Seduto su una sedia, con dita tremanti, Guido sfiora la bambola.
Sfiora i capelli di stoffa, tocca gli occhi dipinti e le accarezza le guance, dipinte di rosso.
‒ Anna… Tesoro mio… ‒ mormora. Quella stanza, fino a poche ore prima vibrante di vita, è ora un triste mausoleo.
Gli oggetti, ordinatamente disposti, raccontano la vita di Anna, distrutta dal suo odio inesorabile.
Ha condannato a morte sua moglie e sua figlia.
Lui è l’artefice della distruzione della sua famiglia.
Sospira e continua a toccare la bambola. E’ stato un regalo di un Natale ormai remoto.
Ricorda bene la gioia negli occhi di Anna, quando ha scartato il pacco e ha trovato la bambola.
Lei ha conservato quel balocco con cura, come fosse un cimelio.
L’uomo ansima, mentre le lacrime bagnano il suo viso. In quel ninnolo, sono racchiusi gli ultimi istanti di vita e di gioia di Anna.
Con la sua bambola, ha condiviso sogni, risate e giochi.
‒ Che cosa ha provato, mia figlia, quando ha giocato con te? ‒ domanda.
Un ironico e amaro sorriso solleva le labbra dell’uomo. Come può porre una domanda ad un oggetto inanimato?
Il suo sorriso dipinto non può dare conforto al suo cuore straziato.
Non può raccontargli niente.
Il suo cuore, bramoso di risposte, resterà sempre affamato.
Guido sospira, posa la bambola sul tavolo e si appoggia al muro. Non può negare l’implacabile e crudele realtà.
Gli oggetti sono testimoni di eventi passati, ma non possono creare un ponte tra i vivi e i morti.
E ora lui è condannato ad un lungo cammino di tenebra e solitudine.