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Autore: Onda nel silenzio    07/04/2023    3 recensioni
Zoro le somiglia così tanto adesso. Il suo sorriso spinato si fa talmente pungente da lasciarle la sensazione di avere la bocca sanguinante. È ironico (triste) che i momenti in cui le sembra di incontrarlo davvero siano quelli in cui tirano fuori l'una il peggio dell'altro.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il dolore che le mangia il cuore è mordace come veleno, lo mastica e ne sputa i resti sanguinanti sulle travi trafitte dalla luna, lasciandola stordita e atterrita.
Respirare. Non riesce più a farlo, a pensare, a calmarsi. La penna che stringe fra le dita graffia il foglio senza direzione, dispersa come lei. Buca la carta e quel cuore randagio che non conosce sollievo, stracciando entrambi.
Quando Zoro raggiunge la biblioteca, a Nami la sua ombra proiettata sul muro ricorda quella di un fantasma. Lo stesso che le infesta testa, fiato, brividi.
Se lo sentiva che sarebbe successo, quell'ombra non è nient'altro che un prolungamento dell'ossessione con cui ha avuto inevitabilmente a che fare per tutto il giorno.
Nami non si muove, non parla, non scatta, non trema, non protesta. Non fa assolutamente niente, mentre lui cammina verso la scrivania al centro della stanza a passo silenzioso, deciso. Implacabile come lo sguardo che le punta addosso.
"Dimmi perché."
Zoro ha la voce bassa. Ferma. Eppure la punge a morte.
Nami sente lo stomaco annodarsi e stringere stringere stringere. Si aggrappa alla penna che non scrive più, ai suoi muri vecchi di anni che traballano ma che si ostinano a non cadere. Non alza gli occhi dal diario di bordo. Un fremito le scuote le spalle al lieve scricchiolio della scrivania, il legno geme sotto la pressione inattesa di mani rudi e forti, si appesantisce come lei.
"Dimmi perché" le ripete lui, la voce ancora bassa e ferma, eppure letale come il pungiglione di uno scorpione.
Oltre la cortina di capelli sciolti che le ricadono sul viso, intravede braccia tese e palmi contratti sulla superficie del mobile – le dita di quello sinistro sfiorano quasi il bordo del diario.
Dimmi perché, le risuona nella testa, ma Nami tace.
Tace perché le risposte che dovrebbe dargli sono troppe. Tace perché ognuna di quelle risposte, per quanto caotica e smozzicata, le costerebbe una fortuna. E lei odia spendere.
Il diario le scivola via da sotto il naso. Il suo polso – rigido – non si muove di un millimetro, una riga d'inchiostro involontario macchia il foglio su cui teneva la penna, ma lei lo nota a stento. Una mano ruvida le afferra quello stesso polso con presa ostinata.
Nami alza lo sguardo dalla scrivania come farebbe un animale braccato – di scatto, feroce e inerme.
L'occhio senza cicatrice di Zoro è già fisso nei suoi, freddo e intenso come acciaio. Dimmi perché, gli ringhia dentro la pupilla.
Le trema la bocca. Deglutisce, distoglie lo sguardo. Ma la mano che le circonda il polso stringe la presa in segno di protesta, le impone di non scappare.
"Mi fai male."
È la prima volta che è sincera con lui da tutto il giorno.
Mi fai male, pensa incattivita, sfinita, senza riferirsi a quella stretta, mi fai male in modi che non credevo nemmeno fossero possibili, e io non so come –
Le parole che le si agitano nella testa muoiono non appena torna a incrociare quell'unico occhio. La presa sul suo polso si allenta, trema per un attimo – o forse è lei che si sta confondendo col brivido che le attraversa la schiena –, ma non si scioglie, no, rimane lì, a pesarle addosso.
C'è qualcosa di diverso dalla rabbia in Zoro. L'emozione che gli si dimena dentro è una fiamma che rimbalza muta contro la luce delle lampade a olio, eppure la colpisce come un grido assordante. Scomposta, inclemente. Nami vi si immerge a capofitto con riluttanza (smania), non ne conosce la rotta, e strattona per sottrarsi a quel contatto fisico. La mano che la stringe la lascia andare, si ferma sulla scrivania con le dita contratte, indispettita, mentre lei tira indietro la sedia e si tira su in piedi, aggirando il mobile.
Il motivo per cui hanno litigato nemmeno lo ricorda più.
Litigato, sì, niente bisticci, niente attriti ordinari e innocui nella loro abituale familiarità.
Quel giorno sono volate tante parole, sferzate al vetriolo che li hanno ustionati – giudizi. E lei, la gola arsa e disfatta dal troppo gridare, la testa che le pulsava senza sosta con fitte ritmiche e martellanti, era ammutolita più per sfinimento che per mancanza di risposte pronte. Gli aveva voltato le spalle e aveva lasciato l'Acquarium Bar in fretta e furia.
'Non ci incontreremo mai', erano state le ultime parole che gli aveva rivolto.
'Non ci incontreremo mai', una constatazione che le era sfuggita incontrollata, spietata e risentita.
Quella era una paura che le faceva compagnia da sempre, ma che col tempo aveva imparato a scongiurare. Una paura che però, dopo quel giorno sfiancato e sfiancante nel loro ennesimo disaccordo, è tornata a rosicchiarle le ossa. La strategia da adottare per infiltrarsi sull'isola – ora ricorda, quello era stato il punto di partenza della loro discussione. La questione si era però poi persa per strada, lasciando spazio ad attriti più personali, se per colpa dell'una, dell'altro o di entrambi non sapeva e non saprebbe tuttora dirlo.
Nami vuole andarsene. Zoro prevede il suo intento prima ancora che faccia un passo verso le scale, e le si para davanti per bloccarle il passaggio, sfidandola ad azzardare quella mossa sleale.
Non le lascia via d'uscita.
Chi è il prepotente dei due?, pensa lei, le labbra stirate in un sorriso pieno di spine. Un sorriso che lui sembra volerle disfare, fare a pezzi.
"Rispondimi."
Un ordine.
Brusco, perentorio.
Zoro le somiglia così tanto adesso. Il suo sorriso spinato si fa talmente pungente da lasciarle la sensazione di avere la bocca sanguinante. È ironico (triste) che i momenti in cui le sembra di incontrarlo davvero siano quelli in cui tirano fuori l'una il peggio dell'altro.
"Non so a cosa ti stia riferendo."
"Lo sai."
Nami ha il fianco premuto contro lo spigolo della scrivania, eppure la disturba di più la sua voce aspra. Non puoi decidere tu quando iniziare e finire una discussione, sembra dirle lui con la sua occhiata imperiosa e perentoria.
Ha ragione.
Ma giocare pulito, specie quando sa che sta perdendo, non fa per lei, che si morde il labbro pur di tacere.
Zoro la tiene intrappolata lì, fra il suo corpo e la scrivania. Non sono mai stati tanto vicini, non così, con quella rabbia muta e assordante a scalciare su entrambi. E lei non sa più cosa fare. E lei è inceppata e sfinita.
E.
Nami continua a scorrere ininterrottamente, pur restando ferma. Continua a scorrere e sbandare come l'onda indisciplinata che è, senza conoscere la strada, lei che non si perde mai e che eppure adesso non sa più dove si trovi. E lui sembra volerla imbottigliare.
Lo odia.
Si odia.
'Dimmi perché'. Non 'spiegati'.
L'ha davvero capito il senso delle parole che le sono scivolate fuori? Lui più di lei, che non le comprende appieno in prima persona?
Non ci incontreremo mai.
Dimmi perché.

Si odia.
Si odia così tanto che –
Zoro le blocca le braccia prima che possa spingerlo via, poggiando i palmi contro la scrivania, ai lati dei suoi fianchi. Non le dice niente. La fissa soltanto, la sua richiesta irremovibile che le fa ancora eco contro le tempie, lo sguardo obliquo, affilato, calmo nella sua spietata insistenza. Nami trattiene il respiro, mentre quello di lui le solletica il volto.
Nessuno dei due sta gridando, ma entrambi hanno ancora i residui della loro rabbia fra le dita e negli occhi, una rabbia che si sveglia e si irrobustisce di secondo in secondo in una muta tensione senza nome. Una rabbia che brucia più di quella chiassosa e irrequieta che si sono scagliati contro alla luce del sole. Possono sentirla, possono specchiare l'una in quella dell'altro.
Nami schiude le labbra, abbassa gli occhi sul suo collo pur di sfuggire a quello che la sta fissando. "Siamo troppo diversi" ammette finalmente, "è inutile provare a-"
Zoro le afferra il mento e lo solleva in modo che non possa più evitare di guardarlo.
"Codarda" la giudica (di nuovo).
Sembra sfidarla a contraddirlo, esigere che protesti, cercare il loro scontro interrotto, qualcosa in grado di scucirle quella voce fredda dalle corde vocali, di accenderle lo sguardo ora assente.
Ma Nami ormai si è persa. Forse lo è da molto più tempo di quello che crede, forse lo è sempre stata di fronte a lui. Ed è stanca di scagliargli contro la sua prepotenza, stanca di girare in tondo in vicoli ciechi. Non spreca nemmeno più fiato. "Di' quello che vuoi" mormora soltanto – amara.
Zoro serra le labbra, espira dalle narici irrequieto. L'occhio che dardeggia nei suoi la ustiona più di qualsiasi parola che si siano mai detti, feroce e impreparato di fronte a quella resa. Nami non ha il tempo di registrare altro, perché lui le afferra il volto tra le mani e preme la bocca contro la sua.
Quel gesto improvviso la coglie di sorpresa, per questo schiude le labbra e gli permette di aprirsi un varco oltre i denti serrati, per questo il contatto della sua lingua contro la propria le fa divampare migliaia di brividi sulla pelle.
Non c'è gentilezza in quell'incontro che non si chiama bacio, non assomiglia affatto a quelli che Nami ha immaginato nel buio di sogni incontrollati. Non sa di quei segreti intimi e seducenti che si custodiscono con cura, sino a sfiancarsi nell'immaginazione per renderli perfetti – è un contatto pieno, ruvido, saporoso di sakè e sale. Reale.
Reale e inclemente.
Zoro lo interrompe di colpo, come scottato da braci improvvise. Le stringe il volto tra le mani, l'occhio chiuso, la fronte poggiata alla sua, il respiro affannoso di chi è non stanco dopo una lunga corsa, ma di chi lotta per frenarsi dall'impulso di scattare ancora con più ferocia.
"Codarda" le ripete ancora, una provocazione che le infrange sulle labbra umide e ancora schiuse.
Non stanno affatto parlando del piano per infiltrarsi sulla prossima isola, hanno smesso di farlo sin dal primo momento in cui lui è entrato in quella stanza. Lo sanno entrambi.
Zoro è aspro e tremante. Non si muove, no, ma Nami se lo sente fin nelle ossa che è così. O forse sta sentendo soltanto se stessa, che ha paura di fare troppo rumore anche col proprio respiro. Respiro che avverte spezzarsi di colpo, rimbalzare contro il suo, affannarsi in sincrono, come agitato dall'apparizione improvvisa di un fantasma.
Zoro è aspro e tremante e irrequieto. Lo sono le mani e la bocca con cui torna a cercarla, accendendole dentro un'emozione aggressiva, selvaggia, dolce, dolorosa.
Nami gli morde le labbra come a volergli chiedere di fermarsi e di non fermarsi più, artigliandolo per la nuca con arreso sfinimento, e quando lo sente spingerla contro la scrivania quell'emozione che le pulsa addosso assume le impronte del pianto. Un pianto senza nome e ragione che lotta per reprimere. Un pianto a cui non permette di nascere per nessun motivo, mentre si lascia cadere a sedere sulla scrivania.
Zoro le preme il bacino contro le gambe e cerca la sua schiena con mani scomposte, mentre lei cerca quel declino dal quale ha sempre provato a stare lontana – un declino pericoloso e agognato che ora le si sta presentando davanti in carne e ossa, un declino a cui non è pronta.
Nami trattiene il fiato, il cuore martoriato. E Zoro adesso oltre alle mani ha anche il respiro scomposto, lo sente sussultarle contro la tempia, dove lui le ha poggiato il volto, e poi solleticarle la guancia, quando le avvicina le labbra all'orecchio.
"Ho-" Si interrompe sul nascere, come ferito da un proiettile invisibile.
La stringe. La sovrasta.
Caldo e ruvido e vero.
Non è sensuale.
Né padrone.
È –
"Ho bisogno di sentirti."
Nami trattiene il fiato, le mani aggrappate al bordo della scrivania, lo sguardo fisso sulle lacrime di luna che tempestano il muro di fronte a loro.
Ho bisogno di sentirti – un sussurro spoglio di seduzione, privo di malizia, pieno soltanto della sua sincerità.
Zoro è aspro e tremante e indifeso.
Nami trema trema trema trema. Lo fa insieme a lui, che torna a rubarle le labbra e prende ad accarezzarle le cosce con una prepotenza in conflitto con la sua confessione.
Non gli resiste, non così.
Le sue dita le percorrono la pelle nuda da sotto il vestito con quei loro tocchi scomposti, estranei a quelli di un uomo abituato a sedurre – una consapevolezza che glieli rende ancora più ipnotici. Zoro è impaziente, traboccante di un desiderio così schietto da farle traballare il cuore. Un desiderio che si intreccia al suo e che la porta a tendersi inevitabilmente verso il suo corpo. Quando l'accarezza fra le gambe le sfugge un sospiro scattoso. La sua mano non si ferma, la sfiora al di sotto dell'intimo, e lei si immobilizza in un'attesa che è fuoco.
Il dito che scivola oltre le sue labbra la trova già pronta. Nami schiude la bocca in un verso muto, mentre gli stringe i capelli tra le dita e se lo spinge più vicino, affondando il viso contro il suo come per nascondersi, nascondere lei e lui anche dalla luna. Ed è tutta un palpito, tutta un tremito che si scioglie e trova sollievo in quel tocco caldo e rubato. Chiude gli occhi, inarcando la testa all'indietro.
Gli si abbandona.
"Sei così bella."
Anche quelle parole hanno il sapore di una confessione sofferta. Anche loro sono incrinate. E incrinano lei, che precipita in quel declino, in quel piacere che è anche dolore. Nami gli circonda i polpacci coi propri, il respiro rotto che sussulta a ogni movimento che lui compie dentro di lei.
Baciarlo. Ha bisogno di baciarlo.
Le scoppia la testa per il nervosismo accumulato durante il giorno. Ha la voce rauca per il troppo tempo speso a gridare, e sembra ricordarglielo e perdonarglielo con le labbra con cui lo assale e che gli lascia marchiare, il cuore che le pulsa sempre più dolorosamente a ogni sua insistente carezza interna, dove si spinge anche un secondo dito.
Nami spalanca gli occhi nella penombra, senza fiato, le labbra schiuse contro le sue. Lo guarda e si lascia guardare così – indifesa, annebbiata, persa.
"Dimmi perché" torna a infierire Zoro, lo sguardo d'acciaio liquido che la inchioda imperioso e stremato.
Nel silenzio che segue le sue dita smettono di muoversi dentro di lei, di accarezzarla.
Sleale.
Come le somiglia anche adesso... lui che appartiene a un mondo tanto diverso dal suo. Un mondo che Nami ammira e rispetta, un mondo che ha sempre desiderato gelosamente mentre lo vedeva ergersi troppo in alto per lei (inadeguata, non all'altezza, mai abbastanza). Eppure lui la sta guardando come se si sentisse allo stesso modo nei suoi confronti. Come se anche lui avesse provato tante volte a raggiungere quello di lei, i segni di mille graffi e di troppe cadute per poter essere contati nelle mani, nella schiena, nello sguardo. Zoro che esige e che anche mentre prega non perde la sua aura fiera e salda.
Nami inferocisce lo sguardo.
Non ci incontreremo mai.
Dimmi perché
.
Eppure si arrende.
"Non lo so" ammette. Sconfitta.
Sollevata.
Lo svelto frusciare di indumenti sbottonati e abbassati si intreccia ai battiti tremanti del suo cuore smarrito.
Parole consapevoli e trionfanti nella loro calma sicurezza accompagnano un'intrusione improvvisa. "Perché non è vero."
Zoro le scivola dentro con un'arroganza che le sa di devozione. Nami mantiene il contatto visivo senza emettere un solo fiato, mentre lui si muove in lei in quello scontro che è un incontro.
Perché non è vero.
Non lo è. Non adesso, mentre si uniscono con uno strano affanno che è angoscia e sollievo.
Nami gli dona i propri graffi sotto le sue spinte languide, spinte che si fanno via via sempre più aspre, serrate. Spinte che le fanno accartocciare l'anima contro la sua. E Zoro, oltre che nel corpo, le sprofonda anche dentro i segreti taciuti, spogliandola senza averle tolto i vestiti, prendendosi cura di lei in un modo che nessuno dei due avrebbe mai pensato.
Non ricordano l'ultima volta in cui hanno litigato davvero. Perché non c'è mai stata, non prima di quel giorno.
Forse si sono sfiancati in un volersi troppo a lungo e in troppe occasioni negato. Forse i loro scontri sono sempre stati un modo per cercarsi, per spingersi lì dove con la dolcezza e le difese arrese non sarebbero mai potuti arrivare – loro che sono estranei a quel tipo di linguaggio, loro che sono orgogliosi e diffidenti e restii alle tenerezze.
Loro che adesso si stanno incontrando fisicamente, eppure in un modo in cui l'unione tra i corpi sembra essere solo una tappa preliminare verso qualcosa di assoluto. Necessaria, ma non fine a se stessa.
Il piacere che viaggia su di lei le fa arricciare la punta dei piedi. Nami insegue e ritarda la scossa finale, bramando altri tocchi, altri sussulti. E Zoro ascolta quella sua muta richiesta finché può, finché non è lui stesso a stremarsi nell'attesa. Rude, protettivo, aggressivo, istintivo. Sfrontato, rispettoso, brusco, delicato, vero – le spezza l'anima.
Il culmine li travolge violento e confortante, lasciandoli vuoti di rabbia e pieni di un malinconico languore. Entrambi ne custodiscono i residui in silenzio, a occhi chiusi, restando ad ascoltare i reciproci respiri calmarsi, tenendosi stretti.
Hanno i volti vicini, la guancia di lei è poggiata a quella di lui, ma le labbra sono distanti e i loro occhi, quando li riaprono, puntano in direzioni opposte.
"Hai ragione tu."
L'aria ancora satura della loro unione si alleggerisce di un'emozione inedita. Una soddisfazione divertita, sottile, derivata dall'aver detto quelle parole all'unisono.
I loro sguardi si incrociano. Diffidenti e complici insieme.
Quell'emozione inaspettata scioglie la tensione sospesa fra i loro corpi, che si separano per riassettarsi con inaspettata disinvoltura, senza la fretta o il disagio dei fuggiaschi di fronte a una realtà nuova.
Ma poi lo sguardo di lui cambia di colpo. Succede mentre si allaccia la cintura, come se il suono prodotto dalla cinghia gli stesse rendendo più concreto e arido l'accaduto. Ferma di fronte a lui, Nami vede qualcosa di tagliente e fragile al suo interno.
"Non volevo succedesse così." La sua voce roca sembra provenire da un fondale. Ha un'impronta amara che stride col languore che entrambi sentono ancora su di sé.
Zoro incanala fiato per aggiungere qualcos'altro, e lei gli posa un dito sulle labbra, fermando un rimorso che non condivide.
Lo guarda. Ardente, malinconica, vittoriosa, vinta. Sfuggente, feroce, dolce, sfacciata, innocente. Così piena di emozioni da non avere bisogno di dire niente.
Il fremito che lo coglie quando gli poggia una mano sulla guancia attraversa anche lei. C'è qualcosa di ancora più intimo in quello sfioramento, qualcosa di prezioso e fragile e segreto che fa sembrare di troppo le luci delle lampade a olio poggiate sulla scrivania. Intrusa anche la luna. Forse perché è un gesto delicato come lei gliene ha riservati pochi.
Zoro sorride del suo sorriso appena accennato di fronte a quello pieno di Nami. Sa che lei sta per dirgli qualcosa di deliberatamente allusivo, qualcosa che distruggerà i macigni calati sulla sua schiena.
"Dovremmo litigare più spesso."
Non si era sbagliato.
"Tsk." Fa un passo verso di lei, la spinge a indietreggiare ancora contro la scrivania, vede che negli occhi caldi le rilucono ancora sprazzi del languore a cui si sono abbandonati. "Non possiamo saltare direttamente quella parte?"
"Mmh" Nami gli allaccia le braccia dietro al collo, "forse."
"Forse?"
Di fronte al suo disappunto gli restituisce un'occhiata enigmatica, consapevole. Anche lei farebbe volentieri a meno di iniettargli veleno, di trovarsi rosa dai sensi di colpa, dal dolore, ma non dei loro scontri. Perché a volte c'è bisogno di sentirsi dire chiaro e tondo che si sta sbagliando, altre di imporsi con fermezza.
Lei è l'unica che ci riesce con lui.
Lui è l'unico che ci riesce con lei.
Se lo permettono a vicenda in nome di una fiducia che oltrepassa l'orgoglio, in nome del loro reciproco istinto di protezione. Contestare e mettere in discussione le rispettive intenzioni fa parte di loro proprio per quel preciso intento. Ed è un qualcosa che devono tenersi stretto.
Stretto come l'abbraccio – il primo – che Nami sceglie di donare a Zoro.
Zoro che si lascia abbracciare e l'abbraccia di rimando.
Zoro che forse ora non comprende quello che ha compreso lei, ma che la bacia e le cancella l'ultima traccia di veleno dal cuore.
Le parole non servono più.





  
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