Scritta per il concorso indetto da NekoRika col prompt di illustrarsi una fanfic, con la matita o la macchina fotografica. Alla fine c'eravamo solo Harriet - che ha vinto - ed io, ma gente, vi siete persi uno spasso. Vabbe'. E crosspostata per "Conetti" su True Colors.
Tolte le foto in cosplay che non valevano, tolte le fanart per pigrizia, m'è rimasto il lamer-fandom da fotografare in tutto il suo splendore. Splendore qui ridotto a thumbnail, che linka alle foto 400x300.
Partita con tutt'altra idea (qui, terzo capitolo!), le vacanze estive hanno fornito abbondanza di materiale inaspettato... e poi corre voce che per fanfic100 si debbano prendere in considerazione tutti i protagonisti del claim. Dopo le firemarble e Watson, dunque, non può che essere il turno dei... coni.
Io non... cioè, c'è veramente bisogno di disclaimer? Io sono io, i coni sono di chi li ha comprati e D'ni è D'ni...
Con la speranza che non torni mai, mai più d'attualità
Coni per la Restaurazione di D'ni
] The little ones rebuild;
] The little ones remove;
] The little ones give back.
(Words, 4:76÷79)
Prologo: Nella città del silenzio profondo
Una giovane cammina per le strade della grande città sotterranea di D'ni, ultima delle centinaia di viaggiatori che l'hanno percorsa negli anni passati. Segue le tracce di questi visitatori – orme sulla polvere, sedie rovesciate, fotografie – ma sono tutti andati, tutti scomparsi. Cercava risposte razionali alla nostalgia feroce che l'ha portata fin qui; ora si trova dissolta nell'immensità delle rovine, schiacciata sotto i colpi di quello stesso richiamo, che nasce da D'ni e in D'ni non si quieta, ma frastorna e piega. La sua eco non trova ostacoli nella caverna silenziosa.
Scopre che il sogno di una
restaurazione era finito da prima che lei ne sentisse la voce, senza
sipario e senza applausi: “L'ultimo gruppo parte alle
cinque”,
recita ancora, laconico, l'avviso rimasto acceso da mesi su un
proiettore. È arrivata tardi ed è sola.
Non li nota subito.
Nei primi tempi c'è solo il silenzio nerissimo della
sconfitta che
ricopre tutto come una cappa – e tuttavia loro sono
lì. Gruppetti
muti e immobili chini su una crepa. Sentinelle sui tetti e
all'estremità del porto. File di pellegrini in vista
dell'Arco,
incuranti dell'acqua che li lambisce.
Immancabilmente, ai margini
della restaurazione, dove il lavoro degli uomini si è
interrotto,
loro si radunano.
La giovane indietreggia cauta e si
siede su un muro franato. Senza perderli di vista, cerca con una mano
il taccuino e la penna alla cintura.
1. Fantasmi arancioni su lago rossastro
C'è un luogo,
nella grande caverna
sotterranea, in cui l'imponenza dell'Arco di Kerath viene ridotta a
un baluginio sfuocato all'orizzonte. C'è un luogo in cui le
sole
luci che si riflettono sull'acqua sono le lampade che adornano i
quartieri esterni, alte sopra la superficie, come sostitute delle
stelle, appese fra gli scogli e la volta carica di vapori. Dove
l'unico suono è quello della risacca.
C'è un luogo dove il
mistero del lago si rivela solo agli sguardi attenti.
Un cono
lo segnala, inchiodato a una tavola galleggiante.
In questo luogo
buio, il cono cerca. Il cono osserva. Il cono è fedele al
suo ruolo:
fissa il suo mistero, un punto scuro che lentamente si muove fra le
isole. Lo vede stagliarsi sulla foschia rossastra. A volte distingue
una prua, a volte un remo alzarsi dall'acqua, o un timone che non
può
confondere con i piccoli scogli che conosce bene, uno per uno, da
osservatore esperto, e certo diversi dalle grandi rocce aguzze con i
loro edifici arroccati in rovina.
Se solo il cono fosse lì, ora,
fuori da uno dei porticcioli di quelle ville, potrebbe essere un
passo più vicino al centro del lago, la grande Ae'gura
luminosa che
ha visto solo di sfuggita, anni prima. Se riuscisse ad essere
lì,
vicino a quella barca, potrebbe riuscire forse ad agganciarsi alla
sua poppa e poi chissà.
Il cono ha osservato le increspature del
lago e sa che c'è una corrente che porta verso l'acqua alta,
verso
la sua meta. Ogni giorno attende che la corrente lo prenda. Ogni
giorno la sua posizione è la stessa, perché il
cono non sa che le
increspature che osserva sono solo il tocco discreto delle grandi
ventole che danno aria alla Caverna, mentre l'acqua in
profondità è
calma. Né sa della catena che lo lega al fondale.
Le onde
lambiscono la sua tavola, cullandolo in un impercettibile beccheggio.
D'ni tace. Il cono sogna.
Nel sogno, sul fondo della barca
lontana, dimentico della riva e dello scorrere del tempo, riposa un
cono incrostato d'alghe.
2. Luci sopra il tunnel
Trenta.
C'è una strada che porta
lontano da D'ni. Inizia dal lago e si aggira titubante per le grotte
che lo circondano, porgendo loro omaggi affrettati e poi correndo su,
su ad arrotolarsi come un solenoide fino a sboccare in superficie.
Ventisei.
Non è questo che interessa ai coni: questo è il
sentiero del loro passato, che percorsero impilati, dentro a un
sacco. Non torneranno indietro. Ma quell'unico sentiero si specchia
in imprevedibili riflessi di se stesso quando i lisci tunnel scavati
dai D'ni, ricoperti dal nara indistruttibile, si
aprono su un
fiorire di percorsi abbandonati che solo un viandante frettoloso
avrebbe il coraggio di chiamare vicoli ciechi. Ventuno. Cieco sarebbe
chi non ne vedesse i bagliori, le formazioni calcaree, gli
strapiombi: c'è maggior bellezza in questi angoli
dimenticati che, a
volte, in tutta un'Era concepita da Scrittori modesti. Diciassette.
E gli spazi che la terra si è presa, i guizzi di vita del
vulcano sotto cui tutto riposa, hanno creato nuove vie. Nuovi pertugi
a grandezza di cono.
Quest'arco non è recente. Tredici. La
sua grandezza parla delle antiche scavatrici D'ni, che masticavano la
pietra per poi restituirla sotto forma di rivestimento denso, lucido
e nero. Ma quelle sono ferme ad arrugginire da secoli, lontano da
qui, e non ci sono bocche meccaniche che liberino il passaggio dai
nuovi detriti gettati da chissà che sisma, chissà
quanti anni fa.
Un cono fissa la strada interrotta. Dieci. Cosa si nasconde al di
là di quei sassi? I D'ni avevano ritenuto importante
scoprirlo,
aprendo per primi quel passaggio. Duecent'anni dopo, il DRC aveva
ritenuto importante scoprirlo, portando ai suoi piedi dell'esplosivo
per un progetto che poi perse priorità e infine venne
dimenticato.
Otto. Altri coni lo scopriranno.
Non lui, che pure spera. Non
lui, che accetta di essere un tassello di un progetto più
grande.
Il cono poggia sull'innesco e osserva un'ultima volta l'arco
rovinato perché in cinque quattro tre due...
Il cono viene
avvolto da pesanti ali di cuoio e intorno a lui è buio
– il boato
che sente non è già più quello
dell'esplosione, mentre il mondo
scompare e si riforma oltre la forma massiccia che l'ha afferrato.
Le ali si ritraggono con uno stridio e non è più
buio. Lo
circondano montagne dai secchi profili triangolari, mentre un cielo
arancione intenso si stria di nuvole bianche.
L'Era Perfetta dei
coni, o l'umorismo compassionevole di un Bahro.
3. Vecchia guardia
Le Ere Giardino di D'ni.
Che il nome
non tragga in inganno: c'è poco di docile nella loro natura,
che
resta l'unica giardiniera di se stessa.
Le rare fontane, statue o
panchine di cui sono punteggiate riflettono solo, nella loro
austerità, la fierezza della flora che le circonda. Il
talento degli
Scrittori che osarono sognarle fu quello di saper cogliere i frutti
più belli del Grande Albero delle Possibilità
– quello che
ottennero dopo, in confronto, ammonta a poco più che
lucidarli sulla
manica della camicia, come volgari mele, prima di offrirli ai loro
re.
Di tutto questo, però, un cono solitario non conosce altro
che neve. È capitato che, tremila anni dopo la sua
scrittura, una
morsa glaciale stringesse un mondo che era stato pensato per regalare
brezza, pioggerelline e romantiche nebbie. Il cono ricorda ancora il
calore della mano grassoccia che l'ha appoggiato lì, a
fianco di una
colonna spezzata; poi solo gelo. Neve sopra di lui e neve dentro di
lui, mentre lentamente affondava nella coltre.
L'inverno senza
fine l'ha indurito. La sua gomma è screpolata e stinta; la
grandine
gli ha preso la cima e il vento se l'è portata via.
E ora la
pioggia, la prima pioggia che sente cadere dacché
è qui, si prende
molto altro. Perché la pioggia scioglie la neve, disfa il
manto
bianchissimo che prima formava un contrasto elegante col cielo, che
è
sempre scuro per via dell'atmosfera fina incapace di trattenere
troppa luce del giorno.
La pioggia mostra chiazze d'ignoto.
Chiazze di vita, anche se non è facile stabilire, da
lontano, se
le forme scure nella valle sono solo resti d'alberi o se la loro
linfa è sopravvissuta al freddo. È dal buio che
nascondono che
arriverà il pericolo. Il cono non sa quando e non sa in che
forma.
Ma, se la mano grassoccia l'ha piazzato lì, significa che un
pericolo c'è: che fra la civiltà della sua
colonna spezzata e
l'Oltre c'è un limite che non deve venir valicato.
Quando il
pericolo arriverà, quando graffierà o
arrancherà o salterà in
un'orda indefinita, il cono terrà la sua posizione.
È rimasto saldo
fino ad adesso in attesa di rinforzi o di una mano amica. Quando il
pericolo arriverà, sa che nessuno sarà al suo
fianco.
La
pioggia scioglie l'ultima neve sulla sua base; l'aria è
pesante e
carica di presagi.
Dalla sua altura, contempla la selva: se non
oggi, domani arriveranno. O il giorno dopo. O dopo ancora.
Una
libellula lo sfiora ronzando. Ignora il suo avviso accorato e
sparisce, subito inghiottita dal buio.
Il cono è solo.
4. Lo spazio del mondo che muta
In principio trovarono
un'Era
silenziosa e azzurra. C'era un anello di terra popolato di rocce e
panciuti alberi in fiore e poco altro: al centro dell'anello un
indicatore, anche se non era dato sapere cosa misurasse, e al di
fuori sparute accozzaglie di invitanti rovine traforate. Ma il mare
era governato da forti correnti e i coni non sono, di natura,
temerari.
Ciononostante, non faticarono a restar saldi nel
confronto con la vivace popolazione di granchi dell'isola: appena le
bestiole videro i nuovi arrivati arretrarono con gli occhioni
spalancati e zampettarono a rifugiarsi in acqua, terrorizzati dal
faretto da speleologo che risplendeva in cima al capo spedizione.
Quando i coni tornarono, il mondo era cambiato. Il mare si
era ritirato, lasciando spazio a una nebbia scura, e in lontananza
s'inseguivano i lampi.
È cambiato ancora. Ora il gruppetto,
spaesato, si affaccia su un'infinità stellata, mentre
dell'isola e
dei suoi granchi rimane solo qualche asteroide circondato da un alone
di polvere cosmica.
Il tempo, qui, sembra contrarsi secondo
un volere più alto, i cui intenti sfuggono ai coni. E sembra
aver
trovato pace, dopo tanto correre e tanto distruggere: l'inquietudine
originaria dell'acqua, sfociata in tempesta, si è disgregata
assieme
a tutto il resto. Quel che rimane è un ammasso di rocce
finalmente
immobile, trampolino verso una possibilità che, quella no,
alla
pattuglia non è sfuggita. Ora hanno la
possibilità di andare
semplicemente oltre, in un modo che agli uomini non
è mai
stato permesso.
Il primo cono cade dal bordo irregolare
dell'asteroide.
Fluttua?
Lo spazio è caldo e accogliente,
vivo.
Ricco di atmosfera che lo sfiora mentre cade.
È uno
spazio benevolo che unisce tutti i mondi.
E le stelle che li
illuminano.
Che si fanno più vicine...
Sempre più vicine.
Il rumore alla fine dell'universo è TOINK.
Il cono è
atterrato su una piastra metallica nera, ravvivata dalle macchie di
vernice fosforescente delle stelle. Il cielo è dipinto.
Da oltre
quel limite ferroso proviene un suono sordo e attutito, come il
brontolio di una cascata.
E lontano sopra di lui, come una
cometa luminosa, balena ancora il faretto da speleologo del capo
spedizione.
5. Straniero!
Prima o poi doveva
succedere.
I
rami del Grande Albero delle Possibilità crescono e
s'intrecciano
verso il cielo che copre tutte le Ere, fioriscono e divergono, e ogni
singolarità trova il suo posto sotto le sue fronde
rigogliose.
Può
però accadere che anche due rami infinitamente lontani in
quel
coagulo di universi prendano pieghe molto, molto simili.
Capita
così che una pattuglia di coni vigili all'ingresso di un'Era
in
rovina, abbandonata dalla sua gente chissà quanti anni fa.
Su tutto
riposa indisturbata una polvere color ocra, che solo all'orizzonte si
stempera in un grigio freddissimo prima di perdersi nel giallo del
cielo. C'è un mare, là in fondo? O s'intravede la
pietra di città
sopravvissute? Delle spore fluttuano riunite in coaguli spumosi, come
fitte nevicate fuori stagione. Se sfiorano un cono, però,
non vi si
posano, sospinte via da un soffio di vento improvviso. E loro, i
coni, restano lì: arancioni, vigili e immoti, al centro di
uno
spiazzo rialzato, circondati da relitti d'ocra di una tecnologia che
fu: cavi erosi e interrotti, cumuli indistinti d'ingranaggi, grandi
dentature metalliche slogate dai loro sostegni.
E l'Intruso.
L'Intruso è un guardiano, come loro. Pacato e composto al
margine di una scarpata.
Conico, com'è giusto che sia.
Giallo
squillante.
Ahrotan,
risuona il timore non detto, una cappa di sgomento sulla piccola
pattuglia: abitante di superficie.
Ahrotan, l'Altro, l'Inferiore.
Millenni di storia ricadono
sui coni di D'ni, millenni d'ingiustizia. E, su tutti, la voce della
ragazza eterna che risuona a volte negli angoli più remoti
della
Città, mettendo in guardia chiunque l'ascolti, o forse se
stessa,
dai pericoli dell'orgoglio.
Ma i suoi moniti cadono su orecchie
di gomma. Gli ultimi abitanti di D'ni non prendono, non donano e non
restituiscono. Non sono Ultimi né Primi: sono coni.
Guardano
lo straniero da pari a pari, fissi e sereni. Una nuvola di spore
volteggia fra loro e va a posarsi poco oltre.
Shorah?
Epilogo: La forma del purgatorio
“È
interessante notare che, da
quel viaggio nel 1992 fino ad oggi, la città non
è mai stata
completamente disabitata”, aveva detto Watson.
“D'ni, la
città delle Ere, di altri mondi morì. Ma ora
torna a respirare –
attende”, gli aveva fatto eco Yeesha.
Ma gli esploratori di
Yeesha oggi dormono in pace nei loro letti sparsi su cinque
continenti: incapaci di 'costruire una casa', come aveva auspicato
nel suo addio, sono tornati alle proprie. E il DRC di Watson se
n'è
andato, da allora: è tornato in superficie a lottare con i
suoi
dubbi, a mettere altri coni di fronte alle sue paure.
Eppure
avevano ragione. Quel che è rimasto in città non
ha i tempi
affannati degli uomini, è più affine alla pietra
e con essa
ragiona, fissa, capisce. La città non guarisce, ma riposa. I
coni
scavano i loro tempi e le loro storie, fra le nicchie delle pareti,
su ponti spezzati e sotto scale, muovendosi lungo geometrie note a
loro soltanto. Si riuniscono in gruppi a contornare una crepa che non
riempiranno, o sono guardiani di strade vuote, o di un lago che non
riprende luce.
L'Arco osserva gli osservatori.
C'è un
senso di attesa che grava.
Di colpe di altri scontate.
La
giovane chiude il taccuino coi nuovi disegni e le storie annotate.
Tempo di andare.
Alle sue spalle, il silenzio di un cono che si
muove.
(Words, 4:81)
Il punto è sempre quello: The gathered are known by their faces of stone, come dice Words e Zandi cita. Cioè la faccia di tolla di sparare le peggio cretinate a muso serissimo (e dare di rimando la colpa a Words perché ZOMG ERA TUTTO GIA' SCRITTO)... ...cioè, coni. Gh. Note:
@ schema di presentazione: Volevo mettere nell'intro anche un "Per arrivare là dove nessun cono è mai giunto prima!", da pronunciarsi à la William Shatnercone, ma meglio l'Albero dei coni, alla fine. M'immagino l'Osservatore un po' spaesato dalla visione... Il genere invece è Avventura e Malin-conico, ovviamente. What else?
@ Fantasmi arancioni ecc: il mistero della barca c'è davvero. La si è potuta vedere (la gif non è mia, viene da UruObsession) per qualche tempo dalle finestre dei Quartieri, ma nessuno ha mai scoperto chi traghettasse da dove a dove. "Un cono" mi sembra una risposta dignitosa come tante altre.
@ Luci sopra il tunnel: il percorso per la superficie è qui documentato. Per l'ebbrezza di farsi scarrozzare da un Bahro, rimando a EoA.
@ Vecchia guardia: Era giardino random. La mano grassoccia potrebbe appartenere a chi pensate voi come anche no.
@ Lo spazio del mondo che muta: Ahnonay, Ahnonay, perché sei tu Ahnonay? (ma secondo voi, le stelline di Space Ahnonay erano dipinte su con la vernice fluorescente, come gli adesivi? Guardate che son domande...)
@ Straniero!: Il Grande Albero delle Possibilità da cui si dipanano tutte le Ere è il cardine della simbologia D'ni. Shorah è semplicemente 'salve', il mio D'ni non va molto oltre ma fin qui ci arrivo. La 'ragazza eterna' fa i 194 quest'anno e li porta benino, direi. E direi anche che un avvistamento in Caverna del 2007 overrula End of Ages in merito al suo aspetto, sì?
@ Epilogo: le citazioni sono loro (traduzione del Quartiere Italiano per la prima, mia per la seconda). "Find a way. Make a home." è stato l'ultimo avviso di Yeesha. E la forma del Purgatorio, secondo Dante, è... ebbene sì...
E ORA, IL FANTASTICO ANGOLO DELLA CODA DI PAGLIA.
@ giugno 2007: QUALE GIUGNO 2007. IO NON C'ERO E ANCHE SE CI FOSSI STATA ERO TROPPO IMPEGNATA AD ARRABBIARMI CON TWILIGHT PRINCESS.
Ciò premesso... la soluzione mi sembra elementare, Wats...*cough* beh, mi sembra elementare e basta, non chiamiamo in causa gente che c'entra sempre fin troppo. '_'
L'esploratrice vede ancora i coni in Città perché SI TROVA IN UNA DANNATA ISTANZA. Li vedete voi ora i coni, linkando dalla vostra Relto? Sì? Ecco, anche lei. E il DRC li avrà riposti in qualche sgabuzzino, no? Non li avrà mica riportati fino in superficie, spero, sarebbe stata una sfacchinata inutile. QUINDI nelle storie inventate dall'esploratrice (che in fondo di istanze che cappio ne sa, è lì dal 2008) sono SEMPLICEMENTE USCITI DA LI'. La presenza dei coni post-2008 tiene su entrambi i piani della narrazione. Ogni tentativo bislacco di mandarmi fuori canone dei dannati coni sarà bypassato in modi altrettanto bislacchi. è_é
Questo insegna anche a controllare MYSTlore in fase di progettazione e non il giorno dopo aver consegnato. Anche per dei dannati coni, sì.