TUTTO
IN UNA NOTTE
Parleremo di ciò che ci
aspetta un’altra volta, Sherly.
Ok.
Erano state queste le
parole che William e Sherlock, al termine della cena che aveva sancito il ritorno
a casa di tutti i coinvolti e la scoperta di una nuova alleanza, si erano
scambiati. Una promessa di un nuovo inizio, ora che la notizia di quello che i
giornali avevano titolato “Il miracoloso ritorno di Sherlock Holmes” si
era diffusa nell’arco di nemmeno quarantott’ore.
Sherlock, allora, aveva
fatto ritorno al 221B di Baker Street, a sera inoltrata, al termine di giornate
tanto ricche di eventi da non avergli ancora permesso di metabolizzare, del
tutto, le implicazioni del suo ritorno.
Aveva messo piede nel suo
appartamento in silenzio, dopo aver augurato la buona notte a una gongolante
Miss Hudson. La sua espressione era inconfondibilmente quella di chi sarebbe
stata volentieri in piedi per ascoltare qualcosa in più ma, per la prima volta
in vita sua, Sherlock Holmes desiderava soltanto godersi qualche momento di
tranquillità. E di tranquillità ne trovò, dato che lo stesso John non si era fermato
lì. Gli venne fuori uno sbuffo sghembo: dopotutto, erano almeno tre anni che
John si era sposato e dunque, era del tutto naturale che trascorresse la notte
con sua moglie. In fondo, lui stesso gli aveva raccontato di utilizzare il loro
vecchio appartamento come studio di scrittura. Una piccola parte della sua mente
si chiese, non senza un pizzico di vanesia curiosità, quali sarebbero state le
prossime opere venute fuori dalla penna di quell’autore che aveva raggiunto la
celebrità. Arthur Conan Doyle oppure… ?
Lasciando andare quel
pensiero, tolse il soprabito e lo lanciò sul divanetto che gli aveva fatto da
letto per tanto tempo, poi allentò il nodo della cravatta e sbottonò il gilet,
prima di dare un’occhiata in giro. Miss Hudson, e questo l’aveva sconvolto,
aveva tenuto l’appartamento in ordine, pronto per il giorno in cui vi avesse
fatto nuovamente ritorno. Sherlock passò la mano sullo schienale del divano,
poi si avvicinò al suo violino, ciò che gli era mancato più di ogni altra cosa.
Un tempo, senza curarsi del fastidio, si sarebbe messo a suonare anche a notte
fonda. Ma in quel momento, non ne aveva voglia. Desiderava gustare fino
all’ultimo quel riappropriarsi della normalità di quel luogo che per lui non
significava semplicemente casa. Era qualcosa di più di un concetto così
scontato. Era il luogo in cui aveva scelto di vivere, lontano dalla sua
famiglia, dall’ostentato classismo di Mycroft. Era il luogo in cui poteva dare
sfogo alla sconfinata sfrenatezza della sua mente geniale. Era il luogo in cui
aveva conosciuto John, quell’uomo che era diventato il suo migliore amico e con
cui, un tempo, aveva discusso di questioni quanto più lontane da ciò che lo
rendeva “la più perfetta macchina pensante e ponderante”, come l’aveva
descritto nei suoi libri. A pensarci, proprio quelle questioni gli erano
ironicamente servite per comunicare di esser sopravvissuto, senza destare
sospetti. E quel luogo era quello che aveva praticamente fatto saltare in aria
per proteggere Irene Adler.
Prese posto allo
scrittoio, anch’esso rimasto tale e quale a come l’aveva lasciato. Nella parte
più interna di un cassetto, posto che soltanto lui conosceva, vi era la
fotografia che Irene gli aveva lasciato la notte in cui si erano congedati. Era
ancora piegata in due. Lo sguardò si posò sul re di Boemia, che lei stessa si
era finta una volta. Un sorriso gli spuntò inaspettatamente sul volto. Quella
donna che ne sapeva una più del diavolo. La donna che voleva cambiare il mondo.
Voltò la fotografia e incontrò il viso più bello che mai avesse visto. John
aveva scritto di lei che aveva il volto più bello tra quello di tutte le donne
e la mente più acuta di quella di tutti gli uomini. Come dargli torto? Anche
lei, come lui, era stata data per morta. Eppure, non smetteva mai di
sorprenderlo.
Posò la fotografia e accese
una sigaretta. Una di quelle che gli era caduta di bocca nel vederla, con
indosso un abito azzurro, incantevole come la ricordava. Soltanto due giorni prima,
si era presentato presso la Universal Export, sotto mentite spoglie,
smascherando l’inganno di James. Non gli era sfuggito il suo sguardo quando si
era rivelato nella sua vera identità. E, per quella sua insanabile voglia di
sfida, si era rimesso in pari: se Irene Adler gli aveva augurato la buona notte
come James Bond, lui le aveva augurato il nascere di un nuovo giorno, un nuovo
inizio come se stesso, tornando a casa. Ma aveva commesso ancora una volta
l’errore di sottovalutarla e così, Irene era comparsa davanti ai suoi occhi,
così come la ricordava: i biondi capelli intrecciati, lo sguardo vivace, il rouge
scarlatto sulle labbra e i gioielli delicati… e quel vestito azzurro che
esaltava la sua bellezza. Non era stato soltanto un battito a saltargli. Lui
era Sherlock Holmes e non era interessato alle donne. Ma quella donna era la
donna. Lei soltanto era in grado di stravolgergli i pensieri, più di quanto
potesse credere ragionevolmente possibile.
Mentre faceva un tiro, si
ritrovò a guardarsi la mano sinistra, che aveva inavvertitamente teso verso di
lei, mentre lei stessa era stretta al suo braccio. Giocò con le dita,
immaginando di toccare le ciocche intrecciate. Certo, indossava una parrucca,
ma tutto il resto era assolutamente concreto e reale. Il suo sguardo basso che
fissava la strada davanti a sé. Sherlock si era chiesto quali pensieri stessero
attraversando la sua mente. I soli che non era in grado di decifrare, nonostante
gli anni fossero trascorsi. Voleva conoscerli. Sapere se le era mancato. Le sue
labbra carnose, chiuse nel silenzio dopo avergli chiesto, in un sussurro
soltanto, di poter stare per un po’ accanto a lui. Si era chiesto, per la prima
volta in tutta la sua esistenza, come sarebbe stato catturare quelle labbra in
un bacio. E quel pensiero l’aveva sconvolto tanto quanto il sentire le curve di
Irene strette al suo braccio. Una macchina pensante e ponderante che aborriva
l’amore… che ne conosceva il significato su base chimica, certo, ma da lì a
sperimentare… eppure, si era teso verso di lei prima ancora che la sua
razionalità potesse prendere il sopravvento. Ma Irene si era voltata, infine,
riportando tutto a una più neutra conclusione. Il fumo della sigaretta aleggiò
davanti a lui, poi tornò a guardare la fotografia.
“Siamo vivi… alla fine,
siamo tutti vivi.”
Sorridendo, rimise al sicuro
quel dono prezioso e spense la sigaretta, prima di rialzarsi e raggiungere la
finestra più lontana. La fumosa notte di Londra, quanto gli era mancata? Portò
la mano sul cuore, poi le sollevò entrambe, sciogliendo i capelli d’ebano che
gli ricaddero, lunghi e morbidi, sulle spalle. Non era ancora certo se
tagliargli o meno. Dopotutto, gli erano serviti per celare la sua identità in
quegli anni ed ora che era ufficialmente tornato, non ne aveva più bisogno.
Guardò in lontananza il tagliacarte, ma sentì la stanchezza prendere il
sopravvento. Volse gli occhi al divanetto, poi vi si gettò senza troppi
problemi. Era scomodo, come sempre, ma familiare. Portò un braccio dietro la
testa e sollevò l’altro. Non sapeva ancora cosa aspettarsi, ma certamente,
qualcosa era cambiato. Lui era cambiato in quei tre anni. Sacrificio,
abnegazione, lontananza, amicizia, relazioni… ora tutto aveva un significato
più profondo.
Provò a chiudere gli
occhi, ma non riuscì a trovare conforto, nonostante fosse letteralmente esausto.
E, sapeva, che nemmeno una striscia di cocaina gli sarebbe stata d’aiuto.
Sentiva che qualcosa ancora gli mancava. Era inutile: Sherlock Holmes non
poteva riposare senza risposte. Quella, in particolare, era rimasta a
mezz’aria.
Si rialzò e infilò il
soprabito nero. L’orologio non segnava ancora la mezzanotte. Si affrettò ad
aprire la porta dell’appartamento, sgranando gli occhi non appena si ritrovò
davanti la figura avvolta in un mantello che, alla sola luce della luna,
appariva del colore della notte. Si rese conto, in pochi, ma interminabili
istanti, di chi fosse, ricordando che le chiavi del 221B erano ancora in suo
possesso. Soltanto, non si aspettava un tale tempismo. Ma d’altronde, era
sempre un passo avanti a lui.
“Pensavo che la notte di
Cenerentola avesse avuto termine dopo Kensington, Mr. Bond” disse, con tono sinceramente
allettato.
James… Irene, sollevò il
viso, lasciando cadere il mantello. Indossava l’abito che avevano acquistato insieme,
lo stesso con cui si era gettata nel Tamigi dando prova di straordinaria audacia,
per salvare una ragazzina. Quel giorno, la sua determinazione l’aveva impressionato.
Intelligenza e bellezza, un connubio raro, di quei tempi. Eppure, in quel
momento c’era qualcosa di diverso: delle sue lunghe onde biondo miele, non
rimanevano altro che quegli sbarazzini capelli corti.
“Non è ancora mezzanotte.
E tu vai via troppo presto.”
Già. L’aveva fatto al
Kensington, lasciando ogni cosa nelle mani di Mycroft, per ricongiungersi a William,
perché questi potesse, a sua volta, raggiungere e salvare da se
stesso il suo amato fratello maggiore, chiuso nella Torre di Londra. L’aveva
fatto poco prima, al termine di una cena piena di colpi di scena.
Ma in quel momento, non c’era
alcun bisogno di scappar via. Nessun compagno di squadra da accogliere, nessun
altro annuncio da dare… soltanto quell’incipiente bisogno di avere risposte
dalla sola persona la cui imprevedibilità era fonte di eterna ammirazione ed
eterno arrovellamento. E quella stessa persona, di fronte a lui, nel silenzio di
una notte al primo quarto di luna, sembrava incerta.
“Ire--
Si sentì abbracciare, senza
che potesse in alcun modo reagire. L’inaspettata forza lo fece indietreggiare
di qualche passo. Sherlock inspirò quel profumo che sapeva di rose e concesse a
se stesso di chiudere gli occhi mentre chiudeva la
porta alle spalle di Irene, per poi, finalmente, ritrovare quel contatto che
era rimasto in sospeso. Cosa rimaneva di quell’uomo che aveva fatto della razionalità
assoluta la sua fede? Forse avrebbe avuto bisogno di vent’anni ancora per
capirlo… in quel momento, tutto ciò che capiva era il fremito adrenalinico sulle
sue mani, voraci, tra i capelli di Irene. Le sollevò il viso, pensando tra sé e
sé che nessuna donna poteva eguagliarla. E quel viso gli restituiva l’espressione
della gioia, velata da lacrime di commozione. Quel suo sopracciglio sinistro birichino
non si inarcava mentre gli confessava di aver bisogno di sentire che non
si trattava di un sogno ma che, era davvero lui. Sgranò gli occhi,
Sherlock, nel rendersi conto di star provando lo stesso, salvo realizzare che,
vivi per quanto fossero, la magia di Cenerentola sarebbe davvero durata soltanto
per quella notte… del resto, il suo ritorno aveva eclissato persino la presenza
di una rediviva Irene Adler al suo fianco. Eppure, lei era lì, viva… per una notte.
Il palmo della sua mano
scese sulla guancia di Irene e col pollice ne percorse i contorni. Era
dimagrita in quegli anni. Poi, quando sentì la mano di lei sulla sua e la vide
accomodare il viso socchiudendo gli occhi imperlati, si tese appena in avanti e
le sue labbra furono prima sulla sua fronte, provocandole un sussulto. Ne baciò
con gentilezza uno zigomo, poi la punta del naso delicato, poi… Irene riaprì gli
occhi: il blu di una notte tempestosa si rifletté nel cielo primaverile degli
occhi di lei.
“Oh, Sherlock…”
Sorrise, nel sentire il
suo nome pronunciato in un fiato.
Aveva desiderato catturarne
le labbra in un bacio. Dare sfogo a un desiderio… lui che conosceva i
meccanismi della passione, ma che non l’aveva mai vissuta se non in altre
sfumature. L’orologio al piano inferiore prese a scoccare i rintocchi della mezzanotte.
Sherlock ne tenne conto, fino a che non arrivò l’ultimo.
“Non ho mai creduto nella
magia… ma se questa dovesse per caso esistere, allora… non desidererei altro
che rimanere così per sempre.”
Toccò a Irene sgranare
gli occhi alle sole parole che mai avrebbe creduto di sentir pronunciare da lui.
E il suo cuore saltò non un battito, ma solo il primo di tanti, quando le labbra di
Sherlock le impedirono di pronunciare qualunque risposta… sempre ammesso che ve
ne fossero.
***
Il mattino colse Sherlock
preda di un languore che mai, nella sua vita, aveva provato. Quasi più
delizioso del risolvere un caso. Certamente, fisicamente più impegnativo ma,
inaspettatamente alquanto piacevole. Riaprì gli occhi pigramente, mentre la
luce giungeva dalla finestra retrostante il letto. Sollevò il braccio nudo, osservando
la mano sinistra, prima di richiuderla e osservare il monotono soffitto. Riconobbe,
tra gli odori della notte, la traccia del profumo di rose di Irene, prima di
fissare lo sguardo su un dettaglio luminoso. Il fermacravatta con una pietra azzurra
posato sul cuscino, accanto a lui. L’azzurro dei suoi occhi. Quegli occhi che
gli avevano regalato sguardi che avrebbe portato impressi per sempre… impossibili
da dimenticare, neanche se avesse voluto. Raccolse il fermacravatta, rigirandolo
tra le dita.
“Una scarpetta alquanto
non convenzionale… per una Cenerentola che lo è altrettanto.”
Sherlock agitò quel prezioso
gioiellino, poco prima di sentirsi chiamare a gran voce dal piano inferiore. Quale
spiegazione avrebbe dovuto inventare con Miss Hudson alla quale, evidentemente,
l’affascinante Bond aveva lasciato un qualche pensiero? Si voltò a guardare
fuori dalla finestra alle sue spalle. Il mattino di Londra era già iniziato e
presto, sarebbero sorti anche nuovi casi su cui indagare.
Ma Sherlock Holmes ormai,
non era più soltanto un uomo che risolveva misteri.
NdA:
Eccomi con questa seconda storia (non credevo che ci sarei mai riuscita) che,
in un certo senso, si ricollega a Cuore di Donna, ma come completamento, in
qualche modo, perché desideravo davvero inserire un PoV
su Sherlock che, ultimamente, è il vero mistero da risolvere… Niente, come per
l’altra, spero di sentire qualche fan della Adlock…
mi sento davvero sola! ç_ç