Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PerseoeAndromeda    24/01/2023    1 recensioni
Il sogno azzurro di Armin si è trasformato in un oceano di sangue e adesso il giovane comandante non riesce più a guardarlo con i medesimi occhi.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Armin Arlart, Jean Kirshtein
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Fanfic scritta per il writober indetto da Fanwriter.it.
Lista: Pumpnight
Prompt: 25. Sangue
Titolo: “È tutto rosso”
Fandom: Attack on titan
Personaggi: Armin Arlert, Jean Kirchstein
Rating: Arancione
Genere: Angst, introspettivo, post canon, drammatico, hurt/comfort
Warning: Spoiler ultima stagione e ultima parte del manga. Presenza di elementi grafici e sangue, malattie misteriose e forse degenerative e, insomma… mai una gioia.

 
“È TUTTO ROSSO”


 
“Io… un tempo credevo che il mare fosse azzurro, limpido… un’immensa distesa d’acqua salata e pulita… e invece…”.
Jean lo guarda, anche se è consapevole di quanto Armin sia distante in questo momento, perso in se stesso, nel personale inferno della propria anima sconfitta.
“Invece?” sente se stesso chiedere.
Non è certo di volere quella risposta, anche perché, in qualche modo, la immagina.
“È rosso… è tutto rosso…”.
La fronte di Jean si adombra.
Il mare non è rosso, è azzurro, prende i colori di quel cielo ora sereno.
Il solo rosso che accoglie è quello del tramonto ormai prossimo.
Eppure, sa che Armin ha ragione: per loro, ormai, quel mare è solo il simbolo del sangue che caratterizza da sempre la loro esistenza, trasuda sangue, si è riempito del sangue dell’umanità, di tutta la vita della terra estirpata dal genocida…
Dal loro amico…
“Guarda cosa hai fatto, Eren” vorrebbe gridare Jean, ogni volta che vede Armin in quello stato. “Guarda cosa hai fatto al nostro Armin! lo volevi vivo e felice. Lo hai ucciso dentro, lo sai? Lo sai questo? Ci volevi liberi, vivi il più a lungo possibile e invece… guarda cosa ci hai fatto!”.
Osserva le mani di Armin che si sollevano e vanno a coprire gli occhi, in uno di quei gesti che Jean gli vede fare sempre più spesso, di solito quando crede di non essere visto o si isola a tal punto da ciò che lo circonda da dimenticarsi di ognuno di loro.
Jean sospira, gli sfiora una spalla.
Vuole ricordargli che lui è lì, non perché contenga la propria disperazione, ma perché si affidi a lui, che di sicuro non è più forte moralmente, ma almeno, con la sua presenza, può supportarlo: non è così fisicamente fragile, così indifeso.
Armin lo è, il suo corpo non risponde alla forza interiore, lo sta tradendo, si sta consumando in quel misterioso male che il colossale gli ha lasciato in eredità.
Lui che così fragile è sempre stato, in questa nuova vita senza giganti tale fragilità l’ha ritrovata tutta, con gli interessi.
La disperazione che ha dentro non lo aiuta.
Solo la forza morale gli permette di andare avanti, una coscienza incrollabile, una dedizione alla causa che non conosce confini.
Le mani di Armin si abbassano e Jean ne scorge i palmi: per un istante pensa sia suggestione, perché il sangue domina i loro pensieri e discorsi, ma poi capisce.
Non è la prima volta che accade.
Quel sangue è reale e Jean sa da dove proviene.
In un balzo si porta davanti ad Armin, gli afferra i polsi e gli punta addosso la sua espressione sconvolta.
Quello che temeva si rivela una verità troppo spaventosa anche solo da concepire: gli occhi di Armin sanguinano.
Li tiene socchiusi, con ogni evidenza doloranti, ma non si lamenta.
Non si lamenta quasi mai il piccolo Armin.
Armin sempre più fragile, sempre più malato, sempre più disposto, troppo disposto ad accettare qualunque cosa gli accada.
“Non è giusto” si trova a mormorare Jean, portando le proprie mani sulle tempie del giovane comandante. “Non è giusto, maledizione!”.
Scende con le dita agli angoli degli occhi, poi lungo le guance, per cacciare quelle righe scarlatte che deturpano un viso tanto bello e tanto insano.
“È inutile” si fa finalmente udire la voce di Armin. Ma fin troppo calma, quasi fredda, distante. “Lascia stare, Jean… non se ne andrà mai”.
“Smettila!”.
Un po’ è rabbia che lo fa gridare, un po’ supplica, soprattutto tanta disperazione.
Subito dopo lo afferra, lo trascina verso di sé e lo stringe, mentre il comandante bambino rimane inerme, sconfitto e vuoto, privo di ogni reazione.
“Smettila, Armin” singhiozza ora Jean, piano, contro la sua spalla. “Smettila… non te ne andare… rimani con me”.
 
 
   
 
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