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Autore: Federico    12/09/2009    0 recensioni
Ciao a tutti! Come già promesso, ecco qua la nuova storia del ciclo dei balenieri, prequel di "Tutte le scialuppe in mare". Nel 1817 Edward Newgate detto Barbabianca coltiva un ambizioso progetto: creare una ciuram perfetta per battere un suo vecchio rivale. Per riuscirci attraverserà gli oceani, offrendo una speranza di riscatto a chi non l'aveva e cacciando balene. Fatemi sapere se vi piace, mi raccomando!
Genere: Generale, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Barba bianca, Supernova | Coppie: Shichibukai/Flotta dei 7
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'La saga dei balenieri'
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Kizaru- Dignità passata, speranza futura

 

Copenaghen, Danimarca, 20 aprile 1817

La strada era deserta e silenziosa, quella mattina, quando d’improvviso si udirono delle grida concitate provenire da una taverna vicina al porto.

La porta si spalancò, e da essa un uomo alto e slanciato sulla quarantina fu proiettato fuori con violenza, incespicando paurosamente e finendo con la faccia in una pozzanghera fangosa.

“Non farti più vedere straccione!” sbraitò comparendo all’uscio un grasso oste dai baffi appuntiti che indossava un grembiule: “Non vogliamo perdigiorno come te! Prova a rimettere il naso nella MIA locanda e assaggerai di nuovo il MIO bastone!”.

Frastornato, l’uomo che era appena stato espulso così bruscamente si alzò in piedi, massaggiandosi il corpo dolorante per le botte, si pulì come poté gli occhiali e si guardò intorno.

Sconsolato dall’ostilità che l’ambiente circostante provava nei suoi confronti, prese a percorrere la strada lastricata da pietre irregolari a grande falcate.

La tristezza e la malinconia lo divoravano, ed erano anche aggravate dal ricordo che non era sempre stato così, che la sfortuna era purtroppo subentrata solo di recente e il disprezzo al suo seguito.

La gente che camminava ai suoi lati indaffarata in mille faccende si teneva a debita distanza, evitava di guardarlo e storceva il naso per l’odore non proprio pulito che lo ammorbava: certuni si facevano il segno della croce, altri sputavano per terra con disgusto.

Eppure tutti quelli fino a poco tempo prima come minimo si sarebbero scoperti il capo, avrebbero discusso con lui di vari argomenti, gli avrebbero offerto un bicchiere, come si conveniva a un uomo della sua posizione.

Era cominciato tutto tre mesi prima.

All’epoca Kizaru godeva di prestigio e agiatezza; era un navigatore esperto che comandava una bellissima e solida nave, l’“Archangel”, e una ciurma fidata di professionisti.

Per anni aveva svolto con successo il mestiere del baleniere, sfidando impavido uragani, ghiacci, guerre e corsari, girando i sette mari e realizzando grandi guadagni.

Poi venne quella dannata notte di gennaio.

Faceva freddo, molto freddo, e sul vascello tutti erano rintanati sottocoperta, cercando di poltrire sulle amache e di scaldarsi con birra e coperte di lane.

Sul ponte oscuro e coperto di nevischio, vestito con una pesante cappa da marinaio, con il volto seminascosto da una sciarpa e il cappello a tricorno calato sin sugli occhi, solo lui, il comandante, resisteva stoico.

Si era offerto di risparmiare ore di fatica agli altri membri della ciurma pilotando lui stesso la nave, e così la baleniera proseguiva nelle infide acque diretta verso casa.

Era una notte nerissima e quasi senza luna e, sebbene Kizaru stesse molto attento scrutando guardingo in tutte le direzioni, a un certo punto udì uno schianto terrificante: il veliero aveva urtato contro uno scoglio sommerso, squarciandosi.

Inutili furono i tentativi disperati di salvare l’ “Archangel” facendo forza sulle pompe; l’acqua entrava irruente nell’enorme falla, così non si poté che abbandonare la nave.

Mentre le due scialuppe si allontanavano sulle onde scure, i superstiti dell’equipaggio fissavano attoniti il battello che spariva negli abissi.

Undici uomini, immersi in un profondo sonno, non si accorsero della tragedia e morirono nelle loro cabine, senza soffrire; e da quel giorno tutto cambiò.

Oltre a diventare oggetto di livore per le famiglie delle vittime, secondo cui avrebbe abbandonato quei poveracci al loro destino, tutti presero a sospettare di lui.

Secondo i più il fatto che il vascello fosse affondato nelle familiari acque davanti a Copenaghen proprio mentre Kizaru era al timone non faceva che testimoniare la sua incompetenza, di cui

molti rivali gelosi lo avevano già accusato, mentre altri si spinsero addirittura a supporre che fosse tutto parte di un piano con cui egli mirava a intascare soldi dall’armatore della nave.

Alcuni sopravvissuti iniziarono poi a instillare il dubbio che il loro capitano portasse sciagura ai battelli su cui si imbarcava, e citavano molti presunti esempi; per tutte queste ragioni  nessuno ormai lo voleva più assumere, neanche come mozzo o cuoco.

L’ex baleniere ripensò a quegli infelici mesi, in cui aveva tentato di annegare i dispiaceri nell’alcool: gli rimaneva solo poco denaro, e poi non avrebbe più saputo di che vivere.

Chiunque al suo posto avrebbe venduto la bella giubba bianca con polsini e colletto dorati che indossava sulle spalle come un mantello, ma Kizaru gli era troppo affezionato: era l’unico ricordo di quando era un rispettabile capitano che solcava infiniti spazi azzurri reggendo un timone di legno.

Come ogni giorno, decise di girare per le banchine per il solito triste rituale di chiedere a qualcuno se volesse ingaggiarlo in qualsiasi ruolo, persino gratis: e anche quel giorno non racimolò che rifiuti da ben sei equipaggi, che si erano messi a imprecare violentemente vedendolo arrivare.

Restava solo un ultimo vascello: un trealberi dotato di molti pennoni, dalle fiancate affusolate e dalle prua appuntita dipinte di giallo, con lo scafo punteggiato da portelli di cannoni.

Sembrava un bel bastimento, addirittura troppo bello per essere una baleniera, come denunciavano le molte scialuppe e le vele macchiate dal fumo dei forni in cui si ricavava l’olio, ma purtroppo era straniero; batteva infatti bandiera britannica.

Kizaru parlava poco e male l’inglese, imparato approssimativamente nei suoi viaggi e nelle taverne, ma decise di fare un ultimo tentativo: o quello o la miseria più nera.

“Ehi, della nave! Avete bisogno di uomini?” chiese portandosi le mani alla bocca.

“Sicuro!” rispose un marinaio sporgendosi dalla murata. “Vieni pure e discutine con il capitano!” aggiunse facendo scendere la passerella fino al molo.

Salito, al visitatore fu indicato un uomo poco più vecchio di lui, persino più alto, forse più di due metri, che indossava sopra una camicia di lana un giubba bianca appoggiata sulle spalle, proprio come il danese, e una bandana che copriva radi capelli bruni; sul viso severo spiccavano due enormi baffi bianchi a forma di mezzaluna, mentre il suo rango era indicato dalla coppia di pistole e dalla spada che teneva nella cintura.

Good morning” esordì l’inglese stringendogli vigorosamente la mano. “Il mio nome è Edward Newgate, ma molti mi conoscono in tutto il mondo come Barbabianca”.

“Piacere, ex comandante Kizaru”.

In un attimo l’interlocutore fece un’espressione sbalordita e domandò: “Kizaru? Il capitano dell’ “Archangel”! Ho sentito parlare molto di voi! E’ un onore avervi qui”.

“Come? Non temete che io vi porti sfortuna o affondi la vostra nave? Non avete sentito le storie sul mio conto?” chiese il danese, quasi scandalizzato.

“Stupide, inutili fandonie! Un uomo come voi non dovrebbe essere calunniato in quel modo! Tutti sanno che siete un marinaio esperto che conosce il mestiere. Ditemi, vi intendete di caccia alla balena? Siete mai stato nel Pacifico?”.

“Ho fatto tre volte il giro del mondo- rispose non senza un certo orgoglio- e non c’è luogo dalla Groenlandia al Madagascar dove non vi possa condurre, e le balene non hanno segreti per me; so dove trovarle, quando, come inseguirle, cosa ricavarne”.

“Eccellente! Vi nomino primo ufficiale, dato che il posto è vacante! Vi va bene uno stipendio di dieci sterline al mese?” domandò Newgate.

Kizaru era stupefatto: lui si sarebbe accontentato anche di pulire i ponti pur di salpare di nuovo, ed ecco che si trovava imbarcato come secondo del capitano retribuito con una somma principesca.

“Per ricoprire questo ruolo avrete bisogno di distinguervi dalla ciurmaglia. Prendete!” soggiunse estraendo da una cassa una sciabola dall’impugnatura dorata e porgendogliela; il danese strinse l’elsa imbambolato, anche perché non aveva un fodero dove infilare l’arma.

“A proposito, abbiamo bisogno di reclutare marinai. Potreste condurmi in qualche taverna come guida e interprete?” domandò ancora Barbabianca.

Il primo ufficiale, sentendosi già in cielo, assentì.

  
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