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Autore: Kuno84    04/03/2023    7 recensioni
Il potere di far vedere agli altri tutta la verità circa i propri sentimenti. Suona come qualcosa di cui l’accozzaglia di Nerima avrebbe un gran bisogno. Cosa potrebbe andare storto?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mousse
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di iniziare rivolgo un sentitissimo ringraziamento alla mia beta Tillyci, al cui vaglio minuzioso e implacabile sono passati ogni singola parola e dettaglio che leggerete: senza il nostro confronto, non so davvero se alla fine avrei trovato il coraggio di pubblicare qualcosa di nuovo, dopo tutto questo tempo.
Ringrazio, inoltre, sia lei che SaraLu per l’enorme lavoro di ricerca effettuato per arrivare alla traslitterazione corretta in lingua cinese dei nomi di Mousse, Shampoo e Cologne.

 

 
Il prezzo della verità
 
 

“Scusi il ritardo. Mi stava aspettando da molto?”
“Nessun problema. Stavo assaporando con tutta calma il mio smoothie, mi perdonerà lei se non mi alzo. Si accomodi pure, vuole ordinare qualcosa?”
“No, la ringrazio. Solo il tempo di tirare fuori penna e taccuino e possiamo iniziare.”
“Ecco… ma quell’altro apparecchio che ha poggiato sul tavolo, preferirei invece evitarlo. Potremmo cortesemente non incidere su nastro questa conversazione?”
“Spiacente, la forza dell’abitudine. Ma giuro che non avrei acceso il registratore, almeno non senza il suo consenso. Lo tolgo subito.”
“Mi giura… so bene com’è, la vostra categoria. Anche la stessa idea di darmi appuntamento in questo locale, per mettermi a mio agio e farmi sbottonare maggiormente. Tuttavia la avverto, con me le converrà giocare a carte scoperte.”
“Le assicuro che ero in buona fede. E so benissimo che sarebbe deleterio, innanzitutto per la mia salute fisica, contrariare Mùsī di Joketsuzoku. Aspetti, l’ho pronunciato bene?”
“Non stia a formalizzarsi. Qui tutti mi chiamano Mousse da una vita, chi per ignoranza e chi con intento dispregiativo. E siccome non ho intenzione di far ritorno in Cina ancora per molto tempo, ormai ho preso anch’io a considerare questo il mio vero nome.”
“Mousse, allora.”
“Vede? Molto più semplice. Lasci che per una volta sia l’intervistato a mettere a suo agio l’intervistatore.”
“Tutto quello che vuole. Del resto è un’occasione così rara poter parlare con lei, che si è guadagnato il pieno diritto di porre le regole.”
“Più che rara, direi unica. Questa è la prima e sarà anche l’ultima volta in assoluto che parlerò a qualcun altro di quei fatti, pur essendone stato, come tanti mi hanno ripetuto fino allo stremo, l’unico testimone oculare.”
“Ne deduco che abbia avuto io quest’onore perché al telefono le sono risultato simpatico, per qualche motivo.”
“Non proprio. Lei, semplicemente, mi ha incuriosito. Vede, prima di concederle quest’incontro ho raccolto alcune informazioni e ho scoperto diverse cose sul suo conto. Ma… non divaghiamo, almeno non ancora: mi pare che sia venuto qui per ascoltare quell’altra mia storia.”
“Lo ribadisco: è lei a dettare le regole, oggi, Mousse. Parli pure in totale libertà: come direbbe un giornalista di quelli bravi, i lettori vogliono sapere.”
“Sapere, già… ma sapere cosa, mi domando? ‘Tutta la verità, nient’altro che la verità’? Però chi le assicura che, da parte mia, sarò completamente franco e sincero? Non è che voglia mentirle, sia chiaro. Ma i ricordi sono spesso sfuggevoli e ingannevoli, e soprattutto il mio racconto potrebbe lasciarla incredulo in più di un punto. Infine, e forse più importante, la verità è un’arma a doppio taglio.”
“Non mi sottovaluti. Cercare la verità, con tutto quel che comporta, fa parte del mio lavoro: e saperla individuare, anche tra le righe, indicherà se so fare o no il mio mestiere.”
“A suo rischio e pericolo, allora. Immagino che, prima di venire qui, si sia documentato a sufficienza sulla baraonda quotidiana che un tempo affliggeva Nerima e dintorni, per cui non mi dilungherò a spiegare chi era chi, né quali fossero le motivazioni della scalcinata banda di artisti marziali che popolava il quartiere. Mi faccia dare ancora un sorso alla mia bevanda, e passo subito al sodo.”


 
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Quel mattino Shanpū e la sua bisnonna non erano al locale. Era una domenica, ed era anche per il Nekohanten giorno di chiusura, che loro avrebbero utilizzato andando in giro per i mercati, così da fare rifornimento di ingredienti e cibarie assortite. Come tutti i mesi in cui ciò avveniva, per me, prigioniero tra le mura del ristorante a fare le pulizie, la cosa costituiva allo stesso tempo croce e delizia: l’una perché ero lontano dalla mia ragione di vita, il primo ed unico amore da quando avevo la remota età di tre anni; l’altra in quanto, almeno per qualche ora, non avrei dovuto sorbirmi le prediche e i rimbrotti della vecchia mummia.
Si trattava di un intervallo di tempo che avevo tutto per me e francamente, a livello logico e razionale, lo apprezzavo. 
Tuttavia si sa che la testa non può nulla contro gli impeti del cuore e così, quando sentii il rumore di qualcuno che tentava di aprire la porta, pur consapevole che Shanpū non avrebbe fatto ritorno prima del pomeriggio, mi fiondai all’uscio con la rapidità di un atleta che dovesse correre i cento metri, e con la bramosia di un naufrago che avesse appena fatto ritorno alla civiltà.
“Shanpū, amore mio, quanto mi sei mancata!”, gridai stritolando in un caloroso abbraccio lo sventurato che aveva avuto l’unica colpa di trovarsi al posto e al momento sbagliato. Io stesso mi resi immediatamente conto dell’errore avvertendo una corporatura più grassa e massiccia di quanto mi aspettassi, così estrassi dalla tasca una delle mie paia di occhiali ed esaminai attentamente il nuovo arrivato.
“Aiya! Credo di essermi rotto una o due costole…”
“Mi… mi dispiace tanto!”, balbettai, avendo riconosciuto il venditore ambulante che passava di tanto in tanto a farci visita. Il mio imbarazzo non era per nulla attenuato dal fatto che non si trattasse di un completo estraneo.
“Non… fa niente, mio impetuoso ragazzo. Ormai ci sono abituato”, ridacchiò quello con fare indulgente. “Ma dimmi, la signora Koulong non è in casa? Avevo giusto diversi nuovi prodotti in catalogo che ho pensato potessero interessarle…”
“No, spiacente. Né la vecchia, né la nipote. Le conviene tornare dopo.”
“Un vero peccato, purtroppo non posso ritardare il mio giro. Allora sarà per un’altra volta. A meno che…”, si fermò fissandomi attentamente. “Forse ho con me qualcos’altro che potrebbe suscitare l’interesse di questo mio così miope amico.”
“Guardi, se sta per rifilarmi gli ennesimi fondi di bottiglia, può anche lasciar perdere da subito. Possiedo già una collezione di occhiali infinita, mentre le lenti a contatto mi irritano terribilmente la cornea. Quindi, e non per voler fare un gioco di parole, non vedo come…”
“A maggior ragione credo proprio di avere quello che fa al caso tuo”, e così dicendo tirò fuori dal suo borsone un flaconcino.
“Quello cosa sarebbe? Del collirio?”
“Esatto, ma non del collirio qualunque. Si tratta dello strepitoso Seishin-me: un trattamento quotidiano di due gocce per occhio e in brevissimo tempo ti rinforzerà la vista, tanto che non avrai più bisogno di portare quegli occhiali.”
“Addirittura?”, presi tra le mani la boccetta, scrutandola con fare diffidente. “E com’è che non avrei mai sentito parlare prima d’ora di un prodotto tanto miracoloso?”
“Ecco”, esitò il mio interlocutore, “il punto è che si tratta di un farmaco sperimentale finito fuori produzione per via di alcuni, beh, effetti collaterali.”
“Insomma, la solita fregatura”, mormorai con una smorfia.
“Tutto il contrario. Il problema è che questo prodotto funziona fin troppo bene, ed un suo eccessivo dosaggio pare che renda la vista… come posso dire, troppo acuta.”
“Che significa?”
“Accadeva che l’interessato, dopo il trattamento, era in grado di - come si dice - vedere al di là del proprio naso, fino al punto di riuscire a penetrare lo strato delle infinite bugie ed ipocrisie di cui ci circondiamo nella vita quotidiana, e trafiggere gli altri con il tagliente sguardo della verità. Come accennavo prima, le vendite furono arrestate perché il soggetto su cui il farmaco era stato sperimentato era divenuto contagioso, estendendo gli effetti della medicina a tutti coloro che gli stavano intorno, soci della fabbrica compresi: perciò costoro non riuscivano più a mentire e a far altro che essere sinceri con i propri sentimenti.”
“Praticamente un siero della verità. Ma non capisco, ne parla quasi alla stregua di una epidemia. Cosa ci sarebbe di male in un mondo dove tutte le persone fossero trasparenti?”
“Tanto per cominciare quei soci erano ormai divenuti incapaci di nascondere i propri pensieri e sopportare più alcuna menzogna.”
“Erano diventati di colpo degli imprenditori onesti? Indubbiamente qualcosa di insolito, ma continuo a non vedere dove sia il problema.”
“È che in breve tempo scoprirono di non essersi mai sopportati a vicenda e così ebbero un violento alterco, al cui esito decisero di cessare ogni collaborazione e chiudere tutta la baracca. Anche la verità, dopotutto, è come una medicina e andrebbe assunta in piccole dosi, a meno di…”
A quel punto, però, avevo smesso di ascoltarlo. Una certa idea aveva preso ad accarezzarmi le meningi: e più ci riflettevo, più la trovavo geniale.
“...perciò comprendo bene se tu non vuoi provare questo prodotto, non te ne faccio certo una colpa. Oh beh, ora riprendo il mio giro e…”
“Lo compro! Questi bastano?!”, e con quelle parole gli schiaffai in faccia un mazzo di banconote che rappresentava buona parte dei miei risparmi. 
Del resto lo considerai un investimento. Uno di quelli che, se avesse fruttato, avrebbe potuto svoltare la mia vita per sempre.
Qualche ora più tardi mi trovavo da solo per strada, davanti all’ingresso del ristorante, scalpitando nell’attesa di Shanpū. Avevo deciso di fare subito una prova, applicandomi due gocce su ogni iride di quello… Seishinqualcosa, e constatare cosa ne sarebbe seguito. 
Al momento non mi ero sentito diverso, né in grado di ‘penetrare il velo delle menzogne’ o robe simili. Tuttavia mi sembrava che, minuto dopo minuto, la vista mi stesse effettivamente migliorando. Avevo tolto di nuovo gli occhiali, pensando che il peggio che mi sarebbe potuto capitare fosse ritrovarmi aggrappato ad un lampione della luce scambiato per la donna che amavo. Ma quella che per molti sarebbe stata una imperdonabile figuraccia in pubblico, per me si chiamava ‘lunedì’.
E poi i contorni della strada, dei passanti, si stavano per davvero facendo più nitidi. Cosa importava se il resto si fosse rivelato una frottola? Poter vedere con i miei occhi era già di per sé un qualcosa di…
“Ehi, ehi, senta, mi scusi”, qualcuno mi picchiettò sulla spalla. “Sono nella direzione giusta per Tokyo?”
Mi voltai a guardarlo e per qualche attimo, sebbene lo avessi riconosciuto immediatamente dalla voce e dal modo di fare, osservare i tratti di Ryoga Hibiki, per una volta così chiari e nitidi senza bisogno delle lenti, mi impressionò lo stesso.
“Mousse? Sei proprio tu? Che cosa ci fai qui, nei pressi di Aomori?”
“Sei tu ad essere già arrivato a Tokyo, caro mio. E di certo io non sono la fata turchina”, ridacchiai. Il mio buon umore non dovette essergli passato inosservato.
“Siamo allegrotti, oggi. Sei per caso riuscito a sconfiggere Ranma in combattimento?”
“Molto meglio”, sussurrai fissandolo deciso negli occhi. Del resto - mi dissi - se avevo bisogno di un guinea pig, chi più adatto di lui, in tutti i sensi? “Ma tu, piuttosto. Non mi dirai che sei diretto ancora una volta dai Tendo per provarci con Akane? Nonostante Jusendo, il quasi-matrimonio con Saotome e tutto il resto? E poi ultimamente non stavi frequentando quell’altra ragazza, come si chiama?”
“Akari. Le ho giusto comprato dei tagliolini kishimen da Nagoya. Spero solo che non siano ancora scaduti… ma ho forse qualcosa sul viso? Perché mi guardi in quel modo?”
“Non ti capisco, Hibiki. Ti credevo una persona migliore di così. Un cretino pieno di difetti, certo, ma almeno un uomo tutto d’un pezzo e non certo un dongiovanni con il piede in due scarpe, come la fotocopia malriuscita di Tatewaki Kuno. A meno che…” Non sapevo se il collirio stesse funzionando su Ryoga, ma improvvisamente almeno io cominciavo a vedere chiaro sulla sua situazione. “A meno che tu non abbia già rinunciato ad Akane Tendo.”
“Ehi, chi sarebbe il cretino dongiovanni?! Tu… c-cos’è che ho fatto ad Akane?”
“Ma certo! Akane è una scusa, nient’altro. Da quanto tempo ormai non ti fai più vivo sotto le sembianze di porcellino per intrufolarti vigliaccamente nel suo letto? Ho fatto irruzione dai Tendo tante di quelle volte, negli ultimi mesi, e mai in una di queste c’era P-chan nei dintorni.”
“Cosa…”, Ryoga era sbiancato e sembrava senza parole. Io invece, non sapevo come, mi sentivo un fiume in piena.
“Akane è una scusa per giustificare il tuo recarti a casa dei Tendo. Ma tu adesso vuoi farvi ingresso unicamente come l’umano Ryoga Hibiki. Per parlare, sì, con Akane, ma anche combattere con Ranma, essere salutato con cordialità da Kasumi, lasciarti stuzzicare da Nabiki, ascoltare qualche buon consiglio da Soun. Tu consideri tutti loro la tua casa, visto che quella vera, quando riesci a tornarci, è sempre deserta.”
A questo punto, davvero, avrei voluto mordermi la lingua. Mi aspettavo che l’altro mi indirizzasse un montante in pieno viso, e invece fece l’ultima cosa che mi sarei mai aspettato da lui: scoppiò a singhiozzare in lacrime.
“È… è tutto vero! Come ho fatto a non capirlo prima? Ho vissuto così tanti anni come un vagabondo eremita, senza lo straccio di una persona vicina o di un sorriso gentile, ma dopo aver incontrato Ranma tutto è cambiato… Nonostante i nostri scontri e i suoi continui dispetti, lui è stato il primo amico che io abbia mai avuto… e i Tendo e i Saotome sono diventati la mia seconda famiglia! Come ho potuto tenerglielo nascosto finora?!”
“Ryoga, dai, ora calmati”, provai a porgergli un fazzoletto, ritenendo che si stesse agitando un po’ troppo. “Forse vuoi entrare un attimo e bere qualcos…”
“Sono uno scellerato! Quante volte avrò minacciato di morte Ranma? Quante volte avrò approfittato dell’ospitalità di tutti, senza dire loro quello che pensavo veramente?! Devo andare, devo correre a rimediare!”, continuò tutto d’un fiato, per poi scattare via in una direzione a caso ancora prima di aver finito la frase, non ascoltando le mie proteste e scomparendo all’orizzonte in un lampo.
Ok, forse Ryoga non si era rivelato la cavia più adatta, con tutta la sua emotività repressa (e non). Ma l’esperimento poteva comunque definirsi un successo, giusto?
E questo potere di far vedere agli altri la verità, dovevo ammetterlo, aveva un che di inebriante. Non potei fare a meno di sogghignare, incurante dello spettacolo che stavo sicuramente dando ai passanti.
“Cosa fai, stupido Mousse? Perché tu ride come allocco?”
La risata mi si strozzò in gola. Vista migliorata o no, mi ero probabilmente perso nelle mie fantasie a tal punto da non accorgermi del ritorno di Shanpū.
Provai a ricompormi, ma a quel punto lei aveva già deposto la propria bicicletta (addosso a me) ed era entrata nel locale.
Mi rialzai dolorante, deciso a non lasciarla allontanare. Chissà se e quanto l’effetto di quel collirio sarebbe durato: dunque era ora o mai più.
“Shanpū, aspetta! E… e tua nonna non è con te?”, dissi, cercando disperatamente di recuperare la sua attenzione.
“Bisnonna ancora in giro per compere”, rispose dandomi le spalle e parlando nel suo giapponese stentato anche se c’eravamo solo noi due, come soleva fare quando voleva tenere le distanze. “Lei dato me permesso che io torna prima per invitare Ranma a pranzo fuori. Quindi tu, papero, ora starnazza in silenzio e lascia me in pace!”
Non so cosa fu a farmi scattare: se la mia frenesia di ottenere qualcosa, i suoi consueti insulti oppure l’allusione a quel dannato di Ranma Saotome. Fatto sta che feci un balzo in avanti e la afferrai per le braccia, costringendola con la forza a girarsi verso di me.
Se non mi picchiò all’istante, dovette essere probabilmente perché paralizzata dalla sorpresa di tutta questa mia audacia. O chissà, anche dal fatto che per una volta non avessi afferrato un appendiabiti al suo posto.
Io d’altro canto ero nuovamente senza parole.
Shanpū era sempre stata così bella, o anche quello era un effetto del collirio?
Ero sicuro di non aver mai potuto ammirare tanto chiaramente i suoi lineamenti così morbidi, il nasino appena pronunciato, quegli occhi talmente profondi che vi sarei potuto annegare. Il suo fascino era abbagliante, un sole che mi accecava e da cui però ero impossibilitato a distogliere lo sguardo.
Vedevo così bene, adesso, che riuscii perfino a notare un lieve rossore colorarle deliziosamente le gote. Probabilmente era dovuto alla rabbia crescente, ma in quel momento così magico speravo con tutto me stesso che anche lei, per la prima volta, mi stesse guardando per davvero.
“M-Mùsī, tu impazzito? Cosa…”
Il fatto che mi avesse chiamato con il mio vero nome mi confortò, mi fece tornare alla mente il discorso che mi ero preparato per ore e mi diede il coraggio di iniziare.
“Shanpū, ti prego di ascoltarmi attentamente. Ti chiedo solo un minuto. Tutto quello in cui credi è sbagliato e voglio che tu apra gli occhi, come sto facendo io”, deglutii, assaporando la gravità delle parole che sarebbero seguite. “Il Codice d’onore delle superdonne, tutte le leggi della tribù amazzone… sono una grandissima stupidaggine. Delle cavolate tramandate di generazione in generazione per rinforzare la stirpe di Nyūchezū contro i nemici esterni e che ci sono, ti sono state inculcate come dogmi di vita. Ma non devi lasciare che siano delle regole scritte a pensare al posto tuo… o ad amare al posto tuo…”
Allentai la presa, sperando che a quel punto fosse il collirio ad aiutarmi perché lei non mi respingesse, non respingesse la verità.
“Pensaci. All’inizio sei stata sconfitta da Saotome donna, e allora la tua ragione di vita era diventata uccidere ‘Ranma-Ragazza’. Poi lui ti ha sconfitto anche nella sua forma maschile, e da quel momento ti sei convinta che dovrai sposarlo e che solo così potrai vivere felice e contenta… ma questo non è amore, non c’entra nulla con l’amore. Lui non ti ama e soprattutto nemmeno tu lo ami. Mentre io… io sono sempre stato al tuo fianco, in ogni momento. Ti ho perfino seguito qui in Giappone, in quest’odiato paese straniero dove sono presto diventato lo zimbello di tutti. Ma non m’importa perché lo farei altre mille volte pur di starti vicino, pur di…”
Sciaff. Non so dire se sentii prima il rumore dello schiaffo, oppure la mia guancia andare in fiamme. O ancora, il mio cuore spezzarsi in due.
Sei tu… tu, che non hai mai capito niente. Se io avessi seguito quelle regole avrei dovuto uccidere Ranma-Ragazza senza se e senza ma, hai detto bene. Sono stata punita proprio perché non l’ho fatto: come mai pensi che la bisnonna mi abbia portato a Zhòuquánxiāng e lasciato cadere in una delle sorgenti? O forse credevi che lei non fosse a conoscenza della maledizione? Io non sapevo cosa mi aspettasse esattamente, sapevo però che avrei dovuto pagare un prezzo per la mia disobbedienza. Eppure non avrei mai potuto torcerle un capello… non dopo aver scoperto che Ranma-Ragazza era la stessa persona che mi aveva fatto battere forte il cuore per la prima volta.”
Ebbi appena il tempo di metabolizzare il fatto che Shanpū, ora, mi stesse parlando in cinese, prima di accorgermi che abbondanti lacrime avevano preso a rigare il suo volto.
Dici che io non so cosa sia l’amore? Magari consiste proprio nel sacrificio che ho compiuto, o forse non lo è. Ma so di certo una cosa… che l’amore non ha nulla a che fare con quello che tu provi per me.”
D’un tratto mi sentii annaspare come in ricerca di ossigeno. Che cosa stava dicendo, era completamente andata fuori di senno? 
“O-ora b-basta, Shanpū…”, provai a ribattere, accorgendomi che stavo cominciando anch’io a piangere, ma lei mi sovrastò: “Ricordo ancora quando avevamo tre anni e ci sfidammo in combattimento, io volevo vincere a qualunque costo e così ti tolsi gli occhiali e ti misi fuori combattimento con un calcio. Ebbene, vorrei non averlo mai fatto. Da quel momento… da quel momento ho perduto Mùsī, il mio amico d’infanzia…
Fu proprio allora che fece capolino la vecchia, e Shanpū le corse incontro singhiozzando e mormorandole parole che non riuscii a udire. Dal canto mio rimasi impalato nella mia posizione, come un bambino beccato con le mani nel vaso di marmellata, soprattutto incapace di dare un senso a quanto lei mi aveva detto. Lei? Era il collirio ad aver parlato, non poteva essere lei a pensare quelle cose.
Certamente era andata così: non mi ero mai rivolto a Shanpū così schiettamente prima d’ora, e aver appreso d’un colpo tutta la verità sulle sue illusioni e su quanto fossero profondi i miei sentimenti l’aveva sconvolta. Doveva semplicemente fare ordine nei suoi pensieri. Non poteva non aver funzionato.
Le andai incontro, ma lei sbatté la porta e Koulong, rimasta nel locale, mi si piazzò davanti, impedendomi di inseguirla.
“Credo che tu abbia fatto abbastanza danni, per oggi”, mi disse fissandomi con durezza.
Normalmente avrei avuto timore di una sua reazione, ma mi sentivo fin troppo compromesso e perciò ressi il suo sguardo.
“Non sono affari tuoi, vecchia. Lo so che mi disprezzi, e la cosa è reciproca, ma tengo a tua nipote molto più di te e farò in modo che lei lo comprenda e sia liberata dal giogo delle vostre stupide leggi, che tu lo voglia o no.”
“Parole da vero eroe”, sogghignò la megera. “Ma ti assicuro che se c’è qualcuno che ha sempre pensato ai suoi sentimenti, quella sono io. Se si fosse semplicemente trattato di dover rispettare una qualche obbligazione, non avrei esitato un momento a portare via con noi il futuro marito volente o nolente, invece di trattenermi qui a Nerima per tutti questi mesi. Tuttavia Shanpū non vuole soltanto sposarlo, desidera che lui la ricambi spontaneamente dal profondo del cuore… e lasciatelo dire da una con cent’anni di esperienza in più di te, non esiste al mondo alcuna medicina o magia che possa ottenere questo risultato. Se dunque Shanpū riuscirà nel suo intento, buon per lei. Altrimenti… avrà comunque avuto un’importante esperienza di vita, che la forgerà per il futuro.”
Da quando la vecchia era diventata così loquace? A meno che… giusto, il collirio!
“Comunque seguila pure, se proprio ci tieni”, aggiunse facendosi da parte, “e ad ogni modo non ti disprezzo quanto tu disprezzi me. O stai certo che non ti avrei permesso di vivere con noi sotto lo stesso tetto e arrivare a tormentare mia nipote fino a questo punto… ma spero che tu abbia imparato una buona volta la lezione. Se non è ancora così, a giudicare da quel che ci sta succedendo, sono sicura che molto presto lo farai.”
Io tormentare Shanpū? L’età avanzata aveva evidentemente avuto la meglio sulla vecchia Koulong, e poco importava che mi avesse appena parlato con sincerità, per una volta: tutte e due si ostinavano a non comprendere.
Quando uscii sulla strada, Shanpū non si vedeva già più in giro. Ma non occorreva di certo un indovino per sapere dove si stesse dirigendo. E dove mi sarei diretto a mia volta.


 
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“Quindi fu così che cominciò?”
“Io lo definirei, piuttosto, l’inizio della fine. Da lì fu un cammino fin troppo rapido e scosceso, e non me ne resi conto finché non fu troppo… troppo tardi…”
“...Mousse?”
“Mi… mi scusi.”
“Se non se la sente di continuare, per oggi possiamo fermarci qui.”
“No… no, no. È stato un momento, è già passato. Dopo tutti questi anni, a furia di rivivere quei ricordi nella mia testa, ci ho praticamente fatto il callo. E non si tratta di una storia ancora molto lunga, anzi spero che la cosa non la deluda.”
“Per nulla. Devo dire che molti punti si stanno facendo chiari, che i pezzi del puzzle stanno cominciando a ricomporsi.”
“Devo ammettere che questa non è la reazione che mi sarei aspettato da un giornalista di cronaca. Dev’essere davvero ben informato su di noi e sul nostro tran-tran un tantino surreale, per non aver dubitato un istante all'udire di questo collirio miracoloso, o comunque per non avermi interrotto prima di arrivare a questo punto.”
“Diciamo che ne ho viste tante anch’io. Sarà deformazione professionale? Pensi che cominciai la mia carriera come semplice paparazzo di celebrità. Raccogliere informazioni nell’ombra è stata fin dall’origine la mia abilità maggiore, per quanto non ne vada più orgoglioso come un tempo.”
“Già. Anch’io, come le accennavo prima, ho chiesto notizie su di lei e conosco tra l’altro le sue capacità di fotografo.”
“La fotografia, vero. Ammetto che fu proprio quella mia passione di gioventù a legarmi in modo indissolubile alla sua storia.”
“Finalmente un’ammissione, per quanto piccola. Si è deciso, come le chiedevo all’inizio, a giocare a carte scoperte?”
“Quasi. Le chiedo la cortesia di finire di raccontare. Poi le dirò tutto anch’io, è una promessa.”
“Va bene. Ma per favore, ormai diamoci del tu. E permettimi, soltanto, di ordinare un altro smoothie. Mi è venuta la gola secca.”


 
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“Buongiorno, Mousse. Sei venuto anche tu a trovare Ranma? Certo che questo è il giorno delle visite, prego accomodati”, mi disse tutto d’un fiato Kasumi Tendo, serafica come suo solito. L’esatto contrario del mio stato d’animo di quel momento.
Dovevo provare il tutto per tutto e in quel frangente mi venne in mente che forse, semplicemente, mi serviva ancora un po’ di quel collirio. Mi trattenni al genkan, e proprio lì all’ingresso estrassi da una tasca il flaconcino e applicai su ciascuna iride ciò che ne restava. 
Il tutto per tutto, per l’appunto.
“Problemi di occhi secchi, eh? O piuttosto un inizio di congiuntivite, ragazzo mio? Ah ah ah!”, a parlare, venendomi incontro, era stato il dottor Tofu, che prima di allora avevo incrociato giusto un paio di volte ma la cui fama mi era ben nota. Il suo atteggiamento particolarmente ilare, e soprattutto il fatto che stesse indossando un libro aperto a metà a mo’ di copricapo, non mi fecero dubitare che al momento fosse una vittima di ‘Kasumite acuta’.
“Il dottor Tofu è sempre così gentile con tutti”, aggiunse la diretta interessata. “Pensa che è appena andato e tornato di corsa dal suo studio, tutto trafelato, apposta per prendere un suo vecchio manuale di ricette e prestarmelo: e questo solo perché cinque minuti fa gli avevo accennato che mi sarebbe piaciuto leggerlo, una volta o l’altra.”
“P-proprio così, Ka-Kasumi! Ora, se solo mi ricordassi dove si è andato a cacciare quel birichino di un tomo, eh eh…”, fece lui con una mano alzata a grattare la copertina del libro, senza accorgersi che non si trattava della sua nuca.
L’ignara Kasumi si portò una mano sulle labbra trattenendo una deliziosa risatina, credendo senza dubbio che l’altro stesse semplicemente dando spettacolo per farla divertire.
Qualcosa, nell’assistere a quella scena così tragicomica, mi mosse a compassione, portandomi a rivedere, almeno per qualche secondo, le mie priorità.
“In effetti… non si tratta né di occhi secchi né di congiuntivite, dottore. È che avrei tanto bisogno di comprarmi degli occhiali nuovi”, mentii improvvisando sul momento, “ma non trovo ancora una montatura che mi soddisfi. A proposito, posso provare un attimo i suoi?” e senza dargli il tempo di rispondere mi avvicinai a lui e glieli sollevai dal naso.
Facendo finta di concentrarmi sui suoi occhiali, mi soffermai invece a lungo sulle sue pupille confuse e annebbiate, prima di restituirglieli.
Appena un momento dopo, la quiete di quegli ultimi minuti divenne un lontano ricordo.
“Ragazza col codino, dannata! Non scappare e dimmi dove hai nascosto il mio Ranma!”
“Ragazza col codino, mia amata! Ero venuto a trovare Akane Tendo e ci sei anche tu, oh giorno fausto! Vieni tra le mie braccia!”
“Maledizione, volete decidervi a lasciarmi in pace tutti e due?!” 
Quelle grida provenienti dal giardino catturarono la nostra attenzione e subito dopo i protagonisti di quel siparietto sfrecciarono vicino a noi senza nemmeno considerarci, per continuare a rincorrersi in tondo lungo il perimetro della casa. Presagendo il caos in arrivo, feci cenno a Kasumi e al dottore di rientrare e tornai da solo nello spiazzo antistante il laghetto delle carpe; poco dopo fecero capolino anche Ukyo Kuonji e Akane Tendo, quest’ultima con un secchio in mano, ora vuoto.
La combriccola di sventurati quasi al completo, sebbene stranamente non scorgessi Shanpū da nessuna parte. Anche se per un momento un riflesso, o qualcosa di simile, mi abbagliò da poco distante e supposi che si fosse nascosta nelle vicinanze.
“Lo vedi cos’hai combinato, Akane?”, la rimbeccò Ukyo.
“Cosa c’entro io? Volevo semplicemente poter studiare in pace senza essere costretta ad ascoltare tutte le vostre moine, poi per me potete fare tutto quel che vi pare”, si schernì lei.
Insopportabili. Davvero, davvero insopportabili. Decisi di intervenire.
“Akane Tendo”, dissi. “E anche tu, Ukyo Kuonji. È ora di smettere una volta per tutte di mentire a voi stesse.”
“Mousse? Cosa…”
“Akane, anche una talpa più cieca di quanto lo fossi io fino a questa mattina”, le dissi non preoccupandomi di mascherare il mio tono scorbutico, “noterebbe da lontano un miglio quanto tu sia innamorata cotta di Ranma Saotome. E soprattutto, chiunque sano di comprendonio, a quest’ora, avrebbe realizzato che Ranma ricambia i tuoi sentimenti con altrettanta foga. L’esperienza di Jusendo non vi è forse bastata? Quante volte ancora dovrete mettere in gioco la vita l’uno per l’altra e viceversa, prima di ammettere l’evidenza?”
“Ma-ma... io…”, la diretta interessata era diventata più rossa del sole della bandiera giapponese.
“Oooh!”, civettò Nabiki Tendo, sbucata in cortile con in mano una teiera fumante. “Pare che oggi al nostro paperotto spennacchiato, come per magia, sia spuntata di colpo una folta criniera. Davvero interessante.”
“Un momento”, protestò Ukyo. “Ran-chan non ricambia un bel niente, non scherziamo! E tu, Mousse, come ti permetti di venire qui a farci il maestrino per raccontare solo le balle che ti fanno più comodo? Lo sanno anche le carpe qui presenti che, ammesso che lui e Akane si mettessero insieme, l’unico che avrebbe da guadagnarci saresti tu!”
“Ragazza col codino, muori!”
“Ragazza col codino, sposami!”
“Aaaaahhh!”
“A proposito di guadagnare qualcosa, perdonate un attimo l’interruzione”, Nabiki allungò il braccio e versò il contenuto della teiera, intercettando Ranma e i suoi inseguitori che avevano appena terminato un altro giro della casa. Inzuppato dalla testa ai piedi, al posto della ragazza con la treccia dai vestiti troppo larghi, adesso si ergeva il mio odiato rivale in amore.
“Maledizione, Nabiki! Scotta!”
“Prego, futuro cognatino, non c’è di che. E non preoccuparti, ti addebiterò i 2.000 yen per il servizio sul solito conto.” 
“Adorato Ranma-sama! La forza dell’amore ti ha fatto tornare da me!”
“Mia amata…? Ma dove sei scomparsa? Ranma Saotome, confessa: hai di nuovo eseguito una delle tue stregonerie?!”
“Dateci un taglio, decerebrati che non siete altro!”
Tutti si ammutolirono di colpo, davanti alla mia sparata. Ma avevo così tanto da dire, che mi sembrava essermi espresso in maniera fin troppo gentile.
“Sì, mi avete sentito bene. Passiamo a voi due, o giovani ebeti della stirpe bacata dei Kuno. L’oggetto del vostro amore/odio si è appena trasformato davanti ai vostri occhi, cos’altro ci vuole per farvelo entrare in quelle testoline piene di spifferi? Ranma Saotome e la ragazza col codino sono la stessa persona! Hanno gli stessi vestiti, la stessa pettinatura, lo stesso modo di parlare, per l’amor del cielo! Con tutte le cose strane cui vi è capitato di assistere, vi è così difficile comprendere che è vittima di una maledizione che lo costringe a cambiare sesso?!”
Kodachi sembrò la prima a riscuotersi, o almeno così mi illusi per una frazione di secondo.
“Vuol… vuol dire che il mio amato Ranma è vittima di una tragica maledizione? Ma non si tratta di nulla che la forza del nostro amore non possa sconfiggere, giusto? Vieni, tesoro: divora bramoso le mie labbra, e accetta che, come nelle fiabe, il mio bacio ti guarisca dal malefico incantesimo!”, e si lanciò addosso a lui, senza dar tempo alle altre pretendenti di accennare un minimo di reazione.
Con nostra sorpresa collettiva, però, Saotome fu ancora più lesto e si scansò di lato, lasciando caracollare Kodachi rovinosamente a terra.
“Ma… cosa…”
“Lo vuoi. Capire. Una volta per tutte”, Ranma sembrava improvvisamente fuori di sé dalla rabbia. “Io non ti amo, Kodachi. Non ti ho amato, né ti amerò mai. Sei solo una squilibrata, vittima di montagne di romanzetti harmony, che si è costruita un castello di carte immaginario. Ma la realtà è una sola: io non ne voglio sapere nulla di te.”
Questa era bella. Anche Saotome era finito sotto l’effetto del collirio? Ma non mi pareva che i nostri sguardi si fossero ancora nemmeno incrociati. Mi sbagliavo, forse?
“Oh!”, alla cuoca di okonomiyaki sfuggì un accenno di applauso. “Era ora! Ben detto, Ran-chan.”
“Questo riguarda anche te, Ukyo.” L’interessata si congelò sul posto, sicuramente sconvolta dal non essere stata chiamata Ucchan come al solito. “Siamo amici d’infanzia, alla nostra amicizia ci tengo da morire, ma è solo questo, nulla di più. E non è possibile che tu continui a ignorarlo nonostante tutti i miei segnali, anche se ammetto di avere anch’io le mie colpe, per non essere riuscito a parlare chiaro. Perché io… per quanto abbia provato più volte a negarlo a tutti, anche a me stesso, io…”, per un momento credetti che la timidezza di Saotome stesse per avere il sopravvento perfino sul collirio, “sono innamorato di Akane.”
“Oh, Ranma”, la fidanzata si portò tremante le mani alle labbra. “Anch’io… anch’io ti amo, ma ero troppo orgogliosa e testarda per confessartelo, anzi anche solo per confessarlo a me stessa.”
“D-davvero?”, il ragazzo col codino le si avvicinò imbarazzato, fissando con particolare interesse le punte delle proprie scarpe. “Pure io credo di aver permesso al mio amor proprio di avere, fin troppe volte, il sopravvento… e sotto sotto, dietro la mia facciata di artista marziale impavido ed invincibile, credo di aver sempre covato la segreta paura che tu… non mi ricambiassi.”
Come evocati per magia, Soun Tendo e Genma Saotome erano sbucati dal nulla esibendo, tutti festanti, delle bandierine colorate e mettendosi a danzare in circolo.
“È fatta, Saotome! Le nostre scuole saranno finalmente unite e io avrò i dieci o dodici nipotini che ho sempre desiderato!”
“Evviva, Tendo! Ora sono sicuro di poter vivere a sbafo a casa tua, con vitto e alloggio gratis, per il resto dei miei giorni!”
“Marito mio”, disse una Nodoka Saotome raggiante, spuntata alle loro spalle, “sei un completo buono a nulla, ma al momento sono troppo felice di vedere Ranma comportarsi in maniera tanto virile, per prendermela con te!”
“E bravi i nostri piccioncini”, plaudì Nabiki. “Organizzeremo di corsa un nuovo matrimonio e io deterrò l’esclusiva delle foto e dei filmati, facendo ancora una volta soldi a palate alle vostre spalle!”
Questi ultimi attacchi di sincerità passarono praticamente inosservati agli altri (ben abituati ad uscite simili, da parte di quei soggetti) ma non a me, incuriosito ancora una volta da quanto si stessero estendendo le conseguenze del farmaco.
Mi ricordai di aver detto al venditore ambulante che parlava dei suoi effetti come se si trattasse di un’epidemia. Ma possibile che si stesse sul serio diffondendo per via aerea, alla stregua di un virus e contagiando via via tutti quanti?
“Quale… quale follia ha mai ottenebrato le menti di noi poveri stolti?”, sibilò la voce di un Tatewaki Kuno finalmente ripresosi dallo shock, facendosi largo tra una Kodachi ancora gambe all’aria ed una Ukyo esplosa in lacrime. “Il rintocco della campana di Gion ha forse risuonato, una volta per tutte, l'eco dell'impermanenza del mondo in cui ci eravamo beatamente cullati? Ecco che tutte le nostre certezze svaniscono come sogni di una notte di primavera… e la ragazza col codino altro non era che una di queste illusioni, destinata a sbiadire tra i ricordi confusi del risveglio, insieme all’amore che la dolce Akane non ha mai coltivato per il sottoscritto…”
Spalancai la bocca dallo stupore. Sì, va bene, il collirio della sincerità e tutto il resto… ma perfino Kuno stava finalmente vedendo la luce?
“Tuttavia”, sibilò il kendoka facendomi ricredere in un attimo, “giammai potrò perdonare l’artefice di questi inganni… Ranma Saotome, tu vile incantatore, la spada di Kuno si impregnerà del tuo sangue e squarcerà il velo di menzogne di cui ci hai fatti cadere vittime!”
“Impregnarsi del suo sangue… un bokken di legno? Non credi di pretendere troppo dalla tua arma, Kuno-chan?”, provò a notare Nabiki. Lui la ignorò, ma poi di colpo il terreno franò letteralmente sotto i suoi piedi, sprofondandolo.
Bakusai tenketsu!”, dalla piccola voragine sbucò fuori la testa di Ryoga. “Cosa? Di nuovo tu, Mousse? Non dirmi che ho girato in tondo e sono tornato al Nekohanten! Ma un momento, come mai vi siete riuniti tutti qui?”
Fu in quel preciso istante che un urlo sgraziato riecheggiò, inaspettato e disarmante come un tuono in una limpida giornata di sole, dall’interno delle mura domestiche. Riconoscemmo tutti la voce di Kasumi Tendo, e come per un tacito accordo il caos che ci circondava fu sostituito da un silenzio tombale. Si trattò di appena pochi secondi, in cui ci guardammo l’un l’altro, spaesati, come se solo quel grido avesse, sul serio, turbato l’ordine delle cose.
Infine ci riprendemmo da quella specie di incanto, e come una sola persona piombammo tutti quanti, nessuno escluso, all’interno di casa Tendo.
Scostando per primo i noren della cucina, davanti a me si parò la disturbante immagine del dottor Tofu Ono che provava ad abbracciare la più grande delle tre figlie di Soun Tendo, mentre quest’ultima cercava di sottrarsi ed arretrava contro la parete, bianca come un cencio.
“Ma Kasumi, perché mai questa reazione? Non capisci…? È un miracolo. Finalmente riesco a parlarti, libero della mia timidezza, lucido di pensiero, capace di dirti quello che provo: anzi quello che ho sempre provato per te, sin da quando tu andavi al liceo. Tutti questi anni, mi comprendi? Io ti amo, Kasumi. Ti amo più di qualunque altra cosa al mondo e ora che riesco a farlo, non mi stancherò mai più di dirtelo. Sposiamoci e concedimi l’onore di diventare la signora Ono.”
“Lo… lo scherzo è bello finché dura poco. N-non trova, dottore?”, chiese lei con tono quasi supplichevole. “Ora, per favore, m-mi lasci andare… dovrei preparare la cena…”
“Ma Kasumi, non hai sentito quello che ho detto? Io ti amo!”
“Ma io no!”
“...”
“...dottor Tofu, lei rappresenta un caro amico, una persona che ha fatto tanto per me e per le mie sorelle in questi anni, e gliene sarò sempre grata. Ma semplicemente io non nutro quel tipo di sentimenti per lei. Lo accetti, la prego.”
Tofu sembrò vacillare, poi, come spinto dalla forza della disperazione, si protrasse ancora in avanti e Kasumi gridò di nuovo. A quel punto Soun Tendo, livido di rabbia, si lanciò contro il dottore e gli altri si fiondarono a loro volta a frapporsi tra loro, prima che il capopalestra potesse alzare le mani. Kasumi aveva cominciato a singhiozzare.
“Tu va ancora tanto fiero di te, adesso, stupido papero?”
Saltai sul posto, come se alle mie spalle fosse appena comparso un fantasma.
“Shanpū! Ma tu… da quanto…?”
“Da prima che tu giunge a casa di Tendo. Ma io non aveva bisogno di fare baccano: voleva vedere con miei occhi, ascoltare con mie orecchie”, adesso era lei a scrutare me. Ma il suo sguardo non era arrabbiato, o accusatorio. Piuttosto… spento. 
“Bisnonna spiegato me di tuo incantesimo, prima, al ristorante”, proseguì, “e io allora venuta qui perché voleva sentire. Sentire dalle parole di Ranma quel che io sapeva già da tanto tempo nel mio cuore.”
“Allora… mi hai compreso? Le mie intenzioni erano buone. Volevo che tu capissi. Tutto ciò che ho fatto, è stato solo per il tuo bene…”
“No. Tu agito così solo per tuo tornaconto. Tu ha pensato solo a te stesso, come sempre. Tu non vuole mio bene, vuole solo che io ama te. Tu non diverso… non diverso da dottore, che mai una volta si è chiesto se Kasumi provava per lui stesse cose.”
Avvertii una fitta lacerarmi il petto, ma anche questa volta mi sentii accusato ingiustamente.
“Come puoi parlarmi così proprio tu, che hai cercato ripetutamente di arrivare a Ranma con i trucchetti o con l’inganno? Io, invece, mi sono sempre rifiutato di ricorrere a certi mezzucci… proprio io, che in combattimento sono il maestro delle armi nascoste e del gioco sporco, con te sono invece sempre stato limpido ed onesto.”
Oh, povero, povero Mùsī…”, Shanpū aveva ripreso a parlare in cinese, e ciò non costituiva un buon segno. “Infatti non è questa la tua colpa. Ma tu non lo vedi ancora, non è vero?”. E detto ciò estrasse un piccolo specchio tascabile, mostrandomi la mia immagine riflessa.
Ora sii tu a scrutare attentamente te stesso, fin dentro la tua anima. Te l’ho già detto prima, ricordi? Fu quel giorno di tredici anni fa in cui ti sconfissi in combattimento, che tutto cambiò. Eravamo cresciuti insieme, compagni d’infanzia e di giochi. Ma da quel momento non ti bastava più, volevi altro da me… e non eri disposto ad accettare un no come risposta. Non contava quante volte respingessi le tue avances: tu, testardo come un mulo, tornavi subito a corteggiarmi più insistente di prima, convinto che prima o poi avrei dovuto cedere, che avrei dovuto ricambiarti semplicemente perché lo volevi. Ma questo non è amore… si chiama ossessione. Forse non così differente dalla mia, e da quella delle altre, per Ranma. Alla fine, dopotutto, devo ringraziarti, per avermene fatto rendere conto.”
“Io… io non…”
“Ma ora, mio vecchio amico d’infanzia, tocca a te… Addio, e promettimi che anche tu riuscirai a scrollarti di dosso la tua ossessione e andare avanti.”
Ciascuna di quelle parole mi colpì come una pugnalata in pieno petto, ma non era una sensazione facile da descrivere. Il punto è che al tempo stesso coglievo la verità di ogni frase: il collirio stava facendo effetto anche su di me e mi era perfettamente chiaro pure il motivo di ciò. Chi usava il farmaco diveniva in grado di squarciare il velo delle ipocrisie delle persone che osservava, di indurle a lasciar fuoriuscire i propri sentimenti. Ma, paradossalmente, costui rimaneva l’unico incapace di essere sincero con se stesso. 
Da qui il sotterfugio dello specchio, che sicuramente era stato consigliato a Shanpū dalla sua bisnonna. Non c’era nulla da fare, quella vecchia era sempre un passo avanti a tutti…
Non posso dire di non essere rimasto traumatizzato da quell’improvvisa consapevolezza dei miei errori di una vita, così quando mi ripresi Shanpū era già sparita dalla circolazione e io mi ero ritrovato pressato dalla calca degli ospiti di casa Tendo, che avevano anch’essi il loro bel daffare per venire a patti con tutte quelle verità portate alla luce.
Kuno, in particolare, era tornato alla carica, distruggendo tutto quello che trovava davanti a sé, e anche Kodachi sembrava più pazza che mai. 
“Ranma-sama, non potrò mai perdonarti per esserti preso gioco del virgineo cuore di questa fanciulla indifesa. Il mio disonore non potrà essere lavato se non uccidendo te e tutte le altre che hai ingannato come la sottoscritta. Infine ti raggiungerò anch’io all’altro mondo… e magari troveremo la nostra comune felicità nella prossima reincarnazione.”
“Fate attenzione a quelle rose nere, potrebbero essere narcotiche o perfino più pericolose! E tu Nabiki, dovevi proprio suggerire a quello svitato del senpai di sostituire il suo bokken con la katana di famiglia? Akane, tu stai dietro a me!”
“Ranma, amico mio fidato! Non temere, combatterò al vostro fianco assicurandomi che possiate coronare la vostra storia d’amore!”
“Ryoga… non fraintendermi, mi fa piacere non dovermi sorbire, per una volta, il tuo solito ‘preparati a morire!’. Ma, ehm, sei proprio sicuro di sentirti bene?”, gli domandò, calciando lontano alcune rose esplosive.
“Mai stato meglio. Un tempo, è vero, scoprire che tu e Akane vi amate mi avrebbe fatto impazzire dal dolore, ma oggi mi è tutto così chiaro: voi siete felici e io, da vostro amico, sono felice per voi. Io amo Akari e lei ama me, e anche noi, perciò, vivremo per sempre felici e contenti! Questa ondata di sincerità è la cosa più bella che mi sia mai capitata!”, sorrise Ryoga, respingendo con il proprio ombrello un affondo di Tatewaki. “Oh, a proposito di sincerità: Akane, non ti ho mai detto che io sono P-chan.”
“Tu che cosa?!”, esclamò Akane, mentre stendeva al tappeto il senpai con un calcio rotante.
“P-chan, sì. Non ti sei chiesta com’è che non comparissimo mai nello stesso posto e nello stesso momento? Con tutte le maledizioni di Jusenkyo, onestamente, te lo saresti dovuto aspettare.”
“Ra… Ranma. E tu ne eri a conoscenza?”
“Beh, sì. Fin dal primo giorno”, rispose il fidanzato, mentre immobilizzava Kodachi con il suo stesso nastro.
“E non… non ti è mai passato per la mente di dirmelo? Hai lasciato che… che Ryoga, una persona di cui mi fidavo come di un fratello, nascondesse la propria identità e dormisse con me nel mio letto per tutto questo tempo? Non ti importava nulla?!”
“La prima notte, in realtà, ci ho anche provato a smascherarlo, ma tu mi hai preso per un maniaco. E dopo semplicemente ho tenuto in maggior considerazione i sentimenti di Ryoga, che temeva di essere scoperto, rispetto ai tuoi. Chiaro, no?”
Sciaff. Fino a quel momento mi ero limitato a difendermi dagli attacchi casuali dei fratelli Kuno e a udire i loro discorsi, ancora rintronato dagli ultimi avvenimenti, ma non avevo bisogno di voltarmi per sapere (ormai ero un esperto di quel particolare suono) che Akane aveva appena schiaffeggiato entrambi, per correre via sconvolta.
“Akane, aspetta…! Stupido suino, cos’hai fatto? E cosa mi hai fatto dire?! È stata tutta colpa tua!”
“Hai… hai ragione. Come pensavo di passarla franca, impunito, dopo aver ingannato in questo modo così meschino e vigliacco la prima ragazza che è stata gentile con me? Io… io faccio schifo. Non sono un verme, sono peggio di un verme. Sono una nullità. Ho voglia… ho voglia di lasciarmi… sprofondare…”
L’aura di Ryoga Hibiki si appesantì e, avvertendo il pavimento tremare sotto i miei piedi, ebbi una tragica intuizione su ciò che stava per accadere.
“E-ehi, Ryoga!”, provai a dire, “non oserai… qui dentro…”
Fu in quell’istante che realizzai un’altra cosa. Erano tutti su di giri. Voglio dire, più del solito. Era come se quell’epidemia di sincerità avesse ubriacato tutti quanti, facendo perdere loro la tenuta delle proprie emozioni. Ogni secondo che passava, erano tutti sempre più privi di autocontrollo. E una cosa simile, nel caso di Ryoga, poteva solo significare che…
“No! Non farlo!”
Anche Ranma, finalmente, se n’era accorto. Ma era troppo tardi.
“Shishi…”
L’aura di Ryoga esplose tutta insieme, in una colonna di luce.
“...hōkō…”
Non ci fu tempo per riflettere. Non ci fu tempo per fare nulla.
“...DAAAN!”
E fu la fine del mondo.
Almeno, la fine del nostro mondo.


 
-- -- --
 

“...”
“Già, proprio così. Quella che i giornali ribattezzarono la ‘tragedia di Nerima’ non fu dovuta ad un’esplosione da fuga di gas, un terremoto, o non mi ricordo più cos’altro. Solo un gruppo di artisti marziali stolti. Forse uno più degli altri, ma nessuno di noi, francamente, si salvava: eravamo dei bambini che giocavano con il fuoco e che ne sono rimasti scottati. E purtroppo a quasi nessuno di noi è stata concessa una seconda possibilità.”
“Quindi mi confermi, Mousse, che tu fosti l’unico sopravvissuto? Eppure, con le vostre incredibili capacità…”
“C’è un limite a tutto. Un Ryoga che avesse mantenuto almeno un briciolo di lucidità, non avrebbe mai sparato uno Shishi hōkōdan a piena potenza in un ambiente chiuso. Non fu solo il colpo di per sé, dalla potenza comunque spaventosa. La casa intera ci crollò addosso, mura e tutto il resto. E tra l’altro eravamo estremamente scossi, non al meglio di noi, distratti dai tumulti che erano già scoppiati nei nostri cuori. Alla fine, inconsapevolmente, aveva avuto ragione fin dall’inizio quel commesso viaggiatore… la verità andrebbe presa in piccole dosi, esattamente come una medicina.”
“Ma… un momento. Ora che ci penso, Shanpū si era defilata poco prima della catastrofe. Lei dovrebbe aver fatto in tempo a salvarsi.”
“Fu quello che pensai anch’io, almeno quando ripresi conoscenza. Ma erano già passate delle settimane, ero rimasto in coma e mi ero risvegliato in un letto d’ospedale, scoprendo di aver perso la mobilità degli arti inferiori. Da qui la sedia a rotelle, ma credo che tu abbia notato questo piccolo particolare fin dall’inizio. E quando fui dimesso… non voglio dire che ero ancora ossessionato da lei, non dopo tutto quello che era accaduto. Ma ero curioso, così mi recai lo stesso al Nekohanten.”
“E…?”
“E nulla, lo trovai chiuso, le saracinesche abbassate. La vecchia Koulong aveva alzato i tacchi, decidendo di far sparire ogni traccia di sé. La domanda era: con la bisnipote al seguito, oppure no? Chiaramente, a quel punto, la mia prima risoluzione fu quella di partire per la Cina e fare anch’io ritorno al nostro villaggio, ma… poi mi dissi, volevo davvero conoscere la risposta? Shanpū non mi aveva forse detto addio, invitandomi a guardare avanti? E così fu ciò che decisi di fare. Non le avevo mai dato veramente ascolto, finora, perciò le dovevo almeno il rispetto di quest’ultima sua richiesta. Il primo passo, per fare ammenda.”
“Una fine davvero triste. Pensare che nessuno di loro è rimasto tra noi…”
“Non proprio tutti, tutti. Il vecchio Happosai, ad esempio, non era nei dintorni e si è salvato. Alcuni dicono che sia vivo e vegeto perfino oggi, dopo tanti anni, e di averlo visto rubare gli asciugamani alle ragazze negli onsen. Lui, o una scimmia delle nevi che gli somigliava. E poi c’erano Akari, e quel kunoichi maschio, Konatsu, anche se ignoro che fine abbiano fatto. Inoltre… forse, uno di loro, ce l’ho proprio qui davanti a me…”
“...beccato. Per quanto, pormi al vostro stesso livello sarebbe piuttosto superbo, da parte mia. E poi sono sempre stato abituato a passare inosservato.”
“Non sottovalutarti. A modo tuo anche tu eri riuscito a farti considerare da Ranma Saotome come uno dei suoi avversari. O un elemento di disturbo, che alla fine è la stessa cosa. Quanto a me, il tuo nome mi era sembrato subito familiare e mi è bastata una visita all’Istituto superiore Furinkan per avere conferma che, sì, uno dei loro vecchi allievi si chiamava Hikaru Gosunkugi e frequentava la stessa classe di Ranma e Akane.”
“Sei il primo che mi abbia dedicato tutta questa attenzione.”
“Lo ripeto, non sottovalutarti, Hikaru.”
“Gosunkugi è più che sufficiente. Anch’io sto facendo ammenda… noi due non abbiamo mai avuto modo di incontrarci, a quei tempi, ma non ti sei perso granché. Facevo parte a pieno diritto della categoria degli ossessionati: da Ranma, il ragazzo popolare per eccellenza, che tentavo di eliminare dalla mia strada con goffe maledizioni voodoo che mi si ritorcevano contro il più delle volte. E naturalmente da Akane Tendo, per la quale stravedevo ma a cui non avevo il coraggio di rivolgere la parola: invece mi limitavo ad ammirarla da lontano, la fotografavo di nascosto, insomma ero un vero e proprio stalker.”
“Sai? Invece ho l’impressione che, se ci fossimo conosciuti, in qualche strana maniera ti avrei trovato simpatico.”
“Comunque… ho fatto una promessa, prima, ed è il momento di mantenerla. Avevo detto che è stata la mia passione per la fotografia a collegarmi alla tua, alla vostra vicenda, e non esageravo. C’ero anch’io, quel giorno. Durante gli ultimi avvenimenti a casa Tendo, io mi trovavo appollaiato sul ramo di un albero a debita distanza, munito di una Reflex con teleobiettivo.”
“Preferivi rischiare l’osso del collo piuttosto che acquistare le sue foto direttamente da Nabiki Tendo? So che gestiva praticamente un mercatino.”
“Ti dirò, lei non l’ho mai sopportata… ma tornando a noi, fu quel giorno, dopo aver assistito all’esplosione e alla casa che crollava su se stessa, che improvvisamente acquistai consapevolezza del mio orribile stile di vita e mi feci un profondo esame di coscienza. Per anni avevo attribuito questo mio cambiamento allo shock dovuto al disastro.”
“E invece…”
“Invece il responsabile eri tu, anche se non potevi saperlo. Incuriosito dal trambusto di tutti gli arrivi di quel giorno, dai Kuno in poi, mi ero messo a spiarvi con dovizia, cercando di capirci qualcosa. E naturalmente incrociai anche il tuo sguardo.”
“Il riflesso che avevo notato. Evidentemente era quello del tuo obiettivo. E anche questo è coerente con le spiegazioni che mi sono dato, nei mesi successivi alla disgrazia. Il sovradosaggio del collirio ne aveva aumentato il potere a dismisura: non era più necessario che io fissassi qualcuno, per contagiarlo, ma bastava che chiunque guardasse me, anche solo per pochi istanti. Non ne ho la controprova, ma spiega perfettamente come mai anche Kasumi, Ranma e altri ancora fossero preda di questa Sindrome della sincerità, sebbene non avessi provato ad esercitare attivamente il mio potere su di loro.”
“Beh, ora hai anche la mia testimonianza, per quel che può servire.”
“Più che altro, mi conforta scoprire che quel collirio ha anche fatto del bene, in mezzo a tanta tragedia. Forse un tempo ti si sarebbe potuto definire un liceale stravagante, o un maniaco: ma da quanto ho appurato durante la nostra conversazione, tu, Gosunkugi, oggi mi sembri diventato proprio un tipo a posto.”
 
 
 

 
NOTE FINALI
 
 
Chi mi conosce sa che non vado matto per i glossari, perché mi dispiacerebbe l’idea di avervi costretto ad interrompere la lettura per scorrere la pagina alla ricerca dei significati delle varie parole straniere. Mi sembra comunque giusto rivelare, almeno arrivati qui alla fine, che il soliloquio di Kuno, sulla falsariga di quello del suo esordio nell’anime, contiene una citazione (storpiata) dello Heike monogatari, romanzo giapponese del XIV secolo. Poi cos’altro? I kishimen sono degli spaghettini sottili tipici di Nagoya, una variante degli ormai abbastanza conosciuti “noodles”. Il genkan è l’area interna posta subito dopo la porta di ingresso, dove ci si toglie le scarpe. I noren sono dei divisori in tessuto che separano gli ambienti interni della casa.
 
Infine (qui il venditore ambulante che parla!), per quelli tra voi lettori che foste interessati ad acquistare il nostro rivoluzionario collirio, Seishin-me si scrive 誠心目, con i caratteri di sincerità, cuore e occhio. Naturalmente anche per l’invenzione di questo vocabolo il merito va tutto a Tillyci, che ha tramutato in realtà il mio sogno di un artefatto takahashiano dal nome plausibile.
 
   
 
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