Anime & Manga > Pandora Hearts
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Autore: moni93    27/05/2023    0 recensioni
"È strano guardarsi indietro.
Tutto ciò che è stato appare come cosparso da una fumosa nebbia, che ne ottenebra i contorni, alterando i suoni e cancellando i volti. [...] Per questo motivo ho deciso di farmi memoria: parlando con le persone che c'erano e cercando di ritrovare il filo di quegli accadimenti, ormai aggrovigliati in una matassa intricata, e ritrovando così il principio di tutto. Se in tal modo abbiamo trovato delle risposte oppure ci siamo soltanto posti nuovi interrogativi questo non saprei dirlo. È difficile distinguere le due cose, alle volte."
La storia alternativa e segreta di Pandora Hearts.
Cosa sarebbe successo se, a seguito degli eventi svoltisi a teatro, il duca Barma avesse inviato un informatore al gruppo di Oz per aiutarlo nelle ricerche riguardanti gli eventi di cento anni prima?
Tra nuovi personaggi ed approfondimenti di vicende accennate sia nel manga che nelle Caucus Race (i romanzi scritti con l'approvazione di Jun Mochizuki) scoprirete la verità legata agli Dei Scarlatti.
Dove condurranno gli inarrestabili ingranaggi del destino?
[Storia Revisionata ed Ampliata]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Gilbert Nightray, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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RETRACE: I Unexpected Guest

- L’ospite inatteso al di là della porta -



«Perché piangi?»

«Ti sbagli. Io non sto piangendo.»

«Ma hai una faccia così triste...»

«Non… non è vero! Io non posso essere triste.»

«Perché no?»

«Ho perso una persona a me molto cara, ma sono intenzionato a riprendermela e, per farlo, non posso assolutamente mostrarmi debole!»

«… non ti capisco. Quello che dici è brutto, se sei triste dovresti semplicemente dirlo.»

«Forse hai ragione, ma non posso farlo.»

«Allora, vorrà dire che piangerò io per te!»

«Cosa?!»

«Se io piango al posto tuo, allora non sarai più triste, giusto? Sono stufa di vedere persone tristi intorno a me… io vorrei solo che tutti fossero felici.»

«Sei molto gentile, ma temo che ti dimenticherai presto di me... però, ti ringrazio.»

«No! Questa è una promessa! Il mio papà dice che bisogna sempre mantenere le promesse, perciò se lo dico, lo farò di certo!»

«Va bene, in questo caso, quando sarò triste ti aspetterò. Così che tu possa far scomparire la mia tristezza.»

«E allora mi sorriderai?»

«Certo!»

«Promesso?»

«Promesso.»

 

 

Il mondo prese lentamente forma, mentre i contorni sfuocati della stanza si facevano via via sempre più nitidi. Il ragazzo sbatté le palpebre qualche volta, ancora intontito dal sonno e per metà dimentico di quanto aveva appena sognato.

Una volta che si fu lavato il viso nel catino della sua toeletta in ceramica bianca, la sua mente riuscì a conservare ancora soltanto pochi frammenti privi di significato, appartenenti a quel sogno ormai lontano. Questi si dissiparono poi nell’aria una volta che il ragazzo ebbe raggiunto la sala principale della magione dove, come suo solito, tentava di risvegliare i suoi sensi tramite la lettura del quotidiano locale. Il vapore proveniente dalla tazza che stava sorseggiando con scarso interesse fece tuttavia riaffiorare piccoli bagliori, legati ad un mondo che, probabilmente, era esistito soltanto nella sua immaginazione e che, cionondimeno, non volevano saperne di abbandonarlo.

Sbadigliò, per quella che a lui parve come la primissima volta, quando in verità si erano già susseguiti diversi quanto enormi sbadigli. Testimoni di tale bambinesca cedevolezza, nonostante l’aspetto apparentemente tetro ed autoritario del giovane, vi erano i pochi commensali radunati con lui nella saletta, che a loro volta si stavano godendo il pregiato tè ed i pasticcini annessi per colazione. Naturalmente, non mancavano nemmeno uova sode, prosciutto fresco e formaggio, pane tostato e piccoli panini imbottiti ricolmi di un invitante ripieno. La lunga tavolata era, dunque, colma di delizie per gli occhi quanto per la bocca dei gentili ospiti della padrona di casa, la quale, distrattamente, si concedeva un lieve cenno del capo in segno di approvazione.

Era assai piacevole quell’atmosfera intima e familiare per la giovane donna, abituata com’era alla solitudine di quella grande dimora. Persino i suoi più fidi servitori, nonché amici d’infanzia, erano spesso assenti a causa degli ultimi imprevisti intercorsi a Pandora eppure, proprio grazie ad essi, ora si ritrovava circondata dalle personalità più disparate e singolari dell’intera nobiltà ducale. Non poteva chiedere di meglio al suo risveglio.

Il ragazzo dall’aria cupa si grattò distrattamente gli occhi e, nel vano tentativo di scacciare il velo del sonno, che ostinatamente gli rimaneva appiccicato addosso come miele, bevve un vigoroso sorso dell’intruglio contenuto nella sua tazza. Vano gesto, il suo. Dopo una nottataccia trascorsa insonne, non poteva certo sperare di riprendersi bevendo semplicemente quel liquido dolciastro ed al contempo delizioso.

Per questo hanno inventato il caffè.” borbottò tra sé e sé, mentre scuoteva appena il capo con rassegnazione.

Inutile domandare alla padrona di casa di farsi servire la bevanda che tanto amava e che gli permetteva di vivere dignitosamente durante le prime ore del mattino. Lady Sharon era una perfetta duchessina inglese e, come tale, il suo volere era intransigente, anche per la più piccola quisquilia. La colazione infatti, esattamente come il break pomeridiano, andava accompagnata dal sapore ineccepibile e delicato del tè, preferibilmente proveniente dalle migliori colonie del regno. Anche Sua Altezza il Principe professava tale credo e lei, da diligente suddita appartenente al ceto più elevato, non poteva essere da meno.

Sospirò appena il povero ospite, arresosi al suo triste destino.

Tutta colpa di quello stupido Duca e delle sue uscite infelici!” pensò il ragazzo con rinnovato livore, rivolgendo il suo scontento verso la prima persona che gli venne in menteCerto, ci ha fornito informazioni di primissima qualità circa lo Stupido Coniglio e l’Abisso, ma avrebbe potuto evitare tutto quel teatrino inutile. Grazie a questo non ho quasi chiuso occhio. Come l’aveva chiamato per l’occasione, Break? Ah già: duca dal Ciuffetto Pazzo. Termine più che appropriato.”

«Gil, che hai? Mi sembri pallido.»

La voce di Oz, il suo amato padrone, lo fece piombare nuovamente alla realtà.

Il suo modo contrito di comportarsi doveva aver insospettito il nobile, che lo fissava con sguardo indagatore e all’apparenza frivolo, mentre poggiava con i gomiti sul tavolino in legno pregiato su cui lui, Sharon e Break stavano consumando i resti del loro pasto. Era incredibile come quegli occhi verde smeraldo celassero un’immensa maturità, a dispetto dell’apparenza infantile. Gilbert tentò allora di sorridere, nella speranza di dissipare le nubi che rischiavano di adombrare quegli specchi dell’anima tanto limpidi.

«No, non è nulla. È solo che non ho dormito molto bene stanotte.» ammise in seguito, notando l’espressione apprensiva del padroncino, che però si rasserenò subito dopo aver udito tali parole.

Il suo giovane cuore aveva temuto che si potesse trattare di ulteriori intrighi o guazzabugli torbidi riguardanti i Baskerville e la Volontà di Abisso, tuttavia le notti insonni erano materia di tutti i giorni, sia per i comuni cittadini che per i nobili come loro. Nulla che non si potesse risolvere con un poco di quiete e comprensione tra amici. O presunti tali. Il Vessalius aveva infatti appena cominciato a grattare la superficie di quel grosso muro imponente, che lo separava da quelle persone.

Break era una nuovissima conoscenza, a cui tuttavia aveva deciso di dare, ora sapeva senza indugi, la sua completa fiducia. Era un tipo bizzarro, decisamente più di Alice, il che era tutto dire, ma a differenza di quest’ultima era impossibile comprendere i sentimenti che lo animavano. Essi erano esattamente come il suo passato: un mistero che sarebbe per sempre rimasto sepolto, se non fosse stato per l’intervento inatteso del duca Barma. Seppur in maniera assolutamente sgradevole, egli aveva infatti alzato parte del sipario che celava le vere fattezze di Break. Non era più un individuo senza contorni, una sagoma a cui non riusciva a definire un ruolo. Era un uomo fatto di carne ed ossa, mosso da disperazione, rabbia e speranza, esattamente come ognuno di loro. Come un qualsiasi essere umano.

Sharon, la nipote dell’attuale duchessa Rainsworth, era altrettanto enigmatica, ma sin dal loro primo incontro aveva mostrato un sincero interesse per la sua situazione di futuro erede dei Vessalius. Essendo anch’essa in una posizione delicata, gli aveva infatti consigliato di guardarsi dai falsi amici e di tenersi stretto chi invece avesse realmente a cuore la sua salute.

Di Alice c’era poco da dire: senza memorie né un apparente futuro, essendo ormai un Chain e non più umana, era tuttavia la più cristallina delle creature. Non vi era menzogna nel suo agire, così come nelle sue parole. Se era affamata tormentava chiunque per procacciarsi della carne, a qualsivoglia ora del giorno o della notte, se era triste piangeva e se era felice… beh, solitamente prendeva a calci Oz, sottolineando la sua posizione di superiorità, essendo lei la sua padrona. Almeno nella teoria. Oz non aveva mai osato contraddirla.

Gilbert, suo fedele servitore ed amico d’infanzia, era anch’esso una pagina fin troppo trasparente e facile da leggere per il Vessalius ma, proprio a causa di ciò, aveva il costante timore di perdere di vista le cose veramente importanti. Una separazione lunga dieci anni pareva un tempo ridicolmente infinito ai suoi occhi ancora immaturi. Era entrato nell’Abisso a quindici anni, e ne era uscito come dopo una buia notte da incubo: solo lui era rimasto fermo, bloccato. Il mondo, invece, era andato precipitosamente avanti.

Si domandava se, un giorno, sarebbe stato semplicemente lasciato indietro, come un ricordo ormai sbiadito ed inopportuno… si riscosse da quei tetri pensieri addentando una succulenta brioche salata appena sfornata, ripiena di delizioso prosciutto e formaggio.

Sei tra amici, sei tra amici! Non mostrarti musone dal primo mattino, pensa piuttosto a fare come gli altri e a tirare su di morale Gil!” pensò con forza il biondo.

«Testa d’alga non ha chiuso occhio?»

«Per l’appunto.» sospirò rassegnato Oz.

Alice, cordiale come sempre, aveva subito canzonato il povero diavolo con il tono irriverente che la caratterizzava. Il tutto, ovviamente, mentre si ficcava con fare perentorio nello spazio che si frapponeva tra il Vessalius ed il Nightray, nel fanciullesco tentativo di dividerli e beccarsi tutte le attenzioni dei presenti, in particolare del biondino alla sua destra.

«Gilbert, alla tua età hai ancora gli incubi?» aggiunse prontamente Break, lieto di potersi finalmente unire al coro e movimentare quella tediosa mattinata di fine inverno.

«Persino nei suoi sogni è inutile.» concluse con voce acuta Emily, la bambola che poggiava sulla sua spalla sinistra, come se Break, già di per sé, non fosse sufficientemente micidiale.

Gilbert preferì sorvolare sul fatto che nessuno fosse realmente preoccupato per la sua condizione e continuò imperterrito a conversare con Oz, mentre con una mano, posta a palmo sul viso di Alice, tentava di scansare ben poco aggraziatamente la suddetta dalla sua vista.

«Non ho avuto un incubo. Però sono certo di aver sognato qualcosa, anche se non riesco a ricordare cosa.» ammise con aria assorta, rimembrando solo allora alcune vaghe immagini che il mattino aveva portato via con sé, insieme alla luna ed alle stelle.

Si sforzò di afferrarne almeno una, ma tutto ciò che riuscì a stringere tra le mani fu una piacevole sensazione di malinconia e un lieve tepore che sapeva d’infanzia. Alberi, forse… ed era una leggera brezza quella che ricordava od una risata? Forse un pianto? Qualcuno si era fatto male ed era stato consolato?

«Non ti crucciare, era soltanto un sogno. Evidentemente non era nulla di importante, se te lo sei scordato.» lo consolò con un sorriso spensierato Oz, mentre tranquillizzava Alice che soffiava come un gatto infuriato alla volta del moro.

Era palese che non avesse molto gradito quel gesto manesco, tanto più che ora, in forma umana, era impossibilitata a vendicarsi come avrebbe voluto. La cosa che le diede maggiormente fastidio però fu il fatto che lo scorrere del suo potere dipendesse proprio da quell’impertinente rifiuto umano, come lo definiva amorevolmente lei.

«Hai ragione.» ammise più sereno Gilbert, ignorando bellamente gli insulti che gli venivano lanciati da parte della ragazzina.

In realtà, una parte di lui non si sentiva per niente persuasa da quelle parole. Ciò che aveva visto la scorsa notte, con l’occhio della mente, risuonava dentro di lui come un’eco lontana. Gli vibrava nel petto, quasi si trattasse di un evento particolarmente importante ed il fatto che non riuscisse a ricordarselo lo faceva semplicemente impazzire. Era piuttosto certo di aver vissuto realmente quei momenti, ma molti sogni prima dell’alba lasciavano questo genere di sensazione. Non lo diceva forse anche un antico sommo poeta di un Paese straniero?

Al mattin del ver si sogna.1

«Probabilmente avrai ripensato a quanto è accaduto ieri.» suggerì allora Sharon, mentre poggiava con estrema eleganza la sua tazza sopra il piattino ad essa abbinato, senza creare il minimo suono, come l’etichetta richiedeva.

Sorrise poi affabile al Nightray, con la sua tipica smorfia di cortesia, angelica quanto di circostanza. Tale tecnica faceva ormai parte del suo essere, seppur non intendesse apparire distaccata. Gilbert, conoscendola abbastanza da saper vedere oltre quel velo di apparente disinteresse, le sorrise di rimando, chinando appena il capo in segno di gratitudine per le sue parole.

«Già, vedere quel Duca idiota sconvolgerebbe chiunque.» disse in tono acido l’albino, mostrando la lingua con fare infantile e grottesco.

«Via, via, Break! Non essere così duro con lui. In fondo, ci ha fornito delle preziose informazioni.» lo riprese con severa dolcezza la sua “sorellina”.

«Rosicate fino all’osso, come suo solito.» borbottò imperterrito il servo.

A ravvivare il discorso ci pensò Oz, memore solo in quell’istante dell’importante evento che di lì a poco avrebbe avuto luogo: «E poi oggi incontreremo un suo informatore!» esclamò infatti, al colmo della gioia.

«Informatore? Oggi?» ripeté confuso il giovane Nightray.

«Ah già, tu non c’eri quando la dolce Sharon ce l’ha detto.» lo informò Oz, orgoglioso di poter fare da mentore al suo migliore amico, nonostante la differenza di età che ora li separava. «Oggi il duca Barma manderà qui un suo informatore. Per scusarsi del suo comportamento indelicato dell’altra sera.»

«Diciamo, più che altro, che la nobile Cheryl l’ha minacciato di morte se non l’avesse fatto.» lo corresse con un ghigno Break, divertito come non mai all’idea di vedere il suo carissimo duca Ciuffetto supplicare pietà ad una vecchietta, mentre quest’ultima lo malmenava con un ventaglio.

Il fatto che egli stesso fosse soggetto al medesimo trattamento, sebbene da parte di una ragazzina all’apparenza dolce e graziosa, non lo sfiorò minimamente o, per meglio dire, il suo orgoglio ferito della sera precedente ignorò con destrezza quel pensiero traditore. Non voleva aver nulla a che spartire con quel vile individuo, men che meno l’aria, ma aveva imparato ad accettare che non si poteva aver tutto dalla vita.

Tipo una lama ben affilata nel cranio vuoto di quel demente.” pensò con diletto Xerxes, continuando a sghignazzare in maniera inquietante in compagnia della sua inseparabile amica Emily.

«E quando arriverà?» volle sapere Gilbert, ormai fremente all’idea di abbandonare quella tavolata di matti.

«Dovrebbe arrivare a momenti, perciò vedi di riprenderti alla svelta Gilbert o non riuscirai a capire nemmeno una parola di quello che ci dirà.» aggiunse con un’espressione affabile Sharon.

«Che tipo è?» Alice non aveva saputo resistere alla curiosità e, ormai dimentica del torto subito, si rivolse a quella che all’apparenza pareva una sua coetanea «Sorellona Sharon?» aggiunse prontamente, notando lo sguardo bieco della giovane.

«Non ne ho idea; la nonna mi ha soltanto detto che è una persona di cui il Duca si fida ciecamente.»

«Sentito, Reim? Sei stato surclassato, di nuovo.» fece Break all’amico, posizionato ad un tavolo poco distante da loro ed intento a lavorare.

Il ragazzo, palesemente ignorato da tutti sino a quel mentre, era chino sui documenti ed in preda alla disperazione fin dai primi raggi del giorno. Udendo la voce del suo acerrimo amico si bloccò stizzito per un momento, per poi riprendere con crescente astio il suo ingrato compito.

«Xerxes Break, hai il coraggio di prendermi in giro anche quando sto lavorando al posto tuo?»

«Gli esseri inutili non dovrebbero lamentarsi!»

«Suvvia, Emily! Non bisogna essere così diretti, altrimenti qualcuno potrebbe offendersi.»

«Io mi sento offeso e guarda che lo so che sei tu a far parlare quella maledetta bambola. Perciò, se hai qualcosa da dirmi, dimmela in faccia!»

«D’accordo: sei inutile, perciò non lamentarti!» concluse mellifluo il pagliaccio di casa Rainsworth.

Superfluo dire che Break si diede alla fuga, ridendo come un pazzo e con alle calcagna il servo del Duca, più simile ad un povero diavolo che ad un nobile al servizio dell’élite della società. Gilbert si rifiutò di prestare ulteriore attenzione a quella scenetta, che ormai conosceva a menadito. Gli astanti, invece, si concessero sonore risate e qualche commento sfacciato nei riguardi del povero Reim.

Anche oggi, non succederà nulla di nuovo.” pensò il moro, riprendendo in mano il giornale e prestando maggiore attenzione ai titoli, ora che era finalmente sveglio.

Non immaginava minimamente che quel giorno la sua vita sarebbe stata sconvolta per sempre. Il destino, alle volte, si diletta a mostrare quanto noi umani ci sbagliamo, anche nelle più piccole cose che, inevitabilmente, finiscono per tracciare orme indelebili sul nostro cammino in questa terra.

1Dante Alighieri “Commedia”, Inferno canto XXVI.

 

 

Erano in attesa nel salottino dedito agli incontri da più di mezz’ora. Sebbene alcuni mostrassero evidenti segni di impazienza, come Reim che continuava a strofinarsi gli occhiali puliti con fare maniacale ogni minuto e mezzo circa, la maggior parte dei presenti sembrava non curarsene troppo, almeno all’apparenza.

Sharon stava terminando la lettura di uno dei suoi romanzi rosa a puntate preferiti, che giusto quel mattino era stato pubblicato ed immediatamente portato al suo cospetto, com’era ormai abitudine. Break, braccia e collo cadenti lungo lo schienale di un divanetto, pareva intento ad osservare con aria annoiata il pregiato candelabro del salottino. Un occhio attento avrebbe notato come le sue sopracciglia fossero lievemente corrugate in segno di impazienza, esattamente come quelle di Oz, occupato ad intrattenere Alice con una partita a dama. La piccola Chain non gradiva per nulla i giochi troppo complessi, ma l’idea di poter mangiare delle pedine, anche se soltanto metaforicamente, la affascinava. Per ultimo vi era Gilbert, appostato alla finestra che dava sul lato ovest dell’abitazione. Per la tensione crescente si era acceso una sigaretta, che presto era stata seguita da altre due compagne. Mal sopportava le attese, specie se riguardavano un’incombenza simile.

La possibilità di ricevere un aiuto da parte del Duca lo metteva in guardia, ma d’altro canto era intenzionato a farsi dire tutto il possibile dallo sgherro dei Barma. Era pronto anche a pedinarlo e minacciarlo, se fosse stato necessario. Non c’era più tempo da perdere, ora che Oz era un contraente illegale era fondamentale accelerale le ricerche, costasse quel costasse. Non aveva venduto l’anima ai Nightray per tirarsi indietro proprio nel momento fatidico ed era stufo di sentirsi in balia degli eventi, mentre tutti, all’infuori di lui, parevano celare misteri e segreti.

All’improvviso, la porta si aprì con un sonoro schianto, facendo sobbalzare i presenti. Una figura incappucciata fece allora il suo ingresso, guadagnandosi gli sguardi diffidenti dei nobili ivi riuniti. Nonostante il loro primo impulso fosse stato quello di pensare ad un Baskerville, esclusero celermente tale ipotesi per due evidenti motivi: il primo, era che il mantello indossato da quel figuro non era color cremisi, bensì candido come la neve. In secondo luogo, l’ospite non si fece desiderare oltre e parlò, cancellando in tal modo anche gli ultimi rimasugli di ambiguità rimasti.

«Buon Dio ti ringrazio, ce l’ho fatta! Iniziavo a temere che sarei arrivato in ritardo… ohibò!» esclamò ad un tratto con panico, rendendosi conto di non trovarsi solo, ma già in presenza dei suoi ospitanti «Chiedo venia per la porta.» gemette, mentre tentava di riprendere fiato e di riassestarsi.

Era evidente che aveva corso per parecchio, data la quantità di brillante sudore che stava tentando di asciugarsi dalla fronte con un fazzoletto che, prontamente, fece sparire all’interno di una delle maniche della sua camicia.

«Lei è in ritardo. La stavamo attendendo da diverso tempo, nel caso non se ne fosse accorto.» disse in tono tutt’altro che cordiale Break «Credevo che i Barma avessero quantomeno la decenza di istruire i propri servitori affinché non mettessero in imbarazzo il proprio signore dinnanzi al resto della nobiltà. Reim deve essere un’imprevista eccezione.»

«Come si permette! Quello che dice è inaccettabile! Il suo orologio dev’essere rotto, signore, perché il mio segna esattamente... oh. Cavoli, ha ragione. Si è fermato di nuovo!» fece lo strano personaggio, osservando un malandato orologio argenteo, scuotendolo e portandoselo all’orecchio con fare poco esperto, per poi sospirare un sentito e sofferente «Mi dispiace tanto.»

Sharon parve non badarci troppo. Con un gesto della mano scacciò via l’aria greve che si era venuta a formare e, per permettere a tutti di calmarsi, aggiunse in tono pacato: «Suvvia, non è successo nulla. Non è il caso di farne una tragedia. L’importante è che lei ora sia qui... signor?»

L’ospite parve ridestarsi dalla trance di grande imbarazzo che lo aveva avvolto sino a quel momento. Scattò sull’attenti, quasi fosse stato percorso da una scarica elettrica e fece un profondo inchino. Era al cospetto di nobili, tra i più altolocati parenti dei rappresentanti delle quattro grandi casate ducali, come se non bastasse: doveva mostrar loro il dovuto rispetto e rifarsi il prima possibile dell’ignobile gesto scortese del quale era stato l’inconsapevole artefice.

«Le mie più sentite scuse, un simile comportamento non si ripeterà mai più.» detto ciò, si levò il cappuccio e svelò il suo viso.

Era un giovane di non più di vent’anni, con capelli corti e spettinati, color della notte. Ciò che colpiva di più erano i suoi lineamenti delicati e fini, pressoché femminei, e gli occhi, due grandi perle del colore del limpido cielo estivo. Aveva la pelle diafana, di una tonalità più pura del suo mantello e che, in tal modo, lo faceva sembrare fragile e malaticcio, non fosse stato per l’ardore che brillava nelle sue iridi. In aggiunta a ciò, le sue gote si erano tinte di un grazioso porpora, che aveva così animato il suo volto di vergogna e determinazione al tempo stesso.

«Sono un umile servo del duca Barma e tuttavia, se cercate un nome con cui appellarmi, vi prego di chiamarmi Caleb Bauer.»

Fu una presentazione impeccabile: dopo il primo momento d’impaccio, il ragazzo aveva infatti mostrato una grande sicurezza, che aveva colpito in positivo la Duchessina ed il resto dei presenti.

«Molto bene signor Caleb, è un piacere fare la sua conoscenza. Come credo lei già sappia, io sono la nipote della duchessa Cheryl, amica intima del Duca che lei serve: mi chiamo Sharon Rainsworth. Mentre quelli che vede qui riuniti sono i nobili Oz Vessalius e Gilbert Nightray; quello alla sua sinistra è invece Xerxes Break, fedele servitore del mio casato, mentre a destra vi è la piccola Alice. Per quanto riguarda Reim, infine, immagino che lei già lo conosca.»

Caleb salutò con un cenno del capo tutti quanti, chinandosi con deferenza in base al grado fornitogli dalla nobildonna a mano a mano che gli venivano introdotti. Aveva osservato ognuno degli astanti, con sguardo serio ed indagatore, quasi volesse soppesare con i propri occhi la natura di ciascuno. Quando arrivò il turno di Gilbert parve sussultare, mentre i suoi occhi evitavano accuratamente di osservarlo. Un simile dettaglio non sfuggì a Raven, che tuttavia volle essere magnanimo nel suo giudizio, data la giovane età del ragazzo.

Sembra parecchio a disagio.” mormorò nella sua mente Probabilmente non aveva mai visto tanti nobili di così alto rango. D’altronde, io stesso sono stato per lungo tempo in soggezione nei confronti di questi luoghi, i primi tempi in cui venni introdotto a Pandora.”

Non appena Caleb udì il nome di Reim, invece, volse immediatamente lo sguardo verso di lui, mutando bruscamente atteggiamento. I suoi occhi si fecero gelidi, come se volessero metterlo a tacere preventivamente.

«Immagina bene. Ciao Reim.»

«Ciao So... Caleb.» si corresse subito l’altro, preso in contropiede da quel saluto inatteso.

L’informatore guardò il soffitto con aria afflitta, come se temesse che il collega potesse dire qualche sciocchezza che lo mettesse nuovamente in imbarazzo. Date le innate doti di Lunettes nel creare pasticci, il fatto non stupì per nulla gli astanti, che anzi provarono un lieve senso di compassione per entrambi i servitori: Barma doveva essere davvero a corto di personale, per affidarsi a due elementi simili. Tuttavia, non si soffermarono troppo su questa piccola malignità. In fondo Reim era un uomo leale, preciso e ligio al dovere. L’unico problemuccio era che fosse altresì terribilmente imbranato e ben poco scaltro, specialmente sul campo di battaglia. Ma tutti quanti gli volevano bene proprio per questo suo lato tanto fragile.

«Se abbiamo finito di fare salotto, direi che è il momento di vuotare il sacco: cosa è venuto a dirci? Spero qualcosa di parecchio rilevante.» tagliò corto Break, non vedendo la necessità di perdersi oltre in convenevoli con un diretto sottoposto del Duca.

Caleb parve confuso da quelle parole.

«Veramente, siete voi quelli che dovrebbero parlare.» proferì infatti con fare incerto.

Tutti strabuzzarono gli occhi.

«Come?!» chiese stupito Xerxes, già sul piede di guerra e completamente dimentico di dover usare la forma di cortesia, non essendo in confidenza con quel ragazzo «Non sei venuto fin qui per darci delle informazioni riguardanti la Tragedia di Sablier?»

«Io sono un informatore, come ho già detto: fornisco precise relazioni, ma solo se sono a conoscenza di cosa debbo cercare. Non mi è stato riferito nulla riguardo ad una vostra precisa richiesta.»

«Vorresti dirci che non sai nulla?» fece allora Oz.

«Per il momento... no. Ma se mi dite quello che cercate, posso aiutarvi.»

Nonostante la risolutezza delle sue parole, Break si sentì insultato e, cosa assai peggiore, credeva che quello fosse un vero e proprio affronto nei riguardi del casato che rappresentava e difendeva con orgoglio.

«Quel maledetto duca Pagliaccio... non solo non ci dice nulla, ma ci spedisce pure un inutile moccioso! La prossima volta che lo vedo lo ammazzo!» proruppe infatti, senza preoccuparsi minimamente di trattenersi. Era fuori di sé per la frustrazione.

Dopo quello che era capitato a teatro la sera precedente, si era aspettato un minimo di collaborazione, invece di nuovo niente, le sue mani rimanevano vuote, con soltanto un pugno di mosche, inservibili a lui quanto alla sua padroncina.

«Non le permetto di parlare del Duca a quel modo!» ringhiò d’impulso Caleb, per poi pentirsi del tono che aveva utilizzato.

«Oh, altrimenti cosa?» lo sfidò Break, facendo un passo minaccioso verso di lui.

Quel gesto fu sufficiente per far tremare impercettibilmente il ragazzo, che tuttavia pareva controllarsi per non mostrarsi da meno: non sarebbe rimasto in silenzio a lasciare che quell’uomo proferisse simili calunnie e minacce a danno del Duca suo protettore e, tuttavia, non era intenzionato a scatenare uno scandalo in casa di una Rainsworth, loro alleata. La situazione sembrava sul punto di degenerare, se non fosse prontamente intervenuto Reim, stupendo tutti e parlando con fare esagitato.

«Xerxes, non è come credi! Questo è il miglior servitore del Duca: quando vuole sapere qualcosa manda Caleb ad investigare e torna sempre con quello che cercava.»

Break parve stupito da quella rivelazione, eppure il suo sguardo non si mitigò. Nonostante tale sbalzo di euforia da parte dell’amico, il Cappellaio non sembrava ancora persuaso.

«Vuoi darmi a bere che questo bamboccio è così bravo?»

«Non te lo voglio dare a bere, è un dato di fatto. Io stesso lo conosco molto bene e nutro piena fiducia nei suoi riguardi.»

I presenti rimasero increduli. Reim non era tipo da elogiare chiunque, perciò se affermava che quel tale era il migliore nel suo campo doveva esserlo per forza. Tutti ne furono immediatamente convinti, perfino Xerxes, sebbene il suo volto non si addolcì minimamente.

«Grazie, Reim. Finalmente qualcuno che mi apprezza.» fece il giovane, tirando un sospiro di sollievo e donando un occhiolino d’intesa al compagno di lavoro.

Il servo di casa Barma arrossì visibilmente e, nel tentativo di dissimulare, si sistemò meccanicamente gli occhiali già perfettamente posizionati sul proprio naso.

«Non ho detto nulla di ché.» bofonchiò senza guardarlo.

«Bene! In tal caso, possiamo chiedergli qualsiasi cosa, giusto?» disse allegramente Oz, non stando più nella pelle all’idea di avere un simile alleato tra le mani.

«Sono qui apposta.»

«Quindi, puoi svelarci cosa accadde cento anni fa?» chiese speranzoso, sporgendosi verso il nuovo venuto.

Questi rimase in silenzio per qualche istante, per poi scuotere mestamente il capo.

«No, è impossibile ottenere informazioni a riguardo. Il Duca stesso cerca da anni di decodificare il diario di Jack Vessalius, ereditato dalla famiglia Barma per mezzo di un antenato che stilò le ultime memorie dell’eroe. Tuttavia, non è mai emerso nulla più di quanto già Pandora non sia a conoscenza.»

Sebbene tutti si aspettassero una risposta simile, rimasero visibilmente delusi.

«Però.» aggiunse con rinnovato spirito «Posso fornirvi informazioni riguardo i Baskerville.»

«Sai forse dove si trovano?» fece circospetto Gilbert, interessato più che mai a carpire il segreto di quella strana gente, che pareva avere a che fare col suo passato molto più di quanto egli stesso volesse ammettere.

«Non ancora, ma posso scoprirlo, se è questo che desiderate.» rispose Bauer, guardando finalmente il Nightray negli occhi, sebbene soltanto per un breve istante.

«Quanto tempo ci vorrà?»

«Con precisione non posso saperlo, lady Sharon.»

«Pensi davvero di farcela laddove persino Pandora ha fallito sino ad oggi?» s’informò Break, leggermente incuriosito dai modi di quel servitore.

Caleb l’osservò con sguardo di sfida.

«Per chi mi ha preso? Datemi un po’ di tempo e vi saprò dire anche il loro colore preferito!»

 

 

Trascorsero otto giorni, durante i quali nessuno ebbe notizie da parte di Caleb Bauer.

Oz e Gilbert non erano però rimasti con le mani in mano: setacciarono da cima a fondo gli archivi di Pandora, alla ricerca di informazioni. Sebbene il Nightray fosse consapevole che i loro sforzi fossero vani, in quanto reiterazione dei suoi stessi gesti di dieci anni addietro, preferì questo all’inattività.

Fintanto che le acque non si fossero calmate dopo l’apparizione di Jack Vessalius, l’eroe della Tragedia tornato dall’Aldilà nel corpo del suo legittimo discendente, qualsiasi loro azione era fastidiosamente limitata. Pareva infatti che i nobili non volessero saperne di lasciare andare la presa sul giovane Oz, né tantomeno su Alice, uno dei Chain più pericolosi e ricercati al mondo. La protezione fornitagli dal casato Rainsworth, unita alla categorica richiesta del duca Vessalius di lasciare in pace il nipote miracolosamente ritrovato, per il momento salvò il gruppo da interrogatori troppo serrati e scomodi. Ma tutti avvertivano l’ombra della minaccia che attendeva loro in futuro. Non potevano nascondersi in eterno.

Ciò non cambiava la loro scomoda posizione. Non avevano tracce su cui indagare, né libertà di movimento, perciò potevano soltanto aspettare.

Erano tutti radunati in tediosa attesa nel solito salottino dei Rainsworth, quando d’un tratto Reim comparve spalancando la porta con veemenza. Urlava di gioia, gesticolando frenetico, elementi insoliti dato il suo carattere serio e composto.

«È tornato, è tornato! Grazie al cielo è tornato!»

Inizialmente nessuno capì cosa intendesse dire e gli astanti si limitarono ad osservarlo perplessi, chi inclinando il capo, chi strizzando gli occhi con fare confuso.

«Chi è tornato?» chiese Oz a nome di tutti.

«Caleb! È tornato dalla missione.»

«Detta così, sembra quasi che tu dubitassi di me

La voce che intervenne con fare stizzito proveniva dalle spalle di Reim. Poggiato allo stipite della porta c’era infatti l’informatore del casato Barma, che osservava il suo piccolo pubblico con aria visibilmente provata.

«Caleb, insomma! Non comparire alle spalle delle persone senza preavviso.» gridò il collega, dopo essersi ripreso da quel mezzo infarto.

A quanto pareva, egli era convinto che Caleb si trovasse ancora all’ingresso, in attesa di essere prima annunciato. Invece, palesando ancora una volta un’evidente mancanza di conoscenza delle buone maniere, aveva prontamente attraversato il palazzo sino alla stanza che gli era stata indicata dalla corsa frenetica di Reim.

«Se non andassi in paranoia ogni volta che torno da un incarico, forse ti accorgeresti del mondo che ti circonda.» lo riprese con un mezzo sorriso l’altro «Sembri una moglie sull’orlo di una crisi di nervi imminente.»

Prima che Lunettes potesse protestare verbalmente per l’affronto subito, Sharon domandò prontamente al giovane come fossero andate le sue ricerche. Aveva subito sulla sua stessa pelle il fastidio dell’attesa, esacerbato da quella dei suoi compagni, perciò non intendeva tergiversare un solo minuto di più.

«A meraviglia. Ammetto che è stata una faticaccia, ma ne è valsa la pena. Ho avuto l’onore di incontrare di persona uno dei Baskerville.»

«E dove?» volle sapere subito Oz, mentre osservava il ragazzo avvicinarsi e fare un profondo inchino alla volta dei presenti.

A quanto pareva, aveva un modo ed un tempo tutto suo di mostrare l’etichetta di corte. Caleb non si fece desiderare oltre e rivelò con orgoglio il frutto del suo lungo lavoro .

«Nella capitale, a Reveille... e no Reim, non mi ha fatto nulla, altrimenti non sarei qui a raccontarlo.»

Reim tirò un sospiro di sollievo, rendendo ancora una volta evidente quanto egli tenesse alla salute del collega. Il gruppo non credeva possibile che Reim potesse avere altri amici all’infuori di loro, dato il suo carattere schivo e riservato, ma era palese che Caleb possedesse delle doti talmente straordinarie da aver compiuto anche quel piccolo miracolo.

«Come stavo dicendo, l’ho incontrato l’altro ieri, dopo cinque giorni di ricerche ed appostamenti, valsi quasi a nulla. Tuttavia quella notte, mentre perlustravo un’antica chiesa in rovina situata nella periferia della città, una tizia dai capelli lunghi e con un vestito parecchio appariscente mi ha gentilmente chiesto di smetterla di ficcare il naso dove non dovevo.»

«Lotti.» bisbigliò Oz con sguardo cupo, rimembrando la prima volta che aveva visto la Baskerville.

Non era stato un incontro piacevole e per poco lui, Elliot e Leo ci avevano lasciato la pelle. Erano stati estremamente fortunati, in quell’occasione. Non si scampava facilmente alla furia dei Baskerville, men che meno quando erano in gruppo e determinati a portare a compimento la loro missione. Quale essa fosse, rimaneva un mistero, che ciononostante era stato parzialmente svelato: anche gli Dei Scarlatti della Morte, esattamente come loro, cercavano la verità di 100 anni fa.

«E lei che ha fatto, allora?» chiese Sharon, un groppo in gola che la teneva col fiato sospeso.

Temeva anch’ella quegli individui, sebbene non avesse avuto ancora modo di fronteggiarli di persona. Non aveva idea di come comportarsi in una situazione simile, per tale motivo era estremamente interessata ad apprendere le tecniche utilizzate da quel giovane, apparentemente in gamba. Questi la fissò incuriosito, non comprendendo il senso di una tale aspettativa.

«Ovvio, l’unica cosa che un informatore sano di mente avrebbe fatto.»

«L’hai seguita...» rispose mestamente Reim, portandosi una mano al volto.

«Certo che l’ho seguita, che altro dovevo fare? Invitarla a prendere un tè?»

«Dimmi almeno che non sei andato da solo.» lo supplicò il servo dei Barma, mentre si pinzava gli occhi con le dita, in un chiaro segno di esasperazione.

«Io potrei anche dirtelo, ma non corrisponderebbe alla verità.» rispose con fare innocente Caleb, per poi tornare serio «L’inseguimento non è durato a lungo. Una volta giunta al limitare del bosco, si è incontrata con un tizio.»

«Quale tizio?» volle subito sapere Break.

«Se lo sapessi non lo chiamerei tizio, lei che dice? In ogni caso.» proseguì imperterrito, onde evitarsi una ramanzina da parte dell’albino, che comunque lo fulminò con lo sguardo, non apprezzando la sua uscita secca e sfrontata «Ho sentito chiaramente quello che si dicevano, sebbene soltanto in parte. Non potevo rischiare che mi scoprissero, perciò mi sono dovuto accontentare di poco, almeno per il momento. Stanno cercando qualcosa e di molto prezioso anche.»

«Spiegati meglio.» intervenne Gilbert, prestando la massima attenzione.

Perfino Alice ascoltava in silenzio, concentrata come rare volte nella sua esistenza.

«Non saprei come farlo. Hanno parlato in modo molto criptico. Dicevano che non c’era tempo da perdere, che dovevano ritrovare al più presto ciò che cercavano, in modo tale da poter ricongiungersi con Glen Baskerville. Vi dice qualcosa?»

«Non molto, ma è un inizio.» si limitò a dire Break.

«Non temete, non mi arrendo. Le mie ricerche non finiscono qui. Ho sentito che la ragazza si fermerà a Reveille per altri tre giorni. Perciò io nel frattempo...»

«Vuoi seguirla di nuovo? Da solo?!» sbottò Reim, anche se sembrava più un rimprovero che una richiesta.

«Beh, ho forse alternative?»

«Che diavolo ti prende, Reim? Non è mica una ragazzina che necessita di scorta.» fece con un ghigno Xerxes, felice di poter deviare per un istante il discorso per prendersi gioco dell’amico.

«Tu non immagini nemmeno...» bisbigliò l’occhialuto, mentre strofinava fin troppo energicamente le lenti con un panno.

«Come?»

«Ho detto che per lo meno qualcuno dovrebbe accompagnarlo! Insomma, si tratta pur sempre dei Baskerville. E se fosse una trappola?»

«Ma non dicevi che era il miglior informatore al mondo?»

«Qualcuno lo accompagni, per l’amor del cielo!» gridò esasperato Reim, sorprendendo tutti i presenti.

Lo fissarono allibiti, increduli dinnanzi ad una simile esclamazione da parte sua. Anche il servo di casa Barma parve stupito di sé. Tossì un paio di volte e, rosso in viso come non mai, ricominciò daccapo a strofinarsi gli occhiali con rinnovata agitazione.

«Ehm, cioè... lui è un uomo molto prezioso per il duca e se gli dovesse accadere qualcosa io...»

«D’accordo, ho capito. Gil caro, ci pensi tu?» chiese con aria distratta Break, non volendo proseguire oltre quel teatrino a suo avviso molesto e per nulla spassoso.

«Cosa?! Perché io?»

«Cosa?! Perché lui?»

A strillare in coro furono Gilbert e Caleb, i quali, stupiti dalla loro sincronia, si fissarono interdetti.

«Perché ti lamenti? Hai forse qualcosa contro di me?» volle sapere il Nightray, innervosito all’idea di essere giudicato un peso per l’informatore.

Lavorava da anni per Pandora e, sebbene non fosse il migliore, era un ottimo indagatore e aveva sempre portato a termine con successo le missioni affidategli. Non intendeva mostrarsi da meno dinnanzi a quel ragazzino sbarbatello. Come punto sul vivo, Bauer negò vigorosamente col capo.

«No, no, no, ci mancherebbe! Anzi!»

«Allora è deciso! Gilbert accompagnerà il signor Caleb a Reveille domani stesso, nessuna obbiezione?» chiese Sharon, giungendo le mani con aria estasiata.

Oz ed Alice tentarono di obiettare vigorosamente, ma sia Break che Gilbert furono inamovibili. Era troppo rischioso muoversi in gruppo e, inoltre, sarebbe stato impossibile per il Vessalius passare inosservato con la scorta che Pandora gli aveva affibbiato. Si sarebbe trattato di una semplice azione di spionaggio, nulla di più, non prevedevano certo di attaccare i Baskerville in un terreno tanto vasto. Gli Dei Scarlatti erano assai scaltri ed era da sciocchi agire senza prima avere un piano ben studiato. Avrebbero rintracciato Lotti e tentato di scoprire quanto più gli fosse possibile, con la speranza di riuscire a localizzare almeno il loro covo. Sarebbe stata una vittoria preziosa, ma nulla più che una piccola tappa del loro lungo viaggio.

Oz non parve del tutto convinto, ma fu costretto a cedere.

Prima di lasciare la stanza, Caleb lanciò uno sguardo omicida ai danni del povero Reim. Sembrava voler dire: “Tu me la pagherai cara, ma ancora non immagini quanto!”.

 

 

Il mattino seguente Gilbert si trovava dinnanzi alla carrozza che, di lì a poco, l’avrebbe condotto alla capitale insieme a Caleb. Ad essere più precisi, entrambi avrebbero dovuto essere già in viaggio da parecchio tempo, ma sembrava che il tragico destino del Nightray fosse quello di attendere il ritorno delle persone a cui era legato, per un motivo o per l’altro.

La puntualità pare non essere uno dei suo pregi.”

Mentre Gilbert pensava ciò, traendo un profondo sospiro di rassegnazione, dal cancello di Villa Rainsworth giunse trafelato il ritardatario. Indossava il solito mantello, che però quel giorno aveva una tonalità simile al blu notte. Sotto ad esso compariva un completo camicia e pantaloni sui toni del grigio scuro, corredato da cravatta nera e scarpe dal tacco basso coordinate. L’aspetto, nel complesso, appariva molto curato, sebbene semplice e confortevole.

Gilbert non si era scomodato troppo, scegliendo il solito cappotto nero, con cappello a tesa larga in pendant anche con i pantaloni. L’unico tocco di luce era la sua camicia candida e l’orecchino dorato che, immancabilmente, portava scintillante all’elice sinistra. Un fiero corvo in carne ed ossa, da cui derivava il suo ovvio soprannome.

«Eccomi, eccomi, scusa il ritardo!» s’affrettò a gridare il ragazzino, mentre lo raggiungeva, salutando sbrigativamente il cocchiere che lo aveva condotto sin lì.

Subito la sua mano libera dalla borsa corse prima al viso sudato, poi ai capelli. Pareva che non volesse sfigurare dinnanzi all’apparente presenza impeccabile del Nightray. Quest’ultimo risultava difatti molto trasandato, ad un’occhiata più accurata: i suoi abiti non erano nuovi, a differenza di quelli di Bauer, mentre i capelli… beh, di certo Raven non si sarebbe messo in ghingheri per una missione di spionaggio. Non era la sua priorità, né mai lo era stata in altre circostanze.

Il fastidio causato da quell’ennesimo ritardo lo fece rispondere aspramente.

«Un informatore dovrebbe essere sempre puntuale.» lo riprese infatti, senza badare a convenevoli «Specialmente con persone di rango superiore al suo.»

Quell’ultima frecciatina non era legata a lui in prima persona. Gilbert non si era mai considerato di sangue nobile, e l’adozione nella famiglia Nightray non aveva cambiato le cose. Semplicemente si sentiva in dovere di riprendere un collega su una mancanza che reputava inaccettabile. In fondo, anche quella era una manifestazione del suo buon cuore. Dettaglio che, purtroppo, il servo dei Barma non colse affatto.

«Ehi, tu avrai anche solo due peli in testa, ma io ho dei capelli da sistemare!»

«Ma se ce li hai più corti dei miei! E comunque non è una buona scusa: non stiamo andando ad un ballo di gala!»

Caleb fece per ribattere, ma rimase con la bocca spalancata per qualche istante, incapace di proferire parola. Assunse delle comiche espressioni, nel tentativo di bofonchiare delle scuse, ma il tutto si concluse con una manata in fronte carica di tutta la sua esasperazione.

«Sì, sì, hai ragione tu, contento?!» brontolò, per poi salire stizzito in carrozza.

Gilbert lo fissò allibito, mentre sopprimeva un grido di rabbia. Come diavolo si permetteva di trattarlo a quel modo? Saranno pure stati coetanei o quasi, oltre ad appartenere al medesimo rango (almeno nella mente del Nightray), ma non avevano certamente tutta quella confidenza. Mandando di traverso questo rospo, Raven fece cenno al cocchiere di partire, dando così inizio al loro viaggio.

Viaggio che incominciò nel silenzio più opprimente. L’atmosfera era palesemente ostile e, man mano che i minuti scorrevano, non fece che peggiorare. Fin da subito Caleb si era piazzato con la testa ostinatamente fissa al finestrino, senza mostrare il benché minimo senso di colpa per quanto avvenuto. Sebbene paresse deciso ad ignorare il Nightray, in realtà seguitava di sottecchi a lanciargli occhiate. Ogni tanto sembrava sul punto di voler proferire parola: inspirava più profondamente e muoveva impercettibilmente le labbra, ma in seguito scuoteva il capo e tornava ad osservare il paesaggio al di là del finestrino, sistemandosi alla bell’e meglio la borsa che reggeva ostinatamente in grembo. Dall’altra parte Gilbert non aveva intenzione di parlare più del necessario. Non si fidava del casato Barma, ad eccezione di Reim, e per quanto quest’ultimo si fosse mostrato fiduciosi nei riguardi di Caleb, Gilbert non riusciva ad esserne persuaso.

Per anni aveva vissuto per sé stesso, solo per il suo scopo. Inaspettatamente aveva incontrato Reim e prima ancora Break e Sharon. Non gli riusciva ancora facile associare a questi individui la parola “amici”, ma qualcosa di più vicino al significato di “compagni”. Questo rappresentavano per lui. Delle persone con cui condivideva uno scopo, perciò non era stato semplice aprire il suo cuore. Non erano neppure lontanamente paragonabili alla sua vera famiglia, ovvero Oz, Ada e lo zio Oscar... tuttavia avrebbe mentito a se stesso se avesse affermato che gli erano totalmente indifferenti. Almeno questo doveva concederglielo: avevano vissuto a lungo insieme ed ora gli era impossibile non preoccuparsi per il loro avvenire e la loro salute.

Incrociò nuovamente lo sguardo con quello furtivo del giovane, che celere si dileguò alla volta del lungo viale alberato che stavano attraversando.

No.” pensò Gilbert “Non aggiungerò un’altra persona alla mia vita. È già abbastanza complicata così com’è. Inoltre, Alice basta e avanza come elemento enigmatico, oltre che problematico, da sommare all’equazione.”

All’improvviso il cocchiere frenò a causa di un cane che aveva attraversato la strada senza alcun preavviso. Non si immaginava nemmeno di poter incontrare un animale randagio lì, in quella zona periferica e d’alto borgo, perciò lo scossone fu violento. Il risultato fu che Caleb piombò in braccio a Gilbert, che si trovava seduto di fronte a lui, in direzione del senso di marcia.

«Ahia...» mormorò dolorante il Nightray, mentre si tastava il capo che aveva sbattuto contro il muro della carrozza «Tutto a posto?» chiese poi al ragazzo che gli aveva smorzato il fiato con il suo peso.

«Sì, dovrei avere ancora tutte le ossa al loro posto...» fu l’incerta risposta che gli giunse alle orecchie «Che diavolo è successo?»

Da fuori si udì il cocchiere urlare le sue scuse, mentre rimproverare l’animale e, lentamente, riprendeva il cammino.

«Non lo so. Ma è il caso di dirlo: cominciamo bene.»

Caleb alzò adagio la testa, che ancora gli girava per lo spavento inatteso, e fu così che si ritrovò il viso a pochi centimetri da quello del moro. La sua reazione fu immediata.

«Aaahhh! Oddio, scusami, scusami!» strillò, lanciandosi all’indietro e tornando seduto al proprio posto, con uno slancio tale da far tremare l’angusto spazio in cui si trovavano.

Gilbert l’osservò come si osserva una strana creatura, della quale non si hanno notizie certe. Non riusciva a stare dietro ai suoi cambi di umore e mal sopportava quelle urla acute che, sovente, gli uscivano di labbra. Voleva soltanto fare un viaggio tranquillo, ma si domandò se questo suo ridicolo desiderio non avesse troppe pretese. Decisamente, quella missione era partita col piede sbagliato.

Per tutto il resto del viaggio, Caleb non proferì parola, cosa che al Nightray non diede alcun fastidio e che, in verità, gradì particolarmente. Non sapeva nulla di lui e non aveva certo intenzione di approfondire la conoscenza. E, da quanto poteva constatare, lo stesso valeva per l’informatore.

 

 

Una volta giunti nella città di Reveille, i due giovani ringraziarono il cocchiere, gentilmente offerto dalla famiglia Rainsworth, e si diressero alla volta dell’abitazione di Gilbert. Benché Caleb avesse insistito, prima di accomiatarsi dal gruppo, che avrebbe preferito alloggiare in una locanda, Gilbert fu tassativo nell’esprimere il suo disaccordo sulla questione. Anzitutto, ai suoi occhi ciò appariva come uno spreco di denaro, dato che già pagava ogni mese l’affitto di quel piccolo appartamento posizionato nella periferia della periferia della capitale. Questo primo punto era fondamentale, in quanto il Nightray era ben noto per la sua parsimonia. Inoltre, credeva che avrebbero dato molto più nell’occhio se avessero posto la loro base operativa in una qualsiasi pensione. Era molto più sicuro usare la sua casa.

«I nobili ci stanno col fiato sul collo, da quando Jack Vessalius è apparso nuovamente dopo 100 anni.» aveva infatti detto il Nightray, riscuotendo il tacito consenso dei presenti «Farmi vedere a zonzo con un estraneo, per di più in una locanda, attirerebbe facilmente i loro sospetti. Meglio utilizzare il mio appartamento: è in una posizione centrale, nella zona più tranquilla di Reveille, e perciò sarà più facile nascondersi tra le ombre dei vicoli e mescolarsi poi tra la folla. Per muovermi, mi basterebbe inoltre usare la scusa che voglia assicurarmi che tutto sia in ordine nei miei alloggi, portandomi come scorta un valletto.»

«Io sarei il tuo valletto?» aveva domandato scioccato Caleb, puntandosi un dito contro con fare per nulla persuaso.

«In maniera assolutamente informale e randomica. I nobili si sono sempre lamentati che non ne avessi uno, perciò ora che ci osservano con tanto interesse, diamo loro una valida motivazione per cui tu dovresti seguirmi.»

A conti fatti, Caleb non aveva potuto che acconsentire. Non c’era motivo di impelagarsi tanto su quel punto. Tuttavia, fin dal suo primo passo nell’abitazione del nobile, Bauer non aveva fatto altro che guardarsi intorno con aria circospetta e movimenti palesemente irrigiditi. Perplesso da quel suo atteggiamento e stanco per il viaggio, Gilbert lo aveva subito ripreso con stizza.

«Chiedo venia se non è una reggia, ma preferisco la discrezione all’ostentazione.»

Come punto sul vivo, l’informatore si era voltato verso il suo interlocutore, con aria smarrita eppure già mezza corrucciata.

«Come, prego?»

«Lo so cosa stai pensando.» continuò Gilbert, poggiando cappotto e cappello sull’appendiabiti a muro ed accendendosi una sigaretta comparsa come dal nulla sulle sue labbra «Da un nobile ci si aspetterebbe qualcosa di più di questo.»

Pronunciò quelle parole con noncuranza, mal celando tuttavia una nota di rancorosa diffidenza, come se quella situazione avesse fatto riaffiorare in lui dei ricordi spiacevoli. Caleb dimostrò immediatamente quanto il suo titolo di informatore non fosse un semplice gingillo.

«È stato Elliot a dirti questo?»

Quelle parole scossero Gilbert, ma il suo stupore si tramutò rapidamente in gelida collera.

«Non sono affari che ti riguardano. E non rivolgerti a lui con tanta confidenza: è un nobile, a differenza tua.»

Caleb incassò il colpo con evidente disagio: arrossì, che fosse per vergogna o rabbia questo Gilbert non poté dirlo, e chinato il capo strinse con vigore il manico della sua piccola borsa, che aveva tenuto accanto a sé durante l’intero tragitto.

«Dove posso sistemarmi?» chiese atono, senza incrociare più il suo sguardo.

Il Nightray indicò il divano con fare laconico.

«Non ho altre stanze a parte la mia.» fu la sola spiegazione «Se hai bisogno dei servizi, è la porta alla tua sinistra

Bauer annuì.

«Allora io vado.»

La repentina risposta del giovane prese in contropiede Gilbert. Credeva infatti che, una volta giunti a destinazione, i due si sarebbero presi un po’ di tempo per rinfrescarsi, per potersi così concentrare sulla strategia del loro piano di azione. Caleb, invece, non aveva compiuto che pochi passi all’interno di quelle mura che subito fece per voltare i tacchi ed andarsene.

«E dove?» volle infatti sapere Gilbert.

«A te cosa interessa?» replicò asciutto il giovane.

«Staremmo investigando insieme, se non ti dispiace. Inoltre, ho promesso a Reim di tenerti sempre un occhio puntato addosso, affinché non ti accada nulla.»

«Non sei mica vincolato da un giuramento sacro.»

«No, ma è come se lo fossi. Non tradirei mai la fiducia di un amico.»

A quelle parole Caleb alzò finalmente lo sguardo. Esso incontrò gli occhi fieri di Gilbert, che si aspettava di veder riflessa la stessa irritazione che lo animava. Fu dunque meravigliato nel trovarsi a fronteggiare un mare placido, appena scosso dalle onde del dubbio.

«Sei così legato a Reim?»

Sul momento Gilbert non seppe come rispondere. Non era quello il genere di dialogo che si aspettava di avere con l’informatore del casato Barma, né tantomeno il tono fu più in linea con il suo stato d’animo. Pur volendo mantenersi cauto e infastidito, non trovò motivo per mentirgli. La sua amicizia con Reim Lunettes era nota a tutta l’Associazione, duca dal Ciuffetto Pazzo incluso, perciò si distese inconsciamente.

«Siamo amici di vecchia data. O forse sarebbe più corretto dire che ci fidiamo l’uno dell’altro.»

«E non è forse questa ciò che si chiama amicizia?» chiese con un lieve sorriso Caleb, gli occhi persi in un ricordo lontano «Non c’è nulla di male a chiamare le cose col proprio nome. Trovo sia molto peggio non farlo.»

Confuso, Gilbert non trovò di meglio da fare che girare a sua volta la domanda appena postagli.

«E tu? Sei amico di Reim?»

Bauer sbatté le ciglia, come non aspettandosi di essere a sua volta interrogato. Fece spallucce, stringendosi con fare incerto, quasi avesse paura di scoprirsi troppo.

«Mah, chi lo sa? Almeno, io lo considero come un caro amico, ma credo che lui mi veda solo come l’oggetto prezioso del Duca, che va protetto ad ogni costo.»

«Reim non è il tipo da pensare certe cose. L’ho visto bene a Villa Rainsworth ed era sinceramente preoccupato per te.»

«Lo credi sul serio?» la sua voce ebbe un fremito, come il lieve picchiettare della pioggia lungo i vetri: appena percettibile, eppure inoppugnabile.

«Assolutamente. Lui non guarda mai alle persone come meri oggetti, e cerca sempre di fare del suo meglio affinché le persone attorno a lui siano a proprio agio. Non ti considera un oggetto prezioso da difendere, ma un amico da custodire.»

Non ne comprese il motivo, ma Gilbert si sentì in dovere di dire quelle parole ad alta voce, di far capire a Caleb che Reim gli voleva sinceramente bene e che non doveva dubitarne. Aveva quella stessa sensazione, che gli attraversava lo stomaco come un veleno, ogni qual volta gli occhi di Oz si adombravano per un pensiero insistente. Non poteva e non voleva abbandonarlo a quell’oscurità e Caleb, in quel frangente, gli ricordò in maniera preoccupante il suo amato padroncino.

Ho sempre avuto il cuore troppo tenero.” si rimbeccò il Nightray, ripensando alle parole che un tempo Break gli aveva rivolto, quando ancora era un ragazzino.

«Devi imparare a scacciare queste emozioni, Gil caro. Le emozioni sono fuorvianti, ti fanno perdere di vista quello che è il vero obiettivo.»

«Ti ringrazio.»

La voce squillante ed al tempo stesso gentile dell’informatore lo raggiunse, insieme ad un tiepido sorriso, strappando Raven a quell’ennesimo ricordo. Ormai dimentico del rancore che lo aveva animato poc’anzi, Gilbert si concesse di ricambiare il gesto. Increspò appena le labbra, dissimulando tale azione traendo una boccata generosa dalla sua sigaretta.

«Prego.» si limitò a ribattere, dirigendosi poi verso la finestra per arieggiare la stanza.

A quel punto anche Bauer si mosse.

«Vado in biblioteca a cercare altre tracce.» sentenziò, quasi a volersi giustificare delle sue intenzioni.

Gilbert, però, lo intese come una mano tesa verso di lui: Caleb voleva fargli conoscere i suoi spostamenti, così da non destare la preoccupazione di Reim. La biblioteca era un luogo tranquillo, perciò Gilbert non si sentì in dovere di perseguitarlo oltre. Era un ragazzo bello e fatto, alla sua età anche lui aveva già svolto diverse missioni per conto di Pandora. Decise di lasciare che si muovesse con un minimo di agio; avrebbe avuto modo in seguito di guardargli le spalle.

«In biblioteca? Noi attendiamo da giorni informazioni sui Baskerville e tu le vai a cercare in biblioteca?»

Cercò di suonare ilare, senza però riuscirci. Si avvertiva una leggera acredine, ormai tipica del suo fare cupo, sebbene pronunciò la frase in tono pacato.

«Ti stupiresti di ciò che puoi trovarci, se solo conoscessi i luoghi giusti in cui cercare.» rispose Caleb, alzando il cappuccio del suo mantello e porgendo al collega dei fascicoli appena estratti dalla sua borsa «Tu nel frattempo puoi concentrarti su questi: sono le mappe di quell’antica chiesa fuori città. Non è molto, ma forse tra queste scartoffie ci sono dei dati utili. Io invece mi concentrerò sulle cronache di Reveille: voglio cercare di capire se e quando sono stati avvistati per l’ultima volta i Baskerville. E dove, soprattutto.»

«Non erano scomparsi cento anni fa, a seguito della Tragedia di Sablier?» chiese Gilbert, colpito dallo spirito di osservazione e dalla mente critica del giovane.

«Da quello che so, l’ultima volta erano stati avvistati a Lutwidge, non più di due settimane fa.» Bauer gesticolò appena con la mano, tracciando dei fili immaginari nell’aria «Se riuscissimo a scoprire dove si sono mossi in questo arco di tempo, forse avremo una possibilità in più di comprendere dove si stiano nascondendo. Sempre che il nascondiglio sia uno solo, cosa di cui dubito fortemente.»

«Cosa te lo fa credere?»

«Se tu fossi un essere semi-eterno, ricercato da tutta la nazione per un crimine che ha cancellato un’intera città dal giorno alla notte, ti accontenteresti di un solo rifugio?»

Gilbert non aggiunse altro. Annuì, convinto dalla sua logica. Era incredibile come, in così breve tempo, quel ragazzo fosse riuscito ad immedesimarsi in quella matassa intricata che metteva in difficoltà sia lui che l’intera Pandora da anni. Pareva che lavorasse a quel caso da molto tempo, anziché da pochi giorni.

«Questo è il miglior servitore del Duca: quando vuole sapere qualcosa, manda Caleb ad investigare e torna sempre con quello che cercava.»

Le parole di Reim cominciavano ad avere un senso.

Caleb fece un piccolo cenno del capo, in segno di saluto, e si avviò alla porta. Poco prima di chiuderla, tuttavia, si soffermò qualche istante, come incerto sul da farsi. Gilbert lo fissava di sottecchi, mentre terminava la sua sigaretta ed osservava i fogli appena ricevuti. Alla fine, l’informatore parlò un’ultima volta.

«Non era mia intenzione offenderti. Ti chiedo scusa se l’ho fatto.»

Non lasciò tempo per altro. Sparì al di là della porta, lasciando dietro di sé una scia di rammarico, come un profumo che si diffuse lungo la stanza.



«Appena terminata la colazione, ci mettiamo alla ricerca di Lotti.»

Gilbert e Caleb stavano mangiando l’uno di fronte all’altro, senza nemmeno sfiorarsi con lo sguardo. I rumori tipici del mattino si diffondevano lungo le pareti, ampliati dal silenzio che intercorreva tra i due commensali, mentre dall’esterno si udiva il lento risveglio del vicinato. Bambini che salutavano la madre per andare a scuola, altri che seguivano il padre al lavoro, mentre i più piccoli restavano a casa reclamando le attenzioni materne. Gli adulti invece si radunavano lungo le vie, per mettersi in coda davanti ai negozi appena aperti o in procinto di farlo: i panettieri erano i fortunati svegli sin da prima del sorgere del sole, mentre fruttivendoli e venditori vari potevano ancora permettersi qualche momento di quiete.

L’animosità della città restava tuttavia confinata oltre le mura domestiche che, come facenti parte di un mondo a sé stante, restavano chete. L’informatore non appariva propenso nemmeno ad avviare una conversazione, perciò fu il Nightray a spezzare il silenzio. Si aspettava un semplice assenso del capo da parte dell’altro come risposta, invece scosse visibilmente la testa.

«No, stamattina non ci muoviamo.»

Per poco Gilbert si strozzò con il caffè che stava sorseggiando.

«Come?! E per quale motivo?»

«Hai mai visto qualcuno spiare altri in pieno giorno? E per di più non si tratta di una persona qualunque, ma di un Baskerville. Sai qual è la loro abilità peculiare?» non attese una risposta, mentre si versava un’abbondante dose di latte nella tazzina «Il sapersi celare nell’ombra ed attaccare il nemico quando meno se l’aspetta. Se agiamo ora, alla luce del sole, la faremmo solo scappare o, peggio, potrebbe decidere di attaccarci. E noi non siamo qui per attaccar briga.»

Gilbert avrebbe voluto ribattere, a causa del tono presuntuoso dell’altro, ma non lo fece, poiché quello che diceva aveva un senso. Caleb era una spia specializzata nel raccogliere informazioni, era ovvio che conoscesse trucchi che lui non poteva nemmeno immaginare. Anche se, fino a quel punto, ci sarebbe potuto arrivare da solo. Provò un moto di stizza per la sua impazienza, che lo aveva fatto apparire poco scaltro. Il compagno, tuttavia, non parve dar peso alla questione. Si limitò infatti a proseguire il suo pasto, tenendo gli occhi ostinatamente fissi sulle poche cibarie distribuite sul tavolino della cucina. Non trovando partecipazione per l’argomento da parte dell’altro, Gilbert ruppe nuovamente il silenzio, stavolta con una domanda.

«In tal caso, che facciamo fino al tramonto?»

«Non lo so. Facciamo un giro per il mercato?»

Per la seconda volta in pochi minuti, il Nightray tossì per mandare giù il caffè che gli si era impigliato in gola come una lisca di pesce assassina.

«Ma stai bene?» chiese preoccupato Caleb, alzando finalmente lo sguardo su di lui.

«Cos’è che vuoi fare?» ribadì invece Gilbert, senza badare alla domanda postagli.

«Ho detto che potremmo andare al mercato. Perché, non ti va?»

«Non è quello. Ma non dovremmo fare altro, nel frattempo?»

«Ad esempio?»

«Ad esempio confrontarci su quanto hai appreso ieri?»

Da quando la sera prima si erano divisi, Gilbert non aveva più avuto modo di parlare con il ragazzo. Durante la sua assenza, si era concentrato più che poteva sulle carte affidategli, ma era stato inutile. Conosceva fin troppo bene quel posto: era la medesima chiesa sconsacrata ed ormai diroccata che lui, Xerxes e Sharon avevano scelto per il rituale di salvataggio di Oz. Alla fine i loro preparativi erano stati del tutto futili, poiché il giovane Vessalius era riuscito ad uscire dall’Abisso per mezzo del contratto stipulato con Alice, il B-Rabbit.

Quelle mura che si reggevano a stento gli erano rimaste impresse nella memoria, come una fotografia. Fin dal primo passo che aveva compiuto al loro interno, aveva avvertito come una brezza di nostalgia, una carezza del passato che voleva sussurrargli qualcosa di cui lui, però, non riusciva ad afferrarne le parole.

No.” aveva mormorato una vocina dentro di sé, la notte addietro “Tu non vuoi ricordare. È esattamente come alla Villa della Cerimonia o il ricordo nella dimensione del Gatto Cheshire. Avevi provato le medesime sensazioni, eppure hai fatto di tutto per scacciarle. Cosa rappresentano realmente, per te, quei luoghi?

«Gilbert? Mi stai ascoltando?»

Il nobile si riscosse da quella scia di pensieri che, sempre più vorticosi, avevano preso controllo della sua mente. Tornò alla realtà, nella stanzetta adibita a cucina in cui tante volte aveva mangiato solo o con la fastidiosa compagnia di Break. Ora che ci rifletteva, quella era la prima volta che aveva un ospite che non fosse una sua pregressa conoscenza.

«No… scusami, mi ero perso in un pensiero. Cosa mi stavi dicendo?»

«Parlavo delle mie ricerche.» cominciò Caleb, per poi interrompersi e concentrarsi sul volto del ragazzo; inclinò appena il capo, con fare meditabondo «Sicuro di stare bene? Non hai una bella cera...»

«Sto bene, te l’ho già detto. Che cosa hai scoperto?»

Bauer non pareva convinto delle sue parole ma, trovandosi di fronte ad un muro, non poté far altro che tornare a concentrarsi sulla sua colazione e su quanto concerneva la loro missione. Pareva leggermente deluso, ma questo a Gilbert non importava. Il loro scopo non era fare amicizia.

«Non molto, purtroppo. Nelle cronache del regno non vengono più nominati i Baskerville, come se si fossero estinti con la città di Sablier. Il che ha senso, insomma, quella tragedia ha inghiottito un’intera città nel nulla, come avrebbero potuto sopravvivere?» si concesse una breve pausa per addentare una fetta del suo pane tostato con formaggio ed erbette «Eppure, nei libri per bambini e persino in certi romanzi vengono ancora menzionati.»

«Beh, mi sembra normale. Eventi simili scatenano sempre l’immaginazione degli artisti, specie se si tratta di eventi all’apparenza inspiegabili.»

«È questo il punto.» insistette Caleb, picchiettando l’indice sul tavolo con aria contrariata «Le favole ed i romanzi antecedenti a cinque anni fa sono molto vaghi, quasi nebulosi nella descrizione degli Dei Scarlatti. Però.» si interruppe ancora, stavolta alzandosi di scatto e dirigendosi verso la borsa che aveva lasciato gettata a terra vicino al divano; una volta aperta, ne estrasse un libro, che subito porse a Raven «La poupéedi Jean Galli de Bibiena.»

Gilbert osservò interdetto il titolo che aveva dinnanzi. Sfogliò distrattamente qualche pagina, senza comprenderne il significato, né letterale né tantomeno metaforico.

«Non ci capisco molto di francese, ma da quel che leggo è una storia che riguarda… una bambola?» chiese confuso il nobile «Cosa c’entra con i Baskerville?»

«Adesso ci arrivo. È un romanzo di formazione: parla di questo abate vergine, che si è dato alle civetterie ed a una vita smodata, finché non si innamora di una bambola, che però è in realtà una silfide che vuole educarlo...»

«Una silfide? Da quando gli spiriti dell’aria si incarnano nelle bambole?»

«Aspetta, aspetta, lo so che sembra assurdo, ma leggi qui.» prese nuovamente possesso del libro ed indicò una pagina «La silfide ad un certo punto si tramuta in una gatta, poi in una bambina, una ragazzina ed infine in una donna.»

«Continuo a non capire dove tu voglia andare a parare e, men che meno il senso di questa storia. È da pazzi anche solo seguirne il filo logico.»

Il ragazzo percepì l’irritazione montare rapidamente nel Nightray, perciò si decise a rivelare tutto d’un fiato le sue elucubrazioni della notte precedente.

«Leggi la descrizione della donna: chi ti ricorda?»

Sbuffando, Gilbert si prestò a quell’assurda messinscena, mosso soltanto dal bene che provava per Reim. Iniziava seriamente a credere che quel ragazzino si fosse bevuto del tutto il cervello o che lo stesse volutamente prendendo in giro per fargli perdere tempo prezioso. Nel pieno stile del casato Barma.

Lesse e tradusse a fatica quella lingua che era stato costretto a studiare durante la sua permanenza a Villa Nightray, senza però trovarvi alcun nesso: veniva descritta come una creatura bellissima, provocante nell’aspetto generoso delle sue forme, e ciononostante ispirante una reverenziale ammirazione. Era palese che l’autore, impersonato dall’io narrante e protagonista stesso delle vicende, fosse rimasto stregato da una dama, che aveva deciso di rievocare nel suo racconto. Tuttavia, Gilbert continua a non capire cosa ci trovasse di così interessante Caleb.

«Non mi viene in mente nessuna in particolare.»

«Pensaci! Una donna bellissima, formosa, che istilla tuttavia un naturale senso di reverenza, quasi sottomissione, tanto appare sicura di sé. Non ti sembra qualcuno che entrambi abbiamo già incontrato?»

«Ti stai riferendo a Lotti?» la rivelazione lo colpì come un fulmine a ciel sereno «Ma… esisteranno milioni di donne simili. Non puoi attaccarti a...»

«La silfide è capace di punire gli uomini per i loro peccati oppure di correggerli ed educarli, portandoli sulla retta via.» Caleb osservò Gilbert dritto negli occhi, mentre un luccichio di vittoria li adornava «Al fine di accedere all’immortalità. Esattamente come lei.»

Il ragazzo strabuzzò gli occhi, per poi puntarli nuovamente sull’opera. Più leggeva quel passo, più si formava nella sua mente l’immagine della Baskerville che aveva incontrato a Lutwidge. Era assurdo, tuttavia quel riferimento alla vita eterna…

«I Baskerville sono creature immortali, all’apparenza almeno, no? Non credi anche tu che questo autore possa aver conosciuto Lotti ed essersi fatto ispirare dalla sua natura

«Ma come potrebbe averla incontrata, e soprattutto dove?»

«Proprio qui, a Reveille.» Bauer mostrò una delle ultime pagine, contenenti le note riguardanti l’autore «È stato a Reveille, non più di cinque anni fa e, mentre esplorava la città, è stato folgorato dalla visione di una donna eterea che si aggirava proprio tra le rovine di un’antica chiesa.»

«Quella in cui avevi assistito al dialogo tra lei ed un’altra persona?»

«Non posso esserne certa, ma… i conti tornano. Quella chiesa non è un luogo casuale. È uno dei loro covi

«Ma come… ?» Gilbert non si capacitava di come avesse potuto avere una simile intuizione.

«Come? Passando la notte in bianco leggendo libri. Alla fin fine, qualcosa è saltato fuori.»

«Incredibile.» al termine di quegli scambi il nobile era rimasto senza parole, al punto da lasciarsi sfuggire un sincero apprezzamento «Hai fatto davvero un lavoro eccellente.»

In risposta a questo Caleb cominciò a gesticolare, con fare imbarazzato ed esagitato.

«Ma no, ma no, cosa dici, non ho fatto nulla! In fondo si tratta di mere supposizioni e… piuttosto, tu hai scoperto qualcosa, studiando le cartine della chiesa?»

Il sorriso tramontò celermente dal volto di Raven, essendo costretto a paragonare il proprio operato con quello dell’informatore di casa Barma.

«Sfortunatamente no. È una comunissima chiesa sconsacrata, risalente a qualche secolo addietro. Fino a prima della Tragedia era ancora utilizzata per piccoli riti e funerali, per lo più di gente comune che viveva alla periferia di Sablier, ma poi è caduta in disuso. Probabilmente perché gran parte dei suoi frequentatori sono morti.»

«Mh, capisco. Forse aveva qualche legame coi Baskerville, chissà… ho trovato ben poco a riguardo. Quella famiglia è totalmente avvolta nel mistero: non sono nemmeno riuscita a trovare un albero genealogico, di alcun tipo! Eppure è strano, essendo una famiglia tanto di spicco all’epoca, è impossibile che non vi sia rimasto nulla a testimoniarlo.»

«Probabilmente è andato tutto distrutto con la città.»

«Già.» convenne con un sospiro Caleb, facendosi ricadere pesantemente sulla sedia «Beh, ora che ci siamo confrontati, andiamo al mercato?»

Gilbert si portò esasperato una mano al volto.

«Ma allora sei fissato...»

«Ma scusa!» protestò il giovane «Le ricerche le abbiamo fatte, il luogo in cui andare lo sappiamo… che altro vuoi fare? Stare qui a fare a gara di sguardi?»

A quelle parole, Raven alzò il capo, fulminando il povero malcapitato.

«… io passo.» mormorò contrito Bauer, mentre si voltava da tutt’altra parte.

Certe volte, pensava infatti Caleb, quel ragazzo gli metteva seriamente paura. Tuttavia, con sua grande sorpresa, Gilbert fu costretto suo malgrado a cedere. In fondo la dispensa era pressoché vuota, essendo mancato per diverso tempo, ed una sgranchita alle gambe non gli sarebbe dispiaciuta per niente, considerando la lunga reclusione a Villa Rainsworth.

«E sia. Tu che proponi?»

Il viso di Caleb parve illuminarsi, sebbene i suoi occhi rimasero guardinghi.

«Non mi stai prendendo in giro, vero?»

«Certo che no: sei tu la spia, esperta di ogni luogo, proponi.»

L’informatore rise di gusto, mostrando così uno dei suoi rari sorrisi. Ora che Gilbert ci pensava, quella era la prima volta che lo vedeva con un’espressione simile dipinta sul volto. Doveva ammettere che risultava molto più grazioso così.

«Mamma mia, quante speranze che nutri nei miei confronti! Visto che mi concedi un simile potere, proporrei un giretto verso la via principale: oggi c’è il mercato cittadino, le bancarelle abbondano e le persone pure. Non rischieremo di dare nell’occhio! Il resto lo decideremo strada facendo, anche perché sarà dura ammazzare il tempo sino al tramonto.»

Solo allora Gilbert si accorse delle pesanti occhiaie che marcavano il viso del ragazzo. Si era quasi scordato, concentrato com’era sulla missione, del fatto di non averlo sentito rincasare la notte precedente. Probabilmente, Caleb era rimasto confinato in biblioteca sino all’orario di chiusura e magari persino oltre, date le sue capacità. Osservò distrattamente il libro che ancora reggeva tra le sue mani: quanti volumi aveva consultato, prima di trovare una qualsiasi pista, per quanto flebile?

Gilbert fu costretto ad ammetterlo, almeno a bassa voce: la fiducia di Reim era ben riposta. Pur non conoscendosi, Caleb stava dando tutto se stesso per quella missione. Gli balenò sulle labbra un ringraziamento, ma lo inghiottì per sostituirlo con qualcosa di più pratico e decisamente meno sentito a livello emotivo.

«Sicuro di non voler riposare?»

Bauer sgranò gli occhi. Pareva genuinamente sorpreso da quella semplice domanda, posta nel tono più neutrale possibile. A differenza di quanto Gilbert si aspettasse, però, Caleb ridacchio divertito.

«Cosa? Che ho detto?» replicò indispettito il ragazzo.

«Niente, niente, è solo che non sei cambiato per nulla! Ti preoccupi ancora più degli altri che di te stesso.»

«Che intendi con “non sei cambiato”? Non ci siamo mai visti prima d’ora.»

«Oh... sì, certo. Volevo dire che le informazioni che ho su di te sono le stesse di dieci anni fa. A livello caratteriale, s’intende.»

«Capisco. Dunque, hai raccolto informazioni anche su di me?»

«Ah no! Cioè sì, nel senso...»

«Non devi giustificarti.» lo tranquillizzò con un gesto della mano, tesa ad indicare che Caleb poteva smettere di biascicare scuse sconnesse «Sei un informatore. Fai soltanto il tuo lavoro.»

Il nobile si alzò e cominciò a raccogliere le stoviglie ormai vuote, collocandole delicatamente nel catino. Le avrebbe pulite in seguito, non intendeva restare chiuso in quella stanza un solo minuto di più.

«Andiamo?» propose Gilbert, ricambiando finalmente il sorriso del compagno.

 

 

«Tutto bene? Sei già stanco?»

Il giovane Nightray si sentiva esausto come poche volte nella sua esistenza. Non appena aveva visto una panchina libera, vi si era fiondato a capofitto per sedersi e dare, in tal modo, un minimo di sollievo ai propri piedi doloranti.

Caleb, dal canto suo, pareva pieno di energie, al punto da potersi permettere di osservare con un misto di curiosità e preoccupazione il compagno. Il viso dell’informatore era però di un pallore tale da indicare quanto in realtà anche il suo fisico fosse provato. In particolare, le labbra avevano perso ogni sfumatura rosata, ma da come erano increspate era evidente che Bauer ignorasse tutti quei segnali, concentrandosi unicamente sull’euforia di quella giornata inaspettata tra gli odori ed il calore di Reveille.

Era infatti una giornata serena, con soltanto vaghe nubi che, saltuariamente, ottenebravano il chiarore del sole. L’aria era ancora fresca, ma ciò non aveva impedito ai cittadini di radunarsi intorno alla miriade di bancarelle che, soddisfatte, mostravano il meglio che avevano da offrire, che si trattasse di tessuti, cibarie, pergamene o chincaglierie di ogni genere.

«No, assolutamente.» rispose finalmente Gilbert, tra un respiro profondo e l’altro «Solo che dopo tre ore di marcia serrata, i miei piedi invocano pietà.»

«Oh, camminiamo già da così tanto? Non me ne n’ero accorto.» fece sorpreso Caleb, sedendosi il più distante possibile dall’altro.

Gilbert dimenticò prontamente i suoi buoni propositi, relativi al non mostrarsi troppo scorbutico in compagnia del ragazzo. Considerando l’impegno che aveva mostrato, gli pareva giusto mostrarsi quantomeno pacifico, ma la stanchezza non lo metteva nella posizione di essere comprensivo, figurarsi paziente con un perfetto sconosciuto.

«Guarda che non ho mica la lebbra.» sputò infatti con fare venefico.

«Come?»

«Perché diavolo ti metti sempre agli antipodi di dove sto io?»

«Non è vero!»

«Sì che lo è!»

«Oh, va bene!» urlò scocciato Caleb e, con altrettanta furia e malagrazia, si spostò con un tonfo fino a toccare la spalla destra di Gilbert «Soddisfatto adesso?»

«Non volevo dire che dovevi appiccicarti a me!»

«Allora deciditi! O mi vuoi vicino o lontano!»

I due si fissarono in cagnesco per degli interminabili secondi. Mentre Gilbert sembrava essersi ricaricato delle energie perdute e, dunque, era pronto a dar battaglia, Caleb scoppiò inaspettatamente in una fragorosa risata.

«E adesso perché ti metti a ridere?» riuscì a chiedere il Nightray, una volta che si fu ripreso dallo stupore iniziale.

L’informatore tentò inutilmente di calmarsi, ma la ridarella che lo aveva colpito pareva impossibile da frenare. Suo malgrado, persino Raven increspò le labbra, contagiato da quel buon umore inatteso.

Per qualche strana ragione, il Nightray fu avvolto da una lieve sensazione di tranquillità, come se quella situazione gli fosse familiare. Aveva l’impressione di star condividendo un momento segreto e che, di lì a breve, il loro rapporto si sarebbe finalmente spianato, bandendo così le divergenze che, sino ad allora, li avevano tenuti in disparte.

Avevano percorso in lungo e in largo il mercato cittadino, fermandosi spesso ad osservare bancarelle di vario tipo e, mano a mano che proseguivano nella loro esplorazione, accumulavano ingredienti per la cena ed il pranzo del giorno seguente. Progettavano di lavorare tutta la notte e di rincasare al più tardi nel pomeriggio, per concedersi il tempo di riprendersi dalla missione. Tuttavia, non una parola era volata tra loro, se non per mera necessità. Frasi come: «Credi che quello possa andar bene per cena?» oppure «Oh, lì sembrano esserci in vendita dei libri interessanti, ti spiace se mi fermo un istante?» erano infatti state le loro uniche compagne. Forse, ora che la tensione tra loro si era allentata, avrebbero potuto parlare come si deve.

«Scusami.» disse infatti Caleb, una volta calmatosi «Ma la tua faccia era troppo comica… oddio, e dire che prima mi avevi quasi fatto paura!»

Nell’udire ciò, Gilbert ebbe un sussulto. Provò un fastidioso senso di vergogna, nel sentirsi definire spaventoso. Sebbene non fosse sua intenzione mostrarsi troppo amichevole, non voleva nemmeno dare l’impressione di essere una minaccia.

«Io… non sono così spaventoso.» tentò di dire in sua difesa, ripercorrendo mentalmente tutte le volte in cui aveva risposto in modo seccato o alterato.

Beh… forse non sono esattamente il massimo della simpatia, ma che diavolo, pure lui non è certo stato uno stinco di santo!” pensò con rammarico il Nightray.

Caleb rispose prontamente, interrompendo i pensieri del moro e scacciando con un gesto delle mani ciò che aveva appena dato a intendere.

«Ah, ma no di certo! Volevo solo dire che, ehm, ecco...»

«Noi Nightray siamo spaventosi.» concesse con un sospiro Gilbert «Non siamo propriamente il casato più simpatico con cui avere a che fare.»

«Ma no, sul serio, io mi trovo bene con te… con lei!» si corresse subito Caleb, per poi impallidire d’un tratto «Io… oddio.»

Tacque per un lungo istante, portandosi una mano alla bocca. Gilbert ne approfittò per estrarre dal proprio cappotto un pacchetto mezzo vuoto di sigarette ed accendersene una. Ormai era abbastanza avvezzo ai repentini cambi di umore del ragazzo e, in ogni caso, era certo che di lì a breve Bauer avrebbe espresso i suoi timori ad alta voce. Fin troppo alta.

«Io… da quanto tempo le sto dando del tu?»

Gilbert portò gli occhi al cielo, con fare pensoso e per nulla turbato. Mentre rifletteva, espirò la prima boccata con intenso piacere.

«Ehm… all’incirca, da quando ci siamo messi in viaggio ieri, direi?»

Il piccolo mondo di certezze di Caleb Bauer andò lentamente ed inesorabilmente in frantumi. Si sentì crollare, come se da quel momento in poi la sua vita non avesse più uno scopo. Tuttavia, una carica di adrenalina lo fece scattare come una molla, anziché farlo squagliare al suolo per la vergogna.

«Mi perdoni!» squittì in tono sincero eppure incredibilmente comico «La prego mi perdoni, giuro che non l’ho fatto apposta! Io… io… non lo dica al Duca!» sembrava sul punto di piagnucolare e, effettivamente, i suoi occhi presero pericolosamente a brillare come pozze d’acqua colpite dal sole.

«Ma perché mai dovrei dirlo al...» tentò di dire Gilbert, venendo immediatamente interrotto dal soliloquio disperato del giovane informatore.

«Ha ragione a dirmi ogni volta che non sono minimamente capace di trattenermi… insomma, come mi è saltato in mente? Darti del tu… e ancora lo faccio!»

Il Nightray avrebbe voluto consolarlo in qualche modo, invece ciò che uscì dalle sue labbra fu una breve risata, che subito tentò di celare con dei colpi di tosse. Caleb se ne accorse immediatamente e, come ripresosi dal suo stato di drammatica trance, accusò il compagno di alto tradimento.

«Come può ridere in una situazione simile? Non vede che sono disperato?!»

«Prima di tutto.» cominciò Gilbert, tentando di cancellare quel sorriso insistente, che non voleva saperne di abbandonarlo «Calmati. Non hai recato offesa a nessuno. E non ne parlerò ad anima viva, lo giuro sull’onore dei Nightray.»

A quelle parole tanto sincere e solenni, Caleb parve calmarsi.

«Lo giura sul serio?»

«Te l’ho appena giurato sull’onore del mio casato, che vuoi di più?!»

«Ah! Sì, scusi...»

«Secondo.» proseguì Gilbert, esausto ed al contempo divertito «Posso capire perché ti venga naturale non utilizzare titoli onorifici. In fondo, siamo praticamente coetanei ed in missione insieme e poi… personalmente, è una cosa che odio.»

«Perché non si sente rappresentato da quella famiglia?»

Gilbert guardò in tralice Caleb, che chinò prontamente il capo con fare colpevole. Anziché arrabbiarsi, il Nightray prese un profondo respiro ed inspirò una boccata della sua sigaretta, osservando distrattamente il fumo che saliva lentamente in cielo.

«È così.» ammise, stupendosi egli stesso di questa sua improvvisa sincerità.

Normalmente non si sarebbe sbottonato tanto con un estraneo, ma forse era la stanchezza, oppure la complicità effimera creatasi con quella scenetta ilare di poc’anzi. Il fatto era che, per quanto non volesse ammetterlo, quel giorno Gilbert si sentiva incredibilmente a suo agio con Bauer, nonostante le sue uscite poco consone. Gli ricordava in qualche modo Oz, che non era capace di farsi gli affari suoi e di frenare la lingua.

«Io… non voglio essere scortese, dico davvero.»

Caleb si fissò le mani, intente a torcersi con fare agitato. Gilbert notò allora come queste fossero ben curate ed al contempo martoriate. Le unghie erano infatti rosee, ma molto corte, e in diversi punti spuntavano come papaveri delle macchie rossastre. Il modo che aveva trovato Gilbert per gestire lo stress era il fumo, mentre Caleb sembrava preferire togliersi le pellicine dalle mani, sino a farle sanguinare.

«Il fatto è che so molto di lei e delle persone che la circondano, per questo mi viene naturale fare delle congetture. Però, in questo modo, devo apparirle come un ficcanaso. Le chiedo umilmente perdono.»

«Non è necessario scusarsi tanto. È più che naturale...»

«Spiare gli altri, perché sono un informatore. Lo so, me lo ha già detto. Però questo non mi autorizza ad essere affettato nei miei giudizi. In fondo, non si può mai davvero conoscere una persona, figurarsi poi per sentito dire.»

Gilbert si concesse qualche tempo per assorbire quelle parole e rifletterci sopra. Ciò che diceva quel ragazzo era vero. Terribilmente vero. Osservò il via vai di gente che scorreva senza sosta davanti ai loro occhi: giovani coppiette, famigliole felici, bambini che scorrazzavano in mezzo alla folla rincorrendosi e schivando per un pelo le ceste dei passanti. Così tante vite, eppure così tanti enigmi. Si ritrovò a chiedersi se, lui per primo, non fosse stato affrettato nel giudicare quel giovane, soltanto perché appartenente ad un casato con cui non andava particolarmente d’accordo.

«È normale farsi delle idee sulle persone. Non devi sentirti in colpa: tutti lo fanno.»

Bauer annuì, benché con fare poco convinto. Si morse il labbro inferiore, contrito, per poi tornare a fissare negli occhi Gilbert in modo all’apparenza sereno.

«Mi auguro almeno che si stia un poco divertendo. Non è un granché, ma sempre meglio il mercato di una stanza chiusa, no?»

Gilbert l’osservò con rinnovato stupore. Quindi, Caleb aveva proposto il mercato per far prendere al Nightray una boccata d’aria fresca? Era questo che intendeva?

«, effettivamente, non è poi così male.» ammise pensieroso, mentre spegneva sulla suola della scarpa la propria sigaretta.

«Davvero? Che sollievo!» si lasciò scappare l’altro improvvisamente entusiasta.

«Perché adesso sei così contento?»

«Oh, niente di speciale. È solo che pensavo le avrebbe fatto bene, tutto qua.»

«Sei veramente un tipo strano...» si lasciò scappare Gilbert, pentendosi subito della sua uscita. Temeva infatti di urtare nuovamente la sensibilità dell’altro, ma questi si limitò a sorridere accondiscendente.

«Domando scusa, ha perfettamente ragione. Non devo averle fatto una bella prima impressione, sbadato ed emotivo come sono.»

«E smettila con questo lei. Ti ho detto prima che lo trovo fastidioso. Almeno nelle occasioni informali parliamo normalmente. Piuttosto, da quanto fai l’informatore?»

Caleb parve stupito da quella domanda ed in parte lo era persino Gilbert stesso. Aveva trovato estremamente irritante la risposta data dall’informatore: certo, non si era comportato in modo impeccabile, ma il suo lavoro lo aveva svolto bene. Inoltre, gli sembrava un ragazzo genuinamente gentile e disponibile, un po’ come lo era stato anche lui in passato. Caleb era giovane, probabilmente più di Gilbert. E quest’ultimo sapeva fin troppo bene quanto fosse difficile per un ragazzino entrare in un mondo fatto di segreti ed inganni, di dolore e sacrificio. Essere la spia dei Rainsworth ed al tempo stesso servire il casato Nightray in veste di suo membro effettivo non era facile… e nemmeno essere l’informatore prediletto del duca Barma doveva esserlo.

Forse era stata questa considerazione ad averlo fatto inconsapevolmente avvicinare a Bauer.

«Fin da piccolo, sono stato abituato a questo genere di vita.» cominciò a un tratto Caleb, osservando un punto indistinto dinnanzi a lui «Devi sapere che la mia famiglia vive di questo genere di cose da generazioni. Il primogenito ha da sempre questo ruolo.» nel pronunciare quelle parole abbassò lo sguardo «Ma non è così facile entrare nella parte, per quanto mi impegni.»

Gilbert non riuscì a comprendere quale fosse il sentimento che albergava nell’animo del compagno. Inizialmente pensò alla tristezza, all’amarezza di non essere adatto per il ruolo che gli altri si aspettassero che lui rivestisse. Il rimpianto sembrava una valida alternativa: probabilmente, se avesse potuto scegliere, Caleb avrebbe intrapreso un’altra strada.

Ma non si trattava di nessuna delle due.

Gilbert credeva di conoscere molto bene quella sensazione. Solo dopo che Bauer si fu alzato ed ebbe detto che era ora che rincasassero, si rese però conto di cosa si trattasse.

Caleb si sentiva maledettamente solo.

 

 

Il sole salutò il cielo, che dimostrò il suo dispiacere nel vederlo scomparire tingendosi di caldi rossi e rosa opachi. Fino ad allora Gilbert aveva pensato di trovarsi in un piacevole limbo ma, non appena calò l’oscurità, fu costretto a ricredersi. Persino Caleb, che nel frattempo aveva indossato il suo mantello che gli permetteva di celarsi più facilmente nell’ombra, aveva uno sguardo diverso. Sembrava profondamente concentrato e determinato.

Vagarono per le tetre e desolate vie della città, che fino a poche ore addietro erano state colme di vita e di profumi intensi. Non si udiva più nulla, il borgo sembrava pietrificato per effetto di un incantesimo di un potente mago. L’unico suono che si udiva, oltre a quello dei loro passi e di qualche cane randagio che ululava alla luna, era quello di un lieve battito d’ali.

Piccioni, forse?” pensò Gilbert, nonostante quel rumore fosse diverso da quello che producevano solitamente quelle odiose creature.

Si erano da poco distaccati dal centro cittadino e, tramite l’intricato labirinto delle vie subalterne del quartiere povero, erano giunti al limite della città: la chiesetta sconsacrata che intendevano raggiungere si trovava a diversi minuti di cammino ma, col favore delle tenebre, intendevano noleggiare dei cavalli per raggiungere più celermente il loro obiettivo. In tal modo avrebbero avuto una via di fuga più sicura, nel caso la situazione fosse precipitata.

Ad un tratto, entrambi udirono una voce.

«Cercate qualcosa, ragazzi?»

Si voltarono all’unisono in direzione della fonte di quel suono e, tra i radi riflessi dei lampioni situati nelle vie principali, vi scorsero Lotti, ammantata di tenebre e del suo sorriso più mellifluo.

«Che piacere rivederti, Gilbert Nightray. Non dovresti essere al fianco del tuo padroncino, come ogni bravo cagnolino?» lo stuzzicò, per poi rivolgersi a Caleb «E tu, non ti avevo chiesto cortesemente di smetterla di seguirmi?»

«Oh, volevi che non ti seguissi? Perdonami, devo aver frainteso perché, dai tuoi passi goffi ed impacciati, credevo che mi avessi invitato a fare il contrario.»

Se l’intento di Caleb è quello di far infuriare Lotti.” pensava Gilbert Ci sta riuscendo alla perfezione.”

«Peccato, avrei voluto lasciarti andare indenne, ma pare che prima ti debba insegnare qual è il tuo posto.» accompagnò le sue minacce con un gesto ampio e teatrale del braccio destro, poi invocò il nome del suo Chain.

«Leon, insegna a questo stolto come ci si rivolge ad una signora!»

Sia Caleb che Gilbert riuscirono a schivare per un soffio l’assalto del leone.

«Signora? Perché, tu ne vedi una in giro, Gilbert?» chiese divertito l’informatore.

«Leon, staccagli quanto meno un braccio!»

«La vuoi piantare di provocarla?» fece seccato e preoccupato Gilbert, mentre tentava invano di colpire il Chain con i proiettili della sua pistola.

«Tu, piuttosto, invece di criticare, prova ad abbatterlo! Non sei qui per difendermi?»

«La fai facile tu! Non riesco a prendere la mira: è troppo veloce.» rispose lui, mandando a vuoto un altro colpo.

Era una lotta disperata: per quanto Gilbert si impegnasse, sapeva benissimo che, senza Chain, non potevano fronteggiare la forza delle creature generate dall’Abisso. Raven avrebbe potuto toglierli facilmente d’impiccio, ma il ragazzo era tenuto a freno dal sigillo che bloccava il potere del B-Rabbit: se avesse invocato il Chain, Oz avrebbe sofferto ed il limiter imposto su Alice si sarebbe infranto. Non poteva permettere un’eventualità simile. Potevano dunque limitarsi a schivare gli affondi dell’enorme creatura, consapevoli che non avrebbero resistito ancora a lungo.

«Ora basta, mi sono stufata, Leon smettila di giocare e finiscili!» ordinò infatti la Baskerville, pregustando la fine di quel giochetto che la vedeva già trionfante.

Il Chain, che fino a quel momento si era concentrato su Caleb, non appena notò Gilbert occupato a ricaricare la pistola, cambiò direzione e con un balzo si apprestò a sferrare una zampata all’uomo.

Maledizione, è troppo vicino! Non ce la farò a schivarlo!” riuscì a pensare il Nightray, mentre tentava inutilmente di parare il colpo proteggendosi con le braccia.

Tuttavia, gli artigli del leone non riuscirono a raggiungerlo, poiché qualcuno si era frapposto tra i due. Caleb era corso immediatamente in direzione di Gilbert e, dato che non ebbe il tempo di pensare ad altro, decise di spingere da parte il giovane e, così facendo, si ritrovò sulla traiettoria del Chain.

Il Nightray vide il leone colpire al braccio sinistro il ragazzo, che cadde all’indietro a causa della forza d’urto. Subito Gilbert corse verso di lui, dimenticandosi completamente del Chain.

«Ehi! Stai bene? Ma che diavolo ti è saltato in mente?!»

L’altro si limitò a biascicare poche parole strozzate per il dolore.

«Non... urlare... mi spacchi i timpani...»

Gli occhi di Caleb, dapprima serrati per l’acuta fitta all’arto, si puntarono su quelli del Chain, che li osservava, pronto a dargli il colpo di grazia. Stava giusto apprestandosi a lanciarsi sui due, quando la ragazza parlò.

«Leon, basta così.» disse, lasciando di stucco gli astanti «Non mi diverto più.»

Puntò le iridi rosa su Caleb e Gilbert, per poi voltarsi e sparire, inghiottita dalle tenebre. Mentre si allontanava, pensò che anche lei si sarebbe fatta volentieri uccidere, pur di proteggere Glen Baskerville. Ripensò anche a ciò che aveva assistito cento anni fa, proprio a causa di un gesto disperato d’amore… eppure, nonostante questo, non riusciva ad uccidere a sangue freddo due persone indifese che si facevano scudo disperatamente l’un l’altra. Non voleva mai più macchiarsi le mani di rosso innocente.

«Quanto sono stupida!» mormorò tra i denti.

 

 

MEANDRO DELL’AUTRICE:



It’s been a long day, without you my friend...

Coff, coff, scusatemi, ma questa citazione ci stava troppo, visto il lungo tempo trascorso. XD

Come state, fan di Pandora Hearts? È da un secolo che non mi aggiro più tra i vostri lidi: che malinconia!

Dopo ben 12 anni dalla sua prima pubblicazione, vi ripropongo la mia long, ovviamente rivisitata e corretta. Alcuni elementi rimarranno invariati, ma troverete notevoli differenze. Intanto, i capitoli saranno decisamente più ricchi (ora che ho 30 anni, il mio stile si è drasticamente evoluto), la trama risulterà inoltre molto più complessa ed articolata e, per non farci mancare nulla, avremo anche dei nuovi OC.

Che bello tornare a scrivere… e tanto! Mamma mia, ho scritto il doppio, se non triplo rispetto al passato! È incredibile quanti dettagli si possono aggiungere, quando ci si rende conto di voler narrare i fatti in maniera più dettagliata: vestiti, sentimenti, luoghi. Troppe cose! xD

Ma soprattutto: i nomi. Chi è fan della serie dai suoi esordi (o quantomeno, se la ricorda vagamente, dato che parliamo di un secolo xD) saprà che inizialmente il nostro informatore misterioso aveva un altro nome: Mark. E basta. Niente cognome, non ne era degno.

No, scherzo, non ero tanto tonta, semplicemente avevo ragionato sul fatto che, essendo un ragazzo che deve muoversi nell’ombra, meno rivelava di sé e meglio era. A questo giro, però, ho voluto cambiare le carte in tavola. Anche perché un cognome, seppur fittizio, può tornare utile in più occasioni.

Anzitutto via Mark (un nome che mi piaceva, ma scelto assolutamente a caso) e diamo il benvenuto a Caleb. Di origine ebraica, che può significare sia “cane” con connotazione positiva (ovvero “fedele come un cane”) oppure più cattiva (“furioso come un cane”). Questa dualità del nome mi piaceva assai. Per il cognome, Bauer, mi sono rifatta ai cognomi tipici germanici, in particolare austriaci. Essendo la famiglia Barma straniera (ed avendo scelto di ambientare le vicende in Inghilterra), ho deciso che la sua terra d’origine fosse l’Austria. So che, teoricamente, la maestra Jun aveva scelto un luogo più orientale, ma il suono Barma mi ha sempre dato vibes tedesche. Perciò, così è.

Intanto vi ringrazio per aver letto fin qui, lasciate una recensione se vi va, così che possa capire se ho vaneggiato per anni o se, invece, qualcosa di buono ne ho cavato fuori, alla fin fine. xD

Infine, che siate miei vecchi fan o nuovi lettori, vi dò il benvenuto in questa nuovissima avventura: spero che possiate divertirvi ed emozionarvi, almeno la metà di quanto io mi sia divertita nel scriverla!

Ci vediamo dunque il prossimo sabato, per la pubblicazione del capitolo 2: Revelation - Il medico Clandestino: Cassidy - !

Have fun,



Moni =)



PS: Ho tentato di mantenere la temporalità ed i luoghi canonici della saga, ma naturalmente per esigenze narrative e per approfondire alcuni eventi e/o personaggi non mi è stato possibile. Questo perché, inevitabilmente, ad ogni cambiamento corrispondeva la stessa, intrigante, domanda che, sin dal principio, mi ha spinto a scrivere. Ovvero: E se… ?

PSS: Si ringrazia sentitamente Aetheria_Nyx per le interminabili lezioni e revisioni dei titoli nobiliari e non solo! Senza di lei, non ne avrei azzeccata mezza e questa storia non avrebbe la complessità (e la correttezza grammaticale xD) che invece le spetta.

   
 
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