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Autore: Giandra    04/05/2023    0 recensioni
⤷ Pat & Dissaya
➥ post-canon; side-PatPran
La storia partecipa alla "To Be Writing Challenge 2023" indetta da Bellaluna sul forum Ferisce la Penna (trope: forbidden love).
La storia partecipa alla "BTS challenge - Love yourself, speak yourself" indetta da Mokochan sul forum La torre di Carta.
La storia partecipa alla "May I write" challenge del gruppo Facebook Non solo Sherlock.
“Sono una frana in cucina. Riesco a fare il minimo indispensabile per sopravvivere, ma se posso preferisco mangiare fuori.”
Dissaya, suo malgrado, si ritrovò a increspare le labbra, divertita dalla sua sincerità. “Conviene, allora, che trovi una persona che ama cucinare, come compagna di vita.” La frase venne fuori più che spontanea, ma la sua intenzione originale era stata di indirizzargliela con più sarcasmo e malizia, invece assunse i toni di una battuta complice e rilassata.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I went on the road that I was told not to go
 

I went on the road that I was told not to go
I did things I was told not to do
I wanted things I couldn’t want/
 Got hurt and hurt again
You can call me stupid
Then I’ll just smile
            
 Dissaya non era stupida. Poteva aver scelto di fingere ignoranza, di chiudere un occhio e tapparsi le orecchie ogni qualvolta, negli ultimi anni, aveva sentito Pran parlare al telefono con una persona che aveva una voce fin troppo rumorosa e petulante per essere scambiata con quella di qualcun altro; poteva aver retto il gioco a Pran tutte le volte in cui era venuto a trovarli, pur senza che vi fosse stata traccia della sua auto, per puro caso negli stessi giorni in cui il figlio dei vicini era andato a salutare i propri genitori, alla guida della sua splendente automobile; poteva non avergli detto nulla, la mattina successiva a quella sera in cui aveva sentito con chiarezza le risate cristalline dei due ragazzi provenire dalla stanza da letto di Pran, ovattate solo dal suono della sua chitarra. Poteva essergli egoisticamente stata grata per aver scelto di tenerli (almeno all’apparenza) all’oscuro della loro relazione, nonostante quella consapevolezza la facesse sentire una pessima madre: sapere che Pran stesse frequentando qualcuno che lo rendeva felice non poteva non riempirla di gioia, ma non era sicura di riuscire a sopportare la vista di Pat, se ogni volta che lo guardava nella sua testa il suo volto veniva rimpiazzato da quello di Ming; non era certa di poter accettare l’idea che le loro famiglie si unissero, o di essere costretta a rivolgere la parola a quell’uomo, durante gli eventi che di solito si celebravano tra i propri cari.
 Dissaya non era stupida e sapeva che, un giorno, Pat e Pran avrebbero voluto sposarsi—forse lo volevano già, forse ne stavano parlando, stavano facendo progetti per quando Pran sarebbe tornato a casa in modo definitivo da Singapore, e stavano rimandando solo e soltanto per la situazione tra le loro famiglie. Il pensiero le faceva male al cuore.
 Dissaya non era stupida e non ci mise molto a fare due più due quando, nel tentativo di chiamare Pran per ricevere i suoi soliti aggiornamenti quotidiani, trovò la linea occupata e sentì, in contemporanea, la voce di Pat che parlava al telefono nel giardino fuori casa sua. Dissaya si accostò al cancello della propria dimora e a buttò l’occhio in direzione del ragazzo, del quale riusciva a scrutare a malapena la schiena; quando quello si girò, con un bel sorriso stampato in faccia e un’espressione allegra e rilassata, Dissaya quasi pensò di voltarsi, di tornarsene dentro, di non farsi notare, ma poi si accorse che Pat non stava affatto prestando attenzione a quanto lo circondava e che, anzi, ben presto si ritrovò a fissare le punte delle sue scarpe, mentre le sue labbra passavano dal formare una curva al diventare una linea retta.
 “Quanto tempo?” Lo sentì domandare e il cuore iniziò a batterle forte nel petto all’ipotesi di quale fosse la notizia che Pran doveva avergli appena comunicato. “Okay. Sono solo tre settimane in più... che sarà mai!” aggiunse, dopo aver ricevuto risposta, con un tono che voleva manifestare scioltezza ma che a lei trasmise tutt’altro. “Sì, certo. Va bene. Rispondile pure. Ci sentiamo dopo.”
 Pran doveva avergli riferito del suo tentativo di contattarlo; subito Dissaya prese in mano il cellulare per non perdersi la chiamata che sperava le stesse per arrivare. Puntò di nuovo lo sguardo su Pat, che stava riponendo il telefono nella tasca dei pantaloni; quest'ultimo dondolò sul posto per una manciata di secondi, poi tirò su col naso e allargò gli occhi sbattendo le palpebre un paio di volte, probabilmente per evitare di scoppiare a piangere. Dissaya avvertì un groppo bello pesante formarsi al livello della gola e per un attimo valutò di andargli vicino, di dirgli qualcosa, ma quell’intenzione fu fermata dal suono del suo cellulare, sul quale era appena arrivato un messaggio. Lo lesse: Mamma, mi hanno detto che devo rimanere per circa un altro mese oltre ciò che era stato concordato. Scusa se non posso chiamarti, ma devo tornare a lavorare. A dopo!
 Dissaya pensò che, con ogni probabilità, Pran aveva scelto di non telefonarle, perché non aveva alcuna voglia di farle avvertire la tristezza che senz’altro stava provando in quel momento tramite la sua voce.
 Erano solo tre settimane in più, come aveva detto Pat, ma la donna aveva visto il giovane Jindapat diventare sempre più contento ed euforico man mano che i mesi erano passati, era stata testimone dei suoi occhi rossi che eran parsi non lasciar mai il suo viso durante i primi mesi di separazione, ma anche dei sorrisoni a trentadue denti che aveva sfoggiato quando si era avvicinata la data del ritorno di Pran, otto mesi prima; lo aveva visto rimettersi pian piano in piedi dopo un paio di giorni dal secondo saluto e in quell’ultimo periodo aveva notato quanto il suo buonumore contagioso pareva essere aumentato a dismisura, al pensiero che mancava davvero poco al giorno in cui avrebbe rivisto Pran. La lontananza era difficile per lei, che era sua madre, e che lo amava come nessun altro avrebbe potuto fare, ma doveva essere tremenda anche per lui, specie considerando che i due avevano senza ombra di dubbio condiviso lo stesso appartamento per un po’, prima della partenza di Pran per il tirocinio: stare insieme nello stesso spazio per mesi, passare la maggior parte del proprio tempo nella reciproca compagnia, abituarsi a una routine di convivenza e simbiosi, specie per loro due che dovevano averlo desiderato per tantissimo tempo, cambiava il modo in cui una coppia viveva se stessa. Essere stati costretti a separarsi, dopo aver ottenuto quel traguardo, doveva aver inciso molto sulla loro salute mentale e ogni giorno che si frapponeva al momento in cui avrebbero potuto ricongiungersi doveva pesare quanto un macigno.
 Dissaya non era stupida e, in tutta sincerità, non si sarebbe definita neanche senza cuore. Sapeva di essere stata dura con Pran, eccessivamente dura, ottusa oltre ogni dire, e di essersi frapposta tra lui e Pat fin troppe volte, ma riteneva anche che non fosse mai troppo tardi per fare ammenda; allo stesso modo in cui avrebbe forse perdonato – sebbene mai dimenticato – il torto subito da Ming, se lui le avesse rivolto delle scuse sincere e sentite, sperava che anche quei due ragazzi avessero abbastanza pazienza nei loro cuori e nelle loro menti per accogliere un cambiamento da parte sua.
 Pigiò il pulsante che apriva il cancello sul retro della sua casa e il cigolio che seguì colse subito l’attenzione di Pat, che le rivolse lo sguardo. Quando notò che Dissaya non distolse il suo, ma che anzi lo fissò dritto negli occhi, roteò il capo verso le sue spalle per assicurarsi che non ci fosse nessuno dietro di lui e poi tornò a ricambiare l’occhiata; le spedì un sorriso timido e incerto e la salutò con un educato wai, che lei contraccambiò.
 “Hai già mangiato?” Non era senz’altro quello il modo in cui si era immaginata di iniziare una conversazione con Pat. Le ultime parole che gli aveva rivolto erano state di disprezzo nei confronti di suo padre, ormai molti anni prima, e si era ripromessa, nel caso in cui l’occasione si sarebbe presentata, di cambiare rotta, trattandolo solo e soltanto come il fidanzato di Pran, non come il figlio di Ming. Restava il fatto che quella domanda stupì persino se stessa.
 Pat sbatté un paio di volte le palpebre, visibilmente sorpreso, poi tornò a sorridere e scosse il capo. “Sono una frana in cucina. Riesco a fare il minimo indispensabile per sopravvivere, ma se posso preferisco mangiare fuori.”
 Dissaya, suo malgrado, si ritrovò a increspare le labbra, divertita dalla sua sincerità. “Conviene, allora, che trovi una persona che ama cucinare, come compagna di vita.” La frase venne fuori più che spontanea, ma la sua intenzione originale era stata di indirizzargliela con più sarcasmo e malizia, invece assunse i toni di una battuta complice e rilassata.
 Pat allargò il suo sorriso, che per la prima volta raggiunse i suoi occhi, e annuì. “Sì, mi sa di sì.”
 Rimasero in silenzio per un paio di minuti, che furono tra i più imbarazzanti di tutta la sua vita. Si morse il labbro, indecisa sul da farsi, e poi gli disse: “Se vuoi, puoi... entrare. Stavo giusto per preparare il pranzo.”
 L’espressione scioccata che si palesò sul viso di Pat fu sul punto di farla scoppiare a ridere. “Sul serio?” le domandò, ogni suono saturo di incredulità.
 “Certo. Se vuoi, è chiaro.”

 “Sì!” Le rispose, con grande entusiasmo, e Dissaya gli sorrise di nuovo. Se era vero che gli opposti si attraevano, riusciva a capire come una persona composta e introversa come Pran, piuttosto difficile da leggere, si fosse innamorata di un tipo sincero e genuino come Pat, che si leggeva come un libro aperto.
 
):)
 
 Khun Dissaya, questo curry è uno spettacolo.”
 La madre di Pran lo stava guardando con un sopracciglio alzato, nel tentativo di manifestare scetticismo di fronte ai suoi complimenti, ma proprio come Pran non riuscì comunque a mascherare il sorriso che le causarono. “Meglio di quello di Pran?”
 La domanda lo lasciò di stucco. Per un momento, gli sembrò di essere in un universo parallelo, uno dove ogni qualvolta un buon profumo di torta appena sfornata o di ramen caldo e speziato finiva sotto al suo naso, proveniente dalla casa dei vicini, lui poteva affacciarvisi, bussare, essere accolto a braccia aperte e condividere un pasto con loro, prima di chiudersi in camera con Pran per studiare per un compito in classe, o per chiacchierare del più e del meno. Tante volte si era chiesto come sarebbe stata, la loro vita, se le circostanze che li avevano portati a legare fossero state diverse; col senno di poi, tuttavia, arrivato fino a quel punto, non avrebbe cambiato nulla. Le spedì un sorrisetto a mezza bocca, prima di rispondere: “Così mi mette in difficoltà, però.”
 Lei rise, di gusto, per un breve istante, come se non fosse riuscita a trattenersi, e il pensiero fece sorridere anche Pat. Infinite volte aveva sperato di poter stringere un rapporto con Dissaya, considerato l’enorme affetto che Pran provava nei suoi confronti. “Va bene, allora mi accontento di un pareggio.”
 Pat annuì, con le labbra ancora all’insù. Mangiarono in silenzio per una decina di minuti, ma stavolta era un silenzio molto più rilassato di poco prima. Avrebbe voluto chiederle come mai Junah, il marito, non fosse con loro, considerando che era domenica, ma prima che potesse valutare un modo per domandarglielo senza sembrare un ficcanaso quello entrò dalla porta, iniziando subito a lamentarsi, bonariamente, di come lo avessero trattenuto più del previsto a una colazione tra colleghi di lavoro. Si fermò in bagno, per lavarsi le mani, a giudicare dal rumore dello scorrere dell'acqua, senza notare Pat, pertanto la sua reazione fu di puro shock quando se lo trovò dinanzi a tavola: sgranò gli occhi e si immobilizzò sul colpo, sbattendo le palpebre più e più volte come per assicurarsi che non fosse un’allucinazione, puntò lo sguardo su sua moglie e poi su Pat, su sua moglie e poi su Pat, a ripetizione, incerto su chi interrogare per primo.
 Pat si alzò dalla sedia e lo salutò con un piccolo inchino e un cortese wai, che l’uomo ricambiò con la lentezza di un bradipo, ancora esterrefatto.
 A quel punto, la moglie si degnò di dargli qualche delucidazione: “Ho invitato Pat a pranzare con noi, visto che stavo giusto per preparare da mangiare e lui era ancora a stomaco vuoto.”
 Junah annuì con occhi sgranati e stralunati, come se il suo cervello stesse tentando di accettare, con difficoltà, che quella fosse una spiegazione sufficiente per giustificare la presenza del figlio degli odiati vicini in casa loro, per la prima volta da quando... beh, da sempre, considerando che le uniche altre volte che vi era entrato erano state sempre di nascosto e aveva quasi sempre esplorato solo la camera di Pran. Pat non aggiunse nulla, limitandosi a rivolgergli un sorriso aperto, che l’uomo ricambiò.
 Dopo pranzo, Junah e Dissaya si alzarono da tavola per lavare i piatti e Pat subito domandò loro se avessero bisogno di una mano, ma entrambi gli dissero di stare comodo. Mentre erano di spalle, Pat mandò un veloce messaggio al suo ragazzo per notificarlo di ciò che stava accadendo, così da essere certo che non fosse un sogno dal quale si sarebbe svegliato fin troppo presto.
 “Quindi,” iniziò il padre di Pran, sedendosi accanto a lui, “come stai, Pat? Stai lavorando per l’azienda di famiglia, giusto?”
 Pat annuì. “Sì, da un po’.”
 “Ti trovi bene lì?” gli chiese Dissaya, cercando di mostrarsi impassibile, mentre asciugava parecchio animatamente un bicchiere con lo strofinaccio.
 Pat assottigliò le labbra in una linea retta, prima di rispondere: “Uhm, non mi trovavo molto bene a lavorare con mio padre, quindi mi son fatto trasferire in un altro reparto un annetto fa. Lì mi trovo abbastanza bene, sì. È meglio che gli affetti e il lavoro siano separati, temo.”
 Junah gli rispose con un sorriso comprensivo, Dissaya invece non parve voler lasciar perdere la questione: “Beh, dipende molto dagli affetti, no? Non dirmi che non ti farebbe piacere, ad esempio, lavorare con Pran.”
 Il marito le spedì un’occhiata eloquente che lei finse di non cogliere e che Pat accolse con una mezza risata. Non aveva alcun problema a rispondere con sincerità a qualsiasi terzo grado al quale avesse voluto sottoporlo; del resto, era tutta la vita che si preparava ad affrontarlo. “Uhm, sì, penso di sì? Anche se credo che finiremmo per rendere la cosa una competizione molto presto e forse non farebbe bene agli affari.” Senza contare che avere Pran sottomano, ogni singolo giorno — mattina, pomeriggio e sera, vestito in giacca e cravatta, che gli teneva testa in ogni discussione, che gli rivolgeva quello sguardo strafottente e irriverente che sapeva lo facesse eccitare da morire —, non gli avrebbe permesso di focalizzarsi sul lavoro.
 Dissaya continuò a non guardarlo negli occhi, ma con molta lentezza sulla sua faccia si sparse un sorriso. “Immagino di sì. Del resto, sarete abituati; è così che siete stati cresciuti.”
 Pat non poté fare a meno di avvertire una nota di rimpianto nelle sue parole.
 
):)
 
 Con sua grande sorpresa, due ore dopo aver finalmente assaggiato la cucina della madre di Pran, Pat si trovava ancora a casa Siridechawat; per la precisione, lui e Dissaya erano assieme sull’attico a bere un bicchierino di Sang Som e a godersi la brezza autunnale. L’atmosfera era tranquilla e serena, i minuti di silenzio tra una chiacchiera di circostanza e l’altra non risultarono pesanti come si sarebbe aspettato.
 Si sentì comunque di doverlo rompere, per dire qualcosa che gli era ronzato nella testa dal primo momento in cui, quattro anni prima, Dissaya era entrata di getto nel suo salotto, al cospetto dei suoi genitori, e gli aveva rivelato una dura verità sul motivo dietro all’inimicizia tra le due famiglie. “Khun Dissaya”, richiamò la sua attenzione, e lei girò il capo verso di lui, “mi dispiace tanto per ciò che le ha fatto mio padre.”
 Lo sguardo della donna vacillò, ma rimase puntato su Pat, e fiero, e determinato, come quello di Pran; adesso sapeva da dove derivava lo sterminato coraggio del suo fidanzato. Con una flemma bestiale, Dissaya passò dal guardarlo con occhi soppesatori a rivolergli un caloroso sorriso commosso. “Non sei tu a doverti scusare.”
 Pat fece spallucce. “Ma mi dispiace comunque.”
 Lei scosse il capo. “È a me che dispiace. Mi dispiace di averti addossato colpe non tue. Di non aver neanche provato a conoscerti, prima di giudicarti.”
 “Lo capisco. Stava cercando di proteggere Pran. Non dico che sia stato il modo giusto per farlo... ma almeno so che le sue intenzioni erano positive.” Era vero. Gli ci era voluto davvero tanto tempo per perdonare suo padre — e aveva dovuto farlo aiutato solo dalla sua forza di volontà, non avendo ricevuto da lui neanche uno straccio di scuse. La consapevolezza che Ming lo aveva spinto ad avere in odio Pran fin da quando era un bambino, a stargli con il fiato sul collo per essere migliore di lui in tutto, e solo per colmare le insicurezze e i rimorsi che provava, costringendolo a trattare Pran come un rivale piuttosto che come un amico, rendendo ogni cosa molto più difficile di quanto avrebbe altrimenti potuta essere, lo aveva riempito di rabbia cieca per settimane. Non era riuscito a guardarlo negli occhi senza che le sue labbra si contorcessero in una smorfia infastidita e tutto quel rancore era esploso inevitabilmente dopo la laurea, durante quei pochi mesi in cui avevano provato a lavorare assieme. Pat voleva bene a suo padre — e gliene avrebbe sempre voluto —; ma comprendere le sue azioni non era stato semplice. D’altro canto, per quanto fosse comunque stato in collera con lei per tutta la tristezza che aveva fatto provare a Pran, non poteva non capire i sentimenti di una madre che cerca di tenere al sicuro suo figlio, allontanandolo da un possibile pericolo; e sì, certo, Dissaya aveva proiettato il suo trauma non risolto su di lui, e l’ira provata per Ming su Pat, ma alla fine dei giochi Pat stesso non aveva difficoltà nel mettersi nei suoi panni.
 “Stavo cercando di proteggere Pran... ma anche me stessa. Non volevo vederlo soffrire a causa di una persona di cui si fidava, che avrebbe potuto tradirlo e usarlo; ma non volevo neanche dover rivivere ciò che ho passato io in prima persona, a causa sua, tramite... te.” Pat annuì, perché , non faceva una piega, per quanto egoistico fosse come ragionamento. “Mi dispiace.”
 Non disse nulla di fronte a quelle ripetute scuse e non si azzardò a commentare la singola lacrima sfuggente che le scivolò sulla guancia. Se fossero stati più in confidenza, magari le avrebbe carezzato una spalla in segno di conforto, ma in quel momento persino un gesto piccolo come quello gli sembrò un azzardo.
 Stettero in silenzio un altro paio di minuti, dopo essersi riempiti per una seconda volta i piccoli bicchieri di liquore. Pat si beò del modo in cui gli punzecchiò la gola, dandogli qualcosa su cui focalizzarsi che non fossero tutti i pensieri negativi che gli scorrevano in testa in quel momento. A interromperne il flusso, fu il rumore squillante del suo cellulare, che gli segnalò l’arrivo di un messaggio; ne lesse il contenuto dall’anteprima e sorrise. Non fu difficile prevedere gli occhi addosso che si trovò giusto qualche secondo dopo; un’idea folle gli balenò in mente e indirizzò a Dissaya un’occhiata birichina. “Posso...”
 “Cosa?”
 “Mh. No, fa niente.”
 “Cosa?” domandò di nuovo lei, incuriosita e forse un po' contrariata dal doversi ripetere.
 “Ho detto a Pran che sono qui, con voi.” Lei gli rispose con un’espressione stupita e un po’ preoccupata, quasi spaventata. “Ho sbagliato?”
 Dissaya socchiuse gli occhi, inspirò ed espirò con lentezza e poi gli disse: “Non sta a me dirti cosa puoi scrivergli e cosa no, Pat.”
 Lui annuì. “Bene. Non mi crede.”
 Lei rise di gusto. “Comprensibile.”
 “Perciò, stavo pensando... che c’è un solo modo per costringerlo a crederci.”
 “Registrare un audio dove parliamo entrambi?”
 Pat si grattò la nuca, inclinando la testa. “Okay, due modi. Uno è più divertente, secondo me.”
 Dissaya sorrise. “Vuoi inviargli una foto?”
 Annuì con entusiasmo, causando la sua ilarità.
“Gli farai venire un infarto.”
 “Per questo l’ho prima preparato con i messaggi scritti.”
 La donna sembrò starci pensando con attenzione, valutando i pro e i contro della situazione, con ogni probabilità percorrendo nella sua immaginazione tutti i possibili scenari derivabili dall’idea di Pat. Gli ricordò così tanto Pran, in quel momento, che quasi avvertì un dolore fisico al petto. “D’accordo” gli disse alla fine.
 Pat sorrise e chiuse le mani a pugno in segno di vittoria, poi si alzò dalla sedia e la spostò per posizionarla accanto a quella dove era seduta Dissaya, prima di risedersi. Allungò il braccio e portò il cellulare all’altezza dei loro volti, sorrise, lei fece lo stesso, e scattò. Si premurò di domandarle ancora una volta se potesse o meno inviare la foto e la donna annuì.
 Attese con trepidazione la risposta di Pran, che visualizzò dopo neanche un secondo dalla consegna del messaggio e che, Pat supponeva, doveva essere scoppiato a piangere istantaneamente alla vista di sua madre e del suo ragazzo a meno di un metro di distanza. Nell’immaginarselo, anche la sua vista si fece offuscata e Pat si asciugò gli occhi sull’avambraccio, consapevole di avere lo sguardo di Dissaya puntato su di sé. Quest’ultima, sovvertendo qualsiasi sua aspettativa, gli poggiò una mano sulla spalla, con gentilezza; Pat si voltò a guardarla e si scontrò con un bel sorriso luminoso, guance bagnate e due occhi rossi di pianto.
 Si lasciò andare. Le lacrime iniziarono a scorrere senza che potesse fermarle, come una diga frantumata da una tempesta troppo forte. Singhiozzò in modo poco elegante, ancor di più quando avvertì le braccia della madre di Pran attorno al suo corpo, il mento di lei sulla sua scapola, le mani sulla sua schiena, e un calore immenso che non aveva niente a che fare con il contatto fisico gli sciolse tutti i nodi dell’intestino.
 Si separarono solo un paio di minuti dopo, entrambi vagamente a disagio, quando sentirono un rumore squillante provenire dal cellulare di Pat. Pran gli aveva risposto chiedendogli se avessero voglia di videochiamarlo mezz’ora più tardi, quando avrebbe finito di lavorare, e Pat gli rispose subito di sì, senza neanche prima chiedere a Dissaya se fosse d’accordo, perché la risposta era scontata. Rimpianse di non aver potuto assistere alla reazione di Pran dal vivo, ma avrebbero avuto modo di parlarne e di commuoversi assieme quando sarebbe tornato.
 Spesero la mezz’ora di tempo che ancora avevano a disposizione a chiacchierare del più e del meno, senza dire una parola sull’abbraccio, o sul fatto che Pran ci avesse messo un po' prima di riuscire a inviargli una risposta.
 La videochiamata andò benissimo. Pran aveva senz’altro fatto tutto ciò che era stato in suo potere per mostrarsi calmo e compito, ma le guance rosse e gli occhi luccicanti tradirono ciò che provava davvero. Fu surreale dialogare tutti e tre nel più familiare e confortevole dei modi, come se gli anni di bugie, segreti e sussurri a mezzanotte non fossero mai esistiti. Rimasero in videochiamata per quasi un’ora, ma a un certo punto un collega di Pran li interruppe per dirgli che serviva tornasse a lavoro; a Pat sembrarono essere passati sì e no dieci minuti, e provò subito un ingiustificato odio verso il tizio che li aveva disturbati, ma era consapevole che il suo ragazzo non avrebbe potuto dire di no neanche se lo avesse voluto — e Pran, in realtà, era molto diligente, un gran lavoratore, abituatosi agli anni in cui avevano provato la qualunque per battere l'altro nello studio, o negli sport, o in qualsiasi altra cosa —; pertanto lo lasciò andare senza fare storie e lo stesso fece Dissaya.
 Quando ripose il cellulare nella tasca, si accorse anche che si era fatto tardo pomeriggio. “Mi piacerebbe un sacco rimanere anche per cena” premise, “ma mia madre e mio padre mi aspettano a casa. Pa e Ink vogliono che ci siamo tutti perché stasera annunceranno il loro matrimonio.”
 La donna reagì come, beh, come ogni genitore reagiva a notizie di quel tipo, con un sorriso enorme, tutto denti, e uno sguardo emozionato (anche se Pat supponeva che i suoi, di genitori, soprattutto sua madre, sarebbero stati molto meno composti di fronte a quell'annuncio). “Ma davvero? Che bello. Sono proprio felice per loro.”
 Pat annuì. “Anche io.”
 Si guardarono per qualche secondo, improvvisamente di nuovo in imbarazzo.
 “Pat.”
 “Sì?”
 “Se tu e Pran vorrete sposarvi, prima o poi...” Pur consapevole che non fosse possibile da un punto di vista scientifico, gli sembrò che il suo cuore perdesse un battito. “Io verrei volentieri al matrimonio. Cioè... se mi vorreste lì, è chiaro.”
 “Pran non vorrebbe altro che quello” le rispose senza neanche pensarci due volte, perché ne era sicuro al cento per cento. Pran non avrebbe avuto piacere a celebrare un evento tanto importante per le loro vite senza la sua famiglia accanto a lui; e non gli sarebbe servito nulla di più per considerarlo un momento perfetto. “E ne sarei felice anch'io.”
 Dissaya gli espresse la sua gratitudine con un sorriso genuino.
“Quando tornerà... quando tornerà, ne parleremo con calma. Sarà la prima persona a saperlo, una volta che avremo deciso.” Il solo fatto di poter sul serio fantasticare sul loro matrimonio, aggiungendo stavolta nel quadretto anche i genitori di Pran, gli spedì una scarica di adrenalina per tutto il corpo; gli diede quasi la spinta necessaria per affrontare l'argomento in modo diretto anche con i suoi, di genitori.
“So che ti manca. Tieni duro un altro po'... Manca tanto anche a me. Quando tornerà, cerca di non tenertelo tutto per te!”
 Lui ridacchiò. “Non prometto niente.”
 La donna mimò la sua risata, poi lo salutò.
 Pat rientrò in casa sua così felice che avrebbe potuto illuminare un intero stadio.

 

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