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Autore: Lunaharry66    25/03/2023    0 recensioni
A volte basta un abbraccio per azzerare la distanza.
O: Cyborg e Robin che non sanno gestire la pressione e sono un po' incasinati.
Giusto un po'.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cyborg, Robin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Scopriti'
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Leggete questo perchè è colpa di Simone.
È sempre colpa di Simone.

 

Dammi un abbraccio (so che ne vuoi uno anche tu)

canzoni che ho ascoltato mentre scrivevo:

 Cyborg continua a girare intorno al tavolo di plastica bianca, imprecando ogni qualvolta che le sue membra metalliche si scontrano con gli spigoli duri. Se potesse, lancerebbe il tavolo dall’altra parte della stanza, l’adrenalina che gli scorre nelle vene. La paura e il senso

 dell’azione - il formicolio che ha ben imparato a conoscere-mescolate in un cocktail micidiale di emozioni contrastanti. Sente la forza e l’energia di un leone, le mani gli prudono. Odia stare fermo, lo fa sentire impotente perché sa di esserlo. In certe situazioni la forza bruta non può nulla contro le sventure della vita. Si è tutti insetti senza colonna vertebrale.

Vorrebbe urlare, prendere a pugni ogni superficie piana e non, trovare uno sfogo alla sua rabbia che non sia il semplice camminare avanti e indietro per quella stanzetta semi buia e spoglia.

Se l’impotenza gli fa stringere lo stomaco in una morsa fastidiosa,l’indifferenza di chi gli è seduto vicino gli fa ribollire il sangue.

-Come cazzo fai a essere così tranquillo?- chiede il mezzo robot modulando appena il tono della voce.

Gli viene rivolto uno sguardo annoiato,abilmente celato da uno strato sottile di bianco.

Bianco come il vuoto cosmico che sente tra di loro in quel momento. Per questo spesso litigano: lisciare gli spigoli del carattere di Robin è un compito troppo arduo per lui, che necessita di un porto sicuro nei momenti di sconforto. Invece con il leader si sente in balia di one fragili ma pericolose, capaci di mandare in frantumi la sua barca e rendergli impossibile ritrovare la luce del suo faro.

Vorrebbe prenderlo a pugni - non sarebbe la prima volta.

Vic sferrò un colpo diretto al petto dell’altro, che ansimò leggermente. Lo aveva in pugno: gli stringeva i polsi sottili e gli schiacciava le gambe, fermo e immobile come un calzino rivoltato.

Si era ancorato a lui come una zecca fastidiosa, ma più spingeva più lui non mollava la presa. Era una sfida? Entrambi odiavano perdere, soprattutto tra di loro. Piuttosto che piegarsi alla vittoria dell'altro, tutti e due avrebbero preferito girare nudi per Jump City. Era ad un passo dalla gloria, quando senti delle dita stringergli la caviglia. Quando - e specialmente come- aveva fatto a liberarsi? In meno di un minuto la sua testa si scontrò con il pavimento verde e gommoso della palestra. Robin era a cavalcioni su di lui, le mani che corsero a fermare le proprie sopra la testa, a distanza di sicurezza. Cyborg lo osservò bene: un rivolo di sangue gli scorreva dalla tempia e percorreva tutta la lunghezza del viso,contratto in una smorfia infastidita. Il naso arricciato, le rughe d’espressione, il labbro spaccato. Tutte queste imperfezioni lo rendevano vero ai suoi occhi, una presenza che poteva percepire in tutta la sua solidità ed energia. Robin emanava un’aurea accattivante, che lo portava irrimediabilmente a dedicargli tutta la sua attenzione. Però, era sempre come congelato in uno strato di ghiaccio, distante dalla realtà e per questo irraggiungibile. Del sangue- proveniente da un taglio all’altezza dello zigomo sinistro - colava sul petto metallico di Cyborg. Si fissavano dritti negli occhi, anche se non si stavano guardando veramente.

Cyborg vedeva l’oceano, il mondo e l’universo dietro la presa ferrea delle mani guantate. Provò a ribaltare la situazione facendo pressione con le gambe, ma il suo tentativo fu immediatamente fermato.

-Arrenditi.- gli mormorò ad un soffio dal viso.

-Mai.

-Fottiti.

-Anche tu.

Cyborg aspettò che l’altro cedesse: era stato un movimento impercettibile, che però dimostrava che la stanchezza arrivava per tutti.

Tranne se sei un mezzo robot.

Gli diede un altro pugno -l’ennesimo del pomeriggio- dritto sul naso. Il più basso lo schivò appena, allontanandosi con una capriola aggraziata. 

Proprio mentre si stavano preparando a riprendere il combattimento, una coltre di luce nera li divise improvvisamente. Cyborg riconobbe la magia di Corvina espandersi intorno a loro. 

-Smettela!- risuonò una voce che sembrava vagamente quella della maga, anche se roca e distorta.

L’ombra se ne andò come era arrivata, veloce quanto uno spiffero di vento dalla finestra.

Robin, appoggiato al muro della palestra, sembrava un coniglietto in ritirata nella propria tana. Forse c’era andato giù un po’ pesante, anche se nemmeno il leader si era risparmiato. Percepiva un leggero fastidio sul fianco destro. Se il più basso era riuscito ad ammaccarlo senza neanche l’uso del suo bastone, significava che aveva picchiato duro. Le loro sporadiche sfide erano costruttive?Manco per sogno. Li lasciavano solo più acciaccati di prima e con l’amaro - eil sangue nel caso di Robin- in bocca.

Però continuavano perchè, almeno nel suo caso, equivaleva a provare emozioni vere, per quanto sbagliate potessero essere. L’adrenalina - e un filo di eccitazione- prendeva il sopravvento sulla ragione. Voleva vedere Robin gettare via la sua fastidiosa maschera di finta perfezione per avere la conferma di quanto fossero uguali nella loro diversità. Perché sapeva quanto l’altro fosse sconvolto nel profondo, tenuto insieme da una colla scadente. Necessitava però di avere i brandelli di quell’animo tra le mani, tastarli con la superficialità con cui era solito affrontare la vita per non sentirsi solo nel suo degrado.

-Ti sei offeso?

-Offeso?- soffiò l’altro.

-Stavo per vincere.

-Vaffanculo.- biascicò prima di lasciare la palestra - e lui- nel silenzio più totale.

Che forse per una serata sarebbe rimasto anche tra i suoi pensieri irrequieti.

Non gli parla il signorino, si limita a fissare con tutta la serietà del mondo il monitor scassato di quel vecchio computer.

-La smetti di guardare quel fottuto computer?

-Siamo qui per questo.

Esasperato, si siede nell’unica sedia vuota della stanza. Alcune sono occupate da pile pericolanti di fascicoli e cartelline in plastica, una dalla persona di cui si dovrebbe fidare ciecamente.

Spoiler: ultimamente gli torna un po’ difficile farlo.

Sente un sottile tremore contro la sua coscia: è la gamba di Robin, che batte il piede a terra seguendo un ritmo conosciuto solo da lui. 

La sua mano gli afferra il ginocchio. 

Il più basso ruota la testa nella sua direzione così velocemente che Cyborg ha paura che gli si stacchi dal collo.

-Fermati. Sei irritante.

Continua a non gli rispondergli, la sua attenzione rivolta nuovamente all’immagine fissa di un parcheggio che stanno monitorando da ben dodici ore.

Dodici fottutissime ore.

-Cosa pensi di trovare esattamente? Che quella dannata macchina spunti fuori dal nulla come per magia e che tutti vivano felici e contenti?

-Se mi scappa qualcosa?- lo sussurra a pena, ma Cyborg lo ascolta.

E per la prima volta da quando è entrato in quella stanza capisce quanto l’altro sia agitato, il suo nervosismo che lo investe come un tram in mezzo ad una strada deserta.

Lascia che la sua mano si rilassi completamente, che funga da calmante per entrambi.

-Ripetimi perché siamo qui e non a casa o in quel bosco del cazzo.

-Perchè quando collabori attivamente con la polizia e il procuratore ti dice di metterti a fissare un computer,tu lo fai.

-Ma non capisci che lo hanno fatto per toglierci dai piedi?

-Pensi che a me piaccia?- gli domanda Robin accalorato.- Però c’è qualcosa che qui tutti tranne me sembrate dimenticare: la Legge. Sai, quella cosa che decide se vai in prigione o meno, che ti dice quello che puoi fare o meno…

Esala un respiro pesante e si appoggia con la testa allo schienale della sedia mentre si massaggia il ponte nasale.

Il silenzio occupa gli spazi vuoti lasciati da loro - e dalla loro incapacità di comunicare come essere umani normali. 

-Hai paura?

-Sì. Anche… Più di quanto siamo sul campo. Li sento di poter gestire la maggior parte delle cose… Qui ho paura e basta. 

Cyborg cerca qualsiasi argomento per distrarli, ma i muri spogli della stanza offrono veramente pochi spunti.

-Come lo hai fatto a capire?

-Che cosa?

-Che era l’autista.

-Ah… La pianta dei piedi. Sai, le impronte della metropolitana corrispondevano a quelle dei tappetini della berlina. Era strano che non li avesse lavati,no? Praticamente passava il tempo a lucidare gli specchietti.

-Quindi?

-Quindi ho pensato che per non aver avuto il tempo fosse stato occupato con qualcos’altro. Quindi per curiosità ho confrontato le impronte.

-Hai tirato a indovinare.

-Può capitare.

Parlano del più o del meno mentre una decina di persone erano disperse nel bosco a causa del risentimento di un autista alcolizzato.

Sembra una di quelle barzellette che fanno ridere solo chi le racconta.

Robin è piccolo e vulnerabile, più il tempo passa più la paura del fallimento spinge per entrare nella stanza.

-Perchè ti sei scaldato così tanto?

-Perchè sei rimasto fermo come una scatola di pisellini nel freezer?

Robin alza le mani in aria in segno di resa.

Un rumore di sgommata proviene dal monitor.

L’aria si cristallizza, i rumori dei riscaldamenti e di una goccia che perde da un lavandino della stazione si fermano. Robin afferra il walkie-talkie che gli ha lasciato un agente.

-Qui Robin. La macchina è arrivata. Ripeto, la macchina è arrivata.

In circa cinque minuti vedono sul monitor del computer un ‘intera squadra di polizia che circonda la berlina nera e si occupa di recuperare le persone rapite- tutti giovani fra i venti e trent’anni provenienti da famiglie ricche di Jump City. 

La tensione sulle spalle di Robin persiste, fissa nella sua posizione quanto il mantello bicolore che l’altro indossa sempre. Cyborg pensa spesso che il leader ci dorma anche, come una parte integrante del suo essere - e del suo pigiama. 

Si sporge leggermente verso Robin e lo guarda in attesa di circondarlo  con le proprie braccia.

Nonostante conservi la nomina di distributore di coccole gratuite, prima lo faceva molto più spesso, senza il costante pensiero e consapevolezza del proprio corpo. Non doveva chiedersi se le persone potessero essere infastidite dai bulloni, se le giunture potessero graffiare o arrossare la pelle altrui.

Con Robin non ci pensa neanche, si fionda semplicemente sulla fonte di calore più vicina. Inspira il profumo del leader - lavanda mista all'odore del pane appena sfornato- a narici larghe , la testa infossata nella piega tra il collo e la testa di Robin. Non lo ha ancora stretto come desidera però.

Nonostante questo, rimarrebbe così per sempre.

Forse lo fa perché Robin ha disteso le sue bracca rigide, ora unite timidamente dietro la sua schiena metallica.

L’irrequietezza delle ultime ore sfocia come un fiume nel mare più limpido, l’ultima goccia di pioggerella di una tempesta devastante.

-Come mai tutto questo affetto?

-Zitto e Dammi un abbraccio. So che ne vuoi uno anche tu.

Angolo Autrice:
Allora, cosa si fa mentre si hanno 345 fanfiction in sospseso? Se ne inizia un'altra e la si finisce in una sera!
Scherzi a parte, sono le 23:23 e io ho sonno, quindi non ho riletto nulla e spero di aver messo tutti i tempi verbali e gli apostrofi al posto giusto. Scrivete nei commenti la vostra opinione,
Lunaharry66
   
 
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