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Autore: Fiore di Giada    13/04/2023    0 recensioni
[PARTECIPANTE ALLA CHALLENGE "Solo i fiori sanno". Il fiore è la gerbera rosa]
− Buon compleanno, amico mio. Spero che Dio ti abbia perdonato. − si augurò l’uomo. Una simile considerazione era insolita per lui, ardente protestante, ma il cuore aveva soverchiato la ragione.
Il suo amico, vittima d’inganni crudeli, non aveva avuto la possibilità di vedere un mondo diverso.
Non meritava l’Inferno.
O forse era solo una proiezione della sua mente straziata?
L’uomo, a fatica, si alzò, lanciò uno sguardo triste sulla tomba e si allontanò.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Con un sospiro, Matthias percorse il cimitero.
Il vento, tagliente, soffiava tra le croci, sollevando le foglie degli alberi, mentre la pioggia, implacabile, cadeva, riempiendo l’aria di un ripetuto ticchettio.
L’uomo, paziente, si aggiustava l’impermeabile e stringeva contro di sé un mazzo di gerbere rosa.
Si fermò davanti ad una lapida marmorea di forma rettangolare, lucida di pioggia.
Sul marmo, risaltava una scritta sottile, come fosse stata impressa da uno scalpello:
 
Siegfried Huber
3 Gennaio 1927 – 28 aprile 1945
 
Matthias, per alcuni istanti, rimase immobile, come una statua, lo sguardo vitreo e il viso pallido. In quel momento, gli sembrava di rivivere gli ultimi, dolorosi momenti dell’esistenza di Siegfried.
Con un sospiro, l’uomo si lasciò cadere sul terreno e posò il mazzo di fiori.
Per alcuni istanti, chiuse gli occhi e lasciò cadere le lacrime,  che si mescolarono alla pioggia. Il freddo della sua anima, in quel momento, soverchiava quello atmosferico.
D’istinto, si sfregò le mani. Il tempo, come se non fosse mai passato, si era dissolto.
Sulla sua pelle, risentiva il flebile calore della mano di Siegfried, stretta attorno alla sua.
− Amico mio… Mi manchi, nonostante tutto. − mormorò. I campeggi della Hitler-Judend  avevano creato un legame, che il tempo aveva rafforzato.
Entrambi avevano deciso di votare le esistenze al sogno imperiale di Hitler.
Un conato di vomito colpì Matthis e l’uomo, d’istinto, si coprì la bocca con la mano. La guerra, col suo carico di dolore e morte, aveva strappato la crosta delle illusioni dalla sua anima.
Aveva ben veduto la sopraffazione e il sopruso, che seguivano l’avanzata delle truppe del Reich.
Deboli singhiozzi sollevarono il suo petto e l’uomo, in uno spasmo d’amarezza, irrigidì i pugni. Il suo amico, d’animo tanto dolce, non aveva visto la realtà del Reich.
Continuava a vedere l’indegnità degli ebrei e non si poneva alcuna domanda.
E lui, che pure era più adulto, non aveva avuto il coraggio di provare a liberarlo da quei convincimenti malsani.
Davanti all’adamantina dedizione di Siegfried al dovere, avvertiva il peso della sua meschinità.
E le parole si congelavano nella sua gola.
− Amico mio… Ho detto a tua madre e ai tuoi fratelli che sei morto da soldato valoroso… Ho mantenuto la mia promessa… Perdonami se non te ne ho parlato prima… − sussurrò.
L’uomo posò la mano destra sulla croce. Era riuscito a sopravvivere alla guerra.
Ma le battaglie e la morte avevano impregnato la sua carne d’un odore mefitico, che nulla avrebbe potuto cancellare.
− Ho mantenuto la mia promessa… Ma lei non è stata contenta…  Ha maledetto il nome di Hitler, perché ti aveva sottratto al suo affetto…  Credo che mi abbia odiato, perché io sono sopravvissuto. − sussurrò.
Con un debole gemito, si abbandonò al pianto, che, come un masso, premeva il suo petto. Il suo amico, nell’ardore della sua ingenuità, credeva che sua madre sarebbe stata fiera del suo eroismo.
Adriane Lange, invece, si era sciolta in un pianto disperato e, con voce tonante, aveva maledetto Hitler, che le aveva sottratto marito e figlio.
− Amico mio, non giudicare tua madre. Lei ti ha amato e ti ama. La tua morte le ha strappato un pezzo di cuore… E’ sopravvissuta, ma i suoi occhi, così simili ai tuoi, sono spenti. E io… Io non posso non capirla.  −
Scosse la testa, mentre lunghi brividi scuotevano la sua schiena. Siegfried aveva il cuore d’un eroe, ma la malefica propaganda nazista aveva corrotto le sue meravigliose qualità.
La sua encomiabile fermezza aveva condannato a morte decine di persone, colpevoli d’essere diverse.
E aveva spinto la Germania nell’abisso di una guerra crudele, che si era conclusa con una scia di sangue, morte e rovine.
− Io… Io ho imparato ad accettare le conseguenze delle mie azioni…  Sto cercando di educare le nuove generazioni alla pace e alla concordia. Perché io… Io non posso vedere altri giovani corrotti da ideali crudeli. Non voglio vedere morire altri come te, amico mio. Nonostante tutto, mi manchi… Mi manchi così tanto e vorrei vederti ancora una volta… − concluse. Se fosse sopravvissuto, Siegfried non sarebbe stato contento del suo mutamento.
Ma non gli sarebbe importato.
Avrebbe preferito la sofferenza della lontananza al tormento di una morte feroce, in nome di un ideale scellerato.
− Buon compleanno, amico mio. Spero che Dio ti abbia perdonato. − si augurò l’uomo. Una simile considerazione era insolita per lui, ardente protestante, ma il cuore aveva soverchiato la ragione.
Il suo amico, vittima d’inganni crudeli, non aveva avuto la possibilità di vedere un mondo diverso.
Non meritava l’Inferno.
O forse era solo una proiezione della sua mente straziata?
L’uomo, a fatica, si alzò, lanciò uno sguardo triste sulla tomba e si allontanò.
   
 
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