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Autore: darkwolf24    30/01/2023    0 recensioni
Yui Hayami è una ragazzina di 17 anni affetta dalla Afefobia, ossia la paura di essere toccati. Dopo aver perso la madre durante il parto, Yui passò tutta la sua vita col padre tra i continui abusi, questo fino a quando, una fatidica notte, l'intervento delle forze dell'ordine la salva da una fine peggiore della morte stessa.
Un anno dopo però, viste le sue capacità intellettuali, viene costretta ad iscriversi come studentessa nell'istituto speciale Blackwater, istituto famoso per l'elite di studenti da cui è formato nonché per la sua specialità nel trattare casi "particolari".
In quel luogo la la protagonista si ritroverà costretta ad affrontare le sue paure grazie anche all'aiuto di una sua nuova amica Serena e del suo Senpai Yuma. Quando tutto sembrerà andare per il meglio però, ecco che qualcuno cercherà di portarle via anche quell'unico briciolo di felicità che si era creata e starà a lei alzare la testa e lottare per ciò a cui tiene.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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La mia mente continuava a vagare mentre cercavo di stare dietro all'enorme uomo nascosto fino al busto dalla scrivania d'ebano. Un uomo davvero spaventoso, alto all'incirca due metri e con una testa completamente lucida che andava ad esaltare il suo sguardo rabbioso ed egocentrico, l'unica caratteristica che gli faceva perdere tutta la sua serietà era l'enorme mono sopracciglio. <> Terminò il preside Hisato consegnandomi poi le chiavi della mia stanza. Educatamente lo ringraziai uscendo con immensa felicità dall'immenso studio colmo del suo egocentrismo e finendo in uno dei mille corridoi che componevano quell'immenso campus. "C-4.4, la mia solita fortuna" pensai sarcasticamente mentre osservavo il medaglione che indicava il numero della mia stanza e la struttura nella quale era ubicata. Senza altra scelta iniziai a tirare l'enorme valigia per i vari corridoi fino alla sezione c dove finalmente trovai la mia stanza situata al quarto piano è posizionata esattamente in quarta posizione, sicuramente tutti quei riferimenti al quattro e alla morte non erano una casualità.

Nota autore:[Yui è di origine giapponese e in Giappone il numero quattro si pronuncia "Shi", questa però è anche la pronuncia della parola "morte" e per questo il numero quattro è visto come portatore di sfortuna]

Appena entrata mi chiusi la porta alle spalle e mi gettai sull'enorme e soffice materasso e lasciandomi cullare dal dolce rumore dell'acqua che batteva incessantemente sui vetri della finestra. Tutto quello che volevo era chiudermi a riccio e rimanere lì al sicuro, lontana dai pericoli del mondo esterno, tuttavia sapevo benissimo che questo non mi era possibile e che avevo ancora una valigia da svuotare benché quest'ultima non fosse già per metà vuota, così decisi di farmi forza e iniziai a disfare la mia valigia. Una valigia grande poi solo all'apparenza in quanto al suo interno erano presenti solo dei pochi e semplici indumenti, i pochi effetti personali che comprendevano una foto di mia madre e due pupazzi e poi le varie lettere dei medici unite ad alcuni farmaci e alcune lettere del ministero. Velocemente afferrai le lettere e con decisione le gettai nel comodino accanto al mio letto, sbattendo infine il cassetto più forte che potevo nella speranza di non rivederle mai più e di dimenticare così tutto quello che mi era successo negli scorsi anni. L'unica persona che veramente mi mancava era mia madre, lei c'era sempre stata per me fin da quando ero piccola e il suo ricordo riusciva a donarmi una sensazione dolce e amara e pensare che lei in qualche modo era ancora lì con me mi aiutava spesso ad arrivare a fine giornata.

Improvvisamente saltai sul posto quando sentii qualcuno bussare alla porta della camera e velocemente finii di mettere a posto le ultime cose prima di aprire delicatamente la porta d'ingresso. Appena la porta fu spalancata un ragazzo dall'aspetto apparentemente fragile con dei capelli corti e leggermente spettinati di colore nero quasi tendenti al corvino, i quali mettevano in risalto i suoi occhi del medesimo colore. la sua altezza era all'incirca un metro e settantacinque, non molto più alto di me ma sicuramente abbastanza alto da dover abbassare leggermente lo sguardo per incrociare il mio.

Il ragazzo mi scrutò dalla testa ai piedi prima di incrociare brevemente il mio sguardo. <> Feci un cenno con la testa in risposta cercando in tutti i modi di evitare il contatto visivo. <> Mi porse la mano ma io tutto quello che feci era allontanarmi ulteriormente da lui mentre tenevo lo sguardo basso e continuavo a giocherellare con i miei lunghi capelli neri. Dopo quelle che per me sembrarono ore il ragazzo finalmente ritirò la mano porgendomi invece una serie di fogli stampati. <> Timidamente afferrai con delicatezza i fogli stando ben attenta a non toccargli la mano. La tensione era palpabile nell'aria e potevo sentire il suo sguardo su di me mentre aspettava una mia qualche reazione che non sarebbe mai arrivata. <> Finalmente potei chiudere la porta tirando un sospiro di sollievo sapendo che finalmente ero fuori pericolo. Mi sentii veramente in colpa per il modo in cui lo avevo trattato, dopotutto si era solo preoccupato di farmi inserire nel mondo corretto, eppure nonostante volessi ringraziarlo per la sua gentilezza non ero riuscita neanche a proferire parola. 

Alla fine decisi semplicemente di sopprimere il mio senso di colpa e di buttarmi nuovamente sul letto afferrando il piccolo coniglietto e alzandolo in alto. <> Mossi un dito sulla testa del pupazzo facendogli muovere la testa in un cenno di approvazione per poi stringerlo forte al mio petto. <> Chiusi gli occhi mentre una piccola lacrima iniziò a scendermi lungo la mia guancia brillando sotto la luce del tramonto e mettendo così in risalto la mia pelle pallida. Quella notte il mio sonno fu tutt'altro che tranquillo, non importava se fosse passato un anno, né importava quanta terapia avessi fatto, ogni volta che andavo a dormire facevo sempre lo stesso incubo ed ogni volta mi ritrovavo sempre nella mia vecchia casa a piangere, sola nella mia stanza tremando non solo per il freddo. Ormai per me era la normalità svegliarmi nel cuore della notte in preda agli attacchi d'ansia con il cuore che minacciava di bucarmi il petto ad ogni battito. Velocemente afferrai la mia fedele bottiglietta d'acqua e buttai giù alcune delle pasticche che mi erano state prescritte. Odiavo quelle cose, non facevano altro che ricordarmi della mia debolezza e della mia inutilità, di quanto fossi insicura e ancora attaccata al passato ed a mio padre. <> Mi chiesi mentre vedevo il mondo intorno a me sfocarsi per via delle medicine che poco prima avevo preso. Poi, lentamente ma inesorabilmente ritornai nel mio piccolo mondo degli incubi, pronta ad affrontare un'altra sessione della mia tortura personale.

Il giorno dopo la mia sveglia suonò alle sette in punto costringendomi ad un risveglio tutt'altro che piacevole ed a nulla servirono i miei lamenti se non a sfogare la mia frustrazione per la mancanza di sonno. Controvoglia mi costrinsi ad uscire nel corridoio assicurandomi che le altre ragazze del dormitorio femminile non fossero in giro e, silenziosamente mi diressi verso uno dei due bagni in comune per lavarmi. Anche se odiavo svegliarmi così presto questo era l'unico modo per evitare di incontrare le altre ragazze. Quando fui pronta tornai nella mia stanza iniziando a riordinare il letto e aprendo le finestre facendo così prendere un po' d'aria alla stanza. Intorno alle sette il dormitorio iniziò ad animarsi mentre le varie ragazze iniziavano a svegliarsi e a fare a gara per chi entrava prima nel bagno. In quel momento fui ancora più grata di aver deciso di svegliarmi così presto e di evitare tutto quel trambusto, anche solo l'idea di sfiorare qualcuno per sbaglio mi faceva venire un brivido su tutto il corpo. Mentre il tempo passava il mio sguardo ricadde sui fogli che il ragazzo mi aveva portato il giorno prima e così iniziai a sfogliarli. C'era segnato davvero tutto, dalle cose più basilari come l'orario scolastico alle cose più particolari come dei consigli sul come spostarsi rapidamente tra gli edifici scolastici. C'erano persino delle indicazioni su quale piatto mi conveniva ordinare nella mensa e quali mi conveniva evitare se non volevo "trasformarmi in uno zombie". Ridacchiai alla sua stupida battuta soffermando poi il mio sguardo sul suo numero di telefono. "Se solo avessi un telefono potrei mandagli un messaggio" pensai, di sicuro non avevo abbastanza coraggio per andare nella sua stanza a dirglielo di persona, già avevo problemi ad esprimermi normalmente, poi se aggiungevo anche l'imbarazzo per il giorno prima la questione diventava semplicemente insostenibile. Alla fine passai tutto il tempo a rimuginare sul da farsi ed intanto il suono della prima campanella risuonò nell'edificio tagliandomi fuori dai miei pensieri e costringendomi a correre fuori dalla stanza ma non prima di afferrare i fogli che Yuma mi aveva dato. Grazie alle sue indicazioni riuscii a raggiungere la prima lezione ad una velocità sorprendente riuscendo a sedermi nel banco più isolato di tutti prima che il professore potesse raggiungere l'aula.

Quando il professore mise piede nella stanza quest'ultima sprofondò nel silenzio più assoluto. Certo, l'uomo incuteva timore con la sua stazza, alto, muscoloso e anche lui completamente calvo come il preside il che lo faceva sembrare una specie di carcerato o qualcosa di simile, tuttavia a tradirlo erano proprio i suoi occhi castano chiaro, dolci e sinceri. Appena entrato, l'uomo, che era più o meno sulla cinquantina, poggiò sulla cattedra un enorme borsone prima di rivolgersi alla classe schiarendosi la gola in modo da essere il più chiaro possibile.  <> La classe rise con il ragazzo che era stato chiamato dal professore che prendeva la parola, un ragazzo castano, con capelli corti ed occhi leggermente violacei, veramente di bell'aspetto. <<è il mio regalo di natale per lei prof!>> Affermò lui con solennità facendo ridere gran parte della classe. <> La classe rise nuovamente mentre il professore mi lanciò uno sguardo interrogativo. Capii subito cosa intendeva chiedermi e lo apprezzai davvero facendo un timido cenno di negazione con la testa. <> In quell'esatto momento Christian interruppe il professore che, con un colpo di tosse lo zittì seduta stante per poi continuare a parlare <> Concluse iniziando poi la lezione. Era il primo insegnante che incontravo che si preoccupava di non mettere in imbarazzo i nuovi studenti facendogli fare la presentazione iniziale. Forse quel posto non era poi così male. 

A lezione finita gli studenti si lanciarono praticamente fuori dalla classe fuggendo tra i vari corridoi quasi calpestandosi a vicenda. Scuotendo la testa afferrai le mie cose dal banco e mi incamminai verso l'uscita solo per essere bloccata dalla voce profonda del professore. Lentamente mi girai avvicinandomi all'uomo ma continuando a tenere una certa distanza tra di noi. <> Il professore mi sorrise dolcemente sedendosi sulla cattedra e facendomi segno di accomodarmi sulla sedia dell'insegnate. <> Gli sorrisi in risposta, ma prima che potessi anche solo ringraziarlo una ragazza slanciata con i capelli biondi e gli occhi azzurri fece il suo ingresso nella classe ansimando come se avesse appena corso una maratona. Il signor Takahashi saltò giù dalla cattedra incrociando le braccia. <> La ragazza fece qualche altro respiro prima di rispondere con voce rauca. <> <> La ragazza rise imbarazzata riuscendo finalmente a controllare il proprio respiro. <> In risposta afferrai la mappa del campus che Yuma mi aveva dato e gliela porsi. <> Immediatamente gli occhi dell'altra ragazza si illuminarono alla vista di quella piantina. <> Il professore ridacchiò porgendomi nuovamente i fogli. <> Senza nessuna opzione disponibile mi ritrovai ad accompagnare quella ragazza fino all'enorme mensa dell'istituto.

Durante il tragitto non potei fare a meno di notare come la ragazza continuasse a canticchiare allegramente saltellando da un piede all'altro come se non avesse appena subito un richiamo dal professore. In un certo senso l'aura di positività che emanava era quasi contagiosa, forse anche troppo per i miei gusti ma era comunque piacevole. <> Mi lanciò un occhiolino costringendomi ad abbassare il mio viso per l'imbarazzo. <> Portai nuovamente il mio sguardo su di lei mentre gonfiava il petto e si metteva in posa come una pop star sul palcoscenico.  <> Lei mi rivolse un sorriso a trentadue denti alzando le mani al cielo e iniziando a gesticolare. <> Ridacchiai alla sua energia apparentemente infinita mentre lei incrociò le braccia sbuffando. <> Alla fine scoppiai a ridere per quanto la sua faccia sembrasse seria nel mentre pronunciava quelle parole. <> Scherzò lei grattandosi la nuca imbarazzata. <> Continuò. Io scossi la testa sorridendole dolcemente attraverso le ciocche di capelli che mi nascondevano una parte del viso. <> Il tono della mia voce calò man mano che la frase giungeva al termine ma era vero, non so cosa avrei dato per avere anche solo un briciolo del suo carattere. <>
Mi sorrise porgendomi la mano ma io in tutta risposta mi allontanai leggermente abbassando lo sguardo per la vergogna. <> Lei ritirò la mano offrendomi uno sguardo comprensivo. <> Feci un piccolo cenno di apprezzamento per poi guardare nuovamente la piantina così da sapere la strada che avremmo dovuto percorrere.

   
 
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