Ad
un ritmo folle come i colibrì
Il mondo per Jesper
ha sempre avuto la forma della frenesia; un
insieme di musiche
dissonanti che non si interrompono mai, scariche elettriche che gli
tengono in vita il corpo e l'anima.Sei un terremoto, Jes,
diceva spesso sua madre – a volte irritata, a volte divertita
e
pronta ad accompagnare quelle parole con un bacio sulla fronte o una
carezza tra i capelli. Ti muovi al ritmo folle e
sfrenato
dei colibrì. Perché non riesci a stare fermo
neanche per un attimo?
Nessuno ha mai
compreso che fermarsi, per lui, significherebbe morire poco a poco
–
rendere anoressico il suo corpo costantemente affamato di adrenalina.
All'età di
diciassette anni, Jesper ricorda a stento il significato della parola
casa. Gli è alieno il desiderio di
cercare ristoro davanti a
un fuoco, rilassare i muscoli e godersi la quiete per più di
qualche
istante – le sue ossa ricominciano fin troppo presto a
fremere e
implorare per una nuova avventura nella quale gettarsi a capofitto,
una nuova terra da esplorare, un nuovo confine da superare. La vita
è
un banchetto infinito di cui lui vuole divorare ogni briciola fino
alla nausea – perché scegliere significherebbe
escludere ed
escludere significherebbe non essere mai sazio, non vivere
abbastanza.
La vita è un
torrente di emozioni e sapori che Jesper insegue al ritmo folle dei
colibrì senza mai riuscire a soffermarvisi troppo a lungo.
C'è
appena il tempo di assaggiarne le promesse sulla punta della lingua
prima che l'eccitazione svanisca e subentri la noia; i libri dai
quali ha desiderato sviscerare ogni sillaba finiscono per prender
polvere negli armadi, i corpi che l'hanno fatto tremare di desiderio
non gli dicono più niente. Miriadi di universi (pensieri
idee
passioni rivelazioni filosofie) esplodono in lui giorno dopo
giorno ed evaporano senza lasciar traccia – se non il
disperato
bisogno di tornare a mettersi subito in moto.
(La noia – quella malattia
immortale che lo assassina e lo snatura – quella malattia a
cui
cerca rimedio giorno dopo giorno, istante dopo istante.)
Il suo corpo ha
sempre parlato per lui; è doloroso rimanere seduto troppo a
lungo,
le sue gambe – che sembrano vivere di vita propria
– lo
trascinano senza tregua da un lato all'altro di una stanza o del
pontile di una nave, si prodigano in danze improvvisate di cui solo
lui riesce a udire la musica nella sua mente. Le sue orecchie si
stancano di qualsiasi suono e qualsiasi conversazione ascoltata
troppo a lungo, il suo cervello di ogni pensiero sviscerato fino
all'osso. Le sue mani impazienti cercano di ingannare il tedio del
tempo macinando steli di fiori e riducendo la carta a brandelli,
rincorrendo consistenza dopo consistenza – la pelle del suo
volto,
i suoi capelli, le spaccature sulle sue nocche, i tessuti morbidi dei
vestiti, il legno ruvido dei tavoli –, Jesper e le sue mani
impazienti si stancano di tutto tranne che delle
impugnature
delle rivoltelle.
(L'esaltazione che accompagna lo
sparo secco che rimbomba nell'aria mentre la pallottola va a segno
è
l'unica logica, l'unico ordine, l'unica armonia della sua natura
dionisiaca.)
Quando Wylan
irrompe nella sua vita, i terremoti che sconquassano l'anima di
Jesper iniziano a quietarsi e il mondo si ridisegna in nuove
sorprendenti forme; la frenesia svanisce pian piano, lasciandosi
dietro un silenzio che risplende e risuona di rivelazioni fino a quel
momento inimmaginabili.
Non
c'è monotonia nelle sinfonie che le dita affusolate di Wylan
distillano dai tasti del pianoforte – quella è
l'unica musica che
Jesper potrebbe continuare ad ascoltare per il resto della sua
esistenza, fino al suo ultimo respiro, senza mai stancarsi.
Così
come le sue labbra non si stancano mai della pelle di Wylan; quella
pelle morbida da consumare a ogni bacio e ogni morso, quella tela
immacolata che ogni giorno e ogni notte si tinge di nuovi colori,
rivela percorsi inesplorati, piaceri e segreti inaspettati, nuovi
sapori nascosti tra le pieghe dell'epidermide, sempre vivi e
brucianti sulla punta della lingua; per la prima volta Jesper
si scopre assuefatto da un corpo come potrebbe essere assuefatto dal
vino, dal gioco, dall'esaltazione che accompagna lo sparo
secco
che rimbomba nell'aria mentre la pallottola va a segno.
Dal momento in cui
ha compreso di essere indegno di far ritorno alla casa del padre,
Jesper ha accettato la sua esistenza nel Barile come una seconda
natura; il marciume e i piaceri vili delle notti di Ketterdam,
l'aspettativa di morire giovane – con il petto crivellato e
l'adrenalina della battaglia ancora in corpo – e la
convinzione che
dopotutto non avrebbe mai potuto trovare la felicità in una
vita
convenzionale, invecchiando nella routine; questa l'avrebbe
assassinato nello spirito ancor prima che nella carne.
Eppure, nel momento
in cui Wylan gli spalanca le porte di una nuova casa, per la prima
volta Jesper si scopre desideroso di invecchiare senza mettere a
repentaglio la sua vita di giorno in giorno, senza accumulare
orizzonti e voluttà da inseguire, lasciando che le sue mani
–
quelle mani frenetiche e impazienti che si stancano di tutto
tranne che delle impugnature delle rivoltelle –
possano trovare
eterno ristoro tra quelle di Wylan.
La
fame di adrenalina è sempre viva, vibrante in ogni fibra dei
suoi
organi, accompagnata però da nuovi appetiti: svegliarsi la
mattina
tra lenzuola fresche e braccia che lo stringono, il profumo di
caffè
già pronto che impregna la cucina tirata a lucido, i pasti
caldi
preparati con cura quando Colm o Inej sono invitati a cena. Wylan che
ride, Wylan che suona per lui, Wylan che lo bacia sulle banchine del
porto di Ketterdam o davanti al fuoco confortante del camino. Wylan e
i suoi boccoli ramati che Jesper intreccia senza sosta tra le dita
per restituire senso allo scorrere del tempo. Wylan che ogni domenica
si presenta con il solito pacco di ciambelle acquistate nella loro
pasticceria di fiducia. Wylan che è sempre lo stesso e che
sa di
casa; non più stasi
assassina ma il nido materno al quale tornare, nel quale sognare di
coltivare – forse, un giorno, se
così vorranno i Santi
– il seme di una nuova vita.
Wylan
– unica logica, unico ordine, unica armonia della sua natura
dionisiaca ricongiunta al suo apollineo – ha ricomposto pian piano ogni sua crepa; il
colibrì,
finalmente stanco di rincorrere miriadi di universi effimeri, si
ferma per trovare ristoro ed è nel ristoro che impara a
scoprirsi
sazio di vita.