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Autore: Giandra    08/04/2023    0 recensioni
❧ PatPran
➥ post-canon; narrazione in 2a persona; past!angst
Questa storia partecipa alla "To Be Writing Challenge 2023" indetta da Bellaluna sul forum Ferisce la Penna (trope: angst with happy ending).
Apri l'armadio e ne tiri fuori la scatola dei ricordi, quella dove hai custodito di nascosto ogni oggetto legato alla tua storia con Pat, la stessa dalla quale hai recuperato ormai parecchi anni prima quell'orologio che ha dato inizio a tutto. Afferri una bustina rossa e verde, la poggi sulla scrivania mentre riponi la scatola al suo posto e poi la afferri di nuovo, portandola con te sul letto dove Pat ti sta aspettando. Persino nel buio della notte — trafitto solo in parte da un paio di candele profumate, che il tuo ragazzo ha insistito nel voler accendere — riesci a scorgere alla perfezione il luccichio nei suoi occhi e il sorriso soddisfatto sul suo viso.
“Eccole qua” gli dici, fingendo indifferenza, come se non gli stessi consegnando dei pezzi di te che ti fan sentire più che vulnerabile, più nudo di quanto saresti senza un solo vestito addosso.
Genere: Angst, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A penny for your letters
 
  “Eddai, fammele leggere.”
  Sei stato sempre fin troppo debole quando si tratta di lui. Ogni volta sono bastati una nota più acuta nelle sue suppliche, un sorriso più splendente sul suo volto, un tocco inaspettato o un complimento improvviso, genuino, sincero. Pat è sempre stato in grado di muovere le giuste corde e maneggiarti come uno strumento che è davvero bravo a suonare, del quale ormai conosce tutti i segreti, da cui è in grado di tirar fuori i suoni più melodici a suo piacimento.
  “Scordatelo.” La resistenza è parte integrante della vostra dinamica, nella quale tu stringi forte la corda e Pat la tira, la tira e la tira ancora, finché non sei costretto, dal suo entusiasmo e dalla sua perseveranza, a mollare la presa e sventolare bandiera bianca — e la sconfitta non brucia, anzi è dolce.
  “Ti prego. Tee rak.” La voce di Pat dovrebbe arrivarti alle orecchie come un lamento fastidioso di un bambino capriccioso abituato a vincere, invece ti giunge per quello che è: gratuito e sconfinato interesse verso tutto ciò che ti riguarda. Sa benissimo quanto sentirgli proferire quel nomignolo ti sciolga tutti i nodi dell'intestino e usa quella consapevolezza a suo favore. “Almeno una. Solo una. Fammi contento.”
  Gli sorridi e annuisci, pronto come sempre al momento della resa. Ti alzi dal letto in cui hai dormito per tutta la tua infanzia, cammini a piedi scalzi sul pavimento della camera nella quale, per la prima volta, il vostro rapporto ha preso una piega inaspettata, da niente più che una visita notturna condita da gratitudine mista a sensi di colpa, un orologio perfettamente funzionante e tanta voglia di vedere di più di quel lato inedito di Pat bambino, scorto di sfuggita mentre abbracciava disperato sua sorella e le ripeteva ancora e ancora che fosse tutto okay, che lui era lì per proteggerla e che non doveva preoccuparsi.
  Apri l'armadio e ne tiri fuori la scatola dei ricordi, quella dove hai custodito di nascosto ogni oggetto legato alla tua storia con Pat, la stessa dalla quale hai recuperato ormai parecchi anni prima quell'orologio che ha dato inizio a tutto. Afferri una bustina rossa e verde, la poggi sulla scrivania mentre riponi la scatola al suo posto e poi la afferri di nuovo, portandola con te sul letto dove Pat ti sta aspettando. Persino nel buio della notte — trafitto solo in parte da un paio di candele profumate, che il tuo ragazzo ha insistito nel voler accendere — riesci a scorgere alla perfezione il luccichio nei suoi occhi e il sorriso soddisfatto sul suo viso.
  “Eccole qua” gli dici, fingendo indifferenza, come se non gli stessi consegnando dei pezzi di te che ti fan sentire più che vulnerabile, più nudo di quanto saresti senza un solo vestito addosso. Da un lato, sei felice che Pat ti abbia convinto ad accendere quelle candele, perché l'essenza alla fragola che vibra nell'aria ti pizzica le narici e ti consente di non focalizzarti troppo sul contenuto delle lettere che adesso l'amore della tua vita ha tra le mani. Mentre lui si sforza di leggerle persino al buio, accostandole con attenzione al lume di una delle candele più vicine al letto, tu ti perdi a guardarlo, ripetendoti ancora e ancora le stesse parole di sempre: è mio, è mio, è mio. Persino adesso stenti a crederci, qualche volta, ti sembra incredibile sentirgli dire certe frasi, o meglio che le stia rivolgendo a te — a te, a te, solo e soltanto a te.
  Pat ha gli occhi lucidi adesso — e almeno in parte te lo sei aspettato. Avete entrambi la lacrima facile quando si tratta della vostra storia, della vostra relazione, di tutto quello che avete dovuto passare e che vi ha reso quello che siete.
  «Mi manchi al punto tale che a volte mi viene da piangere nel bel mezzo della giornata, senza una ragione precisa, mentre sto facendo i compiti o lavando i piatti. Ogni canzone che ascolto mi fa pensare a te, ogni cosa che faccio mi rimanda a un ricordo di te. Non ne posso più», hai scritto in una di quelle lettere che non gli hai né potuto né voluto inviare, una di quelle che credevi sarebbe rimasta tua per sempre, nella quale hai riversato tutto ciò che provavi — l'unico modo per non implodere. «Mi viene da pensare che non smetterò mai di provare queste cose e mi sento un idiota colossale. Non capisco come sia riuscito a innamorarmi così visceralmente dell'unica persona che mi è stato chiesto di odiare. Più ci rifletto e più mi viene il mal di testa.» Sei piuttosto sicuro che quella lettera sia macchiata, perché ti ricordi con precisione di aver avuto la vista così appannata, mentre la scrivevi, che ti sei dovuto fermare per tamponarti gli occhi con un fazzoletto. Alle tue lacrime se ne aggiungono di nuove, quelle di Pat, ma cerchi di asciugargliele in tempo, prima che cadano sul foglio spiegazzato, carezzandogli la guancia con il pollice e riservandogli un sorriso che, in altre circostanze, definiresti smielato. Pat lo ricambia, tira su con il naso e poi torna a leggere, in silenzio.
  La seconda lettera che finisce tra le sue mani la ricordi bene, vero? L'hai stesa un paio d'ore dopo esserti trasferito nella tua nuova scuola, sdraiato sul letto della tua nuova camera, venti minuti dopo aver stretto la mano di Wai ed esserti presentato a lui come il suo nuovo compagno di stanza. Eri così arrabbiato, frustrato, che hai sentito impellente il bisogno di riversare su carta ciò che provavi. «La cosa più patetica di tutte è che volevo dirtelo», hai scritto, «volevo dirti, dopo il concerto, che la canzone era per te, che non sarei riuscito a scriverla se tu non esistessi, che quelle parole non hanno richiesto nessuna inventiva, erano per te, per te, per te e per nessun altro. Volevo dirti che per un rapido istante in quell'androne mi è sembrato non ci fosse più nessuno se non noi due, che mi sono sentito così felice e così sicuro di me, per la prima volta nella mia vita, che voltarmi e sorriderti mentre suonavamo la nostra canzone mi è venuto spontaneo.»
  A Pat scappa un sorriso, tenue e appena appena accennato, forse per l’intrinseca e malinconica dolcezza di quelle parole, o forse per la prospettiva fantasiosa che ora si sta facendo strada nella sua mente — l’immagine di come sarebbe stata la vostra vita se quel giorno tua madre non si fosse presentata, se avessi avuto per davvero la possibilità di dirgli quello che provavi quel giorno stesso, se lui avesse avuto la sua epifania in quel preciso momento. Tornando indietro, nonostante tutto il dolore, nonostante gli anni passati a pensare che si trattasse di un amore impossibile a cui eri condannato, non cambieresti nulla.
  «Mi manchi da impazzire.» In una lettera c’è scritto solo questo, una singola frase, quattro parole che credevi meglio di qualsiasi altre fossero in grado di descrivere appieno quel senso di vuoto incolmabile che ti scavava il petto giorno dopo giorno, lasciandoti una ferita che non si sarebbe mai rimarginata.
  “Mi dispiace tanto, Pran” sussurra Pat all’improvviso — e il tuo sguardo si addolcisce, gli metti le mani a coppa sotto al mento, gli carezzi gli zigomi con le dita e gli sussurri che ormai è passato, che non ha niente di cui scusarsi, che torneresti indietro e faresti tutto da capo pur di arrivare dove siete adesso, insieme, finché morte non vi separi.


 
   
 
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