Videogiochi > Myst
Ricorda la storia  |      
Autore: crimsontriforce    14/09/2009    5 recensioni
Cresce un nuovo albero ed è arancione catarifrangente.
Genere: Malinconico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '4. Dalle rovine della città profonda'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa fanfic è stata selezionata da Mario Gerosa per la pubblicazione nella sua Antologia della web-letteratura italiana ed è stata pubblicata con il consenso esplicito di Cyan Worlds (via Tony, con intervento di San RAWA martirizzato dagli MP petulanti). Per aver acconsentito a prestare i diritti così, giusto per far felice una fanwriter, Cyan è da amare e adorare ancor più di prima. E... coni in un'antologia, oh yesss.

Scritta per il concorso indetto da NekoRika col prompt di illustrarsi una fanfic, con la matita o la macchina fotografica. Alla fine c'eravamo solo Harriet - che ha vinto - ed io, ma gente, vi siete persi uno spasso. Vabbe'. E crosspostata per "Conetti" su True Colors.
Tolte le foto in cosplay che non valevano, tolte le fanart per pigrizia, m'è rimasto il lamer-fandom da fotografare in tutto il suo splendore. Splendore qui ridotto a thumbnail, che linka alle foto 400x300.
Partita con tutt'altra idea (qui, terzo capitolo!), le vacanze estive hanno fornito abbondanza di materiale inaspettato... e poi corre voce che per fanfic100 si debbano prendere in considerazione tutti i protagonisti del claim. Dopo le firemarble e Watson, dunque, non può che essere il turno dei... coni.




Io non... cioè, c'è veramente bisogno di disclaimer? Io sono io, i coni sono di chi li ha comprati e D'ni è D'ni...












Questa storia è nata in una Caverna vuota.
Con la speranza che non torni mai, mai più d'attualità


Coni per la Restaurazione di D'ni




] The little ones destroy;  
] The little ones rebuild;   
] The little ones remove;  
] The little ones give back.
(Words, 4:76÷79)





Prologo: Nella città del silenzio profondo



Una giovane cammina per le strade della grande città sotterranea di D'ni, ultima delle centinaia di viaggiatori che l'hanno percorsa negli anni passati. Segue le tracce di questi visitatori – orme sulla polvere, sedie rovesciate, fotografie – ma sono tutti andati, tutti scomparsi. Cercava risposte razionali alla nostalgia feroce che l'ha portata fin qui; ora si trova dissolta nell'immensità delle rovine, schiacciata sotto i colpi di quello stesso richiamo, che nasce da D'ni e in D'ni non si quieta, ma frastorna e piega. La sua eco non trova ostacoli nella caverna silenziosa.

Scopre che il sogno di una restaurazione era finito da prima che lei ne sentisse la voce, senza sipario e senza applausi: “L'ultimo gruppo parte alle cinque”, recita ancora, laconico, l'avviso rimasto acceso da mesi su un proiettore. È arrivata tardi ed è sola.

Non li nota subito. Nei primi tempi c'è solo il silenzio nerissimo della sconfitta che ricopre tutto come una cappa – e tuttavia loro sono lì. Gruppetti muti e immobili chini su una crepa. Sentinelle sui tetti e all'estremità del porto. File di pellegrini in vista dell'Arco, incuranti dell'acqua che li lambisce.
Immancabilmente, ai margini della restaurazione, dove il lavoro degli uomini si è interrotto, loro si radunano.



La giovane indietreggia cauta e si siede su un muro franato. Senza perderli di vista, cerca con una mano il taccuino e la penna alla cintura.














1. Fantasmi arancioni su lago rossastro



C'è un luogo, nella grande caverna sotterranea, in cui l'imponenza dell'Arco di Kerath viene ridotta a un baluginio sfuocato all'orizzonte. C'è un luogo in cui le sole luci che si riflettono sull'acqua sono le lampade che adornano i quartieri esterni, alte sopra la superficie, come sostitute delle stelle, appese fra gli scogli e la volta carica di vapori. Dove l'unico suono è quello della risacca.
C'è un luogo dove il mistero del lago si rivela solo agli sguardi attenti.

Un cono lo segnala, inchiodato a una tavola galleggiante.
In questo luogo buio, il cono cerca. Il cono osserva. Il cono è fedele al suo ruolo: fissa il suo mistero, un punto scuro che lentamente si muove fra le isole. Lo vede stagliarsi sulla foschia rossastra. A volte distingue una prua, a volte un remo alzarsi dall'acqua, o un timone che non può confondere con i piccoli scogli che conosce bene, uno per uno, da osservatore esperto, e certo diversi dalle grandi rocce aguzze con i loro edifici arroccati in rovina.
Se solo il cono fosse lì, ora, fuori da uno dei porticcioli di quelle ville, potrebbe essere un passo più vicino al centro del lago, la grande Ae'gura luminosa che ha visto solo di sfuggita, anni prima. Se riuscisse ad essere lì, vicino a quella barca, potrebbe riuscire forse ad agganciarsi alla sua poppa e poi chissà.
Il cono ha osservato le increspature del lago e sa che c'è una corrente che porta verso l'acqua alta, verso la sua meta. Ogni giorno attende che la corrente lo prenda. Ogni giorno la sua posizione è la stessa, perché il cono non sa che le increspature che osserva sono solo il tocco discreto delle grandi ventole che danno aria alla Caverna, mentre l'acqua in profondità è calma. Né sa della catena che lo lega al fondale.
Le onde lambiscono la sua tavola, cullandolo in un impercettibile beccheggio. D'ni tace. Il cono sogna.

Nel sogno, sul fondo della barca lontana, dimentico della riva e dello scorrere del tempo, riposa un cono incrostato d'alghe.







Con'rad












2. Luci sopra il tunnel



Trenta.
C'è una strada che porta lontano da D'ni. Inizia dal lago e si aggira titubante per le grotte che lo circondano, porgendo loro omaggi affrettati e poi correndo su, su ad arrotolarsi come un solenoide fino a sboccare in superficie. Ventisei.
Non è questo che interessa ai coni: questo è il sentiero del loro passato, che percorsero impilati, dentro a un sacco. Non torneranno indietro. Ma quell'unico sentiero si specchia in imprevedibili riflessi di se stesso quando i lisci tunnel scavati dai D'ni, ricoperti dal nara indistruttibile, si aprono su un fiorire di percorsi abbandonati che solo un viandante frettoloso avrebbe il coraggio di chiamare vicoli ciechi. Ventuno. Cieco sarebbe chi non ne vedesse i bagliori, le formazioni calcaree, gli strapiombi: c'è maggior bellezza in questi angoli dimenticati che, a volte, in tutta un'Era concepita da Scrittori modesti. Diciassette.
E gli spazi che la terra si è presa, i guizzi di vita del vulcano sotto cui tutto riposa, hanno creato nuove vie. Nuovi pertugi a grandezza di cono.

Quest'arco non è recente. Tredici. La sua grandezza parla delle antiche scavatrici D'ni, che masticavano la pietra per poi restituirla sotto forma di rivestimento denso, lucido e nero. Ma quelle sono ferme ad arrugginire da secoli, lontano da qui, e non ci sono bocche meccaniche che liberino il passaggio dai nuovi detriti gettati da chissà che sisma, chissà quanti anni fa.
Un cono fissa la strada interrotta. Dieci. Cosa si nasconde al di là di quei sassi? I D'ni avevano ritenuto importante scoprirlo, aprendo per primi quel passaggio. Duecent'anni dopo, il DRC aveva ritenuto importante scoprirlo, portando ai suoi piedi dell'esplosivo per un progetto che poi perse priorità e infine venne dimenticato. Otto. Altri coni lo scopriranno.
Non lui, che pure spera. Non lui, che accetta di essere un tassello di un progetto più grande.
Il cono poggia sull'innesco e osserva un'ultima volta l'arco rovinato perché in cinque quattro tre due...

Il cono viene avvolto da pesanti ali di cuoio e intorno a lui è buio – il boato che sente non è già più quello dell'esplosione, mentre il mondo scompare e si riforma oltre la forma massiccia che l'ha afferrato.
Le ali si ritraggono con uno stridio e non è più buio. Lo circondano montagne dai secchi profili triangolari, mentre un cielo arancione intenso si stria di nuvole bianche.
L'Era Perfetta dei coni, o l'umorismo compassionevole di un Bahro.







Con'cetta












3. Vecchia guardia



Le Ere Giardino di D'ni. Che il nome non tragga in inganno: c'è poco di docile nella loro natura, che resta l'unica giardiniera di se stessa.
Le rare fontane, statue o panchine di cui sono punteggiate riflettono solo, nella loro austerità, la fierezza della flora che le circonda. Il talento degli Scrittori che osarono sognarle fu quello di saper cogliere i frutti più belli del Grande Albero delle Possibilità – quello che ottennero dopo, in confronto, ammonta a poco più che lucidarli sulla manica della camicia, come volgari mele, prima di offrirli ai loro re.
Di tutto questo, però, un cono solitario non conosce altro che neve. È capitato che, tremila anni dopo la sua scrittura, una morsa glaciale stringesse un mondo che era stato pensato per regalare brezza, pioggerelline e romantiche nebbie. Il cono ricorda ancora il calore della mano grassoccia che l'ha appoggiato lì, a fianco di una colonna spezzata; poi solo gelo. Neve sopra di lui e neve dentro di lui, mentre lentamente affondava nella coltre.
L'inverno senza fine l'ha indurito. La sua gomma è screpolata e stinta; la grandine gli ha preso la cima e il vento se l'è portata via.

E ora la pioggia, la prima pioggia che sente cadere dacché è qui, si prende molto altro. Perché la pioggia scioglie la neve, disfa il manto bianchissimo che prima formava un contrasto elegante col cielo, che è sempre scuro per via dell'atmosfera fina incapace di trattenere troppa luce del giorno.
La pioggia mostra chiazze d'ignoto.
Chiazze di vita, anche se non è facile stabilire, da lontano, se le forme scure nella valle sono solo resti d'alberi o se la loro linfa è sopravvissuta al freddo. È dal buio che nascondono che arriverà il pericolo. Il cono non sa quando e non sa in che forma. Ma, se la mano grassoccia l'ha piazzato lì, significa che un pericolo c'è: che fra la civiltà della sua colonna spezzata e l'Oltre c'è un limite che non deve venir valicato.
Quando il pericolo arriverà, quando graffierà o arrancherà o salterà in un'orda indefinita, il cono terrà la sua posizione. È rimasto saldo fino ad adesso in attesa di rinforzi o di una mano amica. Quando il pericolo arriverà, sa che nessuno sarà al suo fianco.

La pioggia scioglie l'ultima neve sulla sua base; l'aria è pesante e carica di presagi.
Dalla sua altura, contempla la selva: se non oggi, domani arriveranno. O il giorno dopo. O dopo ancora.

Una libellula lo sfiora ronzando. Ignora il suo avviso accorato e sparisce, subito inghiottita dal buio.
Il cono è solo.







Con'an (conetto del futuro)












4. Lo spazio del mondo che muta



In principio trovarono un'Era silenziosa e azzurra. C'era un anello di terra popolato di rocce e panciuti alberi in fiore e poco altro: al centro dell'anello un indicatore, anche se non era dato sapere cosa misurasse, e al di fuori sparute accozzaglie di invitanti rovine traforate. Ma il mare era governato da forti correnti e i coni non sono, di natura, temerari.
Ciononostante, non faticarono a restar saldi nel confronto con la vivace popolazione di granchi dell'isola: appena le bestiole videro i nuovi arrivati arretrarono con gli occhioni spalancati e zampettarono a rifugiarsi in acqua, terrorizzati dal faretto da speleologo che risplendeva in cima al capo spedizione.

Quando i coni tornarono, il mondo era cambiato. Il mare si era ritirato, lasciando spazio a una nebbia scura, e in lontananza s'inseguivano i lampi.

È cambiato ancora. Ora il gruppetto, spaesato, si affaccia su un'infinità stellata, mentre dell'isola e dei suoi granchi rimane solo qualche asteroide circondato da un alone di polvere cosmica.

Il tempo, qui, sembra contrarsi secondo un volere più alto, i cui intenti sfuggono ai coni. E sembra aver trovato pace, dopo tanto correre e tanto distruggere: l'inquietudine originaria dell'acqua, sfociata in tempesta, si è disgregata assieme a tutto il resto. Quel che rimane è un ammasso di rocce finalmente immobile, trampolino verso una possibilità che, quella no, alla pattuglia non è sfuggita. Ora hanno la possibilità di andare semplicemente oltre, in un modo che agli uomini non è mai stato permesso.

Il primo cono cade dal bordo irregolare dell'asteroide.
Fluttua?
Lo spazio è caldo e accogliente, vivo.
Ricco di atmosfera che lo sfiora mentre cade.
È uno spazio benevolo che unisce tutti i mondi.
E le stelle che li illuminano.
Che si fanno più vicine...
Sempre più vicine.

Il rumore alla fine dell'universo è TOINK.
Il cono è atterrato su una piastra metallica nera, ravvivata dalle macchie di vernice fosforescente delle stelle. Il cielo è dipinto.
Da oltre quel limite ferroso proviene un suono sordo e attutito, come il brontolio di una cascata.

E lontano sopra di lui, come una cometa luminosa, balena ancora il faretto da speleologo del capo spedizione.







Con'an (lo sbabbaro), Con'nor, Con'suelo, Red 
Con'ja












5. Straniero!



Prima o poi doveva succedere.

I rami del Grande Albero delle Possibilità crescono e s'intrecciano verso il cielo che copre tutte le Ere, fioriscono e divergono, e ogni singolarità trova il suo posto sotto le sue fronde rigogliose.
Può però accadere che anche due rami infinitamente lontani in quel coagulo di universi prendano pieghe molto, molto simili.

Capita così che una pattuglia di coni vigili all'ingresso di un'Era in rovina, abbandonata dalla sua gente chissà quanti anni fa. Su tutto riposa indisturbata una polvere color ocra, che solo all'orizzonte si stempera in un grigio freddissimo prima di perdersi nel giallo del cielo. C'è un mare, là in fondo? O s'intravede la pietra di città sopravvissute? Delle spore fluttuano riunite in coaguli spumosi, come fitte nevicate fuori stagione. Se sfiorano un cono, però, non vi si posano, sospinte via da un soffio di vento improvviso. E loro, i coni, restano lì: arancioni, vigili e immoti, al centro di uno spiazzo rialzato, circondati da relitti d'ocra di una tecnologia che fu: cavi erosi e interrotti, cumuli indistinti d'ingranaggi, grandi dentature metalliche slogate dai loro sostegni.
E l'Intruso.

L'Intruso è un guardiano, come loro. Pacato e composto al margine di una scarpata.
Conico, com'è giusto che sia.
Giallo squillante.

Ahrotan, risuona il timore non detto, una cappa di sgomento sulla piccola pattuglia: abitante di superficie. Ahrotan, l'Altro, l'Inferiore.
Millenni di storia ricadono sui coni di D'ni, millenni d'ingiustizia. E, su tutti, la voce della ragazza eterna che risuona a volte negli angoli più remoti della Città, mettendo in guardia chiunque l'ascolti, o forse se stessa, dai pericoli dell'orgoglio.
Ma i suoi moniti cadono su orecchie di gomma. Gli ultimi abitanti di D'ni non prendono, non donano e non restituiscono. Non sono Ultimi né Primi: sono coni.

Guardano lo straniero da pari a pari, fissi e sereni. Una nuvola di spore volteggia fra loro e va a posarsi poco oltre.

Shorah?







Con'nell, Con'stantine, Con'an (detective con le 
strisce), Ugo












Epilogo: La forma del purgatorio



“È interessante notare che, da quel viaggio nel 1992 fino ad oggi, la città non è mai stata completamente disabitata”, aveva detto Watson.
“D'ni, la città delle Ere, di altri mondi morì. Ma ora torna a respirare – attende”, gli aveva fatto eco Yeesha.
Ma gli esploratori di Yeesha oggi dormono in pace nei loro letti sparsi su cinque continenti: incapaci di 'costruire una casa', come aveva auspicato nel suo addio, sono tornati alle proprie. E il DRC di Watson se n'è andato, da allora: è tornato in superficie a lottare con i suoi dubbi, a mettere altri coni di fronte alle sue paure.
Eppure avevano ragione. Quel che è rimasto in città non ha i tempi affannati degli uomini, è più affine alla pietra e con essa ragiona, fissa, capisce. La città non guarisce, ma riposa. I coni scavano i loro tempi e le loro storie, fra le nicchie delle pareti, su ponti spezzati e sotto scale, muovendosi lungo geometrie note a loro soltanto. Si riuniscono in gruppi a contornare una crepa che non riempiranno, o sono guardiani di strade vuote, o di un lago che non riprende luce.
L'Arco osserva gli osservatori.

C'è un senso di attesa che grava.
Di colpe di altri scontate.



La giovane chiude il taccuino coi nuovi disegni e le storie annotate. Tempo di andare.
Alle sue spalle, il silenzio di un cono che si muove.



















] The future is always revealed to those who wait. 
(Words, 4:81)







Il punto è sempre quello: The gathered are known by their faces of stone, come dice Words e Zandi cita. Cioè la faccia di tolla di sparare le peggio cretinate a muso serissimo (e dare di rimando la colpa a Words perché ZOMG ERA TUTTO GIA' SCRITTO)... ...cioè, coni. Gh. Note:

@ schema di presentazione: Volevo mettere nell'intro anche un "Per arrivare là dove nessun cono è mai giunto prima!", da pronunciarsi à la William Shatnercone, ma meglio l'Albero dei coni, alla fine. M'immagino l'Osservatore un po' spaesato dalla visione... Il genere invece è Avventura e Malin-conico, ovviamente. What else?
@ Fantasmi arancioni ecc: il mistero della barca c'è davvero. La si è potuta vedere (la gif non è mia, viene da UruObsession) per qualche tempo dalle finestre dei Quartieri, ma nessuno ha mai scoperto chi traghettasse da dove a dove. "Un cono" mi sembra una risposta dignitosa come tante altre.
@ Luci sopra il tunnel: il percorso per la superficie è qui documentato. Per l'ebbrezza di farsi scarrozzare da un Bahro, rimando a EoA.
@ Vecchia guardia: Era giardino random. La mano grassoccia potrebbe appartenere a chi pensate voi come anche no.
@ Lo spazio del mondo che muta: Ahnonay, Ahnonay, perché sei tu Ahnonay? (ma secondo voi, le stelline di Space Ahnonay erano dipinte su con la vernice fluorescente, come gli adesivi? Guardate che son domande...)
@ Straniero!: Il Grande Albero delle Possibilità da cui si dipanano tutte le Ere è il cardine della simbologia D'ni. Shorah è semplicemente 'salve', il mio D'ni non va molto oltre ma fin qui ci arrivo. La 'ragazza eterna' fa i 194 quest'anno e li porta benino, direi. E direi anche che un avvistamento in Caverna del 2007 overrula End of Ages in merito al suo aspetto, sì?
@ Epilogo: le citazioni sono loro (traduzione del Quartiere Italiano per la prima, mia per la seconda). "Find a way. Make a home." è stato l'ultimo avviso di Yeesha. E la forma del Purgatorio, secondo Dante, è... ebbene sì...




E ORA, IL FANTASTICO ANGOLO DELLA CODA DI PAGLIA.

@ giugno 2007: QUALE GIUGNO 2007. IO NON C'ERO E ANCHE SE CI FOSSI STATA ERO TROPPO IMPEGNATA AD ARRABBIARMI CON TWILIGHT PRINCESS.
Ciò premesso... la soluzione mi sembra elementare, Wats...*cough* beh, mi sembra elementare e basta, non chiamiamo in causa gente che c'entra sempre fin troppo. '_'
L'esploratrice vede ancora i coni in Città perché SI TROVA IN UNA DANNATA ISTANZA. Li vedete voi ora i coni, linkando dalla vostra Relto? Sì? Ecco, anche lei. E il DRC li avrà riposti in qualche sgabuzzino, no? Non li avrà mica riportati fino in superficie, spero, sarebbe stata una sfacchinata inutile. QUINDI nelle storie inventate dall'esploratrice (che in fondo di istanze che cappio ne sa, è lì dal 2008) sono SEMPLICEMENTE USCITI DA LI'. La presenza dei coni post-2008 tiene su entrambi i piani della narrazione. Ogni tentativo bislacco di mandarmi fuori canone dei dannati coni sarà bypassato in modi altrettanto bislacchi. è_é
Questo insegna anche a controllare MYSTlore in fase di progettazione e non il giorno dopo aver consegnato. Anche per dei dannati coni, sì.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Myst / Vai alla pagina dell'autore: crimsontriforce