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Autore: Helen_Rose    26/04/2023    2 recensioni
[Mare Fuori ]
[Mare Fuori ][Mare Fuori ]Volevo immaginare quell'appuntamento che Carmine le aveva promesso.
Ho intenzionalmente evitato di menzionare don Salvatore e le sue eventuali domande su dove Rosa stesse andando; m'interessava rappresentare una sorta di bolla in cui fossero contemplati solamente loro due.
Soprattutto, mi premeva approfondire la condivisione dei ricordi di Rosa insieme a Carmine, dato che finora è stato lui ad aprirsi di più, tra i due.
Mi interesserebbe molto una quarta stagione basata sul legame di Rosa con la defunta madre.
Finora, l'ho sfruttata come pretesto per abbellire la sua interiorità.
Mi sono dedicata anche a degli approfondimenti che scaturiscono dall'iconico: "Uè, non mi riconosci, Di Salvo?"
Ho trovato plausibile lo scenario di un'infanzia 'condivisa ma a distanza di sicurezza', che però avesse già dato modo a Carmine di iniziare a intuire che tipo di personalità abbia Rosa.
Naturalmente, il seppur breve salto temporale tra seconda e terza stagione ci lascia un po' a bocca asciutta, dal punto di vista della nascita dell'attrazione di Carmine per Rosa...
Quindi ho provato a immaginarne le possibili basi, chiaramente abbozzandole.
Resta comunque il fatto che Carmine, più di tutti, sia in grado di leggere dentro Rosa.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ci riproviamo?
Dove si sente il vento sulla pelle. Domani, alle 17
Ti amo.
In quei giorni, aveva preso l’abitudine di scriverle anche quando avrebbero tranquillamente potuto interagire di persona. Gli piaceva l’idea di creare dei piccoli ricordi che lei potesse conservare.
Rosa continuava a rigirarsi il bigliettino tra le mani, senza trovare pace. Le sembrava che le ore scorressero con esasperante lentezza; o che le lancette si fossero definitivamente bloccate. Fino a poche settimane prima, si sarebbe schiaffeggiata da sola per tutta quell’ingiustificata impazienza.
Con tutta probabilità, Carmine le aveva proposto quell’orario per evitare di friggersi sotto il sole del primo pomeriggio; ma non ne poteva più di aspettare che arrivasse un orario quantomeno adeguato per prepararsi, evitando così che il trucco - per quanto waterproof – fosse il primo a liquefarsi, culminando con una combustione spontanea degli elastici per capelli e, in ultima istanza, di lei stessa. Stavano sperimentando il settembre col caldo più torrenziale di cui avessero memoria.
Si risolve ad assecondare il proprio istinto, andando incontro al concreto rischio di arrivare in anticipo per la prima volta da quando aveva iniziato ad agghindarsi per le uscite ‘come una vera signorina’, dunque a occhio e croce dagli undici anni, estendendo progressivamente il minutaggio di quella fase. Indubbiamente, il primato se lo aggiudica la creazione del record di ‘essenzialità’: un po’ di correttore e matita nera sugli occhi, niente rossetti né lucidalabbra per risparmiare a entrambi la fatica di eliminarne poi i resti sparpagliati per tutto il viso; ai lobi mette due cerchi grandi, solo la collana della madre che indossa sempre per prima, alle dita alcuni anelli; indossa preventivamente il costume da bagno, poi dei pantaloncini e una delle sue magliette appariscenti, giusto per risvegliare un po’ il look. Per il resto, sarebbe insensato agghindarsi con la prospettiva di fare un bagno.
Ed è così che, inaspettatamente, in effetti arriva una mezz’ora prima dell’orario stabilito. Dunque, ha tutto il tempo di predisporre telo e borsa, togliersi i sandali e avviarsi sulla riva, affondando prima le unghie perfettamente smaltate, poi le piante dei piedi e infine i talloni, nella sabbia bagnata dalle onde che vi si infrangono sopra. Non saprebbe spiegare come riesca a far conciliare il disgusto per come quei tocchi di sabbia le si incollano alle estremità inferiori, con la sensazione di pace che le infonde quel contatto, perlomeno finché il mare gioca il proprio ruolo. Appena arrivata in spiaggia, è un rito cui non rinuncerebbe per nulla al mondo; guai a chi la disturba.
Si rivela una pura casualità, dunque, che Carmine arrivi proprio quando Rosa si è già allontanata leggermente, e sta semplicemente contemplando la distesa di blu a perdita d’occhio.
Il suo fidanzato sa fin troppo bene che non è il caso di sorprenderla alle spalle, spaventandola... Tuttavia, è come se entrambi telepaticamente sentissero che, stavolta, nulla possa veramente andare storto. Che assaporeranno la libertà e il loro amore, solo loro due, proprio come si erano ripromessi.  Sensazione confermata e sovrastata dall’impulso crescente di lui di afferrarla per i fianchi, sollevarla e fare tante giravolte su loro stessi da dimenticare dove siano il Nord, il Sud, l’Est e l’Ovest. Proprio come si impongono di fare quando sono insieme, per evitare che il peso della situazione li schiacci. Ragion per cui, alla luce delle innumerevoli privazioni cui sono costretti… Soffocare quell’impulso presupporrebbe una maturità cui non è completamente pronto a cedere.
Assumendosi tale rischio, è pronto a parare colpi sia fisici sia verbali della tarantella per antonomasia. Eppure, all’istante di smarrimento iniziale seguono gridolini spensierati, finché non arriva la supplica di essere riadagiata al suolo, pena una perdita totale di lucidità fin dai primi momenti.
Le tipiche risate che seguono un momento fortemente adrenalinico, indubbiamente enfatizzate dall’entusiasmo di potersi vivere in totale esclusività, scemano col contatto delle loro labbra. “Mmh, e comm’è possibile ca sient ’o sapor r’o mar?” la provoca, sorridendo e girandole il busto, in modo che schiena di lei aderisca al suo petto, lasciandole una scia di baci sul collo inframmezzati dai vari e cadenzati: “E pur càE cà… E cà…”, mentre attende pazientemente una risposta.
Peccato che, distraendola in quel modo, rischi di farla tardare di molto. Senza contare il fatto che ammettere di essere arrivata circa un quarto d’ora prima di lui equivarrebbe a conferirgli un’importanza che, almeno in quei piccoli dettagli, forse non è ancora pronta a concedergli. Ah, ma che importa! “Sarà perché sto qui da un po’; e ho messo pure i piedi in acqua.”
Carmine allunga il collo in avanti per incrociare il suo sguardo: “Quann si arrivat ?”
Rosa fa spallucce. “Tenevo voglia di vederti.” ammette, semplicemente, allungando il collo ma all’indietro per baciarlo, per poi girarsi progressivamente, onde evitare una penosa scomodità.
“ ’O ver ?” insiste lui, che adora esasperare quelle infrequenti ammissioni del tutto spontanee.
Ma la pazienza di lei ha limiti ben delineati specie in materia di smancerie. Come volevasi dimostrare, a uno sbuffo eloquente fa seguito la replica sarcastica: “No, stong cà pecché nun tenev nient’a fà.
Non saprebbe stabilire se dipenda più dalla sottile punta di acidità, o dall’aver reinserito bruscamente il dialetto dopo la ‘tenue’ parentesi in italiano; ad ogni modo, come spesso accade durante i loro battibecchi, a maggior ragione se è lui a istigarla, Carmine scoppia a ridere. “Sei senza speranza…” commenta, scuotendo la testa e riprendendo diligentemente l’operazione di prima, ma dall’altro lato.
Agg capit, Cà; però si pesant !” lo rimbecca lei, nonostante un principio di… Non procediamo per eufemismi, un incontenibile sorriso si sia già abbondantemente impadronito del suo viso. “Lo sai che ti amo.” precisa, a scanso di equivoci, accoccolandosi sul suo petto mentre si siedono.
Per quanto lo lusinghi sentirselo dire, ogni volta allo stesso modo incredibilmente, Carmine non ha intenzione di mollare la presa. Non in quel piccolo frangente di spensieratezza che è concesso loro. “Sì, ma mo mi vuoi addirittura risparmiare la fatica di aiutarti a levà tutti i gioielli r’a Maronn’e Pumpeje ?” come Carmine definisce scherzosamente tutto l’armamentario con cui è solita adornarsi. Indubbiamente, lui preferisce un aspetto più semplice; ma Rosa è talmente bella di suo, per non parlare della bellezza interiore, che la maggioranza delle volte neppure fa caso agli accessori.
Eppure, lei è sempre in dubbio se considerarla come una battuta scherzosa sulla scia delle solite, oppure come un’allusione al fatto che preferirebbe vederla con un look più semplice. Finora, non si era mai davvero posta il problema: se è innamorato come dice, dovrebbe apprezzare o comunque accettare il suo stile… E se così non dovesse essere, sarebbe giusto compiacere i gusti di lui?
La sua perplessità, con altissima probabilità dipinta per tutto il viso, riceve prontamente una risposta: “Ma ’o saje o nun ’o saje ca me fai ascì pazz, a me ? Si troppa bella.” Le dà un bacio sulla tempia.
Sorridendo beatamente, Rosa sposta lo sguardo sull’orizzonte, indugiando per diversi secondi… Finché il peso della memoria non si fa insostenibile, e sente il bisogno di condividerlo con Carmine. Sospira. “Quann’èramo criaturi , mamma ci portava spesso al mare.” rivela, a bruciapelo.
Al solo udire la parola chiave, Carmine raddrizza istintivamente la schiena e inizia ad accarezzare lentamente il braccio di lei su cui poggia la sua mano; l’altro braccio è impegnato a reggerlo da seduto. Rosa nomina pochissimo la madre Angela *1 , ma lui sa bene quanto sia legata al suo ricordo; ragion per cui evita accuratamente di lamentarsi della propria, di madre, anche perché ultimamente ha ben pochi motivi per farlo… Per quanto la sua fidanzata sia sempre molto comprensiva; forse fin troppo.
Il silenzio avvolgente di lui la invita implicitamente a proseguire; è raro che si apra spontaneamente: “Ciert’ vot stavamo pur tutt’a jurnata cà.” Accenna un sorriso, al prepotente riaffiorare della nostalgia. “Mamma ricev semb… ‘Quando tieni un problema, vieni ad ascoltare il mare: saprà guidarti’.”
Lui sorride a propria volta. Un consiglio quasi utopico. Le domanda semplicemente: “E funziona?”
Con un sorriso sbilenco, ammette: “Quasi mai.” Carmine le sorride di rimando. “Ma non mi sento tradita. Mamma era speciale; s’impegnava assai per fare finta che tutto era bello, pulito… Possibile.” Dar voce a quei ricordi le sta graffiando la gola. Le sfugge una lacrima incontrollata, ma non la ferma.
Provvede immediatamente lui, come sempre; prima con una carezza, poi con un bacio delicato. Vorrebbe che si sfogasse quotidianamente, perché è salutare per lei; ma vederla soffrire lo dilania.
“E io ci credevo veramente. Forse pecché a vulev crerer. Invece, i frat miej s’arricuordan buon, tte chill cose brutt ca succerevan int’a casa nost. Però m’e nasconnevan … Proprio come faceva lei.” *2 Schiacciata dal carico emotivo di rivivere il senso d’impotenza, s’incupisce nettamente e fissa il vuoto.
Carmine sposta il peso del corpo in avanti, così da cingerla anche con l’altro braccio senza perdere l’equilibrio, metaforicamente e non. Conoscendola come le proprie tasche, ancora una volta associa colori e suoni al suo silenzio impenetrabile *3 ; le sussurra dolcemente: “ ’O faceva pe’ te, o saje ?”
Sconfitta ma non da lui, protesta debolmente: “Sì; però lei era infelice, e io non capivo niente.”
Gli verrebbe quasi da sorridere; s’impegna a frenare l’impulso, per non rischiare di essere frainteso. Rosa ha vissuto più dolore in sedici anni di quanto ne sperimentino altri in un’intera esistenza; eppure si sente in colpa perché, da bambina, non ha saputo alleviare consapevolmente la sofferenza materna. Innanzitutto, con tutta probabilità ora sta vegliando su di lei, preoccupandosi per la sua felicità attuale; d’altro canto, tutto sommato, forse all’epoca potevano ancora permettersi di far confrontare Rosa con i problemi di qualunque bambina della sua età. Carmine avrebbe potuto scommettere qualunque cosa sul fatto che la convivenza con quell’uomo sempre più assetato di potere, e dunque di soldi e sangue, fosse la reale causa della malattia, della debilitazione totalizzante e progressiva di Angela.
Ragion per cui sarebbe disposto a far carte false pur di levare all’amata quest’ulteriore peso dal cuore. A cominciare dalle proprie migliori argomentazioni: “Per lei, ’a cosa chiù importante era sapere che eri felice tu, Tarantè. E così, stava più tranquilla pure lei. Sò sicur. Quando tieni un figlio, è accussì.”
Intuisce perfettamente perché sia ricorso a quel soprannome in questo momento: oltre a strapparle un sorriso, vuole ricordarle che sta montandosi in testa una paranoia completamente infondata.
Carmine sa esattamente quando, come e perché abbia bisogno di (qual)cosa; anche e soprattutto laddove Rosa stessa abbia le idee confuse. Dote decisamente più unica che rara; o meglio, che non permette praticamente a nessuno di far emergere con lei, poiché implicherebbe mostrarsi vulnerabile. Ma Carmine non ha solamente guadagnato la chiave del cuore di Rosa; e soprattutto, non ha trovato le istruzioni per aprire la serratura: si può dire che le abbia inventate. E in tali casi, la minima forma di riconoscimento che ci si possa aspettare è un bigliettino di ringraziamento, foss’anche solo verbale:
“Ciro e Pietro sò ’o cor mij ; e pure a papà voglio bene, anche se a volte quasi me ne pento…” Carmine non può fare a meno di sogghignare, davanti alla sua smorfia più che eloquente. “Però…” Sospira, timorosa di non riuscire a esprimersi come vorrebbe; poi, le parole escono da sé *4: “Da quando è morta mamma, non riuscivo più a ricordare la sensazione che mi faceva provare lei: come se i problemi non fossero poi così grandi come sembrano... Solo tu l’hai riportata indietro. Basta un tuo sguardo, un tuo gesto: e anche se stiamo in una tarantella vera, io me lo scordo.”
Che Rosa spiazzi Carmine, invece, di certo non è una novità; e non lo fa neppure intenzionalmente. Ma questo contesto è davvero senza precedenti; fragile e sottile come e più di una pista di ghiaccio. Solitamente, si dice che nessuno possa amare quanto e come le madri; al limite, ci si estende ai padri. E a ben vedere, fin da quando ha scoperto che sarebbe diventato padre, quel ragazzino di diciassette anni si è ritrovato, più o meno volontariamente e consapevolmente, a fare da guida a diverse persone. Ma il suo istinto ‘paterno’ di protezione si propaga all’ennesima potenza per colei che è un terzo del suo cuore; per quanto, paradossalmente, abbiano giusto quel paio d’anni di differenza l’uno dall’altra. E soprattutto, Rosa sta inequivocabilmente ammettendo che, nonostante tutto e tutti, ha deciso di fidarsi di Carmine non solo perché la fa sentire a casa, ma perché È la sua casa. Proprio quel luogo fisico e del cuore dove ci si rifugia quando non si riesce o non si ha più voglia di proteggersi da soli.
Ragion per cui è arrivato il suo turno di spiazzarla un po’. Innanzitutto, sposta leggermente indietro il peso del proprio corpo, assicurandosi che si giri verso di lui, mentre sfodera l’artiglieria pesante: “Forse non te lo ricordi, ma io l’ho conosciuta tua mamma.”
Inizia a ricollegare, sì… È che le fa sempre un po’ effetto, quando qualcuno la nomina: capita di rado.
T’arricuord, il parchetto? *5 T’accompagnavano semb i frat tuoje…” specifica, alzando le mani.
Lei sorride istintivamente. “Te miettiv ’a paur ’e lor ?” lo sfotte, inarcando un sopracciglio.
“Assolutamente no.” si affretta a specificare lui. “Persino loro sapevano che dovevano lasciarti fare.”
Rosa stenta a credere alle proprie orecchie. “Te miettiv ’a paur ’E ME ?” sottolinea la paradossalità.
Carmine scrolla le spalle. “Almeno quann’er criatur, forse ero piecuro di nome e di fatto! Si può?” La risata di lei è incontenibile: si faceva mettere in soggezione da una bimba con l’argento vivo addosso.
Lui si trattiene solo perché la prosecuzione ha un’atmosfera ben diversa. Perciò, si schiarisce la voce: “Capivo che era arrivata tua mamma a prendervi da come ti cambiava lo sguardo. Ti illuminavi tutta.” Le regala un sorriso caldo, prima di aggiungere: “Come quando parli con Carmela, Silvia... Chi ami.”
Allora, è proprio vero: lui la vede da fuori, per poi imboccare il passaggio segreto verso la sua anima. Chi ci riesce, guadagna il privilegio di sentirla abbandonarsi completamente contro il proprio petto.
Ed è in quel momento, che la stringe come finora non si era mai concesso di fare. Come se avesse paura che possa scivolargli improvvisamente tra le dita.
Sente che sia arrivato il momento di dar voce ai propri pensieri a sua volta: “È assurdo, pecché ’ncap a me, i primi tempi nell'IPM mi credevo che la mia vita era finita proprio su una spiaggia.”
Rosa si irrigidisce leggermente. La versione ufficiale è che abbia ammazzato Nazario Valletta perché così gli aveva ordinato la sua famiglia; quella ufficiosa, che l’abbia fatto per salvare Nina. E a maggior ragione da quando lo conosce meglio, non può dubitare del fatto che l’ufficiosa sia l’unica corretta.
“Che oltre alla libertà, avevo perso anche l’amore. E invece l’amore è tornato, anche se non come me lo sarei aspettato; anzi, con Futura già ci stava... Ero io che non capivo niente.” Abbassa lo sguardo. Il peso del senso di colpa per come affrontò quel periodo non lo abbandonerà mai; così come gli sguardi preoccupati di quanti cercavano di fargli tener presente il benessere prioritario di sua figlia.
Rosa gli accarezza un braccio, aspettando che prosegua appena si sente pronto. S’impone di non interiorizzare veramente ciò che le sta raccontando; perché ogni volta in cui lo fa, sente una morsa dal petto allo stomaco che non l’abbandona per ore. In primis, empatizza con la situazione della bimba, perché ci è passata in prima persona, anche se per ragioni differenti; ma lo strazio provocato dal dolore di chi si ama non vale unicamente per Carmine. Per quanto sia collegato a un’altra persona. Rosa non potrà mai essere gelosa di Nina; piuttosto, nutre del timore reverenziale nei suoi confronti... Ma ci sarà tempo e modo per elaborarlo. Non oggi, non qui.
L'angolo destro della bocca di Carmine si curva in un accenno di sorriso. “La libertà, l’ho riscoperta con Naditza e Filippo...” Le dà un bacio sulla tempia. “E con te.” Riesce a farla sorridere di rimando. “Quindi, tua mamma teneva ragione.”
Lei scoppia in una risata liberatoria, portandoselo dietro. Parzialmente.
Se, all’inizio, Carmine si era approcciato a Rosa con lo spirito di chi non ha nulla da perdere, perché aveva capito per esperienza che si pensa di morire, ma non si muore mai davvero dalla sofferenza… Da quando ha avuto la dimostrazione tangibile di avere moltissimo da perdere, se lo tiene ben stretto. Perché lui, più di lei, non si perdonerebbe mai se le facessero del male.
~
Per alleggerire l’atmosfera, le propone a bruciapelo: “Che dici, ce jamm ’a fa ’nu bagn ? Ti va?” Carmine attende pazientemente che Rosa finisca di liberarsi di tutto il superfluo, prima di afferrarla a tradimento per la vita e, incurante dei suoi gridolini di protesta, sistemarsela sulle spalle per poi correre a perdifiato verso quella distesa blu, che prontamente li inghiotte, per poi restituirli alla luce. Riemergendo tra tosse e tentativi fallimentari di togliersi l’acqua dal naso, una Rosa completamente colta alla sprovvista cerca di salvare la facciata con un: “Carmineee!” che dovrebbe suonare come una protesta, ma nella fattispecie risulta il misto tra un gridolino isterico e il penoso tentativo di celare un’imminente risata che s’affaccia con prepotenza crescente e, alla fine, non le muore in gola. Naturalmente, i conseguenti sfottò di Carmine vanno da qui ai successivi cinque minuti, inframmezzati da spostamenti di onde ai danni di lei, sempre a tradimento, e baci salatissimi.
Quando le prugne avvizzite risultano lisce, a confronto con le loro dita, si decidono a rientrare. Ed è mentre osserva Rosa tamponarsi i capelli con un asciugamano e pettinarseli, completamente rapito, che Carmine partorisce l’ennesima genialata del pomeriggio: “T’agg’a truà n’at soprannom.”
Lei inarca un sopracciglio, tra il perplesso e il divertito: “Nun t’abbastan i modi per sfottermi?”
Non tarda ad arrivare in risposta una risata che suona come una vaga ammissione di colpa. “E ja… Intendevo un soprannome ’nu poc chiù doce…” specifica, pensando possa far piacere a entrambi.
E invece, stavolta si sbaglia. Scrollando le spalle, Rosa ammette: “A me piace quello originale.” Contemporaneamente, acclara quanto poco le si addicano smancerie e spargimenti di miele vari. Cosa che, in realtà, a Carmine non dispiace affatto; sa essere dolce, a modo suo e quando vuole. “Vabbuò, ja, allora lo prendo come un complimento.” la stuzzica, ottenendo un bacio in risposta.
A scanso di equivoci, Rosa specifica: “Pure il mio nome… Intero, così com’è, mi piace.”
Carmine si affretta ad annuire, per evitare di essere frainteso; “È bello” conferma, sorridendole.
Rosa l’ha confessato così, senza pensarci. “Mamma diceva sempre che era il nome perfetto per me…” L’angolo destro della bocca le si solleva, consapevole: “Perché bisogna saper guardare oltre le spine.” Carmine abbassa lo sguardo, e quando lo rialza, contiene tutta la gratitudine per averglielo permesso.
Avvolta dal telo, torna a sedersi sulla sabbia e lo invita a fare altrettanto. Quando l’ha raggiunta e sono tornati nella stessa posizione di prima, completa il racconto: “In realtà, mi aveva chiamata così perché Era de maggio era la sua canzone preferita… E infatti, sò nata a maggio. Come mia zia, l’omonima.”
Carmine si irrigidisce istintivamente, ma cerca di non darlo a vedere. “Quando compi gli anni?”
“Il 19…” risponde lei, credendo di aver intuito perché si sia improvvisamente messo sulla difensiva. Non sbaglia: il 9 ha portato solo distruzione, ma basta aggiungere un 1 davanti, per tornare alla vita. *6 Ma si limita a pensarlo. Ci sarà tempo e modo per affrontare discorsi di quel tipo; non oggi, non qui.
Cantare alleggerisce sempre il cuore, anche se non si è particolarmente portati per farlo; soprattutto, risulta essere un ottimo diversivo, in situazioni del genere. Carmine comincia, all’inizio delicatamente: Era de maggio, io no, nun me ne scordo…
Rosa sta già sorridendo a 32 denti, e lo lascia fare con sommo piacere.
Na canzone cantávamo a doje voce
Chiù tiempo passa, e chiù me n’arricordo

Fresca era l’aria e la canzona doce…
A questo punto, avendo preso confidenza, si lancia in acuti fallimentari – per usare un eufemismo - : E dicevo: “Core, core
Core mio, luntano vaje
Tu me lasse, io conto l'ore
Chisà quanno turnarraje...”

Ogni napoletano che si rispetti, a qualunque generazione appartenga, conosce questa canzone. Chiaramente, questo è l’unico stereotipo cui Carmine aderisce, dato che si rivela palesemente l’eccezione che conferma la regola secondo la quale non esisterebbe un solo napoletano stonato *7.
Rosa, che sta diventando paonazza per lo sforzo di trattenere le risate, si ritrova a empatizzare con la probabile delusione di Filippo, nel reggere in completa solitudine il baluardo del talento musicale. Soffocando con estrema fatica uno scoppio incontrollato di ilarità, deve sfogarsi almeno in parte: “Amm capit ca nun simm buon a fa ’a pizza; amm capit ca ’o mandolino, proprio nun è cosa pe’ te ; insomma, di tipicamente napoletano ci rimane solo la camorra… No, scherzavo: tu si don Piecuro.” Una persona migliore di lei si sarebbe accontentata. Ma nel sollevare lo sguardo, incrocia quello di lui.
Che a questo punto, non sa se raccogliere la sfida o risparmiare un bel mal di pancia ad entrambi, autorizzando la risata libera su una delle dimostrazioni più brillanti di black humor cui abbia assistito. Dal momento che neanche il lato oscuro di lui scherza, quando vuole, vada per la prima opzione: “Famme capì: tu si ’a meglio?” la provoca, alludendo specialmente all’essere una camorrista scadente.
Sogghigna. “Tieni ragione. Che brutta fine c’agg fatt… Mi sono proprio rammollita.”
A questo punto, Carmine è costretto a stuzzicarla alla loro maniera: ovvero, con una domanda che non è mai retorica fino in fondo: “RosaRì, ma ti manca così tanto essere la reginetta della malavita?”
A scanso di equivoci, la risposta è inaspettatamente ferma e dolce al contempo: “Neanche un po’.” Merita pienamente il bacio sulla sommità della testa, quello sulla punta del naso, tutti quelli a seguire.
“E comunque,” - Carmine tiene a specificare - “non hai imparato a fà ’a pizza pecché me tenev semb l’uocchie ’nguoll… per un motivo o per un altro.” Para abilmente la manata direzionata al suo braccio.
È nuovamente il turno della tipica espressione battagliera di Rosa, di provocarlo: “Pecché, tu no?”
Così com’è il turno di Carmine di ammettere la propria sconfitta. “E infatti, tieni ragione.”
“Non ti distraevi solamente in quelle prediche luuunghe…” lo sfotte, parando un tentativo di solletico.
“Ma tu mi stavi mai a sentire, o spegnevi il cervello e poi insultavi in automatico?” s’informa, curioso.
Rosa inarca un sopracciglio, sorpresa e divertita. “Secondo te, se non ti ascoltavo, ora stavamo qua?”
È per queste soddisfazioni che si sta al mondo, no? “Dicette ’o pappice vicin ’a noce…” esordisce lui.
Stavolta, non trattiene le risate. Beccata in pieno. “Ramm ’o tiemp, ca te spertose.” completa lei. *8
“E comunque, non te la cavi così. Famme sentì tu, ja.” incalza Carmine, implacabile.
Rosa finge di non aver capito. Poi cede, ma non prima di avergli dato un bacio di gratitudine, e non solo per non essersi mai arreso con lei… Ma perché cantare quella canzone è stato un enorme regalo.
La sua voce sarebbe più potente, come quella della madre; ma quando è emotivamente in subbuglio, per evitare di stonare preferisce agire in sottrazione, cantando in modo inaspettatamente delicato. Rispunnev’io, “Core, core
Core mio, turnata io sò
Torna maggio e torna ’ammore
Fa de me chello che vuò
Torna maggio e torna ’ammore
Fà de me chello che vuò.”

~
Note:
*1 è un nome che mi piace molto, e mi dà l’idea che sua madre vegli su di lei.
*2 Ciro e don Salvatore parlano della madre/moglie come di una persona completamente trasparente; eppure, Rosa la ricorda intenta a nascondere il marcio, perciò mi è venuto naturale dedurre che, per via della sua giovanissima età, almeno con la piccola di casa riuscisse nell’impresa.
*3 Non fermare quel tuo modo di riempire le parole di colori e suoni in grado di cambiare il mondo che non ero in grado di vedere (Una finestra tra le stelle, Annalisa)
*4 Spesso ironizzo con le mie amiche sul fatto che ‘le fanfiction si scrivano da sole’; quando la scrittura del canon è accurata, il resto vien da sé. Lo stesso vale per la sincerità con cui Rosa e Carmine vivono questo sentimento, che dà origine a dichiarazioni sublimi da parte di due ragazzi poco acculturati.
*5 Sposo completamente le teorie del twitter secondo cui Carmine e Rosa si conoscevano fin da piccoli, perlomeno di vista; e giocare al parco (a distanza) sarebbe la cosa più naturale del mondo.
*6  Ho voluto anche fare un omaggio a mia zia, nata il 19 maggio. Senza contare il fatto che Rosa possiede molte delle caratteristiche delle donne nate sotto il segno del Toro (per chi ci crede, ovvio).
*7 Ci divertiva molto l’idea di un Carmine stonato: dovrà pur avere qualche difetto!
*8 Proverbio napoletano che significa: “Disse il topo alla noce: ‘dammi il tempo, ché ti buco’.” Metaforicamente parlando, indica la pazienza volta alla persuasione di qualcun altro.
 
 
   
 
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