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Autore: Albascura_    28/02/2023    2 recensioni
Quando il telefono squilla, trova Osamu già sveglio. Ha un brutto presentimento: è come un sapore amaro intrappolato tra la lingua e il palato, una fitta in mezzo agli occhi che gli ha impedito di prendere sonno.
Al suo fianco anche Keiji si sveglia rigirandosi tra le lenzuola. Si stropiccia gli occhi. Il telefono continua a squillare.
«Non rispondi?»
Osamu fissa il telefono che stringe in mano, un numero non memorizzato che scorre sullo schermo. Deglutisce.
«Pronto?»
«Osamu-san! Scusa se ti chiamo a quest’ora ma…» All’altro capo, la voce solitamente tonante Bokuto lo raggiunge smorzata, come se si stesse sforzando di contenere il volume. Sembra affannato.
«Sono all'ospedale. Si tratta di Atsumu.»

[Back and Forth: 2^ parte]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Atsumu Miya, Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Osamu Miya
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Back and forth'
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Blues 

 
Quando il telefono squilla alle prime luci dell’alba, trova Osamu già sveglio. Ha un brutto presentimento: è come un sapore amaro intrappolato tra la lingua e il palato, una fitta in mezzo agli occhi che gli ha impedito di prendere sonno.

Al suo fianco anche Keiji si sveglia rigirandosi tra le lenzuola. Si stropiccia gli occhi. Il telefono continua a squillare.

«Non rispondi?»

Ma Osamu non risponde. Fissa il telefono che stringe in mano, un numero non memorizzato che scorre sullo schermo. Deglutisce. Non è mai una cosa buona ricevere chiamate da un numero sconosciuto. Soprattutto a quell’ora. Soprattutto quando quel sapore tremendo striscia giù fino in gola, quando il mal di testa minaccia di spaccargli il cranio a metà. Ha un presentimento orribile. Inspira.

«Pronto?»

«Osamu-san! Scusa se ti chiamo a quest’ora ma…» All’altro capo, la voce solitamente tonante Bokuto lo raggiunge smorzata, come se si stesse sforzando di contenere il volume. Sembra affannato. C’è sollievo, nella sua voce, ma anche urgenza. 

«Sono all’ospedale. Atsumu è stato ricoverato e lo dimetteranno solo in presenza di un familiare. Mi dispiace, volevo pensarci io, non volevo svegliarvi, né farti preoccupare. Ma non mi permettono di portarlo a casa…»

Eccolo qui, il presentimento che diventa certezza. Una doccia fredda. Rabbrividisce mentre qualcosa di pesantissimo gli precipita in fondo allo stomaco.

«Cos’è successo? Sta bene?»

«Si si, sta bene. Niente di preoccupante. Lo sai, da quando Shou-kun è partito non sta passando un bel periodo. Si tiene occupato come può, ma forse sta esagerando. Non mangia abbastanza, esce a fare allenamenti extra ad orari improponibili. Gli abbiamo detto di andarci piano ma non ci ascolta! Ieri sera è uscito a correre dopo l’allenamento ed è svenuto per strada. Niente di serio, ma dei passanti hanno chiamato l’ambulanza.»

«Arrivo subito.»

«Mi dispiace Osamu-san.» la voce di Bokuto diventa via via più sottile, più tremolante. Quasi un pigolio. «Non sono stato un amico abbastanza degno. Avrei dovuto stargli più vicino, io che so cosa sta passando. Avrei dovuto chiamarti prima, farti sapere che le cose stavano peggiorando…»

«Lo so, Koutaro. Grazie. Lo so che per te è difficile. Lo apprezzo molto.»

«No! È colpa mia! Avrei dovuto chiedere il tuo aiuto prima… Prima che finisse all’ospedale! Ma sono stato un’egoista, ho pensato solo a me, al fatto che non volevo sentire Akaashi… Sono un amico di merda! Ora Tsum Tsum è all’ospedale per colpa mia!»

Osamu lancia al suo compagno uno sguardo disperato. Sta cercando di infilarsi i pantaloni e il maglione con una sola mano, il telefono incastrato tra l’orecchio e la spalla, il tutto senza farsi venire un attacco di cuore al pensiero di suo fratello in un letto d’ospedale. Non ha tempo, né pazienza, per gestire l’isteria di Bokuto in quel momento.

Keiji sembra capire al volo. Gli fa cenno di passargli il telefono. Osamu lo interroga con uno sguardo, le sopracciglia sollevate. Sembra domandare “sei sicuro?” e allo stesso tempo implorare che lo sia. Keiji annuisce.

«Koutaro, per favore non piangere. Dammi un quarto d’ora e sarò lì. Nel frattempo ti passo Akaashi.»

«No! Per favore!» Ormai sta gridando. Osamu non osa immaginare a quale spettacolo pietoso stiano assistendo in quel momento all’ospedale, un energumeno di un metro e novanta in preda ai singhiozzi. «Non voglio che sappia che sono un amico di merda! Anzi una persona di merda!» 

«Bokuto, adesso devi calmarti!» ed è un ordine che Osamu dà anche, soprattutto, a se stesso. «Sto arrivando. Keiji non potrebbe mai pensare questo di te, stai tranquillo. Ora te lo passo e parto. A fra poco.»
 
*
 
Osamu arriva all’ospedale senza nemmeno ricordare di essersi messo al volante. È strano perché è tutto ovattato, come se non fosse completamente sveglio, e allo stesso tempo si sente estremamente lucido, analitico, reattivo.

Per questo quando raggiunge il giusto padiglione e trova Bokuto ancora in lacrime rannicchiato contro un distributore automatico, semplicemente lo ringrazia con un cenno e passa oltre, senza preoccuparsi minimamente di come sia ancora al telefono con Akaashi, e di quanto tempo lo stia tenendo sveglio, e di chissà cosa gli stia dicendo. 

Per questo quando le infermiere gli consegnano dei moduli da compilare, scrive senza un minimo di esitazione o incertezza, ricordando ogni data, ogni codice, ogni sigla come se li ripetesse come una cantilena ogni mattina, ma quando ricontrolla il foglio non sa neanche come fa a conoscere quelle informazioni a memoria. 

Per questo quando il dottore lo informa delle condizioni di Atsumu sembra incredibilmente padrone di se stesso mentre annuisce con fare saputo, mentre dentro si sente morire un po’ di più ad ogni parola che pronuncia: “buone condizioni” “leggermente anemico” “valori non in linea con il suo status di atleta” “parlarne con qualcuno” “depressione”.

Per questo quando finalmente varca la soglia della sua stanza e lo vede steso in un letto che sembra troppo piccolo, con la flebo di fisiologica ancora attaccata al braccio e il camice ospedaliero che lo fa sembrare ancora più pallido di quanto già non sia, Osamu si sente letteralmente accartocciare: lo stomaco, il torace, tutto. Ma resta in piedi, nonostante senta le ginocchia cedere. Perché lui è quello responsabile, lui è quello maturo, lui è quello che raccoglie i pezzi. È sempre stato così. E chi ha il compito di ricostruire non si può concedere il lusso di rompersi.

Perciò Osamu resta in piedi, e trova anche la forza di guardarlo storto, di sbuffare, e di fingersi seccato quando gli domanda astioso: «Che cazzo hai combinato?»

Atsumu abbassa lo sguardo e non risponde.

E se Osamu prima era semplicemente preoccupato, vederlo così docile lo strazia.
 
*
 
Atsumu non protesta quando viene caricato in auto, né tantomeno quando gli viene comunicato che sarebbe andato a stare da lui per un po’.

Osamu l’ha anche rassicurato del fatto che Keiji sarebbe stato a lavoro tutto il giorno e che nessuno l’avrebbe visto così, ma Atsumu non ne era sembrato minimamente turbato. Non era sembrato niente. Apatico.

Così distante da tutto ciò che era sempre stato da far quasi male da guardare.

Gli prudono le mani, ad Osamu, ma in qualche modo mantiene una calma invidiabile per tutto il tragitto, finché non arrivano a casa. Lì, vedere il fratello raggomitolarsi sul suo divano letto senza dire una parola è troppo, troppo da sopportare.
 
Osamu sente l’angoscia saturarlo e trasformarsi nell’unica emozione che può sfogare in quel momento: rabbia. Stringe i pugni mentre avverte la pressione montargli dentro, sente il volto arrossarsi e digrigna i denti per frenare le parole che minacciano di uscire. Ma non resiste, gli argini si rompono.
 
«Che cazzo hai fatto? Come diavolo ti viene in mente?» Osamu non si rende neanche conto della violenza con la quale sta gridando, l’ansia che gli annebbia la vista mentre continua a vomitare i suoi insulti, «Ma puoi lasciarti andare a questa maniera? Sei un adulto Atsumu, per dio! Ma guardati! Non sei neanche in grado di badare a te stesso, come puoi pretendere di…»
 
Si ferma solo quando vede il labbro di Atsumu tremare e le sue guance rigarsi di lacrime. La sua espressione una maschera immobile, il corpo inerte abbandonato tra le coperte. Non ha neanche le forze di protestare, di difendersi, di rispondere alle sue accuse. China la testa, sconfitto.
 
Osamu sente una morsa stringergli impietosa il petto. Non l’aveva mai, mai visto così. Prende un profondo respiro per calmarsi. Poi si inginocchia ai piedi del divano e gli prende le mani tra le sue. Sono fredde.
 
«Atsumu, perché non mi hai chiamato? Perché non mi hai detto come stavi? Hai idea di come mi sono sentito a ricevere la telefonata di Bokuto? Mi hai fatto preoccupare a morte. Non farlo mai più, capito?»
 
Atsumu lo guarda con occhi lucidi e vuoti, le guance ormai fradicie e il corpo scosso dai brividi. Sembra raccogliere tutte le proprie energie per fare un gesto semplice come annuire.
 
«Mi ferisce che tu non mi abbia chiamato. Lo sai che ci sono io a coprirti le spalle, sempre. Come quando eravamo bambini, ok? Come quando ti mettevo i cerotti sulle ginocchia e dicevo alla mamma che ero stato io a combinare il guaio per non farti sgridare. Puoi contare su di me. Perché non mi hai chiamato? Perché non ti sei fidato di me?»
 
Atsumu chiude gli occhi come se continuare a guardarlo gli costasse troppo dolore. Quando apre la bocca per rispondere, per un lungo minuto vi escono solo singhiozzi, sempre più forti e sempre più strozzati. 
«Mi lasciate tutti, ve ne andate e mi lasciate da solo.» Farfuglia infine con la voce rovinata dalle lacrime.
 
Quella confessione gli gela il sangue nelle vene. Osamu non sa più dove guardare. Davvero suo fratello sta paragonando l’ingaggio di Hinata in Brasile al suo abbandono della pallavolo?
«Non è la stessa cosa…» cerca di ribattere, ma la voce gli esce più incerta di quanto vorrebbe.
 
«Invece si. Inseguite la vostra felicità, ed è bellissimo e giusto. Ma perché la felicità di chi amo non è mai dove ci sono anch’io? Perché mi lasciate sempre indietro?»
 
Avrebbe fatto meno male una coltellata al petto. «Io…» - mi dispiace, Atsumu - «Vado a prepararti qualcosa da mangiare. È importante che ti rimetta in forze, i tuoi valori sono sballati e sei un atleta professionista con un contratto da onorare. Non ti puoi permettere di lasciarti andare così. Lo so che è un brutto periodo per te ma ora ci sono qui io, non ti devi preoccupare di niente. Va bene Atsumu?»
 
Atsumu si stringe nelle spalle. Si annida nelle coperte e si stende voltandogli la schiena.
«Non sono come te, ‘Samu. Il cibo non risolve tutto.»
 
Osamu sospira. «Lo so.» Ammette avvilito prima di sparire oltre la porta della cucina.
 
   
 
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