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Autore: berlinene    12/09/2009    5 recensioni
… sfuggente… come un sogno, come una breve vacanza. Come Ken…
Genere: Commedia, Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Shun Nitta/Patrick Everett
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Con notevole e colpevole ritardo, ecco la terza e ultima parte...


Cap. 3 - Rincorrersi

 

Erano passate alcune ore, ma a Shun parvero una manciata di secondi. Un raggio di sole gli ferì gli occhi, svegliandolo. Subito la mente saettò agli ultimi eventi: aveva baciato Ken Wakashimazu e si erano addormentati abbracciati.
Eppure…
Adesso il letto era vuoto.
Si sollevò di scatto e osservò la stanza. Del portiere nessuna traccia, a parte i suoi bagagli già pronti in un angolo.
Giusto, ricordò, oggi torniamo a casa…
Dette un’occhiata alla sveglia e vide che era comunque in orario. Infilò alla meno peggio i vestiti in valigia: un sorriso gli increspò le labbra al pensiero di come, invece, nei bagagli di Ken regnasse sicuramente l’ordine più assoluto.
Ken…
Ebbe la tentazione di aprire le borse per sentire ancora quel profumo. Senza dover affrontare lui in persona. Cosa si sarebbero detti? 

Niente di niente.

Ken si era comportato come se nulla fosse successo, parlando del più e del meno con Kojiro e Maki, sia a colazione sia durante il tragitto verso l’aeroporto e dormendo praticamente per tutto il viaggio in aereo. In una parola, ignorandolo bellamente. Che, calcolando quanto si erano avvicinati in quella settimana, non era esattamente far finta di niente, aveva riflettuto Shun, fissando, senza leggerle veramente, le istruzioni di sicurezza dell’aereo. Chissà se c’è qualcuno che lo fa… si ritrovò a pensare.
 

Scesero dal velivolo e si avviarono verso l’area per il recupero dei bagagli. Ken procedeva ad ampie falcate lungo gli androni dell’aeroporto e Nitta, al solito, era costretto ad accennare una corsetta per tenere il passo. E menomale facevo i cento metri in undici secondi, pensò. Ken si fermò davanti al nastro, gli occhi fissi sulla porticina coperta da quelle strane tende di gomma.
“Beh, a quanto pare è arrivato il momento di salutarci”. La voce del portiere lo fece sussultare. Non la sentiva da quasi due ore.
“Già” rispose imbarazzato Nitta, la gola prosciugata.
“Hai il treno, vero?”
“Sì”
“Mio fratello ci sta aspettando fuori, ti porterà lui… io…devo… sbrigare alcune cose”.
“In aeroporto?” chiese Shun dubbioso. Quest’impegno improvviso sapeva tanto di una balla per togliersi d’impiccio.
“No, dall’altra parte della città. Lascio la valigia e prendo un taxi”.
Lo sguardo del piccolo attaccante si fece torvo e la voce che gli uscì aveva il tono duro e sprezzante che Shun aveva imparato, suo malgrado, a opporre alla strafottenza altrui. In quella meravigliosa settimana credeva di averlo dimenticato, ma si accorse, con una stretta al cuore, che non era così.
“”No, figurati. Userò io i mezzi per andare alla stazione”.
“Sicuro?”
“Certo”.
In quella la valigia di Nitta sbucò dalle tendine. Ken fece per avvicinarsi al nastro trasportatore ma Shun gli tagliò la strada e la prese da solo, sul volto sempre l’espressione torva che non tradì lo sforzo che gli costò recuperare quel bagaglio. Ma la rabbia, come la paura, a volte ti fa tirare fuori energie che non neanche immagini di avere.
“Ci vediamo, Wakashimazu” disse, senza voltarsi. Quasi non lo udì il mormorare un saluto sommesso, ma sentì chiaramente che adesso lo sguardo del portiere era fisso sulla sua schiena. Serrò occhi e labbra perché non ne uscissero né lacrime né parole e anche le dita si strinsero convulsamente attorno al manico del trolley, ma non si voltò, ben consapevole di non essere Orfeo e che, per quanto si ostinasse a tenere lo sguardo fisso in avanti, nessun dio gli avrebbe restituito la persona che, durante quella breve parentesi, aveva creduto di amare.

 

Durante il viaggio in treno, la mente inquieta di Shun cominciò a vagliare ogni possibilità. Alla fine si era quasi convinto che quel bacio doveva essere stato solo frutto della sua fantasia, brillantemente coadiuvata dalla dose non indifferente di alcol ingerito. Eppure si era svegliato nel letto di Ken. Ma per quanto ne sapeva, lui poteva aver steso a terra il futon, dormito lì e riposto il tutto prima che lui si svegliasse… d’altronde, aveva anche fatto i bagagli e senza che lui si accorgesse di niente! Ma se non era successo nulla, perché aveva cambiato atteggiamento nei suoi confronti? Nei giorni precedenti erano diventati amici… no?
Prese in mano il cellulare. Gli bastò aprire il registro delle chiamate per trovarsi davanti quel Wakashimazu 17. Chiuse gli occhi e prese un lungo respiro mentre pensava ora lo chiamo e chiarisco tutto. Proprio in quell’attimo il telefono prese a suonare. Shun aprì di scatto gli occhi.
Il display recitava Mamma.
Convinto di aver ormai perso un paio d’anni di vita, mentre il battito gli tornava normale, rispose.
“Ciao cucciolo”
“Mamma” salutò atono.
“Cosa c’è, cucciolo? Triste che la vacanza è finita?”
“Già” disse lui, cercando di suonare convincente.
“Senti, lo so che non ci vediamo da una settimana, cucciolo…”
Se mi chiama un’altra volta così, Shun giurò a se stesso, lancio il cellulare dal finestrino, tipo tiro del falco…
“… ma papà ha un convegno e devo accompagnarlo. Partiamo adesso e torniamo dopodomani, ok? In freezer c’è un po’ di roba, se hai bisogno di qualcosa puoi chiamare la signora Rukawa, ok?”
“Va bene, mamma, non ti preoccupare, divertitevi”.
Finalmente una buona notizia. Non avrebbe dovuto sopportare sua madre affacciata alla porta della stanza col suo “raccontami, cucciolo” e quello sguardo dolce e luminoso nei grandi occhi da cerbiatta. Le voleva un gran bene e di solito si confidava volentieri con lei, ma stavolta…
Si rese conto di avere ancora il telefono in mano, ma si accorse di non avere il coraggio. E comunque non c’era niente da dirsi. Si sarebbe rinchiuso in casa per due giorni, si sarebbe pianto un po’ addosso ma, poi, avrebbe ripreso in mano la sua vita: presto avrebbe iniziato l’università e ricominciato gli allenamenti. Magari avrebbe pure richiamato Ayumi… E tutto quella storia sarebbe diventata presto solo un lontano ricordo o un sogno, in fondo, non c’era molta differenza.

 

Infine, scese anche dal taxi ed entrò in casa. Era una villetta supermoderna e dotata di ogni confort, come piaceva a suo padre, ma gli sembrò assai più fredda della casetta di Maki. Scosse la testa per scacciare quei ricordi, tanto vicini eppure già così lontani. Il movimento gli provocò una stilettata alla fronte, rendendolo pienamente consapevole del mal di testa che già da un po’ gli premeva sulle tempie. Era stanco, sfibrato quasi. Decise che ai bagagli avrebbe pensato più tardi ora ci volevano un bel bagno e una lunga dormita.
Ringraziò mentalmente le diavolerie fredde ma moderne di suo padre e accese l’idromassaggio. Si spogliò, quindi pensò che, affinché il tutto fosse davvero perfetto, mancavano ancora le candele profumate di sua madre e una tazzona fumante di tè verde.
Guardò a malincuore l’acqua già calda e piena di bolle, ma infilò l’accappatoio e andò a procurarsi gli ultimi due ingredienti. L’attesa, d’altronde, aumenta il piacere.
Seduto in cucina, aspettava il fischio del bollitore, quando un altro rumore gli giunse alle orecchie. Il rombo di una moto che si avvicinava sempre di più e poi si spegneva. Vicinissimo, nel suo giardino, avrebbe giurato. Incuriosito, si avvicinò alla finestra.
In effetti nel vialetto di casa sua c’era una moto da strada azzurra da cui stava scendendo…
La sua mente si rifiutava di crederci, ma il suo cuore aveva già riconosciuto le lunghe gambe fasciate da jeans chiarissimi che aveva visto solo poche ore prima. Ma quando il motociclista si sfilò il casco e ne uscì una cascata di lunghi capelli nerissimi non ci furono più dubbi.
Ken appoggiò il casco sulla sella e si tolse la giacca da moto. Anche la maglietta era la stessa che aveva indossato durante il volo. Mosse qualche passo incerto, come se le gambe gli tremassero, e uscì di nuovo dal vialetto per controllare il nome sul campanello. Poi dette un’occhiata all’abitazione, scorgendo l’unica finestra aperta e, dietro di essa, la faccia allibita di Shun. Gli fece un cenno di saluto.
L’attaccante si riscosse e corse ad aprire la porta. Lo guardò salire gli scalini appoggiandosi al muro.
“Ken… cosa…” balbettò.
Il portiere alzò stancamente una mano. “Ho bisogno di un bicchier d’acqua poi parliamo, ok?” accennò un sorriso ma il volto era pallido ed aveva l’aria esausta.
“Ho appena fatto il tè, se…” disse Shun ancora incredulo, spostandosi per farlo entrare.
“Perfetto” rispose l’altro, sedendosi faticosamente sul divano.
Cercando di controllare il tremore delle mani ed evitare eventuali ustioni, il padrone di casa riempì due tazze di tè, le sistemò su un vassoio assieme allo zucchero e a dei biscotti, quindi appoggiò il tutto sul basso tavolino del soggiorno. Si sedette poi su una poltrona a poca distanza da Ken, guardandolo con aria interrogativa. Il portiere si staccò faticosamente dallo schienale, sistemandosi sul bordo della seduta. Prese il tè, lo zuccherò abbondantemente e, socchiudendo gli occhi, cominciò a sorseggiarlo.
“Adesso va meglio” disse con un sospiro. Poi aprì gli occhi e, finalmente, il suo sguardo intenso incontrò quello di Shun.
“Innanzitutto scusa l’intrusione” esordì. “Di solito non mi presento così a casa degli amici…”
“Figurati” farfugliò Nitta. Quell’ultima parola gli aveva scaldato il cuore. Nonostante le ore precedenti, si sentiva come se tutto forse scomparso d’incanto… la rabbia, la tristezza, persino il mal di testa… era solo profondamente e irrazionalmente felice che Ken fosse lì con lui.
“… ma, d’altra parte, per lo più, neanche mi comporto in quel modo, con gli amici…”
L’attaccante sentì le guance imporporarsi e distolse lo sguardo, inclinando leggermente il capo.
Ken posò la tazza sul tavolino, poi gli prese il mento e lo fece girare in modo da tornare occhi negli occhi.
Le sue dita sfiorarono le labbra di Shun, che a stento si trattenne dal baciarle, poi tornarono verso la tazza, ma non l’afferrarono.
“… intendo dire, che non faccio finta che non sia successo niente, non fingo di dormire o di essere interessato ad altro quando, invece, ce ne sarebbero eccome di cose da dire…”
Nitta non riusciva a staccare gli occhi da quel volto, sempre più vicino.
“… avrei dovuto dirti quanto mi sono divertito in questa settimana, quanto la tua presenza mi abbia aiutato a non pensare alla mia stupida gelosia nei confronti di Maki, e avrei dovuto dirti quanto ti ho sentito vicino in spiaggia e quanto le tue attenzioni mi abbiano lusingato e quanto…”
Si interruppe. Un leggero rossore gli tinse le guance pallide, si passò una mano fra i capelli sudati, che gli si appiccicavano al volto, per poi toccarsi imbarazzato la nuca.
“Quanto parlo, quando ci sei tu! Non mi succede spesso, sai…”.
Questa volta fu Shun a premere le sue dita sulle labbra dell’altro: “Continua,” gli sussurrò.
“Avrei dovuto dirti…” continuò, la voce calda e profonda era ridotta a un sussurro ma i loro volti erano ormai tanto vicino che a ogni parola Nitta sentiva il fiato caldo e profumato di tè verde sulla pelle. “Avrei dovuto dirti che mi piaceva cogliere gli sguardi furtivi che mi lanciavi con quei tuoi bellissimi occhi, la loro luce mentre sorridi e il brillio che li percorre quando lasci correre la tua mente sveglia… persino ora, ma guardati… e il tuo corpicino così… me lo aspettavo, quello che è successo ieri notte, ma mai avrei osato… E poi, al mattino, ti ho visto accoccolato come un cucciolo sul mio petto, mi sei sembrato così… fragile che non avrei mai voluto… e allora ho pensato, che magari se facevo finta di niente tu avresti creduto di aver solo sognato e ognuno sarebbe potuto tornare alla sua vita… ma, quando in aeroporto mi sono ritrovato solo… mi son reso conto che l’unico a essersi mostrato fragile ero io, che sono stato il solito vigliacco mentre tu invece eri stato forte… soprattutto nel momento in cui, prendendo il coraggio a due mani, mi hai baciato e ancora quando te ne sei andato senza voltarti indietro. Arrivato a casa mia, stavo male e ho capito che volevo solo rivederti e allora sono andato in garage e ho pensato che la mia moto nuova non era ancora ben rodata e mi sono fatto una cavalcata…”
“Da Tokyo a qua in quanto? Un paio d’ore? Sei matto…”
“Dovevo chiederti scusa e dirti la verità… cioè che sono un coglione” svuotò la tazza in un sorso e, barcollando, si alzò in piedi.
“Dove vai?”
“Torno a casa. Tranquillo, andrò più piano”.
“Ma se sei distrutto, guardati, barcolli più di ieri sera…” disse Shun, alzandosi a sua volta e afferrandolo per un braccio. Ken lasciò che lo traesse a sé e si trovò il mento di Nitta appoggiato al petto, quei suoi bellissimi occhi che lo fissavano da sotto in su, ardenti. Una luce furbetta li fece luccicare, mentre gli diceva “io stavo andando a fare il bagno, se ti va…”
Le mani di Ken gli scivolarono ai lati del collo, insinuandosi sotto i capelli, verso la nuca, poi il portiere si chinò e le loro labbra si incontrarono ancora. Intanto le sue mani riscendevano lungo quelle spalle minute e facevano scivolare a terra l’accappatoio, in modo da poterlo accarezzare su tutto il corpo.
Shun sentiva l’erezione dell’altro sotto ai jeans, ma lo scostò leggermente da sé e raccolse l’accappatoio riaggiustandoselo alla belle’e meglio. Poi si sistemò un braccio di Ken attorno alle spalle e gli cinse la vita col proprio.
“Andiamo, rottame, appoggiati al bastone della tua vecchiaia” disse ridendo.
L’altro l’ammonì con un blando “Attento piccoletto” ma poi si lasciò condurre al piano superiore, godendo del contatto col corpo seminudo del compagno.
Lo lasciò fare anche quando, una volta entrati nell’enorme sala da bagno, Nitta lo spogliò lentamente e lo guidò verso la vasca. Shun sorrise vedendo l’espressione di beatitudine sul suo volto: doveva essere davvero distrutto dopo quella folle corsa in moto. Assaporando ogni attimo, il padrone di casa accese le candele, poi si tolse l’accappatoio ed entrò silenziosamente in acqua. Ken aveva la testa appoggiata al bordo e gli occhi chiusi. Quando le mani di Shun cominciarono ad accarezzarlo, sollevò il capo e lo guardò per un attimo, poi tornò a rilassarsi sotto le sue carezze.
Col cuore in gola, l’attaccante gli sfiorò il sesso e soffocò un gemito quando lo sentì già eccitato. Mentre sotto il pelo dell’acqua continuavano quelle carezze intime, sopra, Shun cominciò a tempestare di baci e piccoli morsi ogni centimetro del torace del portiere. Ken gemeva di piacere e rideva per il solletico provocato dai dentini aguzzi del giovane attaccante, che, rapido, gli si fece sopra: quando i due membri sensibilissimi entrarono in contatto, un brivido di eccitazione scorse sui loro corpi assieme alle bollicine. Ken lo strinse forte e lo baciò con passione, poi, come travolto da un’ondata di desiderio, dando un potente colpo di reni e quasi sollevandolo di peso, ribaltò le posizioni e Shun se lo ritrovò sopra.
Minuscole goccioline d’acqua scendevano lente lungo le ciocche corvine del portiere, stillando sul volto e sul torace di Nitta o rituffandosi con un leggero pluff nell’acqua calda che abbracciava i loro corpi. Adesso era il portiere a guidare quella strana danza: sdraiato su un fianco e sporgendosi leggermente, gli faceva scorrere le dita sull’addome, sui muscoli così piccoli ma perfettamente disegnati. Anche le cosce sembravano minuscole, eppure avevano quadricipiti tonici e possenti. La sua mano grandissima andò brevemente a stimolare il sesso del compagno, poi scese giù e cominciò lentamente a saggiare la sua apertura. Quando fece scivolare un dito all’interno, Shun si contrasse leggermente e i suoi occhi cercarono quelli del portiere. Lo sguardo che ricevette in cambio fu però così rassicurante e dolce che il piccolo annuì e si rilassò. Socchiuse gli occhi e per attimi infiniti esistettero solo sensazioni tattili… l’acqua calda, le bollicine e le dita di Ken… poi le sue labbra gli sfiorarono la fronte, i capelli e l’orecchio dove il portiere depositò un dolce sussurro: “Vuoi?”
In tutta risposta, l’altro voltò lentamente la testa e lo baciò, con trasporto, traendolo a sé. Ken ricambiò, ma si staccò quasi subito. Si alzò sulle ginocchia, ergendosi in tutta la sua bellezza statuaria e Shun deglutì a fatica. Poi gli prese le gambe e se le aggiustò attorno ai fianchi, quindi appoggiò le mani ai lati di Nitta e si lasciò scivolare giù, sfiorando con tutto il corpo il membro del compagno. Quando si trovò all’altezza giusta, lentamente iniziò a penetrarlo.
Faceva male. Nittà gli conficcò le unghie nelle braccia, stringendosi anche per non cadere sott’acqua, e lo fissò spaventato. Ma, ancora una volta, la dolcezza nello sguardo dell’altro lo tranquillizzò, e così si rilassò, permettendogli di entrare. Dapprima i movimenti furono lenti, poi sempre più decisi. Non appena Ken lo sentì ben dilatato, tenendolo stretto a sé, si gettò all’indietro per trovarselo sopra. Allora Shun iniziò a muoversi, oscillando su quel corpo, cercando il proprio piacere e quello del compagno. Quando lo sentì liberarsi dentro si sé, quasi di conseguenza, il suo corpo rispose.

Poco dopo, Shun si ritrovò seduto sul divano a carezzare distrattamente i capelli ancora umidi di Ken, che si era addormentato con la testa nel suo grembo. Il piccolo attaccante non si stancava mai di guardare il suo bellissimo amante, e con le dita ne percorreva e ripercorreva i tratti del viso, mentre l’altro mugolava piano nel sonno e le sue labbra si piegavano in un sorriso.
D’un tratto aprì gli occhi e si tirò su di scatto: “Oh mio Dio…” esclamò, “sarà tardissimo, devo andare”.
“I miei tornano solo fra due giorni, Ken, ti prego, resta… non sprechiamo più neanche un attimo… c’è tanto, troppo tempo per stare lontani”.
Gli occhi di Nitta brillavano di passione.
Ken sorrise. “Hai ragione, non mi lascerò mai più scappare neanche un attimo di quelli che posso passare con te, non fuggirò e non ti lascerò fuggire…” rispose attraendolo verso di sé. Shun sprofondò il viso nell’incavo fra la spalla e il collo, aspirando il suo profumo inebriante. Raccolse le ginocchia contro il fianco di lui e sentì le sue braccia lunghe cingerlo e proteggerlo.
Ken se lo strinse al petto e appoggiò la guancia sui capelli morbidi del compagno. Abbracciandolo, sentì che le tensioni e la stanchezza fluivano via. Anche le forze, tuttavia, sembravano averlo abbandonato, ma, per la prima volta, sentirsi inerme non gli faceva più paura, e così si riaddormentò, sereno.



Note di chiusura:

Questo era il dessert, ora caffè, limoncello e il CONTO! lol

Vorrei ringraziarvi davvero tutti per aver letto e commentato questa storia e per i tanti troppi complimenti che per essa e per me si sono sprecati... Comunque devo dire che c'ho preso gusto a questa coppietta e se il Golden 23 mi assiste... vedremo! ;)

Per ora, ancora grazie, grazie grazie....

   
 
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