Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PerseoeAndromeda    23/01/2023    1 recensioni
Si era aspettato quell’accoglienza, così come non lo stupirono i tanti sguardi che si posarono su di lui nel momento stesso in cui le chiacchiere si estinsero.
Non erano sguardi amichevoli, nessuno lo salutò.
Ostilità, rabbia…
Disprezzo…
Come contrastare una simile atmosfera, se lui stesso era convinto, senza ombra di dubbio, che avessero ragione?
“Non dovrei essere qui” si disse. “Non dovrei essere vivo”.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Armin Arlart, Jean Kirshtein
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
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Fanfic scritta per il writober indetto da Fanwriter.it.
Lista: Pumpkin
Prompt: 23. Tensione
Titolo: “Non dovrei essere qui”
Fandom: Attack on titan
Personaggi: Armin Arlert, Floch Forster, Jean Kirstein
Rating: giallo
Genere: angst, drammatico, hurt/comfort, missing moment
Warning: violenza e bullismo, spoiler terza stagione
 
 
 
“NON DOVREI ESSERE QUI”


 
Il brusio si interruppe non appena Armin mise piede nel dormitorio.
Si era aspettato quell’accoglienza, così come non lo stupirono i tanti sguardi che si posarono su di lui nel momento stesso in cui le chiacchiere si estinsero.
Non erano sguardi amichevoli, nessuno lo salutò.
Ostilità, rabbia…
Disprezzo…
Come contrastare una simile atmosfera, se lui stesso era convinto, senza ombra di dubbio, che avessero ragione?
“Non dovrei essere qui” si disse. “Non dovrei essere vivo”.
Non ricambiò alcuno sguardo, si limitò a tenere il proprio abbassato, dimesso: avrebbe sopportato, era il minimo.
Era abbastanza forte da sopportare il disprezzo, lo faceva fin da bambino.
Certo, aveva sperato che, lì nel dormitorio, ci fosse anche qualcuno di quei pochi che gli erano rimasti amici: Eren in primo luogo, Jean, Connie…
Invece non erano ancora rientrati.
Strinse i denti: non doveva sperare in nulla, non doveva attendere l’aiuto di nessuno, non aveva ancora imparato?
“E se merito questo disprezzo, perché dovrei essere aiutato?”.
Respirò a fondo, cercò di mantenersi impassibile, di ignorare quegli sguardi.
Al centro del gruppo che, in maniera più palese, mostrava la propria ostilità, stava Floch e, pur non guardandolo, Armin i suoi occhi puntati addosso li sentiva, li percepiva sulla pelle, lo trafiggevano simili a pugnali affondati nell’anima.
“Non guardarlo” si ripeteva. “Fai finta che non ci sia, vai dritto!”.
Tremando nel corpo e nel cuore, si impose di passare accanto al gruppo capeggiato da Floch, doveva farlo per raggiungere il proprio giaciglio.
La tensione raggiunse il suo massimo quando fu così vicino che avrebbero potuto toccarsi.
Era sempre un’incognita: lo avrebbero lasciato in pace o…
“Ma tu guarda, si sente così superiore a noi che neanche ci saluta!”.
Un brivido percorse le sue membra: il tono era sarcasmo e gelo e la frase metteva in evidenza una sua mancanza.
Floch sapeva cogliere i suoi punti deboli: stimolare i sensi di colpa era la sua arma principale.
Le dita di Armin si agitarono nervosamente lungo i fianchi, si strinsero in pugni, deglutì.
Ripensò a quand’era bambino e i bulli lo aggredivano, tentando di stimolare una sua reazione, anche violenta, per divertirsi di più a sue spese.
Lui, invece, rispondeva a parole, convinto che non abbassarsi alle loro violenze lo rendesse superiore.
Quelli erano bulli, avevano torto, in quel caso era più facile.
La consapevolezza che Floch e gli altri compagni, invece, si trovavano dalla parte della ragione gli impediva persino di trovare parole efficaci per contrastare le loro prepotenze: tutto quello che poteva fare era accettare e subire, esercitare la pazienza.
Lo spirito di sopportazione di Armin Arlert era qualcosa di ben noto a tutti.
Avrebbe mantenuto il proprio proposito e sarebbe giunto sano e salvo a destinazione se Floch non gli avesse sbarrato la strada, rendendogli impossibile proseguire.
“Cosa credi di fare, topo di fogna?”.
Le dita di Floch raggiunsero le sue guance e strinsero, provocando dolore, obbligandolo a guardare verso l’alto, fino ai suoi occhi.
Armin si irrigidì, non riuscì più a mascherare la paura che provava.
Adesso sarebbe potuta accadere qualunque cosa e lui non sarebbe stato in grado di impedirlo.
Subire, subire, subire…
“Non dovresti neanche essere qui e pretendi di passare senza chiederci il permesso?”.
“Ma quale permesso” fece eco un altro giovane che gli si posizionò alle spalle. “Lui deve solo strisciare e implorarlo, il permesso”.
“Ma certo, hai ragione” ghignò Floch, accentuando la morsa sul viso di Armin. “Allora, se vorrà andare a dormire, dovrà prima inginocchiarsi”.
Diede uno strattone verso l’alto, il dolore si fece intenso, mentre Armin fu costretto a sollevarsi sulla punta dei piedi, che quasi non toccavano più terra.
“Hai capito, nullità?!”.
Allora lo lasciò. Le gambe di Armin non lo ressero e lui cadde malamente. Non fece in tempo a rendersi conto della situazione che qualcuno gli posò un piede sulla schiena e lo premette a terra.
“Striscia, verme! Non meriti di fare altro!”.
Tentando, con poco successo, di trattenere le lacrime, Armin si puntellò sui gomiti, provò a fare forza con le mani per tirarsi su, ma al piede sulla sua schiena si aggiunse una mano che affondò tra i capelli, spingendogli il viso contro il pavimento:
“Cosa fai? Provi ad alzarti? Credi di poterti permettere di fare l’orgoglioso, dopo tutto quello che hai combinato?!”.
Strinse i denti, le palpebre si chiusero e alle labbra sfuggì, suo malgrado, un singhiozzo.
“Cos’è che avrebbe combinato, sentiamo?!”.
Il silenzio calò improvviso, ponendo fine alle risate e agli scherni.
Armin avrebbe dovuto sentirsi sollevato, ma riconoscendo la voce di Jean, in realtà, venne colto dal desiderio di affondare in quel pavimento e scomparire per sempre dal mondo.
“Guarda, è arrivato uno dei tuoi paladini” ringhiò Floch, ma intanto tolse la mano dai suoi capelli e anche il piede che lo bloccava a terra scomparve.
Nonostante questo, Armin non si mosse, il bisogno di annullare se stesso era troppo intenso.
Si avvicinarono dei passi, Armin sapeva che si trattava di Jean e il suo viso restava basso, non voleva vedere, non voleva sentire.
“Non mi hai risposto, Floch. Cosa avrebbe combinato, Armin, a parte salvare il culo a tutti quelli che restavano nelle mura?”.
Armin si sentì avvampare, trovò il coraggio di sollevare un poco gli occhi per vedere Jean, in piedi vicino a lui, le braccia incrociate sul petto, gli occhi che scintillavano di rabbia.
Floch lo fronteggiava, fremendo in ogni fibra, poteva notare il tremare convulso dei suoi pugni e Armin temette seriamente per l’incolumità di Jean.
Si impose di rimettersi almeno in ginocchio, mentre l’alterco continuava, in uno scambio che, al momento, rimaneva di sole parole, che si alzavano di istante in istante, sempre più concitate:
“Tu non eri là fuori, davanti a quel bestione, non eri tra noi che correvamo incontro ad un massacro con la consapevolezza di morire! Sono morti tutti, Kirstein, massacrati come tanti fuscelli che cadevano uno ad uno! E tu dici che lui…”.
“Se Armin non avesse scelto per se stesso la morte, il colossale avrebbe raso al suolo tutto, non resterebbe nessuno di noi, come fate ad essere così ciechi?!”.
“Ma non è morto, perché qualcuno ha preferito lui a chi avrebbe davvero potuto salvare l’umanità intera!”.
“Sei solo un pazzo esaltato che non guarda al di là del proprio naso, Floch!”.
“I ciechi siete voi, che vi fate abbindolare da… da un essere inutile che doveva rimanere carne bruciata!”.
L’ultima cosa che Armin udì fu il ruggito di Jean, prima che il suo pugno partisse in direzione di Floch e, non seppe neanche lui come, le sue gambe si mossero così velocemente che l’istante successivo aveva afferrato il polso del compagno, prima che il colpo giungesse a segno.
Il pugno di Jean era serrato, a pochi millimetri dal naso di Floch, Armin si era aggrappato al suo braccio con una forza tale che solo quando era davvero disperato riusciva a tirare fuori.
“Basta!” gridò nel medesimo istante, ottenendo, con il gesto e con la voce, di immobilizzare il tempo in un attimo eterno.
Quando percepì il diminuire della tensione in Jean, allentò la presa e lasciò che il compagno facesse ricadere il braccio.
La tensione tra i due contendenti rimase comunque forte, fatta di uno sguardo con il quale sembravano volersi trafiggere a vicenda. Intorno a loro, sguardi muti, un po’ curiosi, un po’ beffardi, alcuni inquieti.
Poi fu Jean ad afferrare il polso di Armin per trascinarlo verso l’uscita:
“Vieni con me!”.
“Je… Jean…”.
Troppo sconvolto per chiedere ulteriori spiegazioni, Armin lo lasciò fare, si abbandonò a lui e si sforzò di ignorare tutti coloro che li seguivano con gli occhi: in fin dei conti non desiderava altro se non andare il più lontano possibile da quel luogo.
Si fermarono solo quando furono fuori, parecchi passi più in là rispetto al dormitorio.
Allora Jean gli lasciò la mano.
“Quel gran bastardo!” sbottò.
“Jean… ti prego…”.
“E ce l’ho anche con te!” lo interruppe, brusco, il compagno, facendolo sussultare. “Dovresti smetterla!”.
“Di… di fare cosa?”.
“Di lasciarli fare! Di essere così passivo!”.
Armin si morse il labbro, abbassò lo sguardo:
“E… cosa dovrei…”.
“Innanzitutto, smetterla di farti trovare da solo con loro, ormai lo sai che vogliono darti il tormento e tu glielo permetti! Sembra che tu lo faccia apposta a trovare tutte le occasioni per procurare del male a te stesso!”.
“Ma… cosa dici? Dovrei venire a cercare te o gli altri, ogni volta che mi muovo o che rischio di incontrarli? Giusto per dare il tocco di grazia alla mia dignità?”.
C’era rabbia, frustrazione nella sua replica, sentì la propria voce incrinarsi, ma non voleva piangere, quell’ulteriore crollo non lo avrebbe sopportato quella sera.
Jean sbuffò, guardò verso l’alto, sembrava che una tale reazione lo avesse punto sul vivo. Si grattò la nuca, era chiaramente in preda all’imbarazzo.
“È che mi dispiace” mugugnò. “Non te lo meriti…”.
“E chi lo dice?”.
“Lo dico io!” si scaldò di nuovo Jean. “E non sono l’unico, credimi!”.
Armin rintanò la testa tra le spalle, abbassò gli occhi…
Quella maledetta voglia di piangere!
Jean gli posò le mani sulle spalle, lo scosse un po’.
“Credimi!” ribadì, calcando con forza su quella parola.
Armin sospirò, rabbrividì e si sforzò di guardarlo, con gratitudine mista a tristezza.
“Jean, senti… promettimi una cosa”.
“Cosa?” ribatté l’altro, le sopracciglia aggrondate.
“Non dire niente ad Eren di quel che è successo… io non vorrei che…”.
Sollevando gli occhi al cielo, Jean emise un lamento di impazienza:
“Ma cosa vuoi che mi freghi di parlare con Eren?”.
Poi riportò lo sguardo su di lui e, le mani ancora sulle spalle del compagno, gli sussurrò nell’orecchio:
“Basto io per tenerti al sicuro”.
 
 
 
 
 
 
   
 
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