano, mentre gli occhi si riempiono di lacrime: “Ma... Ma... Cosa
cavolo ci hai messo lì dentro??” esclamo quando mi riprendo, fissando il piccolo
contenitore con odio.
Aphrodite sogghigna vendicativo: “non lamentarti, piccolo
Seiya per qualche goccia di tisana.” mi risponde solo, esibendo un sorrisetto
furbo per poi aiutarmi ad alzarmi in piedi, “Ormai è l’alba, ti conviene
ritornare su alla Tredicesima, prima che si sveglino tutti.” mi dice gentile,
accompagnandomi verso l’ingresso della sua Casa; l’ambiente è leggermente
rischiarato da alcuni bracieri posti contro le pareti, quindi non è difficile
per il mio compagno condurmi con sicurezza lungo i corridoi.
Siamo ormai vicini all’uscita, quando udiamo un rumore di
passi veloci, seguiti da una voce roca e burbera: “Ehi, Aphrodite, che diavolo
stai facendo?” chiede qualcuno; dal corridoio più vicino vedo sbucare una
massiccia ombra, alla luce della fiamma distinguo i lineamenti di Death Mask;
anche lui mi nota e mi lancia uno sguardo non propriamente amichevole, “e lui
che ci fa quaggiù?” continua Cancer, indicandomi; anche lui ha indosso una
semplice tunica.
Ci squadriamo in cagnesco per qualche istante, sino a che
non è proprio il padrone di casa a fermarci: “Su, su, bambini, adesso basta.”
Aphrodite ci separa ridendo, “l’ho trovato in giardino, addormentato in mezzo al
prato, tra le rose, non mi sembrava il caso di lasciarlo lì.” risponde
semplicemente il mio accompagnatore, sorridendo al Quarto Custode, “non sarai
geloso del piccolo Seiya, vero, Angelo?” chiede con tono scherzoso, cingendo con
un braccio le spalle robuste del Saint di Cancer.
Questi volta lo sguardo dall’altra parte: “Umpf, e perchè
dovrei essere geloso di questa mezza calzetta?”.
Li guardo stupefatto, più che arrabbiato per le parole di
Death Mask: “Forse è ora che vada... Grazie per l’aiuto Pisces.” saluto, facendo
un leggero inchino e abbozzando un sorriso riconoscente.
Esco fuori, il cielo si sta lentamente tingendo di viola a
ogni minuto che passa, la Meridiana indica che ormai anche la quinta ora sta per
cominciare; mi incammino in silenzio su per la scalinata, le stelle stanno
lasciando velocemente la volta celeste, anche l’Orsa è scomparsa.
Sta cominciando un nuovo giorno.
Mi giro verso sud, vedo il mare illuminarsi, il cielo
diventare rosa, le nuvole, simili a splendidi volatili, solcano fiammanti lo
spazio aereo, sospinte dal vento.
Da quassù vedo il Sole fare capolino all’orizzonte, vedo le
reclute riunirsi al centro del piazzale per gli allenamenti mattutini e la
distribuzione degli ordini.
Sospiro, mentre continuo a salire, completamente perduto nei
miei pensieri vaghi.
“SEIYA!!!!!” “SEIYA!!!”
Due voci preoccupate riecheggiano davanti a me, alzo il capo
istintivamente.
Nella luce dell’alba, vedo la sagoma di Shiryu corrermi
incontro, seguita a breve distanza da quella di Hyoga; tengo le mani in tasca,
in una posa perfettamente naturale, rilassata, fisso curioso la corsa folle dei
miei amici, un sorriso spontaneo mi sale alle labbra, sono felice di
vederli.
I lunghi capelli neri volano alle sue spalle, coperte dalla
sua grigia veste di foggia cinese, quella che preferisce indossare quando il
dovere non gli impone la Cloth del Dragone, il biondino ha ancora indosso i
pantaloni del pigiama come li ho io, ma nulla a coprirgli il busto.
Le bende sulle sue braccia, sino al giorno prima presenti,
ora sono scomparse.
“Buongiorno... Yawn..” sbadiglio, stiracchiandomi pigramente
dopo la dormita sull’erba; il mio moro compagno si ferma davanti a me, ansante,
raggiunto subito dopo dal Cigno: “Dove sei stato?” mi chiede con aria severa,
“ti ho cercato in ogni luogo, ero preoccupato.”, subito spalleggiato dal
coetaneo, “Figurati che ha buttato giù dal letto anche me...” sbadiglia a sua
volta, rabbrividendo quando un’improvvisa folata di vento gli accarezza la
schiena
Io scocco un’occhiata arrabbiata all’indirizzo di Hyoga, la
pelle delle braccia trema, non è saggio che sia uscito in queste condizioni;
senza dire nulla, mi levo il mantello e glielo metto sulle spalle.
Nel suo sguardo leggo imbarazzo e stupore, ma non ci faccio
caso e torno a guardare Shiryu, le mani sui fianchi e il piglio minaccioso non
presagisce nulla di buono: “Non riuscivo più a dormire, così sono uscito a fare
una passeggiata.” dico semplicemente; una mano soffice mi sfiora i capelli,
accarezzandomi la testa con fare paterno, un braccio mi cinge le spalle,
spingendomi verso il petto di Shiryu: “Forza, torniamo in camera adesso, prima
che qualcun’altro scopra che sei uscito.” mi dice solo, ma nella sua voce ormai
addolcita non c’è più alcun segno di rabbia; alzo gli occhi, incontrando i suoi,
così grandi e gentili, il viso rischiarato da un’espressione sollevata, “Ehi, ma
non sono un recluso!” mi lamento, sbuffando, “Saori-san ha detto di farti stare
a riposo finchè tutte le ferite non saranno guarite, e non mi sembra tu sia in
forma perfetta.” mi redarguisce lui.
“Scusa, ma tu non hai freddo?” riesce finalmente a dire
nostro fratello, stretto nel corto mantello; io sorrido, prendendolo
sottobraccio, “No, non ho freddo, non preoccuparti, tienilo tu.”.
Chiacchierando, ci incamminiamo verso la Tredicesima, ormai
il Sole ha ripreso il suo posto nel cielo.
Tutto il resto va bene.
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NOTE:
Fanig: In svedese, la lingua originaria di Aphrodite di Pisces, vuol dire stupido.