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Autore: lightwood4life    19/03/2023    1 recensioni
Il cielo era nero e l’odore della notte così familiare e pungente. Entrava nelle sue narici, gli baciava la pelle come un amante dedito, si incollava alla stoffa dei suoi vestiti.
La notte quasi accentuava tutti gli odori. Il silenzio faceva acuire l’olfatto.
Will era abituato alla notte. Come tutte le sere o quasi si ritrovava fuori dall’Istituto, dopo una nottata passata fuori, pronto a raccontare storie di avventure e follie mai avvenute.
[...]
Aprì il cassetto del comodino e ne tirò fuori un foglio di carta.
Su di esso risaltavano frasi su frasi scritte ad inchiostro. La scrittura ormai familiare con gli occhielli e la lettera r scritta in quel modo particolare che aveva imparato a conoscere e ad amare.
La scrittura di Tessa.
Will chiuse gli occhi, la lettera di Tessa a Nate tra il petto e il palmo della mano aperta, e si addormentò con le parole della ragazza che rimbombavano nelle sue orecchie.
Mi sento dissolvere, sparire nel nulla…
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Ambientata dopo il primo libro della trilogia The infernal Devices.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: William Herondale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Echoing footsteps
 
 
Il cielo era nero e l’odore della notte così familiare e pungente. Entrava nelle sue narici, gli baciava la pelle come un amante dedito, si incollava alla stoffa dei suoi vestiti. 
La notte quasi accentuava tutti gli odori. Il silenzio faceva acuire l’olfatto.
Will era abituato alla notte. Come tutte le sere o quasi si ritrovava fuori dall’Istituto, dopo una nottata passata fuori, pronto a raccontare storie di avventure e follie mai avvenute. 
Bastò appoggiare il palmo della mano per far si che il massiccio portone della vecchia chiesa si socchiuse. Sangue di Nephilim non mentiva. Solo loro potevano farvi accesso.
 
L’ingresso era vuoto essendo notte inoltrata, e quasi totalmente buio, ma le stregaluci della sala da pranzo proiettavano delle ombre fino all’ingresso.
Will sentì la cuoca Briget che cantava instancamente una delle  – discutibili – ballate.
 
Una bella camera mi fece il mio amore,
la rivestì tutta quanta di fiori di giglio
più bella dimora non avreste mai visto
di quella che mi fece il mio amore
 
ma venne un uomo, venne in pieno giorno
a spiare quello che lui faceva
la notte stessa fece entrare il re
in camera, e uccise il mio cavaliere
(il lamento della vedova scozzese)
 
Will inforcò le ampie scale antiche che portavano ai piani superiori, e l’ombra lo inghiottì. Non aveva bisogno di usare una stregaluce, anni e anni ad aver percorso quegli stessi gradini, e l’essersi applicato una runa di visione notturna durante la notte bastavano per non farlo inciampare. 
 
Si fermò al piano dove si trovava la camera di Jem. E di Tessa, pensò involontariamente. 
Chiuse gli occhi addolorato al solo pensiero della ragazza. Dietro alle palpebre aveva ancora dipinta vividamente l’espressione di lei durante la loro ultima conversazione. Ogni parola scelta accuratamente con lo scopo di ferire.
Parole come frecce scagliate con la precisione di un arciere. 
Quel giorno tutto ciò che Will avrebbe voluto sarebbe stato solo cingerla con entrambe le braccia, implorare perdono, e dirle che in realtà l’amava ed era questa la ragione di tanta cattiveria. La stava solo proteggendo. Proteggendo da sè stesso. 
Il ragazzo, una mano inguantata appoggiata al corrimano, quasi come fosse da esso che traeva la forza di reggersi in piedi, ripensò alle parole che aveva scritto la ragazza nella lettera al fratello.
Se a nessuno al mondo importa di te, esisti veramente?
Sentiva di conoscere Tessa, aveva perso il conto del numero delle riletture di quelle lettere intime. Si sentiva quasi sporco a leggerle, tanto erano personali.
Ma in un’esistenza come la sua, la solitudine era all’ordine del giorno. Jem era tutto ciò che gli permetteva un’esistenza tollerabile. La luce nel buio che gli permetteva di trovare la strada quando brancolava.
Oltre al suo parabatai solo i romanzi gli davano tregua. Erano una distrazione dal mondo reale. Ma contemporaneamente erano più di questo; leggeva storie di tormento, di sangue, di amori non corrisposte. Scorreva con le dita migliaia di pagine alla ricerca di una storia che lo facesse sentire compreso. 
Come le parole di Tennyson, parevami di muovere in un mondo di fantasmi, e di sentir me stesso l’ombra di un sogno.
Non poteva definire la sua una vera esistenza, non sembrava reale.
 
A risvegliarlo dal suo rimuginare fu una melodia. Note come fiori in primavera che sbocciano. Un’armonia che parlava di morte e di rinascita, di crescita e di speranza.
Will non se ne intendeva di musica, cosa che Jem riteneva uno spreco date le sue mani da pianista, ma quella musica la conosceva bene.
 
Imboccò il corridoio e si fermò appoggiato allo stipite della porta semichiusa della camera del suo parabatai.
Nonostante il suo passo felpato, Jem che lo conosceva come conosceva il suo stesso cuore, non ebbe bisogno di girarsi.
-Will? Will, sei tu?
Jem dava le spalle alla porta e continuava a suonare. Il braccio che si muoveva delicatamente creando suoni armoniosi con l’archetto del violino. 
Indossava un paio di larghi pantaloni leggeri e una maglietta senza colletto, con sopra una vestaglia di seta nera annodata lenta. 
Il nero della vestaglia contrastava con il pallore della sua pelle e con i capelli argentei sulla nuca. 
Il tessuto dei pantaloni gli faceva apparire le gambe ancora più magre e il cuore di Will si strinse alla vista dell’amico. 
Tutte le volte che lo guardava provava emozioni opposte. Jem era la sua ancora, la sua forza, eppure era anche la sua più grande debolezza. 
Vederlo così fragile gli faceva pensare alla sua malattia, e inevitabilmente, anche alla morte.
Scacciò quel pensiero. La vita senza Jem non sarebbe stata degna di essere vissuta. Jem era tutto ciò che esisteva di buono in lui. 
Se fosse morto, il suo cuore sarebbe stato interamente composto da oscurità, segreti e perfidia.
-L’unico e il solo - rispose Will.
Jem smise di suonare e si girò.
-Hai i capelli bagnati- disse Jem. – Sei uscito? Dove sei andato anche questa notte?
-Qui e là - sorrise sghembo. - Principalmente alla Devil Tavern. A fare il ragazzaccio. Come sempre. Sai, donne e alcol. La mia serata ideale.
Will sospirò e si appoggiò ad una delle colonnine del letto. 
-Non ti avevano vietato di tornare dopo la zuffa con Nigel-Sei-Dita? – Jem, ancora in piedi, guardava l’amico con apprensione e un po’ di rimprovero. 
Will scosse una mano davanti a sé come se stesse scacciando una mosca. – Sai che disprezzo i divieti. 
Il Nephilim diceva il vero, non era mai stato particolarmente ligio alle regole, anzi, spesso e volentieri sembrava più che ben disposto ad infrangerle. Eppure Jem sapeva che stava mentendo.
Will non era stato al Devil Tavern quella notte. Né mai. 
Aveva seguito il suo parabatai in passato di nascosto per assistere ad una delle sue famose nottate di bravate, ma si era rivelata il contrario di un’avventura.
Ormai sapeva che Will mentiva, non passava le ore né nei pub, né a riempirsi di alcolici né con ‘donne capricciose’, definite così dal ragazzo stesso.
La rivelazione era bastata a tranquillizzare Jem, ma non poteva negare di provare un po’ di preoccupazione e di curiosità riguardo le intenzioni dell’amico. 
Perché si inventava fanfaronate per mettere sé stesso in cattiva luce?
Nonostante la curiosità, tra i due vi era un patto non scritto. Jem non faceva domande a cui sapeva che Will non avrebbe risposto di buon grado. 
 
 
Dopo essere passato a controllare se l’amico stesse bene, Will tornò in camera sua.
Dovevano essere all’incirca le tre di notte, pensò Will. La stregaluce ardeva bassa. Camera sua era più lontana dalle altre, era situata in una delle torri gotiche che si levavano ai quattro angoli dell’Istituto.
La collocazione particolare conferiva alla stanza una pianta circolare.
La sua stanza era una delle meno austere dell’istituto. Perennemente disordinata, sul piccolo comodino basso si mantenevano in equilibrio precario tre o quattro tazze di tè. 
Libri aperti sulla scrivania pesante in lego, vestiti lanciati con noncuranza sul letto.
Sophie entrava di rado a rassettare camera sua, sotto concessione di Charlotte, dopo che Will le aveva fatto trovare scherzi ben orchestrati.
Il Nephilim si accasciò sul letto, calciando sgraziatamente le scarpe infangate per terra.
Aprì il cassetto del comodino e ne tirò fuori un foglio di carta.
Su di esso risaltavano frasi su frasi scritte ad inchiostro. La scrittura ormai familiare con gli occhielli e la lettera scritta in quel modo particolare che aveva imparato a conoscere e ad amare.
La scrittura di Tessa.
Will chiuse gli occhi, la lettera di Tessa a Nate tra il petto e il palmo della mano aperta, e si addormentò con le parole della ragazza che rimbombavano nelle sue orecchie.
 
Mi sento dissolvere, sparire nel nulla…
 
 
 
   
 
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