Anime & Manga > Saint Seiya
Ricorda la storia  |      
Autore: PerseoeAndromeda    23/01/2023    2 recensioni
Villa Kido non può essere che essere paragonata ad un inferno per i piccoli ospiti qui rinchiusi.
Ma all'interno di queste mura circondate da filo spinato, Hyoga ha trovato il suo angelo, un bimbo che meno di tutti merita di stare lì, ma senza di lui Hyoga sarebbe ancora più perso.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: Andromeda Shun, Cygnus Hyoga
Note: Kidfic | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Fanfic scritta per il writober indetto da Fanwriter.it.
Lista: Pumpnight
Prompt: 24. Corda
Titolo: Un angelo all’inferno
Fandom: Saint Seiya
Personaggi: Hyoga e Shun. Troppo piccoli qui per essere una ship, ma chi vuole pensarlo… tanto per me in futuro lo saranno 😊
Rating: giallo
Genere: angst, hurt/comfort, child-fic, pre-canon, sentimentale
Warning: accenni ad abusi fisici e psicologici su bambini, presenti nel canon, ma niente di descrittivo

 
 
UN ANGELO ALL’INFERNO


 
Era stata una brutta giornata per i bambini ospiti di Villa Kido.
Non che di solito le loro giornate brillassero di gioia, ma non erano sempre così infernali.
Hyoga approfittò del primo momento in cui i custodi li lasciarono in pace per allontanarsi da tutti: isolarsi dal mondo era l’unico modo, a volte, per sopportare ciò che gli era accaduto da quando la mamma era scomparsa tra i flutti.
Aveva giurato di non piangere per i maltrattamenti, era orgoglioso il piccolo bambino della Russia e di solito riusciva a mantenere intatti i propri propositi.
Non era uno di quei giorni.
Non ce la faceva.
Troppe umiliazioni, troppi insulti…
Anche botte, ma quelle, ormai, ferivano meno delle parole.
Se doveva piangere, almeno, nessuno avrebbe dovuto vederlo.
Uno dei pochi aspetti positivi di quel luogo era la sua immensità: una villa enorme immersa in un parco ancora più sconfinato, con alberi altissimi che la nascondevano alla vista.
Chi guardava, con occhi esterni, al di là del muro di cinta, senza sapere che essi circondavano la dimora dei Kido, avrebbe pensato che si trattasse di una foresta posseduta da una persona molto ricca, che non permetteva a nessun altro di godere delle sue bellezze incontaminate.
Nessuno avrebbe immaginato che, oltre quelle mura, in realtà, si celasse l’inferno per cento piccoli ospiti cancellati dal mondo.
Era abbastanza semplice, quindi, trovare angoli appartati, nei rari momenti in cui i ragazzini venivano lasciati tranquilli.
Hyoga camminò a lungo tra alberi d’alto fusto, sempreverdi e una vegetazione che accoglieva tutte le varietà di piante orientali e non solo, a tratti si strofinava gli occhi con un braccio, nel vano tentativo di arginare le ondate di lacrime che lo coglievano, senza sosta.
Non si fermava, perché aveva la sensazione che quel camminare instancabile lo avrebbe aiutato a mantenere un minimo di controllo in più.
Aveva perso la cognizione del tempo, quando qualcosa raggiunse le sue orecchie, distogliendolo da se stesso.
“Uno… due… tre…”.
Una vocina sottile impegnata a contare, per chissà quale motivo.
Hyoga si fermò, interdetto, perché riconobbe quella voce, ormai per lui era inconfondibile.
“Shun?” mormorò, prima di seguirne la direzione.
“Undici… dodici… tredici…”.
Spiò al di là di un cespuglio e rimase lì, a contemplare il piccolo amico impegnato nel salto della corda.
Fu come rapito dalla fluidità dei movimenti, dalla perfezione di ogni piccolo balzo, dalla corda che tracciava una perfetta parabola: dava l’idea che, durante quelle evoluzioni sicure, il bambino non toccasse neanche terra.
Era come privo di consistenza, una creatura fatta d’aria.
Gli occhi di Hyoga adesso non versavano più lacrime, si erano fatti grandi, ammirati: non riconosceva, in quell’agile folletto, il bambino che sembrava incapace di ogni attività fisica quando si trattava di gareggiare con gli altri, di seguire le indicazioni degli adulti…
Di mettersi in competizione.
Il conteggio arrivò a trenta e non aveva ancora sbagliato: lo stesso Hyoga, che si riteneva molto forte in tutte le discipline cui li costringevano, difficilmente raggiungeva quel numero consecutivo di salti con la corda.
Gli venne spontaneo, a quel punto, uscire allo scoperto e applaudire con foga. Tanto bastò per interrompere la serie positiva, Shun incespicò e barcollò sulle gambe magrissime, mantenendosi in piedi a stento, con un urletto di disappunto.
“Scusa” borbottò Hyoga, sinceramente contrito.
Shun gli rivolse uno sguardo imbronciato, poi raccolse la corda con uno sbuffo e si strinse nelle spalle:
“Fa niente. Mi stavo allenando perché l’ultima volta ho fatto una figuraccia”.
“È difficile da credere, sei bravissimo. Se non ti avessi distratto, saresti potuto andare avanti all’infinito”.
“Non è vero, cominciavo a essere stanco. E distrarsi non è una buona ragione, dobbiamo essere capaci di continuare anche se ci distraggono”.
Fu Hyoga, questa volta, a mettere il broncio:
“Non parlare come quei rompiscatole dei grandi”.
“Io parlo come Ikki-Niichan, non come i grandi!”. Poi alzò gli occhi al cielo, in un cenno di riflessione. “Beh, in effetti anche lui è grande”.
“No che non lo è, altrimenti lo sarei anche io”.
“Tu sei più piccolo”.
“Di poco”.
“Ma lo sembri”.
A Hyoga sfuggì un grugnito di impazienza: gli piaceva Ikki ma, al tempo stesso, non sopportava quando Shun ne tesseva le lodi sminuendo lui.
Anche se, a livello razionale, si rendeva conto che fosse alquanto logico.
Shun lo osservò più attentamente, con quella sua espressione curiosa e gli occhi enormi aperti su un mondo dal quale, nonostante tutto, si intestardiva a non sentirsi rifiutato.
Intrecciò le mani dietro la schiena e, la corda che strisciava a terra come un serpente tra l’erba, si avvicinò circospetto al piccolo russo. Gli si fermò davanti, le punte dei piedi leggermente sollevate e i loro nasi che si sfioravano.
Hyoga arricciò il suo e sbatté le palpebre: solo Shun poteva avvicinarsi così a lui senza suscitare una reazione spropositata, non lo avrebbe concesso a nessun altro.
Certo, lo incuriosiva, lo lasciava perplesso.
“Che fai?”.
“Hyokkun… hai pianto?”.
Il più grande sobbalzò, venne colto del tutto alla sprovvista: aveva a che fare con un piccolo demonio…
O un angioletto che si preoccupava sempre troppo?
“Io… no…”.
“Non dire bugie, tanto io lo capisco quando le dici. E capisco quando hai pianto!”.
Shun era un bambino timido, spesso spaventato…
Ma, se si legava a qualcuno, dava tutto se stesso, Hyoga lo aveva capito…
Il cuoricino di Shun era aperto e socievole: la timidezza e la paura gli erano stati inculcati dalle crudeltà precoci della loro misera vita.
Aveva tante doti il piccolo Shun e, tra le tante, c’era di sicuro quella di suscitare la fiducia negli altri: si era portati, con naturalezza, a fidarsi di lui.
“O forse sono io” si chiedeva Hyoga ogni volta “che subisco da lui una sorta di incantesimo?”.
Anche se così fosse stato non gli importava: non lo avrebbe accettato da nessun altro, ma da Shun avrebbe tollerato qualunque cosa.
Fratellino…
Solo lui lo sapeva…
Lo sentiva…
La sola rivelazione positiva di quei giorni in cui era precipitato nell’incubo.
Sospirò, deglutì, distolse i suoi occhi azzurri da quelli verdi, grandissimi, del piccolo: fiducia sì… apertura nei suoi confronti sì…
Ma fissare negli occhi qualcuno con cui si stava confidando, fosse anche Shun, quello no: sarebbe stato pretendere troppo da lui.
“È vero che ho pianto”.
La voce uscì sottile e un po’ incerta, non era facile ammetterlo, anche se si trattava di Shun, appunto.
Il bambino annuì, comprensivo.
Hyoga si aspettava un ulteriore interrogatorio che, tuttavia, non giunse.
Nessuna parola da parte di Shun, solo un gesto: la manina minuscola che si infilava nella sua, le punte dei piedi che si sollevavano e un bacio dolce, che si posava sulla guancia dell’amico, suscitando un sussulto e un’esplosione di rossore.
Solo a quel punto Shun parlò, senza lasciar andare la sua mano:
“Mi dispiace. Vuoi stare un po’ qui con me? O preferisci che ti lasci solo? Non voglio disturbarti”.
Hyoga fu così colpito, così commosso che, a stento, trattenne nuove lacrime.
L’istinto, l’affetto che traboccò dal suo cuore ferito lo spinsero a ricambiare con forza la stretta della mano di Shun e non poté fare a meno di sorridergli:
“Preferisco stare con te”.
Lo disse con tono tremolante, ma la tristezza, un pochino, lasciò il suo animo, almeno per quel giorno.
 
 
 
 
 
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: PerseoeAndromeda