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Autore: Nao Yoshikawa    20/02/2023    1 recensioni
«Ridi felice, piccolo Ichigo. Perché verrà il giorno in cui dovremo affrontarci. Arriverà il giorno in cui forse mi odierai. Ma adesso sei così innocente e ignaro. Sei come un piccolo burattino, i cui fili sono tra le mie dita.»
Ichigo soffiò finalmente sulle candeline. E rise.
Era davvero crudele il modo in cui andavano certe cose.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kurosaki Ichigo, Sosuke Aizen
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Com'era nei piani


Tutto stava andando secondo i piani. Sosuke Aizen era uno che non lasciava mai niente al caso. Talvolta ci voleva tempo e pazienza, ma alla fine otteneva sempre il risultato sperato. Per il momento e per gli anni a venire, si sarebbe limitato ad osservare, come un osservatore esterno.
Ichigo Kurosaki era nato qualche giorno prima ed era, senza ombra di dubbio, la più incredibile creatura su cui avesse mai messo gli occhi. E non avrebbe potuto essere altrimenti. Lui stesso aveva assistito all’incontro tra Isshin Shiba e Masaki Kurosaki, uno Shinigami e una Quincy. Da un’unione del genere non sarebbe potuto nascere qualcosa di meno straordinario. E così eccolo lì, quel neonato dai pochi capelli di un bizzarro colore arancione, ancora ignaro di quello che il futuro gli avrebbe riservato. Futuro di cui lui, Sosuke Aizen, era l’artefice. Ecco cos’era Ichigo Kurosaki: una pedina, la più importante, del suo piano. Era sicuro che un giorno di molti anni dopo si sarebbero incontrati e affrontati. Un giorno, quel neonato che dormiva beato sarebbe divenuto un giovane uomo interessante. Aizen già fremeva all’idea di ciò che sarebbe stato. Per il momento, si limitava ad osservare, compiaciuto, il seme non ancora germogliato.
 
Ichigo cresceva come tutti gli altri bambini, sano, felice e vivace. Era piuttosto sveglio per la sua età ed era corretto dire che avesse un qualcosa in più rispetto agli altri bambini. Ma viste le sue origini non c’era da sorprendersi. Aizen aveva avuto la giusta intuizione quando aveva pensato il bambino è capace di vedere gli spiriti dei defunti. A volte lo vedeva parlottare e indicare punti in cui un essere umano come tanti non avrebbe visto nulla. Ichigo ce l’aveva nel sangue.
«Però, deve essere noioso stare a guardare un bambinetto» aveva commentato una volta Kaname Tosen. Aizen passava molto del suo tempo ad osservare uno schermo, ad osservare la vita di Ichigo che andava avanti. Tosen non si spiegava il perché di tale interessamento per un bambino. O almeno, lo comprendeva solo in parte. Non che osasse mettere in dubbio le parole di Aizen, soprattutto non davanti a lui.
«Lascia fare, sai che ad Aizen piace avere tutto sotto controllo» gli aveva risposto Gin, in tono vagamente divertito. «Ripone molte aspettative in quel bambino.»
«Siete consapevoli del fatto che io da qui senta tutto, non è vero?» domandò Aizen, tranquillo e serafico come al solito. Gin non ebbe reazione, Tosen invece si imbarazzò.
«Sono spiacente, non volevo certo infastidirla con i miei commenti fuori luogo.»
Aizen però non sembrava né infastidito, né tantomeno arrabbiato.
«Devo dire che hai ragione» disse ad un tratto. «Osservare un bambino non è divertente. Ma se quel bambino è Ichigo Kurosaki, allora diventa affascinante.»
Tosen non osò proferire parola. Gin si ritrovò ad essere d’accordo, anche se rimase in silenzio. Di sicuro tutta quella storia era affascinante, chissà che piega le cose avrebbero preso di lì a qualche anno.
 
Quando Sosuke Aizen non recitava la parte del gentile capitano della quinta compagnia del Gotei 13, prendeva parte in modo esterno alla vita di Ichigo. Era un qualcosa che era divenuta oramai quasi un’abitudine. Un’abitudine un po’ strana, pensavano i suoi sottoposti. Soprattutto Tosen, ma voleva evitare di infastidire in qualche modo il Sommo Aizen. Quel giorno di luglio era poi una ricorrenza importante, perché Ichigo compiva sei anni. Era davvero un bambino felice e amato e, con il viso arrossato e gli occhi lucidi, si stava ritrovando ora davanti la sua torta di compleanno, intento a spegnere le sei candeline. Attorno a lui, la sua famiglia lo festeggiava con allegria. Ichigo era cambiato da quando era nato. Era ovvio che così fosse, ma Aizen si rendeva conto di ricordare a memoria ogni suo cambiamento, quasi fosse stato accanto a lui ogni istante della sua vita. E in parte, era così. Ed era giusto. Il suo compito era essere certo che tutto andasse secondo i piani. E che quindi Ichigo fosse in salute e al sicuro fino a quando non gli sarebbe stato utile.
«Ridi felice, piccolo Ichigo. Perché verrà il giorno in cui dovremo affrontarci. Arriverà il giorno in cui forse mi odierai. Ma adesso sei così innocente e ignaro. Sei come un piccolo burattino, i cui fili sono tra le mie dita.»
Ichigo soffiò finalmente sulle candeline. E rise.
Era davvero crudele il modo in cui andavano certe cose.
 
Ichigo stava dimostrando un temperamento forte e determinato. Non solo, era anche molto protettivo, in particolare con Yuzu e Karin, le sue sorelline gemelle. Più di una volta aveva finito con il fare a botte con i suoi coetanei (e in alcuni casi anche con dei bambini più grandi). Aizen aveva assistito ogni volta a tutti quei litigi, con grande interesse e quella che in seguito avrebbe riconosciuto come preoccupazione. Perché la sua pedina principale non poteva permettersi di farsi male o compromettersi. Un giorno, però, aveva finito con il farsi male davvero. Durante una rissa si era slogato una caviglia, ed era finito al suolo, contro l’erba. Dei ragazzini più grandi lo avevano accerchiato, ma Ichigo aveva cercato di proteggersi in modo dignitoso, senza versare nemmeno una lacrima. Quel bambino non piangeva mai. Solo a volte, Aizen lo aveva scorto a piangere di nascosto nella sua camera. La cosa gli aveva provocato una sensazione strana, quasi stesse assistendo a qualcosa di proibito.
«E questo dovrebbe essere il bambino essenziale per il piano?» domandò Tosen sovrappensiero. Per fortuna il Sommo Aizen non lo aveva udito. Era concentrato, ma teso.
Un giorno diventerai così forte che nessuno oserà farti male in questo modo. È una cosa che so per certo. Sei già forte, non versi una lacrima. Non sei mai stato un bambino come gli altri.
Gin aveva intuito qualcosa in Aizen. Un interessamento particolare per quel bambino, che andava ben oltre il suo piano, i suoi progetti per il futuro. Aveva osato pensare che in qualche modo si fosse affezionato a Ichigo Kurosaki.
«Perché non vai ad aiutarlo?» domandò Gin. Era l’unico ad avere il coraggio di stuzzicarlo.»
«Questo è fuori discussione. Non dovrà sapere chi io sia, fino al momento opportuno» rispose Aizen, perentorio. Ma avrebbe mentito a sé stesso se avesse detto di non avere voglia di… di far cosa? Di difenderlo, di aiutarlo? Certo, per forza. A Ichigo non doveva accadere niente, gli serviva. Ma farsi guidare dall’irrazionalità non era da lui. E nemmeno lasciarsi andare a certi sentimentalismi sciocchi.
Forse, però, era inevitabile pensare certe cose. La sua mano invisibile si era posata sulla testa di quel bambino da quando era nato. Lo osservava mutare mentre lui era lì, eterno ed immutabile.
 
Ichigo aveva adesso otto anni e otto candeline erano sulla sua torta di compleanno. Cresceva a vista d’occhio e non sarebbe passato molto tempo prima di passare da bambino a ragazzo. Era quasi un peccato che la sua felicità avesse i giorni contati. Perché, fino a quel momento, Ichigo era stato un bambino felice e quasi normale. Assistere alla sua crescita era affascinante. Era diventata un’abitudine in quegli anni ed Aizen aveva, suo malgrado, imparato tutto di lui. Ogni sua sfaccettatura, ciò che amava e odiava, i suoi sentimenti più profondi. Avrebbe potuto dire che era la persona che lo conosceva di più al mondo. Piuttosto triste e ironica, come situazione. Aizen era solito a tenere di conto ogni possibilità. Quella, non l’aveva invece messa in conto. Non che avesse dubbi o che si fosse in qualche modo affezionato al ragazzino. Ma doveva ammettere che non su tutto poteva avere il controllo.
Sorseggiava il suo tè mentre osservava Ichigo spegnere le sue otto candeline.
«Adesso mangiamo la torta!» aveva esclamato contento. Senza rendersene conto, Aizen aveva sorriso.
«Buon compleanno, Ichigo» sussurrò. Nessuno lo sentì. Ma forse non tutto stava andando esattamente secondo i piani.
 
La prima vera sofferenza per Ichigo era arrivata il giorno in cui sua madre era morta per proteggerlo. Il bambino era quasi schiacciato dal peso del corpo di Masaki. Un corpo ora squarciato, uno scudo che lo aveva protetto. Pioveva e Ichigo aveva freddo. E piangeva, confuso, incredulo e impaurito. Non sapeva se fosse a causa del freddo o della paura, ma non era troppo lucido, la sua vista era addirittura offuscata. Forse era la pioggia negli occhi. O il freddo o entrambe le cose. Ichigo provò a gridare, a chiedere aiuto, ma la paura gli aveva bloccato la voce, come se qualcuno lo stesse soffocando. In tutta la sua breve vita, Ichigo non aveva mai sospettato in alcun modo di una presenza – un nemico, un angelo custode sotto certi aspetti, che aveva sempre vegliato con attenzione su di lei. Aizen aveva osservato la prematura dipartita di Masaki Kurosaki, ritrovandosi quasi sollevato nel capire che Ichigo fosse ancora vivo. Anche se le cose non sarebbero andate in modo diverso comunque, non lo avrebbe permesso. Aizen era sempre stato attento, fino a quel momento, a non intervenire mai nella vita di Ichigo. Quella volta, però, aveva quasi rischiato di mandare tutto in frantumi. E per cosa?
Si avvicinò alle due figure e per la prima volta osservò Ichigo da vicino. Il bambino sollevò lo sguardo verso di lui, verso quell’uomo di cui non riusciva a scorgere bene il viso, ma che era sicuro di non conoscere.
«Aiuto…» gemette con un filo di voce. Aizen non avrebbe potuto fare niente per aiutarlo. Non era il suo protetto, era solo un pezzo significativo per i suoi piani futuri. Ma trovò curioso il modo in cui gli si era avvicinato e il modo in cui Ichigo gli avesse chiesto aiuto senza alcuna paura. Quasi come lo conoscesse da sempre.
«Non temere, Ichigo. Verranno ad aiutarti» gli sussurrò, carezzevole. Non si sarebbe mai fatto vedere o sentire in altre occasioni se non in quella. Ichigo lo guardò ancora qualche istante e poi chiuse gli occhi, forse svenendo, forse addormentandosi.  Quello era stato, di fatto, il loro primo incontro, ma Ichigo non ne avrebbe avuto memoria. Se l’avesse avuta, le cose sarebbero andare in modo diverso, per lui e per Aizen, ma così non fu.
 
Aizen se ne tornò a casa, di umore terribile. Ichigo era sano e salvo, ma il suo comportamento era stato irrazionale. Avvicinarsi così a lui, con il rischio (seppur minimo) di mandare all’aria anni di preparazione e sforzi, era imperdonabile. Forse avrebbe dovuto darci un taglio con quella storia: Ichigo avrebbe vissuto fino a quando non si sarebbero rincontrati, un giorno, non aveva bisogno di lui.
«Aizen, posso azzardami a dire che forse, in fondo, ti sei affezionato al ragazzino?» gli domandò una volta Gin. Era da anni che se lo chiedeva e se per caos si sbagliava, Aizen gli avrebbe risposto in modo sarcastico e divertito. Cosa che fece, anche se Gin poté percepire nel suo tono e nel suo sguardo un brevissimo attimo di tentennamento.
«Non viaggiare troppo con la fantasia, Gin. Se fossi un tipo sentimentale, non potrei avere progetti così grandi, dov’è necessario tradire, mentire e nascondere. Non temere: tutto sta danzando sul palmo della mia mano, come sempre.»
Lo aveva detto convinto. Non aveva cambiato idea, non sarebbe mai successo. E non si era affezionato al ragazzino, malgrado lo avesse seguito sin dalla sua nascita in ogni passo, in ogni esperienza, lacrima o risata. Si poteva dire che lo conoscesse come un genitore conosceva il proprio figlio, ma non era la descrizione che avrebbe dato a loro. Non era affar suo se adesso Ichigo era triste e sofferente per via della morte della madre. Non spettava a lui proteggerlo.
Ma cosa ho fatto fino ad ora, se non posare il mio palmo sulla sua testa?
 
 
Arrivò il giorno in cui Ichigo divenne un ragazzo. Serio e un po’ scorbutico, ma di animo buono e protettivo. La morte della madre lo aveva indurito solo in apparenza, ma in realtà rimaneva ancora un bambino che si sentiva in colpa per quanto successo. Questo stato d’animo non lo aveva mai rivelato a nessuno, ma Aizen lo conosceva talmente bene da sapere cosa gli passasse per la testa. Ichigo aveva degli amici, andava a scuola. Con il tempo, la sua capacità di vedere gli spiriti si era affinata e non c’era dubbio che fosse quasi pronto. Se solo Aizen avesse voluto, se solo avesse tentennato un attimo in più, avrebbe potuto fermare il gioco. E così avrebbe permesso a Ichigo di vivere una vita normale e probabilmente le loro strade non si sarebbero mai più incrociate. Ichigo infatti non aveva mai accennato a quell’uomo che lo aveva rassicurato solo la pioggia, il giorno in cui sua madre era morta. Era un estraneo. Ma no. Aizen non era così altruista. Si sarebbero incontrati solo per uccidersi a vicenda. Una triste storia.
Triste storia? Lui è solo una pedina. Niente di più.
Ma chissà, si domandò. In un’altra vita, magari le cose sarebbero andate in modo diverso. O forse no.
 
 
 
Il bambino su cui aveva vegliato, che aveva protetto e osservato, che era diventato ragazzo e poi un giovane uomo, era ora sbocciato. Aizen si sentì compiaciuto, perché in fondo aveva contribuito largamente a tirar fuori la sua forza, il suo vero potenziale.
Gliel’aveva detto.
Ti conosco da ancor prima di nascere. Per tutto questo tempo hai danzato sul palmo della mia mano.
E poi.
Non puoi ricordarlo, ma noi ci siamo già incontrati, tanti anni fa.
Non aveva aggiunto altro e Ichigo non capì cosa volesse dire. Poteva giurare di non averlo mai incontrato prima di arrivare alla Soul Society, altrimenti se ne sarebbe ricordato. Ma come poteva Ichigo ricordare che il viso di quell’uomo che aveva intravisto il giorno della morte di sua madre, fosse proprio quello di Aizen?
Fin da quando era nato aveva saputo che Ichigo Kurosaki sarebbe stato il suo nemico giurato. Che solo uno dei due poteva vincere sull’altro.
Aizen avrebbe dovuto detestarlo, sarebbe stato il sentimento più normale. Invece provava stupore e quello che oramai aveva imparato a riconoscere come orgoglio. Perché Ichigo era diventato forte. Si poteva dire che fosse un pezzo di sé, come un braccio o una gamba. Era davvero la cosa migliore che avesse creato. Adesso lo avrebbe visto brillare di luce propria. Chi avrebbe vinto sull’altro, alla fine, aveva un’importanza relativa.
Brilla come il sole e brucia tutto, figlio mio.
 

N.D.A
Non so bene cosa dire di questa storia, perché era da un po' che volevo scrivere una sorta di what if dove Aizen osserva Ichigo per tutta la sua vita, fino ad affezionarglisi. Essendo lui è un personaggio particolare (MA TANTO), spero di non averlo snaturato. Il rapporto tra Aizen e Ichigo segue un po' lo schema del rapporto protagonista/villain che tanto amo. Oltre a shipparli un sacco insieme, ma in questa storia mi sono limitata ad uno pseudo rapporto padre-figlio [?]. Spero vi sia piaciuta.
Nao
 
 
 
   
 
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