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Autore: Fiore di Giada    24/01/2023    1 recensioni
[Partecipante alla challenge "Angst Time" con il prompt 3, ossia "Angoscia"]
Legata alla fic "Guardare oltre". Karl ed Hermann sono in ospedale, perché sono venuti a conoscenza dell'incidente di Genzo.
Una panoramica sulle loro sensazioni.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Con un sospiro, Karl si sedette accanto al letto di Genzo.
Il suo sguardo, attento, si posò sul corpo inerte del compagno, studiò il suo volto, d'un pallore spettrale, si posò sul petto, sollevato da deboli respiri.
Allungò la mano verso il viso del compagno, poi la ritrasse. No, il medico gli aveva detto che non poteva sopportare alcuno stimolo.
Le sue condizioni di salute erano assai precarie e aveva bisogno di riposo.
Scosse la testa e fissò l'elettrocardiografo. Per fortuna, il tracciato disegnava una linea ondulata.
Il cuore di Genzo continuava a palpitare nel suo petto.
Ma per quanto ancora potrà continuare?, si chiese. L'impatto con quella moto era stato violento.
Come un'onda, l'energia dello scontro aveva investito Genzo, provocandogli danni a livello toracico e una frattura esposta al braccio destro, a cui era seguita una imponente emorragia.
Un simile quadro clinico, ne era certo, poteva condurre ad un esito nefasto.
E lui non meritava una simile fine.
Sentì le lacrime bagnare i suoi occhi e, con un gesto deciso della mano, le allontanò. Non avrebbe ottenuto nulla così.
Genzo aveva bisogno d'un aiuto concreto, per quanto fosse possibile.
Inspirò, rilasciò un debole sospiro e fissò il volto pallido dell'amico.
Vedi di riprenderti. Abbiamo ancora tante partite da giocare. Non puoi lasciare niente in sospeso. – mormorò, la voce apparentemente calma. Quel viso pallido, prigioniero d'un sonno artificiale, colpiva i suoi sensi con la crudeltà d'un potente pugno.
La sua mente, dilaniata da tale, dolorosa visione, a stento, manteneva il contatto con la realtà.
Gli pareva di parlare ad un corpo morto, pronto per la sepoltura.
Ma Genzo non era morto!
E lui non doveva condannarlo.
Lanciò all'amico un debole sguardo, lucido d'emozione, si alzò, la mano destra sollevata in un silenzioso cenno di saluto, e uscì.

Percorse alcuni metri, poi si lasciò cadere su una panchina, la testa tra le mani.
Hermann, che era seduto a poca distanza, si alzò e gli si sedette accanto.
Per alcuni istanti, tacque e strinse i pugni con forza, fin quasi a farli sanguinare. Le domande volevano uscire dalla sua bocca, ma non poteva costringere Karl a parlare.
Il suo compagno di squadra non era facile alle emozioni e un simile, sconfortato atteggiamento era insolito da parte sua.
E non gli piaceva affatto.
Potrebbe morire, Hermann... – ruppe ad un tratto il silenzio il centravanti, la voce forzatamente calma. Per fortuna, il suo compagno di squadra aveva frenato le sue pur comprensibili domande sulle condizioni di Genzo.
Con una rara delicatezza, aveva atteso le sue spiegazioni e questo gli aveva dato la possibilità di recuperare la razionalità.
Come... Come può essere? Spiegami. – chiese Hermann, angosciato. Presto, avrebbe compreso le ragioni della pena di Karl.
E, malgrado la lunga attesa, non era sicuro di volere simili spiegazioni.
Scosse la testa, irritato con se stesso. No, non aveva senso una tale, vile fuga dalla verità.
Anche se non le avesse conosciuto le condizioni di Genzo, non sarebbero mutate.
La verità, per quanto dolorosa, era preferibile ad una bugia insensata.
Genzo aveva bisogno di aiuto e non si poteva prescindere dalla realtà.
Usciamo. Ti dirò tutto. Ma non qui, o soffoco. – confessò.
Silenziosi, cupi, i due giovani si allontanarono dal reparto e uscirono dall'ospedale.

Percorsero diversi metri e si sedettero su una panchina, sotto un albero di quercia.
Per alcuni istanti, Karl rimase immobile, lo sguardo fisso davanti a sé.
Se vuoi, vado a prendere un caffé. Sei sconvolto. – propose Hermann.
A quelle parole, il centravanti si scosse dai suoi pensieri e si girò verso il compagno di squadra, rivolgendogli un debole sorriso.
Ti ringrazio, ma non preoccuparti. – lo rassicurò.
Poi, il suo sguardo si incupì e rilasciò un debole respiro.
E' vivo... Respira, il suo cuore batte, ma è stato sedato. Un qualsiasi stimolo può agitarlo e danneggiarlo. Ma l'impatto gli ha provocato danni importanti, con una forte emorragia. E questo lo ha reso vulnerabile alle infezioni. Credimi, è terribile vederlo immobile, pallido come un morto. – affermò.
Hermann annuì. Karl, seppur a fatica, gli aveva rivelato ogni cosa.
Comprendeva bene perché avesse scelto lui di sincerarsi delle condizioni del loro compagno.
Se lo avesse visto, avrebbe rischiato di avere una reazione inconsulta.
Come un morto. Hai detto bene, Karl. Ma non è morto. Non possiamo fasciarci la testa prima di essersela rotta. – scandì. Forse, in quella prova difficoltosa, lui e Karl potevano aiutarsi a vicenda.
Una speranza, per quanto cauta, era necessaria.
Karl sospirò, ma non allontanò lo sguardo ceruleo da quello dell'amico. Sì, le parole di Hermann avevano un senso.
Eppure, quel senso di oppressione non svaniva.
Lo spero, Hermann. –














   
 
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