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Autore: musa07    06/03/2023    1 recensioni
[AU-Conservatorio][KageHina][SakuAtsu]
"Hinata correva per i corridoi del Conservatorio illuminati dalla luce rosea del sole al tramonto, quasi avesse avuto le ali ai piedi. E nel momento in cui arrivò nell’aula, spalancando la porta incurante del fatto che dentro vi si stesse svolgendo una lezione o delle prove, beh: no, non si aspettava di farla franca[...]
Dopo il loro incontro di qualche sera prima, conclusosi in quel locale vicino al Conservatorio proposto proprio da Shoyo (dove Shoyo aveva parlato e Tobio si era praticamente limitato ad ascoltare quel monologo fervido e infinito), Tobio non aveva capito perché quell’altro da quel momento si era sentito in dovere, e in diritto, di tampinarlo ovunque. Lo aspettava all’entrata del Conservatorio alla mattina, fuori dalle sue lezioni (a proposito: come faceva a trovarsi sempre già lì? Si teletrasportava alla fine delle sue?) e, ovviamente, se lo ritrovava tra i piedi anche al momento del rientro. Per non parlare della pausa-pranzo o durante le prove dell’Orchestra[...]"
Partecipa alla challenge #springbingo indetta dal gruppo FB italiano "Non solo Sherlock"
Questa storia è il continuo di "Speed Date"
Saranno presenti diversi personaggi e diverse coppie
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Kiyoomi Sakusa, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prompt: “The air in full of sound” di Marta B.
               “Ancora tu?” di Darlene

 
Questa storia è il continuo di questa
scritta per la challenge #comeasyouarenot2023

e sarà di diversi capitoli.
 
 
 



Capitolo 1
 
 

 
Hinata correva per i corridoi del Conservatorio illuminati dalla luce rosea del sole al tramonto, quasi avesse avuto le ali ai piedi. E nel momento in cui arrivò nell’aula, spalancando la porta incurante del fatto che dentro vi si stesse svolgendo una lezione o delle prove, beh: no, non si aspettava di farla franca. Non si aspettava di certo che Ukai-sensei sarebbe stato indulgente come lo era stato poco prima Takeda-sensei quando quest’ultimo era stato travolto da quel tornado, finendo gambe all’aria con spartiti e tutto.
Se quindi Shoyo non si aspettava da Ukai-sensei una sonora risata com’era esploso il suo collega, mai si sarebbe aspettato che la sfuriata invece sarebbe arrivata da Tobio, nel momento in cui aveva fatto irruzione nell’aula urlando un sonoro, quanto eccitato: KA.GE.YA.MA!
 
Dopo il loro incontro di qualche sera prima, conclusosi in quel locale vicino al Conservatorio proposto proprio da Shoyo (dove Shoyo aveva parlato e Tobio si era praticamente limitato ad ascoltare quel monologo fervido e infinito), Tobio non aveva capito perché quell’altro da quel momento si era sentito in dovere, e in diritto, di tampinarlo ovunque. Lo aspettava all’entrata del Conservatorio alla mattina, fuori dalle sue lezioni (a proposito: come faceva a trovarsi sempre già lì? Si teletrasportava alla fine delle sue?) e, ovviamente, se lo ritrovava tra i piedi anche al momento del rientro. Per non parlare della pausa-pranzo o durante le prove dell’Orchestra.
 
- Boke ma ti rendi conto?! – gli stava chiedendo sconcertato, dopo averlo trascinato a forza fuori dalla sala dove lui e altri archi si stavano esercitando in un quartetto per una serata di Beneficienza prevista tra qualche giorni – Hai interrotto l’esecuzione! –
- Lo so, perdonami Kageyama - si scusò mortificato, capo chino fissandosi la punta delle scarpe e stringendo a sé la custodia della sua tromba quasi a trarne conforto. – ma… - ci provò, illuminandosi, ricordando il motivo che l’aveva condotto là, ma l’altro fu irremovibile.
- Niente “ma”, non voglio sentir ragioni. –
- Ma… - ci riprovò Shoyo, alzando l’indice a voler richiamare l’attenzione dell’altro ma l’occhiata fulminatrice che Tobio gli lanciò, con annesso incrocio di braccia al petto, lo fece desistere per un istante.
- E’ una cosa che ti potrebbe interessare. – provò a tentarlo poi, ma il lieve inarcamento di sopracciglio del violinista gli fece capire che non era riuscito a destare la sua curiosità.
- Me ne potrai parlare quando avrò finito. – fu la replica irremovibile di Tobio e Hinata, seppur frustrato, non poté far altro che accettare quel verdetto, mettendosi a sedere tranquillo, imbracciando ancora una volta la custodia della sua tromba, sprofondando nella sedia e attendendo fuori dalla sala prove. Con un grosso sospiro tirò fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni il volantino che tanto voleva far leggere a Tobio, mentre si godeva come l’aria dei corridoi del Conservatorio – al solito – fosse piena di suoni. Un tripudio di strumenti e armonie. E, al solito, un sorriso felice gli apparve sulle labbra lasciandosi trascinare da quel caleidoscopio carezzevole.
 
Dopo essersi assicurato che la pece fosse ben distribuita sull’archetto, Tooru accarezzò con delicatezza i piroli assicurandosi che le corde fossero tese al punto giusto, pizzicandole appena. Soddisfatto del risultato, posò le dita con delicatezza. Le sue mani sembravano nate e fatte apposta per uno strumento come il violino. Lunghe. Affusolate. Leggiadre, ma allo stesso tempo forti e decise. Così com’era leggera ma decisa la pressione che il polso destro fece sull’archetto nel momento in cui attaccò la prima nota, scaturendo un suono pulito che si propagò nell’aria.
- Riconoscerei la tua maniera di accordare ovunque. –
E Tooru avrebbe riconosciuto quella voce, quel tono scanzonato ovunque.
Si girò verso la porta che aveva lasciato socchiusa ben sapendo chi vi avrebbe trovato. E fu così infatti…
Kuroo, appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate al petto, lo fissava divertito.
- Hai già finito per oggi? – si divertì a punzecchiarlo bonariamente il violinista, mentre appoggiava il suo prezioso strumento sulla custodia e si avvicinava alla porta. Sapeva perfettamente quale sarebbe stata la risposta, e già dovette frenare una risata. Risata che non gli riuscì proprio di soffocare quando vide l’altro prorompere nel suo solito sorrisetto storto.
- Neko-chan non puoi continuare a saltare le lezioni, o ancora peggio: a non esercitarti. Non all’ultimo anno almeno. – gli ricordò Tooru divertito, procurandogli un altro ghignetto divertito.
- Io mi esercito quanto basta. – fu la replica, che fece scoppiare a ridere ancora di più l’altro.
- E comunque, caro il mio sapientino e perfezionista al limite del maniacale, non sono venuto qui per farmi dare lezioni di educazione civica da te. – rincarò la dose Tetsurou – Ma per farti vedere questo… - proferì, sventolando sotto al naso dell’altro una locandina.
Tooru corrugò le sopracciglia mentre gli occhi scorrevano velocemente lungo le righe e Kuroo sorrise compiaciuto, perché era proprio il genere di reazione che si era aspettato dall’altro.
 
Incurante del vento gelido che stava sferzando dalla mattina, Sakusa Kiyoomi stava finendo di allacciarsi le stringhe delle scarpe da ginnastica per poter partire nella sua corsa. Non era un fanatico, assolutamente, ma dedicava a quell’attività almeno un’ora al giorno. Gli serviva, perché gli scaricava i nervi. Oltretutto, al di là di quello che potevano pensare i profani, stare seduto ore ad esercitarsi e provare, era stancante. Fisicamente stancante, oltre che mentalmente. I suoi insegnanti, in quegli anni, li avevano martellati fino alla nausea sul fatto che durante quel percorso di studi avrebbero dovuto dedicare anche specifica cura all’acquisizione di adeguate tecniche di controllo posturale ed emozionale. Il controllo emozionale lui ce l’aveva, di natura. Anche troppo, come gli ricordava sempre ridendo suo cugino Motoya, visto che era praticamente impossibile leggergli dentro, carpirne le emozioni, le sensazioni che gli passavano nell’animo. L’unico che ci riusciva, da sempre, era proprio Motoya appunto.
Kiyoomi sospirò, sgranchendo i muscoli delle braccia e della schiena prima di iniziare la sua falcata.
Controllo posturale ed emozionale, quindi. Ergo: una perfetta forma fisica gli sarebbe stata sicuramente d’aiuto per affrontare la professione che, si augurava con tutto il cuore, sarebbe stata la sua professione di vita. E nessuno aveva dubbi in proposito, visti i concorsi, i successi, i premi già ottenuti con una naturalezza sorprendente dato che pareva che il cello fosse il naturale prolungamento del suo corpo.
Quanti di loro, dei suoi compagni di corso, quando avevano iniziato il Conservatorio erano fermamente convinti e certi, nella beata incoscienza iniziale, che avrebbero fatto quello per sempre? Che suonare sarebbe stato il loro pane quotidiano. Tuttavia, arrivati quasi alla fine del percorso di studi, un pericoloso ticchettio aveva iniziato incessantemente a picchiettare nelle loro teste. Il tempo dei giochi stava per finire. Tic tac… tic tac… Sempre più pressante, sempre più vicino. Vedevano i loro stessi insegnanti più giovani arrabattarsi tra le lezioni al Conservatorio e i concorsi indetti da varie orchestre in giro per il paese, o anche oltre Oceano, perché in quel mondo - il mondo musicale, dell’arte – non bastava neanche essere un genio, era dura la strada che portava alla Vittoria. E tante vittime mieteva.
Con un grosso inspiro, Kiyoomi aumentò la sua andatura per la falcata finale, cercando di scacciare assolutamente quei pensieri affliggenti dalla testa. Ma, d’altra parte, il pensiero di cosa gli avrebbe riservato il futuro lo teneva così occupato che non aveva il tempo, né tantomeno le energie o la voglia di pensare ad altro.
Ancora ansante per lo sforzo fatto, con le mani appoggiate sulle ginocchia a cercar di riprender fiato, non lo sentì arrivare, fino a quando il nuovo arrivato non parlò.
E, nel caso in cui (impossibile) non avesse riconosciuto quella voce, il fastidioso nomignolo con il quale il trombettista si era sentito in diritto di chiamarlo fin dalla prima volta in cui si erano formalmente incontrati alle prove dell’Orchestra, non poteva passare inosservato.
- Omi! –
Kami Sama, quel cantilenare finale sulla lettera “i”… Non ce la poteva fare!
- Ancora tu? -
- È sempre un piacere per me vedere quanto tu sia felice di vedermi, Omi. – per nulla demoralizzato da quella fredda accoglienza. Anzi, era il loro modo di interagire e Atsumu se ne era affezionato ormai.
- Che vuoi, Miya? – ecco, con Miya Atsumu le sue emozioni, di fastidio, venivano fuori eccome.
- Senti, facciamola finita velocemente.  – gli si piantò davanti Kiyoomi, poggiando le mani sui fianchi e sovrastandolo con quei centimetri di altezza che li separavano, seppur anche l’altro fosse alto – Che cosa vuoi da me? –
- Beh, se me lo chiedi con questo tono… - fu la replica ammiccante di Atsumu che però gli procurò un’occhiata di palese degno e fastidio e lo vide costretto a fare una veloce corsettina per affiancare Kiyoomi che aveva deciso, visto quell’infelice uscita (l’ennesima di una lunga serie, a dover esser precisi) di lasciarlo al suo destino.
- Ti do tre secondi, Miya. – sollevando tre dita davanti al volto dell’altro – Tre… -
- Omi, ma come: non mi vuoi sperimentare per più tempo? Ti assicuro che non ne usciresti deluso. – di nuovo quel ghignetto sfacciato e dannatamente sicuro di sé. Che però non aveva nessun effetto su Kiyoomi. O almeno non l’effetto che sperava Atsumu.
- Due… - replicò infatti il violoncellista.
- Ok-ok! – si affrettò ora, Atsumu – Sono qui, perché ho bisogno del migliore. Ho bisogno di te. – gli disse, sventolandogli davanti al naso un volantino.
 
 
Continua…
 
 
 
 
   
 
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