Anime & Manga > Pokemon
Ricorda la storia  |      
Autore: HikariRin    06/05/2023    0 recensioni
Nello stesso momento in cui i loro corpi si toccavano, cessava di essere se stessa. Smetteva di volere di più, e iniziava ad accogliere qualunque cosa lei le propinasse; come ritenesse che fosse l’unico modo per tenerla legata a sé, di fare in modo che nulla potesse strapparla ancora alle sue mani, ma sapeva che non poteva essere un’equazione così semplice, e che qualcosa di lei doveva suggerirle di continuare ad aggrapparsi con tutte le sue forze alla fragilità della condizione in cui s’erano attratte a vicenda.
Ambientazione: Scarlatto & Violetto.
Personaggi: Capsi, Alisma
Genere: Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Una storia di vetro.

 

Erano lei e lei, i cui ansimi s'infrangevano contro le pareti di vetro e acciaio, d’un motivo scarno quanto regolare, e le cui voci tornavano indietro e divenivano assordanti a causa dell'ampiezza della stanza. Erano lei e lei, e i loro riflessi nel vetro e sul pavimento esacerbavano il loro peccato mortale. Lei e lei, unite dal desiderio e da un'illusione senza fondamento, che gli altri non potessero mai avvedersi di nulla. Ma sapevano entrambe che non poteva essere così, probabilmente facevano solo finta d’ignorarle, e ogni qualvolta questo pensiero riempiva la mente di una delle due i loro sguardi colpevoli s’incontravano per un attimo, per poi perdersi nuovamente nell’inebriamento dell’essere insieme e nell’imbarazzo dell’immagine che rimbalzava dallo specchio.

Quasi non sopportava di vedersi riflessa, e altrettanto non sopportava il suono della propria voce soffocata. Tuttavia non aveva alcun modo di liberarsi, né avrebbe necessariamente voluto.

Mentre lei con le labbra seguiva il disegno tracciato dalle sue spalle e l’incavo del suo collo, si rendeva conto del fatto che aveva fulmineamente allentato le sue bretelle e sbottonato la camicia, e che la stringeva a sé premendole una mano sulla schiena in modo che non potesse muoversi. Le spalle e i gomiti a contatto col vetro la costringevano a provare intensi brividi di freddo che la facevano sussultare, e al contempo il calore dell’incontro tra i loro corpi le dava qualche sollievo; la sensazione della pelle inumidita tuttavia acuiva i suoi fremiti, e iniziava a spazientirsi.

Odiava quella sensazione di impotenza, odiava di non poter reagire e odiava che lei se ne accorgesse, incontrando i suoi occhi con un ghigno beffardo quasi volesse sfidarla, mentre la mano che la teneva stretta scivolava più in basso fino a carezzare il cavallo dei pantaloni, e sospirava di sollievo all’idea che finalmente le avrebbe regalato qualcosa di più.

Era bellissima, autoritaria, e troppo forte per lei.

Nonostante fosse arrivata ad esserle tanto vicino da passare le sue giornate solo un piano più in basso. E ne era fottutamente gelosa.

Tornava con la mente alla battaglia precedente, e a quelle che avrebbe dovuto affrontare di lì a poco. Dava sempre tutta se stessa sul terreno di lotta, per poter continuare ad essere la sola che lei avrebbe voluto vedere. L’unica cosa che la rendeva interessante ai suoi occhi, forse; non aveva mai capito cos’altro potesse esserci.

L’insistenza dello sfregamento di lei sul tessuto che lambiva le sue zone sensibili la obbligava a sospiri più rumorosi, ai quali lei reagiva premendo sulle sue labbra con forza, in un malcelato tentativo di attenuarne il suono.

Non sarebbe cambiato nulla. Le avrebbero sentite comunque, avrebbero potuto vederle comunque se solo avessero voluto attraversare quella stanza, avrebbero potuto coglierle in flagrante e allora sarebbe stato impossibile continuare a fare finta di nulla. Sicuramente sapevano, aveva la certezza che il modo in cui si cercavano continuamente con lo sguardo fosse piuttosto eloquente, e tuttavia non poteva farci niente; adorava la sua trasandatezza in contrasto con il suo portamento, la sua apparenza docile e remissiva in contrasto con la sua risolutezza.

Si chiedeva spesso se questo avrebbe potuto cambiare le cose tra loro, comunque. Un pensiero intrusivo, che la portava ad allontanarsi istintivamente da lei. Sempre. Sempre.

“A…”

La sua voce rotta dal piacere echeggiava per la stanza. Tremava, il suo sguardo supplichevole le diceva che avrebbe voluto non si fermasse, ma istintivamente l’aveva spinta indietro, al che lei aveva finalmente allentato la presa.

“Devo tornare di là.”

Gli attimi successivi scorrevano interminabili, e incastrando timidamente i suoi occhi in quelli di lei aveva notato che era rimasta fortemente indecisa, quasi come se si fosse svegliata improvvisamente da una dimensione onirica, e le era parso d’intravedere perfino un velo di colpa.

“Oh, è già così tardi.”

Aveva esclamato lei fingendo sorpresa, per poi allontanarsi repentinamente, quasi come se non fosse stata lei a volerla trattenere fino a quel momento. Le aveva risposto con un’occhiata beffarda e insieme rassegnata che non aveva potuto contenere.

Aveva schiarito la voce dandole le spalle, per poi voltarsi nuovamente con il sorriso dissimulatore che la contraddistingueva, e mentre lei tentava disperatamente di ricomporsi l’aveva superata dirigendosi verso l’ascensore. La lasciava sempre così: insoddisfatta; con una punta di amarezza.

Nemmeno capiva se lo facesse apposta, se fosse un tentativo di prendere le distanze o semplicemente che non fosse sua abitudine dare soddisfazione a qualcuno che non fosse se stessa.

Poco prima di avvicinarsi alla porta si era voltata nuovamente, trovandola a sospirare di sollievo per il fatto che era finalmente tutto a posto; allora le aveva sorriso sinceramente, come se niente fosse successo e quella fosse una normale giornata di lavoro.

Era il momento in cui iniziava a odiare se stessa per essere così arrendevole con lei, incapace di non cederle.

“Mi raccomando, fate di tutto per non farli arrivare da me!” aveva detto, mentre le porte della stanza successiva si aprivano dietro di lei.

Allora aveva deciso di ricambiare la circostanza.

Aveva istintivamente riso alla sua raccomandazione, definito che avrebbe ignorato la sua scelta verbale e sarebbe tornata quella di sempre, e guardandola obliquamente le aveva rivolto uno sguardo determinato e sicuro.

“Daje, ma’ttepare. I campioni nun nascono tutt’i ’ggiorni.”

Mentre le porte automatiche si chiudevano, avrebbe giurato di averla sentita ridere.

L’ascensore saliva inesorabile, e lei rimaneva lì ad attendere con le mani in tasca che qualcosa l’aiutasse a separarsi mentalmente da quanto era appena accaduto. Pensava che forse sarebbe stata più accogliente la stanza subito adiacente, e scuoteva subito la testa a voler allontanare quel pensiero; si chiedeva come lei ci fosse riuscita.

Probabilmente la volta successiva sarebbe stata lei a dover prendere l’iniziativa, a trascinarla in un luogo in cui nessuno avrebbe potuto vederle o sentirle. Chissà se avrebbe cambiato qualcosa tra loro. Stringeva i pugni nelle tasche sospirando, e si voltava indietro procedendo verso la scrivania.

Mentre indossava i suoi occhiali da lettura e scostava la sedia, si chiedeva per quanto tempo avrebbe potuto ancora accettare quella relazione. Nello stesso momento in cui i loro corpi si toccavano, cessava di essere se stessa. Smetteva di volere di più, e iniziava ad accogliere qualunque cosa lei le propinasse; come ritenesse che fosse l’unico modo per tenerla legata a sé, di fare in modo che nulla potesse strapparla ancora alle sue mani, ma sapeva che non poteva essere un’equazione così semplice, e che qualcosa di lei doveva pur avere attirato la sua attenzione.

Qualcosa doveva suggerirle di continuare ad aggrapparsi con tutte le sue forze alla fragilità della condizione in cui s’erano attratte a vicenda.

“Mandate avanti il prossimo sfidante.”

Cocci d’instabilità, d’insicurezza, d’insoddisfazione, d'una passione irrefrenabile che non evolveva mai e che lasciava entrambe inappagate. Il bussare incalzante di un nodo alla gola che cercava costantemente di reprimere.

“Benvenuto alla Lega Pokémon.”

La frustrazione costante di una frangibile, corruttibile, effimera storia di vetro.

 

Note dell’autrice:

Pokémon Scarlatto e Violetto sono riusciti a oltrepassare il mio blocco dello scrittore, e dopo i secoli che non riuscivo a buttare giù una riga mi hanno portata al livello superiore: lo YURI.

Credo che questa sia la prima coppia femminile nella mia vita che shippo tantissimo.

E dire che presa singolarmente Alisma non mi piace per niente; è altezzosa, vanitosa e fin troppo misteriosa, secondo me nasconde qualcosa. L’unica cosa carina che ha è il nome.

Di contro, Capsi come nome non lo reggo proprio. Avrei voluto utilizzare i nomi inglesi che sono così belli, ma non potevo risultare incongruente cambiando la lingua in base alle mie preferenze; quindi, ho preferito usare i pronomi. È stata una scelta stilistica dettata dai miei gusti personali, chiedo scusa se questo ha creato confusione.

Ringrazio il mio amico Bryook per la traduzione dal romanaccio, adoro tantissimo.

E ora torno nel mio cantuccio; forse scriverò un seguito, chissà, forse vi proporrò altro sul fandom. Scrivo storie sui Pokémon da quando ero bambina, ma non le ho mai presentate al pubblico. Con questa fic ho aperto il vaso di Pandora, quindi chissà…

Ringrazio tutti voi per aver letto :3 a presto!

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: HikariRin