Serie TV > I Medici
Ricorda la storia  |      
Autore: ImRebecca    26/04/2023    3 recensioni
In una notte tra le tante, Giuliano, ancora una volta, rivive nei propri sogni la devastante perdita di Simonetta, per poi destarsi e sprofondare di nuovo nella sua infinita ed eterna disperazione.
Ormai, tutto quel dolore è divenuto un insopportabile supplizio senza fine, che solo la morte, unico mezzo per ricongiungersi con lei in paradiso, sembra poter colmare.
Parole: 1441. Tempo di lettura: circa 4 minuti.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Salve a tutti!
Oggi, in data 26 aprile, nel giorno di Pasqua di ormai 570 anni fa, a Firenze, nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore, avveniva la Congiura dei Pazzi. E anche se la oneshot che starete per andare a leggere non tratta di questo importante fatto storico del Rinascimento nello specifico, ho deciso di pubblicarla in questo giorno poiché ciò di cui ho voluto scrivere avviene in una notte antecedente all’assassinio del mio amatissimo e caro Giuliano De Medici.

Ho finito di scrivere storia alla fine del 2020, dopo aver avuto non parecchia difficoltà a portarla a termine, per poi, poco dopo, rendermi conto che nella serie Giuliano non racconta a sua madre Lucrezia che ha tentato il suicidio per riunirsi nella morte con Simonetta. Però, questa cosa avviene nel romanzo di Michele Gazo, I Medici - Lorenzo il Magnifico, da cui sembra essere tratta la serie, dove, in sostanza, Giuliano stesso spiega a sua madre che lo ha tentato andando nei boschi ed è caduto da cavallo, sbucciandosi – se non erro – solo un ginocchio.
Essendo, quindi, Giuliano il mio personaggio preferito della serie, questo concetto che lui abbia deciso di suicidarsi mi ha colpita molto che, durante il blocco dello scrittore, quando ero in cerca di qualcosa di scrivere, mi venne proposto di buttare giù qualcosa proprio su di lui. La prima cosa che mi venne in mente è stato quello di decidere di trattare un’ipotetica vicenda di come lui potrebbe essere arrivato al pensiero così tanto drastico del suicidio. 

Nonostante la storia sia ambientata – come ovvio che sia – all’epoca del Rinascimento e il tempo di narrazione che vi si può aspettare è il passato remoto, ho deciso di scrivere la storia al presente per due motivi: il primo che, essendo una storia introspettiva, temevo che il passato prossimo ne potesse appesantire la lettura; mentre il secondo era che volevo rendere la storia più d’impatto agli occhi del lettore e renderlo molto più vicino a Giuliano. 
Spero tantissimo di esserci riuscita.        
Buona lettura!

___________________________________________________________________________________________________




A Bradley (James),
il quale oltre a farmi sospirare, sorridere, innamorare
ed essere la mia costante ispirazione da ormai abbastanza anni a questa parte,
è stato perfino in grado di ampliare i miei orizzonti e le mie vedute
facendomi appassionare alla Firenze del Rinascimento,
per merito del suo meraviglioso Giuliano De Medici,
ora mia figura preferita in assoluto nella storia.
Grazie per aver ispirato la mia penna con Giuliano.
Grazie per questo ennesimo regalo.
Grazie, dalle profondità più recondite del mio cuore,

ancora una volta.





Pensare che non l’ho, sentire che l’ho perduta.
Sentire la notte immensa, più immensa senza di lei.
PABLO NERUDA.

 

Nel sospirato sollievo di quel preciso, breve attimo, le sue palpebre esauste si chiudono lente su di lui, così come la sofferenza nell’espressione le si smorza sul volto cereo, madido di sudore freddo.
Poi, pesante, il capo le si rovescia all’indietro, scivolandogli via dalle mani.
In un biascichio soffocato, il respiro gli si spezza, gli muore in gola, nel rimanere lì, inerme a guardarla, senza riuscire a toglierle gli occhi di dosso, quasi come se nel continuare a farlo potesse ancora tenerla aggrappata alla vita, ma non può più fare niente.
Nessuno può più fare qualcosa. Nessuno.
Ora, le lacrime, lievi e calde, gli scorrono piano lungo le gote. Le ignora, non se ne cura, attratto dalla propria mano, scivolata nell’incavo rorido del suo collo, dopo averle visto la testa volgerlesi all’insù, verso l’alto.
Colto da chissà quale fievole barlume di lucidità nello sgomento, l’avvolge con premura tra le braccia; le carezza il viso smunto con i polpastrelli, e glieli accosta fra la guancia e il mento. Poi, adagio, si china su di lei, premendole, delicato, le labbra sulla fronte per un’ultima volta, per un ultimo bacio suggellato tra le lacrime, ormai non più trattenute; così come i gemiti, spezzati da singhiozzi incontrollati intrisi di dolore, che gli si ripercuotono senza tregua nel cuore, nella testa, in ogni parte del corpo, ovunque





 
Nella placida penombra della notte, Giuliano si desta e scatta a sedere sul letto.
È ansante, disorientato, e il cuore gli palpita forte nel petto.
Si ritrova a tastare con le mani tra le coltri, agitato, come se stesse cercando qualcosa, qualcuno
D’improvviso si ferma, e il respiro gli si stronca giù, nel costato, in un risucchio violento.
Non è vero, non è vero, non è vero… È un incubo, un maledetto e terribile incubo.
L’inespressività sul suo volto accaldato si increspa, sprofondando – di nuovo – nell’isteria della disperazione.
Si copre il volto con le mani, se le preme contro, cercando prima di attenuare, invano, tutto l’amaro dolore che lo logora dentro. Poi se le comprime con forza, tutta quella che possiede, sperando di soffocarvisi nel mezzo, tra palmi avviliti e lacrime irrefrenabili.
È tanto, troppo e senza fine, il dolore che lo scuote nelle ossa e poi fino all’anima.
Giuliano non ne può più: è giunto al suo limite, e lo ha anche oltrepassato da un bel pezzo.
Vorrebbe che la morte lo prendesse, che calasse finalmente su di lui una volta per tutte, ma non lo fa.
Non lo fa… Lo lascia lì, vivo e vegeto, a condannarlo nell’attesa di un altro dannato giorno, l’ennesimo e inutile che lo massacrerà dentro, ancora e ancora, senza degnarlo d’alcuna pietà.
Non c’è più scampo per lui, né vita, né luce e né tantomeno speranza, da quando lei se n’è andata.
«Tu sei un Medici prima di tutto, e per sempre.»         
Le sue ultime parole, flebili, gli stridono in testa in un sussurro nitido che lo riportano indietro, nella debole luce fioca di quella cantina gelida, laddove, sofferente, è stata segregata a marcire.
Se solo avesse saputo e fosse arrivato poco prima, magari lei, adesso, sarebbe stata ancora viva; e forse, ora, sarebbero potuti stare finalmente insieme come avrebbe dovuto sempre essere, poiché loro si appartenevano sulla linea sottile che separa la vita dalla morte e viceversa. Questa era a dir poco una certezza, l’unica che aveva e la sola che gli sia davvero rimasta.
«No, io sono tuo.»
Sono tuo, sono tuo, sono tuo, sono tuo…
Il fremito della sua stessa voce si ripete in un eco continuo e infinito nella testa che pulsa, greve, in ogni singola parte. Gli duole, fa male, troppo, ma non quanto lo stia facendo il cuore.
È sbriciolato, in pezzi, quasi da non battere più. Anzi, non lo fa più, non ce l’ha più.
E allora, come può ancora vivere, respirare e camminare sulla terra se adesso ciò che lo tiene in vita, si trova con Simonetta?
Che senso ha tutto questo?
Che senso ha vivere?
Tra mille e più domande, Giuliano sembra sentire quell’affanno irrequieto cominciare a placarsi nel suo respiro, corto e irregolare, scandito appena da singulti sommessi, trattenuti dentro, sulla punta della gola, pronti a riversarsi di nuovo su di lui come se fosse l’Arno in piena.
Bruschi, questi gli si straripano addosso, affogandolo nel ricordo di quell’ultima carezza, tanto bramata quanto cercata, quasi fosse stata per lei un sorso d’acqua fresca in un arido deserto.
Riarsa, Simonetta si è dissetata di lui chiudendo gli occhi. Si è smarrita prima nel caloroso sollievo del suo tocco, imbeverandosi poi – dopo avervi strofinato una guancia – nel profondo abisso colmo di conforto qual era stata la sua mano, sfiorata appena con le labbra screpolate e poi suggellata con l’ansito fragile di un respiro, uno degli ultimi prima che esalasse quello d’addio.
Nell’annegare in tale memoria, Giuliano, con presa salda e repentina, arraffa il primo cuscino che gli capita tra le mani e se lo stringe addosso, contro il petto, più forte che può.
Tenta di soffocarci dentro, una volta per tutte, tutto il dolore tramutato in copiose lacrime irruenti che gli si riversa sul viso, frenandogli in gola quella totale disperazione senza fine e senza fondo a cui vorrebbe dar sfogo.
È il suo corpo, morbido e caldo, che dovrebbe tenere tra le la braccia, non uno stupido guanciale, vuoto e senz’anima.
Non è giusto, non è giusto, non è giusto.
Non è giusto che lui sia lì, a soffrire le pene terrene dell’inferno nel silenzio assordante della notte e non sia con lei, ovunque si trovi, dacché qualunque luogo sarebbe meglio di quello in cui è ora.
Le sue braccia l’avrebbero avvolto e stretto nel paradiso della pace in cui forse lei si trova in questo istante, poiché non potrebbe essere da nessun’altra parte che lì.
Almeno anche lui, ora, sarebbe felice. Più che felice.     
Ormai, Palazzo Medici, Firenze, non è più il suo posto da un pezzo. Forse, a dir del vero, non lo è mai stato.
Adesso, Giuliano ne ha la piena conferma: non c’è più spazio per lui, né in famiglia, tra i Medici, e né tantomeno tra gli affari della banca e nemmeno tra i Priori, con i loro calcoli politici.
Ma non importa, non fa niente, dal momento che il suo posto è sempre stato con Simonetta.
Adesso lo sa: ogni fibra del suo corpo, della sua anima e del suo cuore le sono appartenuti fin dal primo istante in cui i suoi occhi le si sono posati addosso. Lui è suo più di quanto possa essere un Medici, per cui non ha più alcun senso vivere e respirare se lei è tutto ciò e non c’è.
Dio, vorrebbe tanto morire per raggiungerla…
Se solo la morte si decidesse a prenderlo e a portarlo con sé, in paradiso, nel suo paradiso.
Simonetta stessa è il paradiso.
La sua Simonetta.
Simonetta Cattaneo in De Medici.
Non Vespucci, De Medici.
Lei meritava di essere sua moglie, la sua sposa, così come meritava di essere amata e venerata come le sarebbe sempre spettato di diritto.
Se solo si fossero incontrati prima… se solo si fossero sposati e avesse portato il suo cognome, forse ora sarebbe stata ancora lì, con lui. E a differenza di tutti gli altri, la loro unione sarebbe stata per amore, e non per sporchi interessi politici.
Ancora scosso nel dolore, Giuliano riapre gli occhi, lo sguardo puntato sul comodino, sul suo stiletto.
Il suo stiletto, certo, perché diavolo non ci aveva pensato prima?
Repentino, in un’improvvisa euforia, si sbarazza del cuscino, abbandonandolo umido, tutto sprimacciato, lì accanto, sul letto. Tende il braccio verso il comodino e lo afferra, avvolto nel suo spesso fodero di cuoio. Lo sfila fuori piano, con un movimento lento e inesorabile.
Ha il cuore che gli palpita forsennato sulla punta della gola, mentre, ammaliato, ne osserva la lama argentea luccicare nella placida quiete della notte.
Con il fiato sospeso, comincia a scorrere il dito sopra la lama. È fredda e liscia, ma soprattutto è attraente, affascinante, ma ancor di più lo è la punta, tagliente e affilata.
La preme forte contro un polpastrello.
Tempo un istante e ne sgorga una copiosa stilla di sangue che pizzica, brucia, e gli si riversa sul dito, sulla mano, tra le lenzuola.
Fa male, ma mai quanto il dolore che porta dentro, nel cuore.
Senza rendersene conto, sulle sue labbra prende vita un sorriso amaro, ma colmo di speranza.
Tanta speranza.
Nel realizzare ciò, Giuliano scoppia a ridere felice, tra le lacrime che gli rigano ancora il viso.
Adesso, è solo questione di tempo: domani, al sorgere del nuovo giorno, cercherà un passaggio per il paradiso.
Il suo paradiso.
      
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > I Medici / Vai alla pagina dell'autore: ImRebecca