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Autore: LaViaggiatrice    25/05/2023    0 recensioni
Dopo la morte del padre e una serie di drammi familiari, la giovane Bree ha deciso di tornare nella città di Dale, dove suo padre è cresciuto. Lì ritroverà vecchie conoscenze, nuove amicizie e qualche scontro, oltre che un mistero da svelare.
La morte di suo padre è stata davvero accidentale? O c'è qualcuno dietro? Che faccia tutto parte di una storia più complessa?
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La riscrittura di questa storia che avevo iniziato a 13 anni (cringe) e che sto cercando di riscrivere atempo perso.
Ho tempo per imbarcarmi in questo progetto? No.
Lo farò lo stesso? Certo che si.
Genere: Avventura, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Compagnia di Thorin Scudodiquercia, Fili, Kili
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il cartello blu della stazione recitava “Dale”.
Si trattava di una piccola città tra i monti divisa in quattro quartieri, conosciuta principalmente dai motociclisti che percorrevano quelle strade o dalle persone che ci vivevano, ma a coloro che ci abitavano andava bene così.

Dopotutto, era sempre stato così, e così sarebbe stato ancora.

Quando il treno si fermò completamente, Bree aprì la porta impaziente e, sollevando il proprio trolley gonfio, scese dal vagone inspirando a fondo l’aria fresca e pulita. Il venticello frizzante di settembre soffiava nella stazione semi-deserta, e il cielo era terso.
Un sorriso le si aprì sul volto, poi mentre stava per decidersi a muoversi qualcuno la urtò da dietro, facendola quasi cadere con un urletto sorpreso.

- Oh, mi scusi signorina, non l’avevo vista- disse una voce preoccupata dietro di lei.

Bree si voltò verso l’uomo che aveva parlato, e arrossì imbarazzata
- Non si preoccupi, non mi sono fatta niente- disse quindi con un lieve sorriso.

Era alto e con spalle larghe, doveva avere circa quarant’anni, e indossava un completo grigio e una cravatta rossa. I lunghi capelli brizzolati erano raccolti in un codino basso, e portava una barba corta ma estremamente curata.
La scrutò per qualche momento con sguardo intenso nelle iridi azzurre, poi quando si fu assicurato che stava bene si allontanò, tenendo tra le mani una ventiquattrore logora.
Bree si riscosse in fretta, quindi dopo essersi a fatica soffiata via un ciuffo di capelli rossi dal viso si diresse verso la stradina in cui quei pochi che erano scesi si stavano dirigendo.

Si addentrò per quei viottoli che erano incisi nel profondo della sua memoria, memorizzando nuovamente tutte le mattonelle su cui camminava come fosse la prima volta, e sorrise tra se.

Dopo qualche minuto che era uscita dalla stazione sbucò nella piazza cittadina: era di forma circolare, tappezzata di mattonelle malmesse e con una fontana bianca al centro, attorno alla quale c’erano delle panchine su cui erano sedute alcune persone.

Sentì un tuffo al cuore a quella vista; era proprio come la ricordava.
Pareva che mentre il mondo andava avanti, Dale fosse rimasta ferma nel tempo, custode dei suoi più cari ricordi.

La attraversò rapidamente ed entrò in una via laterale, costeggiata da casette singole bianche e in legno a due piani con un giardino di fronte a esse, tutte dello stesso tipo. Si fermò davanti ad una di quelle e le si strinse lo stomaco.

Era la casa in cui era cresciuto suo padre, dove aveva vissuto fino a che non si era trasferito a New York con sua madre, ma ora era vuota da anni.
Il giardino era molto curato, decorato da fiori colorati; a quanto pareva qualcuno ancora si prendeva cura di quella casa, faceva parte del senso di appartenenza e di solidarietà che aveva sempre caratterizzato quella città.

Non c’era da meravigliarsi se vi si era rifugiata.

Entrò dal cancello di legno bianco, prese le chiavi dalla borsa con mano tremante ed aprì la porta, che si mosse con un lieve cigolio.
Sbucò su un corto corridoio affiancato da un basso muretto in mattoni, che dopo un metro si apriva sulla destra su un ampio salotto. Era arredato con mobili in legno chiaro, uno dei quali racchiudeva una televisione con annessi un lettore DVD e una console Wii.
Oltre la televisione si trovava un enorme tavolo in legno massiccio con delle panche, proprio di fronte ad una porta che terminava in un arco che portava in cucina, una stanza lunga in legno e marmo.

Davanti al corridoio da cui si entrava invece c’erano delle scale che portavano alle camere e al bagno.
La casa era linda e pulita; come aveva immaginato vedendo il giardino, c’era davvero qualcuno che se ne prendeva ancora cura, forse nella speranza che chi ci abitava ritornasse.

Un sospiro tremante sfuggì alle sue labbra al pensiero amaro che suo padre non avrebbe più fatto ritorno. Si affrettò a scacciar quel pensiero dalla mente e si diresse verso il piano superiore.

La camera di suo padre era molto spaziosa, con un letto da una piazza e mezza, un comodino, una libreria, una cassettiera e un armadio in legno. A fianco c’erano la camera dei suoi defunti nonni, simile a quella di suo padre ma più grande, e il bagno con la grande vasca da bagno in cui amava sguazzare da bambina.               
Lasciò la borsa in camera e iniziò a spalancare le imposte ed aprire le finestre, facendo areare la casa, poi fece una doccia, sospirando di beatitudine sentendo l’acqua calda sulla pelle.

Dopo essersi asciugata si rivestì con un paio di jeans a zampa, un maglioncino verde dello stesso colore dei suoi occhi e le sue Lumberjack consumate, quindi legò i capelli rossi in una coda e presi chiave e cellulare uscì.

Tornò verso la piazza e senza esitare entrò in un locale che faceva angolo.
Era un posto molto rustico, con tavoli di legno e profumo di cibo nell’aria. C’erano solo due clienti che bevevano un caffè e chiacchieravano tra di loro senza degnare di uno sguardo la nuova arrivata. Dietro al bancone invece si intravedeva un cappello vecchio e logoro che si muoveva rapidamente e ansiosamente.

 - Arrivo subito!- gridò la voce maschile e gioviale del suo proprietario quando sentì lo scampanellio dato dall’apertura della porta.
Ci fu un rumore di cocci infranti e delle imprecazioni, poi un uomo si tirò su; i capelli erano raccolti in due corte trecce arricciate su se stesse, e gli occhi nocciola squadrarono per un attimo la nuova arrivata prima di spalancarsi per la sorpresa
– Bree?-
- Bofur! Non sei cambiato di una virgola!- esclamò allargando le braccia.

Lui scoppiò in una risata gioviale e uscì da dietro il bancone, abbracciandola e tirandola su, facendola volteggiare in aria come una bambina, facendola ridere genuinamente.
- Tu invece si a quanto pare! Quanto tempo è passato? Dieci anni?-
- Dodici- lo corresse lei con un sorriso divertito
- Dodici! Miseria… l’ultima volta che ti ho vista eri alta così!- e indicò rozzamente l’altezza di una bambina - E guardati adesso! Sei quasi una donna ormai!-.
Prima che Bree potesse aggiungere altro si voltò verso le cucine

- Bombur! Vieni a vedere chi c’è!-.
Il fratello di Bofur uscì da una porta laterale; indossava un grembiule da cuoco a coprire la sua mole gigantesca, e aveva radi capelli rossicci, dello stesso colore della barba intrecciata in una specie di ciambella.
Bree fece un cenno con la mano senza smettere di sorridere, mentre il cuoco la raggiungeva con una risata e la stritolava in un abbraccio a sua volta
- Bree! Come sei cresciuta! Ma cosa ci fai qua?- chiese quindi Bombur, guardandola sorpreso.

Bofur la guardò incuriosito – Si, che ci fai qua? Sei in vacanza?-.                                         
Il sorriso scomparve dalle sue labbra. Si strinse nelle braccia, distogliendo lo sguardo dai due uomini, e scosse la testa leggermente senza però rispondere.

Una mano le si posò sulla spalla, e non riuscì a impedirsi di tremare quando sentì la voce di Bofur, ora seria e leggermente preoccupata
- Ehi… cosa succede?-.
Sospirò tremante, strofinandosi i palmi sulle braccia per cercare di scacciare quella sensazione di disagio strisciante. Avrebbero davvero capito la situazione? O l’avrebbero rispedita indietro?

- I-io… sono scappata. Di casa- disse con un filo di voce.
Sentì un sospiro sorpreso da parte dei due uomini, ma ancora non ebbe il coraggio di guardarli
- Cosa? Perché?-.
- Perché non ce la facevo più!- esclamò lei tirando su col naso, asciugandosi rapidamente gli occhi – Non ce la facevo più a stare a New York… non dopo tutto ciò che è successo- mormorò con voce spezzata.

I due fratelli erano a conoscenza della morte di Robin; sua madre li aveva avvisati poco dopo il fatto. Con un sospiro, Bofur attirò Bree a se
- Mi dispiace… sai che sei sempre la benvenuta qui- mormorò.
Sentiva che c’era qualcosa di più che la semplice morte di Robin, ma per il momento non volle chiedere. Bree non sembrava nelle condizioni di farlo, perciò si limitò a consolarla come meglio poteva.

Dopo qualche momento e dopo aver bagnato la maglia di Bofur, la ragazza si tirò su e si asciugò il viso, prendendo il fazzoletto che Bombur le porgeva e soffiandosi il naso
- Grazie…-
- Neanche a dirlo! Ma Bree, se hai intenzione di stare qui avrai bisogno di soldi immagino- disse preoccupato Bofur. La ragazza scrollò le spalle
- Ho dei risparmi-
- Ma non basteranno per sempre- osservò, mentre le rotelle del suo cervello giravano. All’improvviso si illuminò e la guardò – Ho un’idea! Potrei assumerti come cameriera part-time, che ne dici?-.

Bree lo guardò sgranando appena gli occhi
- Dici… dici davvero?-.
- Ma certo! Puoi cominciare anche domani mattina, che ne dici? Ti faccio un corso accelerato, ma so che sei una ragazza sveglia!- disse con un sorriso, dandole una pacca sulla spalla – Poi visto che andrai a scuola immagino, potresti lavorare qua la sera-.
Bree sospirò di sollievo

- Grazie Bofur- disse quindi, per poi arrossire quando il suo stomaco brontolò. In effetti era ora di pranzo, e quella mattina nella foga di scappare non aveva neanche fatto colazione.

Bombur rise tenendo una mano sulla pancia
- Ti preparo qualcosa, vai a sederti- le disse, ritornando in cucina.
La ragazza andò quindi a sedersi a un tavolino. Mentre aspettava, si guardò intorno con un piccolo sorriso sul volto. Quel luogo sapeva di casa, di famiglia; piccolo, pieno di soprammobili di vario tipo, profumato di cibo. Sapeva di quella casa che aveva perso insieme a suo padre.
Prima che potesse perdersi in pensieri cupi Bofur arrivò a portarle da mangiare.
Una volta finito, radunò le proprie cose e dopo una breve discussione con l’uomo che non la voleva far pagare, si diresse verso l’uscita.
Evidentemente non era la sua giornata, perché per poco non andò a sbattere contro un ragazzo, ma riuscì a deviare in tempo.
- Ehilà! Sei di fretta?-.

Aveva capelli neri lunghi fino alle spalle che gli davano un’aria tutt’altro che effeminata, caldi occhi scuri, e un accenno di barba. Indossava una t-shirt grigia, jeans e scarpe da ginnastica, ed era poco più alto di Bree.

Quest’ultima sorrise di rimando – No, non particolarmente. Scusami, non guardo mai dove vado- aggiunse passandosi una mano tra i capelli con fare nervoso.
Il ragazzo scoppiò a ridere

- Ma no, non preoccuparti! Sono Kili, non credo di averti mai vista da queste parti- disse quindi con un cenno della mano.
- Questo perché mi sono appena trasferita da New York. Il mio nome è Bree- spiegò lei.
Kili aggrottò le sopracciglia sorpreso – Da New York? E sei venuta qui?-.
Notando l’incertezza della ragazza fece un gesto con la mano – Ah non ti preoccupare non voglio ficcare il naso!- disse sorridendole, per poi dirigersi verso Bofur.
Quando l’uomo vide il ragazzo sospirò e lo guardò divertito mentre si avvicinava al bancone

– Ciao ragazzo. Cosa ti porto?-
- Una birra media-
- Kili, non posso dartela, sei minorenne-
- Oh, andiamo!-
- Ti ho detto di no! Già sei abbastanza stupido da sobrio, figuriamoci con una birra in circolo- replicò lavando un bicchiere, dandogli la schiena.

Kili sbuffò e mise il broncio, sollevando le braccia in aria con fare drammatico
- Non è giusto!- esclamò, suscitando le risate di Bree e di Bofur.

Il campanello suonò una seconda volta, e prima che la ragazza potesse mettere a fuoco il nuovo arrivato Kili gli si rivolse con espressione felice
- Fratellone, vero che posso prendere una birra media?- chiese speranzoso andandogli incontro.

Il ragazzo in questione lo stava guardando con le mani sui fianchi e un sorriso divertito dietro i baffi biondi, acconciati in due treccine fermati da fermagli in metallo. Portava i capelli lunghi come il fratello, solo che i suoi erano biondi come i baffi e la barba, e i suoi occhi erano azzurro cielo.
Doveva avere circa vent’anni, ed era vestito con dei jeans e una maglia verde scuro.

– No Kili, non puoi- disse scompigliandogli i capelli, avvicinandosi al bancone.
Si accorse in quel momento della ragazza, cui rivolse un sorriso e un cenno del capo
– Ciao. Sono Fili-.

A differenza del fratello sembrava una persona piuttosto pacata e tranquilla, il genere di persona pronta a tirarti fuori dai guai. Kili sorrise e gli cinse le spalle con un braccio prima che Bree avesse tempo di rispondere
- Lui è il mio fratellone, ed è il ragazzo più simpatico e bello della città… beh, dopo di me naturalmente. Fili, lei è Bree, e si è trasferita qua da New York-.
Fili le sorrise, roteando gli occhi leggermente e guardando divertito suo fratello  
– Piacere di conoscerti Bree. Vedo che hai già avuto il piacere di conoscere il mio scapestrato fratellino qui. E Kili, no, non te la prendo la birra-.                                                                                          
Il moro si imbronciò, andando a sedersi su uno sgabello
– Ti odio- borbottò appoggiando il mento alle braccia incrociate.
Fili gli scompigliò affettuosamente i capelli
– Anche io ti voglio tanto bene fratellino. Hey Bofur, mi fai una birra per favore?-.
Lo sguardo di Kili, tra l’incredulo e il ferito, era da incorniciare

Quando il barista gli porse il bicchiere, Fili bevette un sorso prima di rivolgersi al fratello
- Dai, ancora qualche mese e diventerai maggiorenne, e potrai ubriacarti quanto vuoi. Ma finora sei sotto la mia responsabilità, e se bevi e mamma lo viene a sapere uccide me e lo zio.-
- È impossibile che nostra madre lo venga a sapere! Sta a Boston!-.
– Non sottovalutarla- borbottò, per poi voltarsi verso la ragazza, che era rimasta in silenzio a bere un ginger ale e a guardare i due fratelli rimbeccarsi divertita mentre firmava i documenti del contratto di lavoro.
– Tu quanti anni hai?- chiese quindi incuriosito.

- Fili! Non si chiede l’età a una ragazza!- lo imbeccò Kili, che poi sorrise sentendosi fiero dei suoi consigli di corteggiamento.
Con una risata Bree scosse la testa

- Non è mica un problema. A marzo compio 18 anni, comunque-.
Kili alzò le sopracciglia sorpreso – Davvero? Io a novembre! Ti facevo più grande-.
Suo fratello si batté una mano sulla fronte – Semmai dovevi dirle che sembrava più giovane, idiota- disse ridendo, contagiando anche la rossa.
Poi, il biondo unì le mani e guardò in alto

– Ma cosa ho fatto di male per meritarmi un fratello che non sa nemmeno flirtare?- fece a voce alta con tono drammatico, facendo ridere Bofur e Bree, mentre il povero Kili era arrossito e guardava suo fratello con aria omicida
– Smettila! E guarda che sono fidanzato, non ho alcun bisogno di flirtare- ribatté offeso.
Bree alzò gli occhi al cielo divertita
– Anche tu sembri più grande, sai?- osservò con un sorriso dietro il bicchiere. Kili sorrise trionfante verso Fili
– Sentito fratello? Le sembro più grande!- disse orgoglioso.
Il biondo rise - Cosa c’entra? Tanto hai il cervello di un bambino di cinque anni- disse cingendogli il collo con una mano e trascinandolo in avanti per poi passargli il pugno chiuso sulla testa, scompigliandogli i capelli, mentre l’altro tentava inutilmente di liberarsi mugolando infastidito. Quando lo lasciò, il più piccolo gli scoccò un’occhiata omicida.
Fili non diede segno di essersene accorto e, dopo aver finito la propria birra, si alzò e pagò Bofur, quindi si voltò verso la ragazza

- Alla prossima allora- disse con un cenno e un sorriso.
La ragazza sorrise e ricambiò il saluto – Certo. Ciao!-.
Kili si alzò stiracchiandosi – Beh, è stato bello conoscerti. Ciao Bree! Ci si vede in giro!-. Quando se ne furono andati Bofur ridacchiò, appoggiandosi la bancone e osservandoli allontanarsi

- E così hai conosciuto i nostri ultimi acquisti. Sono venuti qui poco meno di una decina d’anni fa, e sono i nipoti di Thorin Oakenshield- spiegò, tirandosi su e stiracchiandosi
- Il miliardario?- chiese sorpresa.                                                                                                         
– Si, esatto. Inizialmente vivevano qui con la loro madre, poi lei si è trasferita a Boston per lavoro, ma Fili aveva un lavoretto qua e Kili non si separerebbe da suo fratello neanche morto, così hanno convinto la loro madre a lasciarli qui. Tanto sa che sono sotto controllo, tutto il quartiere si è preso l’incarico di tenere d’occhio Kili-. disse scoppiando a ridere scuotendo la testa - In realtà e un bravo ragazzo, gli piace solo fare tanto il drammatico, e a volte ti viene da dubitare che abbia effetivvamente un cervello in quella sua testa dura, ma si, è bravo- disse terminando con una risata.

- Non lo invidio onestamente- disse ridacchiando, per poi salutarlo – Ci vediamo domattina!-.
– Si si, ciao! E se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere!-
– Certo!-.

Uscì e si diresse verso casa, un sorriso sulle labbra. Il senso di oppressione che negli ultimi mesi le aveva stretto lo stomaco era scomparso, e si sentiva incredibilmente ottimista.
Forse ora le cose sarebbero andate meglio

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Angolo Autrice:
Non so perché mi piace farle pensare queste cose assurde. Ovvio che le cose non andranno meglio tesoro, ti pare? Non ci starei scrivendo una fanfiction sopra.
Comunque se è rimasto qualcuno in questo fandom CIAO!
E se capita che tu abbia letto la mia vecchia FF CIAO!
La trama resterà praticamente la stessa, i personaggi pure, lo sto solo scrivendo in modo che non sempri scritto dalla tredicenne che ero quando l'ho cominciato :D
In ogni caso, benvenuti!
LaViaggiatrice
 
   
 
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