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Autore: Roxanne Potter    12/05/2023    1 recensioni
[Questa storia partecipa alla Challenge “GrishaVersi – Tenebre e Titoli” indetta da Ciuscream sul forum Ferisce più la penna]
Jesper/Wylan.
Quando Wylan irrompe nella sua vita, i terremoti che sconquassano l'anima di Jesper iniziano a quietarsi e il mondo si ridisegna in nuove sorprendenti forme; la frenesia svanisce pian piano, lasciandosi dietro un silenzio che risplende e risuona di rivelazioni fino a quel momento inimmaginabili.
Non c'è monotonia nelle sinfonie che le dita affusolate di Wylan distillano dai tasti del pianoforte – quella è l'unica musica che Jesper potrebbe continuare ad ascoltare per il resto della sua esistenza, fino al suo ultimo respiro, senza mai stancarsi.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jesper Fahey, Wylan Van Eck
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ad un ritmo folle come i colibrì

Il mondo per Jesper ha sempre avuto la forma della frenesia; un insieme di musiche dissonanti che non si interrompono mai, scariche elettriche che gli tengono in vita il corpo e l'anima.
Sei un terremoto, Jes, diceva spesso sua madre – a volte irritata, a volte divertita e pronta ad accompagnare quelle parole con un bacio sulla fronte o una carezza tra i capelli. Ti muovi al ritmo folle e sfrenato dei colibrì. Perché non riesci a stare fermo neanche per un attimo?
Nessuno ha mai compreso che fermarsi, per lui, significherebbe morire poco a poco – rendere anoressico il suo corpo costantemente affamato di adrenalina.
All'età di diciassette anni, Jesper ricorda a stento il significato della parola casa. Gli è alieno il desiderio di cercare ristoro davanti a un fuoco, rilassare i muscoli e godersi la quiete per più di qualche istante – le sue ossa ricominciano fin troppo presto a fremere e implorare per una nuova avventura nella quale gettarsi a capofitto, una nuova terra da esplorare, un nuovo confine da superare. La vita è un banchetto infinito di cui lui vuole divorare ogni briciola fino alla nausea – perché scegliere significherebbe escludere ed escludere significherebbe non essere mai sazio, non vivere abbastanza.
La vita è un torrente di emozioni e sapori che Jesper insegue al ritmo folle dei colibrì senza mai riuscire a soffermarvisi troppo a lungo. C'è appena il tempo di assaggiarne le promesse sulla punta della lingua prima che l'eccitazione svanisca e subentri la noia; i libri dai quali ha desiderato sviscerare ogni sillaba finiscono per prender polvere negli armadi, i corpi che l'hanno fatto tremare di desiderio non gli dicono più niente. Miriadi di universi (pensieri idee passioni rivelazioni filosofie) esplodono in lui giorno dopo giorno ed evaporano senza lasciar traccia – se non il disperato bisogno di tornare a mettersi subito in moto.
(La noia – quella malattia immortale che lo assassina e lo snatura – quella malattia a cui cerca rimedio giorno dopo giorno, istante dopo istante.)
Il suo corpo ha sempre parlato per lui; è doloroso rimanere seduto troppo a lungo, le sue gambe – che sembrano vivere di vita propria – lo trascinano senza tregua da un lato all'altro di una stanza o del pontile di una nave, si prodigano in danze improvvisate di cui solo lui riesce a udire la musica nella sua mente. Le sue orecchie si stancano di qualsiasi suono e qualsiasi conversazione ascoltata troppo a lungo, il suo cervello di ogni pensiero sviscerato fino all'osso. Le sue mani impazienti cercano di ingannare il tedio del tempo macinando steli di fiori e riducendo la carta a brandelli, rincorrendo consistenza dopo consistenza – la pelle del suo volto, i suoi capelli, le spaccature sulle sue nocche, i tessuti morbidi dei vestiti, il legno ruvido dei tavoli –, Jesper e le sue mani impazienti si stancano di tutto tranne che delle impugnature delle rivoltelle.
(L'esaltazione che accompagna lo sparo secco che rimbomba nell'aria mentre la pallottola va a segno è l'unica logica, l'unico ordine, l'unica armonia della sua natura dionisiaca.)
Quando Wylan irrompe nella sua vita, i terremoti che sconquassano l'anima di Jesper iniziano a quietarsi e il mondo si ridisegna in nuove sorprendenti forme; la frenesia svanisce pian piano, lasciandosi dietro un silenzio che risplende e risuona di rivelazioni fino a quel momento inimmaginabili.
Non c'è monotonia nelle sinfonie che le dita affusolate di Wylan distillano dai tasti del pianoforte – quella è l'unica musica che Jesper potrebbe continuare ad ascoltare per il resto della sua esistenza, fino al suo ultimo respiro, senza mai stancarsi. Così come le sue labbra non si stancano mai della pelle di Wylan; quella pelle morbida da consumare a ogni bacio e ogni morso, quella tela immacolata che ogni giorno e ogni notte si tinge di nuovi colori, rivela percorsi inesplorati, piaceri e segreti inaspettati, nuovi sapori nascosti tra le pieghe dell'epidermide, sempre vivi e brucianti sulla punta della lingua; per la prima volta Jesper si scopre assuefatto da un corpo come potrebbe essere assuefatto dal vino, dal gioco, dall'esaltazione che accompagna lo sparo secco che rimbomba nell'aria mentre la pallottola va a segno.
Dal momento in cui ha compreso di essere indegno di far ritorno alla casa del padre, Jesper ha accettato la sua esistenza nel Barile come una seconda natura; il marciume e i piaceri vili delle notti di Ketterdam, l'aspettativa di morire giovane – con il petto crivellato e l'adrenalina della battaglia ancora in corpo – e la convinzione che dopotutto non avrebbe mai potuto trovare la felicità in una vita convenzionale, invecchiando nella routine; questa l'avrebbe assassinato nello spirito ancor prima che nella carne.
Eppure, nel momento in cui Wylan gli spalanca le porte di una nuova casa, per la prima volta Jesper si scopre desideroso di invecchiare senza mettere a repentaglio la sua vita di giorno in giorno, senza accumulare orizzonti e voluttà da inseguire, lasciando che le sue mani – quelle mani frenetiche e impazienti che si stancano di tutto tranne che delle impugnature delle rivoltelle – possano trovare eterno ristoro tra quelle di Wylan.
La fame di adrenalina è sempre viva, vibrante in ogni fibra dei suoi organi, accompagnata però da nuovi appetiti: svegliarsi la mattina tra lenzuola fresche e braccia che lo stringono, il profumo di caffè già pronto che impregna la cucina tirata a lucido, i pasti caldi preparati con cura quando Colm o Inej sono invitati a cena. Wylan che ride, Wylan che suona per lui, Wylan che lo bacia sulle banchine del porto di Ketterdam o davanti al fuoco confortante del camino. Wylan e i suoi boccoli ramati che Jesper intreccia senza sosta tra le dita per restituire senso allo scorrere del tempo. Wylan che ogni domenica si presenta con il solito pacco di ciambelle acquistate nella loro pasticceria di fiducia. Wylan che è sempre lo stesso e che sa di casa; non più stasi assassina ma il nido materno al quale tornare, nel quale sognare di coltivare – forse, un giorno, se così vorranno i Santi – il seme di una nuova vita.
Wylan – unica logica, unico ordine, unica armonia della sua natura dionisiaca ricongiunta al suo apollineo – ha ricomposto pian piano ogni sua crepa; il colibrì, finalmente stanco di rincorrere miriadi di universi effimeri, si ferma per trovare ristoro ed è nel ristoro che impara a scoprirsi sazio di vita.
   
 
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