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Autore: Anchestral    16/02/2023    8 recensioni
[Chainsawman]
«Tieni» si sentì dire dalla voce ferma.
Davanti a lui, Aki gli stava porgendo un gelato comprato al chioschetto dietro al parco. Erano in giro già da alcune ore e, alla prima possibilità, Angel si era accasciato sulla panchina lì vicino. Si sentiva a pezzi…
Allungò flemmatico la mano e prese il cono da quella guantata di Aki.
«Vaniglia e caffè?» notò colpito.
«Come piace a te, no?»
[Personaggi: Aki Hayakawa, Angel Devil| Pairing: Aki/Angel]
[La storia partecipa all’iniziativa “For God’s sake, say something” indetta da Fuuma sul forum Ferisce la penna]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Bannerino pazzesco fatto da Fuuma, credit fanart ©Kurosu Juu & ©Tuzaixia

Disclaimer:  Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Tatsuki Fujimoto; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Ho aggiunto una piccola nota di lore sui personaggi che penso sia utile per chi non li conosce.
Angel Devil: diavolo con sembianze angeliche
Il suo potere consiste nell'accorciare la vita o uccidere gli esseri umani semplicemente toccandoli. E' costretto a lavorare come Devil Hunter.
Aki Hayakawa: Devil Hunter che ha intrapreso questa carriera per vendicare la sua famiglia che è stata sterminata da un diavolo.
Vi auguro una buona lettura uwu 

Vaniglia o pistacchio?

 

«Tieni» si sentì dire dalla voce ferma. Davanti a lui, Aki gli stava porgendo un gelato comprato al chioschetto dietro al parco. Erano in giro già da alcune ore e, alla prima possibilità, Angel si era accasciato sulla panchina lì vicino. Si sentiva a pezzi…
Allungò flemmatico la mano e prese il cono da quella di Aki, coperta dal guanto nero.
«Vaniglia e caffè?» notò colpito.
«Come piace a te, no?» gli rispose guardandolo scettico mentre si sedeva accanto a lui.
Angel era sicuro di non averglielo mai detto.
Scrutò le palline per qualche secondo, cercando il punto migliore da dove attaccare il gelato. Dopo averlo individuato, iniziò a mangiare leccandolo pigramente. Gli piacevano, specialmente in una calda giornata come quella. Una dichiarazione audace considerando che ogni sentimento da lui percepito era come attutito da una spessa barriera, destinato ad esaurirsi fino a diventare quasi impercettibile.

I gelati gli ricordavano l’estate. L’apprezzava senza un motivo in particolare: sentire il calore del vento mentre camminava; i raggi del sole che scaldavano le sue piume quando si sedeva scomposto a sonnecchiare; anche il lieve sudore, che gli imperlava la fronte sotto i ciuffi rossastri, non lo infastidiva… Il tutto gli induceva un’inusuale sensazione di malinconica nostalgia, per lui inspiegabile, che poi lasciava posto a una conseguente pace interiore, come fosse arrivato nel suo posto. Era una delle poche cose che ancora riusciva a sentire distintamente. Il caldo e l’estate erano piacevoli.

Stiracchiò leggermente le ali per potersi rilassare ancora di più. Allungò poi lo sguardo su Aki. Notò che era irrequieto mentre si levava la giacca e si rotolava le maniche della camicia sui gomiti. La sua espressione era insofferente mentre allentava un poco la cravatta e poi si sfregava le mani, come fosse sul punto di sfilarsi i guanti. Indugiò e, sconfitto, le portò ai suoi fianchi sulla panchina. Non li aveva tolti.

Loro due erano completamente diversi. 
 

Aki sembrava a suo agio nel freddo di gennaio. 
Angel aveva potuto scorgere sul suo volto le labbra che si curvavano leggermente, in un sorriso mesto, quando il vento freddo gli soffiava leggero sulle guance, rendendole un po’ rosse. Eppure, in un certo senso, sembrava contento. Aki che sorrideva era uno spettacolo raro, aveva potuto constatare il diavolo dopo mesi di lavoro insieme.
Lui invece si stringeva nel piumino pesante sperando di poter tornare a casa il prima possibile. Perché, diamine, il freddo lo soffriva veramente tanto. Se lo sentiva fin dentro le ali che, per la cronaca, era alquanto impossibile: le sue piume non avevano i nervi.

Aki prendeva raramente il gelato con lui, mentre Angel ne avrebbe potuti mangiare anche dieci di fila; voleva sempre cambiare ristorante, lui invece avrebbe preso tutti e dieci i coni alla vaniglia e al caffè, sempre a quello stesso chioschetto, alle spalle del parchetto spesso semideserto. Aki dieci di fila avrebbe potuto fumarne di sigarette. Ne era talmente dipendente che, per Angel, il nome Hayakawa era diventato un’antonomasia. Sarebbe stato in grado di riconoscerlo a metri di distanza solo da quell’odore, o meglio da come il tabacco si mischiava precisamente col caffè e con la vaniglia della sua acqua di colonia. Era grazie al suo olfatto sviluppato, cercava di convincersi.
Angel provò a fumare per curiosità di Aki, era certo che non gli piacesse affatto.
«Mangi gli zombie e ti lamenti delle sigarette?» gli aveva sbottato offeso l’altro.
«E questo ti fa capire quanto fanno schifo...» Angel ricordava di avergli risposto così, ma questo non precluse che qualche volta lo faceva volentieri un tiro con lui.

Angel prediligeva il giorno, Aki la notte. Lo aveva capito quando una sera era stato inviato a bere e lo aveva portato in giro per Tokyo. Il modo in cui Aki, a quel punto brillo, alzava lo sguardo forse sognante, per cercare le poche stelle sopra le loro teste, era lo stesso che Angel aveva quando osservava le forme nelle nuvole, mentre si rincorrevano nel cielo azzurro.

Aki era decisamente un idealista, di quelli un po’ illusi e tonti, potè appurare sapiente Angel. Invece lui non aveva più niente in cui sperare. Chissà chi era meglio tra loro due…

E infine, Angel era un diavolo e Aki era un umano.

Il sapore della vaniglia terminò definitivamente lasciando posto a quello del caffè. Un cambiamento alquanto stimolante. Prestò tutta la sua attenzione alla pallina dolce; forse così quelle considerazioni insulse avrebbero lasciato in pace la sua povera mente. 
Morse un pezzo della cialda.
«Nemmeno un grazie, eh?» commentò Aki. 
Angel alzò svogliatamente lo sguardo, incollando i suoi occhi apatici a quelli limpidi di Aki che, si rese conto, lo stavano fissando già da un po’. Decise di non discutere. Era inutile usare così le poche energie rimaste. 
«Grazie…»
«Vale prima, non dopo che te lo dico.» 

Sei serio? - pensò Angel perplesso.

«Cosa ti turba?» lo incalzò dopo poco Aki.
«Niente in realtà…» mentì.
«Non è vero, stai osservando quel gelato come se ti potesse dare risposte sui massimi sistemi. E di solito lo avresti già finito e mi staresti dicendo di prendertene un altro» asserrì incrociando le braccia al petto. 
Bastardo impertinente - voleva dimostrare di aver vinto lui quella discussione?  
«Ti piace osservarmi o cosa?» lo rimise prontamente al suo posto.

Aki si zittì distogliendo lo sguardo dal diavolo. 
Angel comprese compiaciuto che l’altro si era accorto del passo falso vedendolo subito tirare fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni: mossa da manuale di Aki quando decideva che non avrebbe risposto. Perché non ne valesse la pena o per preservare un poco di dignità non faceva molta differenza. Faceva sempre così. 

Angel lo continuava a fissare di sottecchi.

C’era eccome qualcosa che prima lo aveva seccato. Appena sembrava che se ne fosse liberato, tornava ad assillarlo. Aveva già deciso che avrebbe affogato i suoi pensieri in quel gelato e nelle palline di vaniglia dei prossimi tre coni, tutti a spese di Aki ovviamente… Doveva tenerlo buono e collaborativo? Tanto valeva continuare a sfruttare questa scusa. 

Già.

«Perchè non lo lasci in pace?» 
Eccola, quella voce irritante aveva ripreso a parlare nella sua mente. Sospirò infastidito. 
Era anche finito il gelato.
«Cosa hai in mente? Di fartelo amico e poi succhiargli via quel poco che gli è rimasto da vivere? Così è più divertente per caso, eh! Come col tuo villaggio, mostro!»

Non era una novità per lui che qualcuno lo insultasse e certamente sarebbe continuato a succedere... I vantaggi di essere un diavolo addomesticato dalla Pubblica Sicurezza. La questione del villaggio ormai nemmeno lo toccava più: la sua fama lo precedeva. 
Tutti sapevano che era l’artefice. 
Tutti ne parlavano e lo descrivevano senza mezze misure, come fossero stati lì presenti a vederlo. Le espressioni appagate mentre tratteggiavano nuovi dettagli sempre più cruenti, rigorosamente in sua presenza, lo avevano turbato. Lo facevano di proposito.
Tutti conoscevano questa storia tranne lui: perchè quel cazzo di villaggio nemmeno sapeva dove fosse. Non ricordava assolutamente nulla. 
L’argomento lo infastidiva non poco perchè tutti in quell’edificio parlavano di lui come se lo conoscessero meglio di se stesso. Era sicuro che non fosse stato lui: era un angelo. Ma col passare del tempo la sicurezza scomparve e venne sostituita dai dubbi. 

Lui era davvero come credeva di essere?

Quei pensieri erano irritanti. Ogni volta, sembravano gli aprissero una voragine all’altezza del suo cuore, scavando sempre di più e svuotandolo di ogni emozione. Cosa gli stesse succedendo in quei momenti nemmeno lo sapeva di preciso. Finchè si abituò sia al dolore che alle voci: era un diavolo, avevano ragione loro.

Ma che ne poteva sapere un devil hunter qualunque di lui e di Aki?

Quello sì che lo aveva fatto davvero innervosire. Fu la prima volta in tanto tempo che le parole di scherno accesero un ardore dentro di lui che non ricordava nemmeno potesse provare. Ecco, si era incazzato di nuovo solo a ripensarci.

Si alzò come una molla dalla panchina e si incamminò verso il chioschetto pronto a prendere due coni: il secondo per lui e uno per Aki. Non aveva voglia di raccontargli quello che era successo, ma avrebbe voluto almeno un poco di compagnia. Pagò e tornò alla panchina. Arrivato davanti a lui, gli porse il cono. 
«Pistacchio e nocciola?» 
«Sì.»
Sul viso di Aki si abbozzò un lieve sorriso mentre riponeva la sigaretta che non aveva ancora acceso. Poi prese il gelato dalla mano di Angel, sfiorandola leggermente.
Sbuffò al contatto - voleva stare attento o no? - e si sedette di nuovo accanto ad Aki. Un giorno di quelli sarebbe successo: lo avrebbe toccato per sbaglio. Si cullava fin troppo sulla scusa dei guanti. 
Subito riprese a leccare svogliatamente la pallina di vaniglia mentre guardava Aki mangiare il suo. Lo vide affondare i denti nel pistacchio gelido. 
Che cazzo?
 

Rimase interdetto per qualche secondo, poi blaterò senza freni: «Dicono che tu sei quello che odia i diavoli più di tutti…» 
Si maledisse quando, con qualche secondo di ritardo, realizzò che, no, non stava solo pensando e sì, lo aveva appena detto ad alta voce. 
«Era questo quindi?» Aki ponderò.
Angel sospirò; visto che si ritrovava in quel discorso valeva la pena approfittarne.
«Perchè perdi tempo con me?»

Ogni momento senza risposta che passava Angel si sentiva sempre più stupido. Che diavolo gli stava passando nella mente? Che gli era preso? Forse era davvero troppo stanco…

«Perchè noi siamo simili» infine gli rispose con sincerità Aki. Adesso era lui a guardare con fin troppo interesse la pallina gelato.
«Non è vero» replicò stizzito. Non lo erano affatto.
«Tu eri il signor ‘Tutti gli umani devono soffrire’ e mi hai appena comprato un gelato ai miei gusti preferiti. Sei un ipocrita… proprio come me» affermò Aki tornando a mordere il dolce, spostando gli occhi su un punto imprecisato davanti a loro.

Non poteva dargli torto.

Sentì qualcosa toccargli la mano appoggiata sulla panchina. Abbassò lo sguardo e vide la mano libera di Aki, coperta dal guanto nero, stringergli la sua. Era calda.

«E sei solo… come me.»

Angel non rispose, si era sentito confuso all’avvertire una leggera sensazione di tepore al petto. Anche quella gli sembrò fin troppo familiare, come se l’avesse già provata ma in un lontano passato ormai inafferrabile. Era inutile continuare a mentirsi: ci teneva ad Aki, da molto prima di quanto lo avesse effettivamente capito. E forse già era tornato ad essere un angelo, ma solo per lui. Sentì il tatuaggio a forma di catenina pizzicargli sul polso come volesse dirgli o ricordargli qualcosa. 

«Hai ragione…» rispose sorridendo rasserenato intrecciando le sue dita a quelle di Aki. 



 

Note dell’autrice:

Cosa dire su questa one shot?
Odi et amo. 
Amore perchè volevo scrivere assolutamente qualcosa col pov di Angel.
Odio perchè scrivere queste 2000 parole (circa) è stato peggio delle fatiche d’Ercole. Ho penato un sacco, giorni di sofferenza pura.
Avevo questa idea in mente già da qualche tempo (credo tre settimane o un mese circa?) ma è stato grazie a Sanremo e a due canzoni (L’addio e Due vite) se mi sono seduta dietro al pc a digitare sta roba.

Grazie per aver letto, spero sia piaciuta. Invito, se vi va ovviamente, a fare un giro nel mio profilo (suggerisco la mini-long, ci sono molto affezionata)

Alla prossima :3

   
 
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