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Autore: Arya Tata Montrose    29/04/2023    1 recensioni
Emise un lungo, intenso sospiro. Sentiva che gli mancava l’aria tutto d’un tratto, ributtato di colpo nella realtà. Si passò una mano tra i capelli, che in quei due anni si erano allungati un bel po’. «Come?» le chiese.
Hanabi sembrò sussultare, forse colta alla sprovvista. «Cosa?»
«Ho detto “come”: come glielo diciamo, a tuo padre?» Kiba scostò lievemente il braccio in modo da guardarla con un occhio solo, la sorpresa scritta nel suo sguardo.

Kiba non è pronto, e non lo è nemmeno Hanabi. Ma è ora di uscire allo scoperto.
[Kiba/Hanabi][Atto terzo]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Kiba Inuzuka, Kurenai Yuhi, Neji Hyuuga, Tenten | Coppie: Hinata/Naruto, Kiba/Hanabi, Neji/TenTen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Atto terzo

Le conseguenze

 

Parte prima - Hinata

Dalle finestre, la luce del mattino filtrava bagnando metà della stanza nel suo calore. L’altra metà, invece, era immersa in una confortevole mezza luce che svegliò Kiba lentamente, man mano che si faceva sempre più brillante. Gli piaceva l’odore della sua stanza, un confortevole misto di cane e detersivo, con quella nota di polvere propria delle case abitate. Tuttavia, quella mattina subentrava anche una fragranza aliena a quello scenario, che lo portò a sorridere ancor prima di aver aperto gli occhi: era l’odore di Hanabi, che aveva impregnato tutta la sua stanza e gli solleticava l’olfatto. Per gli dèi, se amava quell’odore di elicriso, iris e mirto che la seguiva dovunque andasse. Gli dispiacque che più tardi avrebbe dovuto fare il bagno ad Akamaru per coprirlo, ma ora sua madre e sua sorella erano in missione, e ciò che c’era accanto a lui era decisamente più importante; avrebbe pensato poi a coprire le tracce.      

Quando si voltò, Hanabi lo stava già guardando, ancora mezza coperta dal lenzuolo e con i lunghi capelli castani che le ricadevano delicatamente attorno al viso. Era un contrasto troppo bello con i grandi occhi color perla. Tuttavia, Hanabi non aveva l’espressione serena che oramai si era abituato a vederle dopo che avevano passato un po’ di tempo insieme. Sembrava… corrucciata, pensierosa. Le mise una mano a coppa sul viso, circondandolo e accarezzandolo dolcemente.

«Ehi»

«Ehi»

Le sfiorò con il pollice la pallina di metallo appena sotto l’occhio e poi si allungò di una spanna verso di lei, per depositare un bacio leggero sulle sue labbra.

Hanabi sorrise, e poi emise un sospiro appena udibile. «Vorrei fosse sempre così.»

«Lo sarà»

«Beh, prima dovremmo dirlo a mio padre.»

Kiba ridacchiò e si prese qualche secondo per immaginare un’ipotetica uscita allo scoperto, con la versione stilizzata di Hiashi che lo inseguiva con un bastone intorno a Villa Hyuuga. Sì, decisamente un’immagine esilarante. Tornò a guardarla, ma come aprì gli occhi vide che lo fissava. E che non stava affatto ridendo. Nemmeno quello spettro che di solito le aleggiava sulle labbra dopo che lui aveva riso per una cretinata a caso. Anche il suo sorriso si spense.

«Hanabi?»

Hanabi prese un respiro, e le ci volle ancora qualche secondo prima di parlare. «Gli… gli anziani vogliono farmi sposare. Un matrimonio combinato, ovviamente.» La sua risatina suonò amara mentre distoglieva lo sguardo dal soffitto e si voltava per tornare a guardarlo negli occhi. La sua voce s’incrinò leggermente, anche se Kiba sentì che fece di tutto per impedirgli di notarlo. «E io non voglio.»

Kiba si trovò disorientato. Era come se fosse stato atterrato da un macigno nel bel mezzo della strada. Che era sempre stato lì, e di cui pian piano si era dimenticato. Lo sapeva, in fondo, che quella meravigliosa fantasia non poteva andare avanti ancora a lungo, sapeva anche che prima o poi i vecchi bacucchi Hyuuga avrebbero insistito per farla sposare ad un qualche “buon partito” che li aggradava. Ma non pensava proprio ora. Hanabi aveva solo diciannove anni, ed era già tanto che stesse insieme a lui. Sposarsi non sarebbe dovuto essere nemmeno lontanamente nei suoi pensieri!

Aveva sempre saputo che c’era questa possibilità, ma aveva preferito ignorarla e se ne era dimenticato, così comodo nella loro piccola bolla felice, dove era diventato maledettamente facile non curarsi di niente altro.

E poi... era tutto così improvviso. Sembrava tutto un brutto scherzo. Ma dal viso di Hanabi, era chiaro che fosse tutto l’opposto. E che probabilmente aveva cercato di gestirla da sola, la piccola miss indipendenza che ora tremava come una foglia. Le leggeva la paura— anzi, no: il terrore negli occhi.

Emise un lungo, intenso sospiro. Sentiva che gli mancava l’aria tutto d’un tratto, ributtato di colpo nella realtà. Si passò una mano tra i capelli, che in quei due anni si erano allungati un bel po’. «Come?» le chiese.

Hanabi sembrò sussultare, forse colta alla sprovvista. «Cosa?»

«Ho detto “come”: come glielo diciamo, a tuo padre?» Kiba scostò lievemente il braccio in modo da guardarla con un occhio solo, la sorpresa scritta nel suo sguardo.

Lei gli strinse la mano, ancora coperta dalle lenzuola. E poi aggrottò la fronte, come quando si metteva a pensare ad un piano d’attacco.  «Mi presento così: ehi, papà, guarda che non posso sposare il signor buon partito, sono già impegnata con questo qui.» fece in tono canzonatorio. «No, non possiamo certo fare tutto da soli»

«E a chi penseresti di chiedere, scusa? Ho paura di dirlo anche a mia madre, non solo a tuo padre.» Kiba sgranò gli occhi, e tremò in maniera visibilmente esagerata, riuscendo persino a strapparle un sorrisetto.

«Dici che ‘Zashi ci può dare una mano?», rise.

Kiba sorrise, e assunse un’espressione serissima da appaiare alla pausa volutamente drammatica che stava facendo trattenere Hanabi dallo scoppiargli a ridere in faccia. «No, qui c’è bisogno di qualcuno di ancora più saggio. E potente.»

 

Il primo passo da fare, quindi, era quello di bussare alla porta di casa di Hinata. Che, ironicamente, si trovava nello stesso edificio in cui Kiba non avrebbe voluto mettere piede per… beh, fino a che non avrebbero informato Hiashi e il resto della famiglia Hyuuga. E anche dopo, molto probabilmente.

Gli appartamenti di Hinata e della sua famiglia erano nell’ala Ovest della villa, dall’altra parte rispetto agli alloggi che erano stati suoi e di Neji prima che si sposassero. Se Hiashi non l’avesse ammazzato di lì a poco, probabilmente Kiba si sarebbe dovuto trasferire in quegli stessi alloggi con Hanabi, una volta che l’avrebbe sposata. Non riusciva proprio ad immaginarsi lì, e certamente faticava a vederci Akamaru, cui non era mai stato consentito di salire nemmeno sull’engawa esterno che circondava tutta la struttura principale.

Hinata li accolse con il suo solito sorriso placido, quello che metteva sempre serenità a chiunque incontrasse. Era una delle poche cose che riusciva a calmare il suo burrascoso spirito da bambino, anni addietro, e tutt’ora ogni volta che Hinata era presente, il clima nella stanza  si faceva più disteso. Non era strano che Kiba fosse lì, d’altra parte andava a trovarla spesso anche per aiutarla con le due piccole pesti dei gemelli, e Hanabi e Zashi con loro.

Tuttavia, Kiba si sentiva a disagio, ora. Come se quelli fossero gli ultimi momenti davvero sereni della sua vita. A tratti pensava che fosse peggio del giorno prima della guerra: sapeva che avrebbe potuto non tornare, ma anche che ci sarebbero stati tutti i suoi amici a coprirgli le spalle, che tutti gli volevano bene e lo stimavano e che, se fosse tornato, loro lo avrebbero aspettato. Ora non aveva quella sicurezza, non considerato quanto stava per dire a Hinata e per quanto tempo glielo aveva tenuto nascosto. Non sapeva se si vergognasse di più nel dirglielo, o nel non averlo detto proprio a Hinata per tutto quel tempo.

Sentì qualcosa sfiorare le sue dita, e il suo cervello dovette computare per una frazione di secondo in più del normale per distogliere l’attenzione da tutto quel marasma di sentimenti e concentrarsi sull’ambiente esterno, ed in particolare Hanabi che aveva toccato la sua mano per un istante. Le rivolse un’occhiata veloce, mentre seguivano Hinata all’interno degli appartamenti.

Hanabi era irrequieta, cercava spesso di raggiungere i capelli per giocarci, ma all’ultimo si tratteneva. Era ovvio che non volesse dare nell’occhio, e che fosse preoccupata anche lei per l’opinione di sua sorella. Kiba non pensava di averla mai vista così nervosa prima di qualcosa.

Si accomodarono al basso tavolino quadrato del soggiorno, uno per lato ma sempre un po’ vicini, e Hinata si assentò giusto qualche istante per prendere il vassoio con tazzine e teiera fumante.

«Appena fatto!» disse loro con un sorriso, mentre la poggiava sul tavolino e andava a sedersi su uno dei cuscini.

Kiba non potè fare a meno di ridere: «Come diavolo fai ad avere il tè sempre pronto per quando arrivo?» e per risposta ricevette solamente un’alzata di spalle innocente e lo stesso sorriso di prima. «Peraltro, dove sono le piccole pesti?» Voleva bene ai bambini, anzi, spesso andava a trovarli e li portava fuori a fare un (controllato) giro sul cagnolone, ma proprio oggi non voleva essere interrotto dal loro improvviso bisogno di attenzioni. Era già abbastanza difficile così.

«Sono con Naruto, li ha portati in ufficio a… non lo so, magari vuole fargli vedere dove lavora? È così fiero di essere il successore di lady Tsunade.»

«In ufficio? Con dei bambini di due anni?»

«Che ci vuoi fare, è Naruto», s’intromise Hanabi, «Dovresti essere abituato alle sue stramberie»

«Non ci si abitua mai, fidati», le rispose lui per le rime.

«Hai ragione, Kiba» Hinata fu molto più tranquilla, e poi sollevò la tazza di tè per berne un sorso. «Mi fate  un po’ compagnia’ o volevate solo salutare i bambini?»

Kiba si sentì come se Hinata l’avesse preso a calci. E sentì l’impellente bisogno di voler scappare e sotterrarsi nella buca più profonda che Akamaru riuscisse a scavare. Scoccò un’occhiata velocissima ad Hanabi, nemmeno fossero in missione per catturare un bersaglio, e vide che lei aveva fatto la stessa cosa. Dopodiché i suoi occhi tornarono a guardare Hinata, che stava sorseggiando il suo tè in attesa di una risposta. Se Hinata aveva notato alcunché, non lo diede a vedere. Era incredibile come la ragazzina che si nascondeva dietro una foglia ora fosse una donna così apparentemente imperturbabile.

Kiba tirò giù un grosso sorso di tè, forse sperando si trasformasse in coraggio liquido – altresì detto: tequila. Ora veniva la parte difficile.

«No, sono qui per la mia sorellona» le ripose Hanabi. «Non posso?» fece la finta offesa, facendo ridere gli altri due sotto i baffi.

«Certo che puoi» Hinata le rispose, con le guance che quasi le nascondevano gli occhi, ma ci volle solo un istante perché si rabbuiasse e abbassasse lo sguardo sul poco tè che ancora c’era nella tazza. Rimase qualche secondo in silenzio, contemplando l’immobilità del tè che stringeva tra le dita.

Gli altri due si scambiarono un’occhiata fulminea, incerti sul da farsi. Sembrava proprio il momento peggiore per dirle qualcosa – un po’ come qualsiasi altro momento in cui Kiba aveva avuto l’impulso di dirglielo, nel corso degli ultimi due anni. Si sentì ancora di più una merda. E un codardo.

«Come stai?»

La domanda della sorella colse Hanabi impreparata. Stava per farle proprio la stessa, e si trovava a rispondere per prima. Non le chiese “come mai” o a che cosa si riferisse, perché era l’elefante nella stanza che anche lei faceva sempre di tutto per evitare.

«Mi dà fastidio.»

«A me fa infuriare. È così ingiusto che ti debba sposare al primo che capita così giovane!»

«Ho la tua età quando ti sei sposata», fece Hanabi, in un tono chiaramente canzonatorio, e non rivolto alla sorella. Erano le esatte parole che uno degli Anziani le aveva propinato quando avevano preso la decisione per lei.

«Sì, ma quei vecchi bacucchi ignorano volutamente il fatto che l’ho fatto perché l’ho deciso io e con la persona che volevo io!» Hinata era su tutte le furie, e Kiba non l’aveva mai vista così sul piede di guerra con qualcuno. Nemmeno Pain si era meritato una tale rabbia, e questo lo faceva tremare ancora di più.

«Già. Beh, questa decisione è stata presa al posto mio.» Anche Hanabi era arrabbiata, ma poi aveva abbassato la testa, e aveva aggiunto, in un brontolio sommesso: «E non è la persona che voglio io.»

Hinata la guardò, e Kiba sentì le gambe prudergli dalla voglia di alzarsi e scappare. Ma per il Cielo, era un ninja addestrato, e si faceva pena da solo per sentirsi così. Doveva solo dire alla sua migliore amica che amava sua sorella. Fantastico, una passeggiata!

Prese un grosso respiro e cercò di ripescare dal fondo della sua mente ogni possibile scenario, risposta e inizio di questa conversazione che aveva immaginato, ma non trovò assolutamente nulla. Tutto sparito, volato via come se non fosse mai esistito. Kiba tentò di regolare meglio il respiro, mentre scoccava occhiate di sottecchi a Hinata e Hanabi che stavano continuando a discutere di quel maledetto matrimonio che volevano combinarle. Le alternava a veloci ricognizioni dell’ambiente, e al tentativo di individuare la presenza di qualcuno di estraneo e molto vicino dall’odore. La situazione era già sufficientemente complicata senza che qualche impiccione si mettesse di mezzo e rovinasse qualunque piano Hinata li avrebbe aiutati a congegnare. O che sperava li avrebbe aiutati a congegnare. Sì, decisamente più vero. 

«Kiba?» lo chiamò Hinata, e lui prontamente sollevò la testa. «Mi dispiace per questi discorsi, immagino annoino molto anche te… purtroppo queste faccende di famiglia sono complicate. Oramai sei in famiglia da tempo, e penso che sappia come vanno queste cose.» L’espressione di Hinata era un po’ spenta, probabilmente ricordando quando effettivamente era stata la prima volta che era stato coinvolto nelle loro “faccende di famiglia”, con Hiashi che aveva protestato contro l’accademia per aver infilato sua figlia – sebbene non la prediletta, e questo molto prima del fiasco con Neji all’esame per la licenza Chuunin – in squadra con “due addestratori di animali schifosi”. 

«Uh, no. No, nessun problema. Lo hai detto tu che sono di famiglia, no? E poi la situazione fa incazzare a morte anche me perché… beh.» Prese la sua tazza di tè e bevve, cercando di nascondervisi – inutilmente – dietro. Akamaru sarebbe stato più efficace. 

«Capisco, è normale.» Anche lei sembrò rifugiarsi nel tè. «Vorrei ci fosse una soluzione. Questa… cosa, volevano farla anche a me e Neji, a dire il vero. Ma poi con Neji è arrivato ‘Zashi, e con me… beh, ero già impegnata con Naruto.» Era incredibilmente tenero come sul suo viso si fosse formato un sorriso leggero e dolce al solo pensare al marito.

«Beh, sì, non solo.» Hinata lo guardò con gli occhi pieni di confusione e gli ci volle tutta la sua forza di volontà per non trangugiare quel tè in modo tale da soffocarsi. «Ci sarebbe anche un altro… motivo per cui questa cosa mi fa incazzare. Ed è che, beh, ecco…» Kiba prese un grosso respiro, e poi lo buttò fuori insieme a quelle parole che gli stavano bucando il petto: «Io e Hanabi stiamo insieme.»

Guardò Hinata di sottecchi, e i suoi occhi continuavano ad essere confusi. Poteva vederci degli ingranaggi inceppati, così continuò, incapace di restare in silenzio. «Da due anni. Circa. Ma non l’abbiamo detto a nessuno perché… beh. Non è una situazione semplice. E poi avevo paura che fosse strano. E che tu potessi trovarlo strano. E avevo paura di farti schifo, parecchio. E che non mi avresti più voluto vedere. In realtà…»  Kiba si fermò di botto sentendo la mano di Hanabi stringere la sua.

Kiba ricambiò la stretta, e la guardò mentre prendeva la mano anche della sorella.

«Hinata…» cominciò, «Mi dispiace tantissimo di non avertelo detto prima ma avevamo… avevo davvero paura. Non volevo ferirti e… credo di aver fatto esattamente quello, vero?» terminò all’improvviso di parlare e poi chinò la testa. Ci fu ancora qualche attimo di silenzio, prima di sentire Hinata sospirare. «Sì, esatto! Mi fa male! Come avete potuto pensare che… che potessi pensare male di voi, di te!» si voltò verso Kiba, che faticò a sostenere lo sguardo dell’amica. «Cosa credevi che avrei detto? Cosa avrei potuto dire?» Hinata stringeva forte la tazza di tè davanti a sé, stringendola ossessivamente. Quasi tremava sforzandosi di tenere il corpo sotto controllo, di trattenere i singhiozzi che sapeva, se fossero cominciati, avrebbero condotto certamente a delle lacrime. Si era imposta di non piangere, perché nonostante il dolore, la rabbia in quel momento doveva avere il ruolo principale. Si meritava di essere arrabbiata, e l’avrebbe mostrato.

«Mi fa male che nessuno di voi due si fidasse di me abbastanza per dirmelo. Per gli dèi… due anni. Siete stati bravi, non c’è che dire.» Ora il suo tono era un poco più freddo, più controllato, e Hinata fu fiera di sé. «Io non mi sono mai accorta di nulla, e in realtà non avrei nemmeno mai pensato che vi poteste piacere!» Fu una risata un po’ amara.

Kiba sentì la mano di Hanabi serrarsi ancora di più attorno alla sua, mentre la stessa sensazione si annidava nel suo petto. Gli stringeva il cuore, e dire che l’aveva immaginato. Non gli era mai piaciuto mentire, men che meno a Hinata, e quando aveva dovuto scegliere tra quale fosse il male minore, aveva scelto di mentirle per non essere rifiutato.

«Non avete pensato nemmeno per un secondo che potessi essere felice per voi, vero?» continuò Hinata, e Kiba si sentì come trafitto da una freccia. No, non l’aveva nemmeno considerata come possibilità. Ed evidentemente Hinata glielo lesse negli occhi, perché sbuffò e a lui sembrò che la freccia venisse prima girata e poi estratta con violenza.

Un po’ – un po’ tanto – se l’era cercata, e si diede di nuovo dello stupido, come tante, troppe volte in quei due anni. C’era qualcosa, nel profondo della sua mente, che gli impediva di fidarsi completamente dei suoi amici, di Hinata. E inorridì al pensiero.

«Idioti! Siete due idioti paranoici e mi avete ferito, sappiatelo.»

Sussultarono entrambi, colti di sorpresa dall’improvvisa esplosione di Hinata. Sì, l’avevano combinata grossa. E avrebbero voluto dissolversi e scomparire come polvere sotto al tappeto, o sciogliersi come zucchero nel tè, per non dover più sopportare lo sguardo deluso di Hinata: proprio quello che per due anni avevano cercato di evitare rintanati nel silenzio.

Hinata rimase in silenzio, e li lasciò soffrire un poco. Si crogiolò ancora per qualche secondo nella sensazione bruciante della rabbia che era riuscita, almeno in parte, a riversare all’esterno. Quando ritenne che il messaggio fosse giunto a destinazione, si permise di rilassare i lineamenti in un’espressione un poco più dolce, ma sempre contrita. Non le sarebbe passata tanto in fretta.

«Almeno siete felici, voi due?»

E loro annuirono, sempre con la testa abbassata. «Sì.» formò la voce di Hanabi e prima che fosse in grado di articolare altro, la sorella la interruppe di nuovo.

«Bene, allora direi che è il caso di pensare a qualcosa per fermare quest’assurdità del matrimonio. Avrete bisogno di più che della mia garanzia per convincere gli Anziani a mandare all’aria l’affare. Forse potreste chiedere a Kurenai-sensei? Sicuramente la sua parola potrebbe pesare molto più in tuo favore della mia, Kiba, perché ti conosce e nostro ha fiducia nel suo giudizio. Perché prima va convinto lui. O Kurenai-sensei lo sapeva già?»

Hanabi scosse la testa.

«Chi altro lo sapeva?»

I due si guardarono.

«Zashi. Una volta mi ha beccato a tornare a casa tardi e sembra che abbia ereditato il talento di sua madre per la divinazione.» rispose Hanabi, facendo sorridere anche la sorella. Hizashi era proprio una piccola peste.

Kiba continuò a grattarsi la nuca. «Potrei aver chiesto un consiglio a Shikamaru. A lui non frega un cazzo! E poi ha esperienza di situazioni… spinose, ecco.» Si sentì stupido nel solo pronunciarlo ad alta voce. Eppure ricordava che il suo ragionamento filasse liscio, due anni prima. Merda.

Hinata dal canto suo non sembrava impressionata dall’idiozia della sua risposta, ma non poté fare a meno di sentirsi un po’… meglio. D’altra parte, era disposto a perdere Shikamaru e non lei, ma questa era una cosa che gli avrebbe detto dopo, forse. Ora doveva ammettere che si stava godendo un po’ del loro dispiacere. Meritatamente, dopo essere stata tenuta all’oscuro così a lungo.

Hinata sbuffò di nuovo e si portò una mano alla fronte. «Andate, su. Non è che abbiamo molto tempo da perdere!»

«Agli ordini, signora», rispose Kiba, prima di alzarsi, aiutare Hanabi a fare lo stesso e insieme a lei congedarsi.

Hinata dovette ammettere che erano proprio carini assieme, nonostante prima non gli avrebbe mai dato mezzo yen come coppia. Ma, di nuovo, gliel’avrebbe fatto sapere più tardi, così come il fatto che fosse contenta per loro. Forse.

Una volta fuori dalla villa e dopo aver aggredito di coccole Akamaru, Kiba e Hanabi decisero che da Kurenai sarebbero andati il giorno seguente. Per quel giorno avevano consumato abbastanza energia, parlare con Hinata era stato emotivamente estenuante e Hanabi avrebbe volentieri riscattato il suo buono per alcol e cane morbidoso in cui immergersi, se Kiba non gliel’avesse offerto di sua sponte.

Così, carichi e con Akamaru adibito a supporto morale al seguito – per i Kami, se gli era mancato il giorno prima! – erano andati a parlare con Kurenai, sfruttando un momento che sapevano l’avrebbe vista impegnata a giocare con Mirai. Era stato meno complicato del previsto, e Kurenai li aveva rimproverati per non averglielo detto prima, ma si era congratulata con loro e aveva accettato di buon grado il ruolo di ambasciatore. Aveva persino proposto di trovarsi tutti a Villa Hyuuga con la scusa di far giocare i bambini, ed entrambi furono d’accordo. Mirai si dimostrò entusiasta all’idea di poter passare del tempo con Hizashi e approvò convinta la giornata che le si prospettava.

Quando però Kiba e Hanabi stavano per andarsene, soddisfatti e contenti di quanto fosse stata semplice quella particolare conversazione – nonostante tutte le congetture della sera prima – Kurenai si premurò di aggiungere una raccomandazione, cui nessuno dei due aveva dedicato mezzo pensiero nelle ultime ore e che rovinò decisamente il loro umore.

«Prima, magari, parlane anche con tua madre, Kiba»

Kiba, suo malgrado, non poté che annuire. Perché dopo le ultime due iterazioni, non aveva assolutamente voglia di affrontare quella conversazione, né con Hiashi Hyuuga, né con Hana, né con sua madre.

 


Note dell'autrice:
Okay, è passato un po' di tempo. Un po' tanto. Ma la vita e l'università sono cattive e le mie energie scarse, quindi eccomi finalmente a postare la prima parte dell'atto conclusivo del nostro viaggio!
Così come postarlo, è stato un viaggione anche scrivere questo capitolo e, visto che anche la seconda parte è già pronta, quella sicuramente vi arriverà la prossima settimana. Promesso!
Intanto fatemi sapere cosa ne pensate, ogni commento è apprezzatissimo!
Al solito, si ringrazia @withoutnanaluna per l'aiuto e le splendide fanart che disegna per loro e per la storia, fate un salto anche da lei!
Alla prossima,
Tata

 

   
 
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