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Autore: _Alcor    04/06/2023    8 recensioni
Logan ha ucciso una persona, e non è stato un incidente.
Da allora sono passati due anni, ma se dicesse la verità non sarebbe il solo a patire le conseguenze. Quando inizia a vedere apparire lo spettro della ragazza nel distretto universitario dove lui ancora studia e lavora, Logan si sforza di pensare che sia tutto nella sua mente.
Ma questo spettro si può toccare, e lo sta cercando.
{vagamente ispirato al greenbrier ghost, molto alla lontana}
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Chimere'
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Le porte a soffio del supermercato si chiudono.

L’odore della pioggia battente mi pizzica il naso, malgrado la protezione offerta dal porticato gocce fresche mi schizzano contro le gambe. Non è stata un’ottima idea uscire in pantaloncini corti.

Stringo il sacchetto di plastica pieno di panini e una bottiglia di birra e imbocco la ventisettesima, edifici giallo ocra ricoperti di crepe costeggiano la viuzza stretta.

Un paio di matricole attraversano la strada con gli zaini sopra la testa, si fermano alla bacheca a controllare gli annunci. Fanno chiasso e strappano un paio di linguette dai fogli esposti. Non una volta il loro viso si sposta verso il manifesto sbiadito in alto a destra, quello con il viso di Jaiden stampato al centro e la scritta “SE L’HAI VISTA, CONTATTA LA POLIZIA.”

Stendo le braccia al cielo e inarco la schiena per stiracchiarmi, le spalle indolenzite cacciano una protesta. Il sacchetto mi sbatte contro la pelle. Jaiden è stata dimenticata, dovrei farlo anch’io ma non ci riesco.

Apro la sportina e pesco la bottiglia, sull’etichetta è disegnata una nave stilizzata. Birra Astrea, con cristalli di sale. Non sono sicuro che fosse il suo brand preferito, potrei tornare indietro e comprarne una di ogni tipo da portare al suo memoriale. «Ma dubito ti basterebbe per perdonarmi…»

Il cellulare squilla, rimetto la bottiglia nel sacchetto e tiro fuori lo smartphone dalla tasca. È il professor Anton, la solita ansia soffocante mi stringe lo stomaco. Scorro il tasto verde. «Sera?»

Rimango in attesa con il fiato incastrato in gola. Mi aspetto da un momento all’altro che mi dica che Phil o Ann debbano essere liquidati, come Jaiden al tempo.

«Ciao, ragazzo. Ci sono novità.» La voce è leggera, sta probabilmente sorridendo sotto i folti baffi grigi. «Non buone, in realtà. I finanziatori vorranno presto il report e la nostra divisione deve finire la sezione sulle conseguenze psicologiche sui soggetti principali entro il ventitré.»

Abbiamo poco meno di un mese. Poggio la schiena al muro freddo e passo una mano tra i capelli corti, sono unticci. «Ah, mh.»

«Costo di dover dormire in laboratorio!» Il professore fa un’altra risata affabile.

Mi liscio i ciuffi sporchi. Soggetto Quattro e Sette sono caduti da settimane in una spirale di dissociazioni, l’unica cosa che scriverei su quei rapporti è quanto è una idiozia continuare a sviluppare CHIMERA.

Ma quando Jaiden ha provato a denunciare la situazione, Anton me l’ha fatta zittire per sempre.

Dal cellulare arriva il suono di una porta che viene sbattuta, un brusio di sottofondo si mischia ai respiri leggeri dell’uomo. «Cerca di non sembrare così tanto esaltato sul lavoro, Logan.»

«Ah certo. Si figuri.»

«Porta i miei saluti ai tuoi genitori. Dovrebbero essere orgogliosi di loro figlio.»

La chiamata si stacca. Incasso la testa tra le spalle e batto il pugno chiuso contro la fronte. Sopporta Logan, o verranno a cercare mamma e papà per vendicarsi.






Il motore del distributore automatico ronza, la lattina di caffè freddo scorre in avanti e sbatte contro il vetro. Bloccata, grande. Scocco uno sguardo alle mie spalle, i tre tavoli della sala studio sono liberi. La porta del bagno è sigillata.

Dopo l’ultima volta che qualcuno ha rotto con una pedata il vetro del distributore automatico, gli inservienti placcano chiunque tenti di tirargli un colpo.

In fondo all’androne la porta marrone scuro che dà sulla classe è dischiusa, la voce della professoressa Selas si sente a malapena. Nessuno in vista. Sbatto la mano contro il lato del distributore, due colpi secchi.

Il bagno si spalanca.

«Ma che cul—» Vengo sempre beccato quando si tratta di cose irrilevanti come questa.

Hunter è sulla soglia, ha i jeans fradici fino al ginocchio e gli occhi gonfi di sonno. Dev’essere appena uscito da lavoro. Da dietro la spalla emerge la testolina del suo draghetto meccanico. Sono anni che ha costruito quella cosetta sgangherata, ma non si è ancora rotta.

Un sorriso divertito gli illumina il viso. «Yo, stai facendo il criminale?»

Irrigidisco le spalle, non voglio nemmeno che mi si legga in faccia quanto ci ha preso. «No. No. Si è inceppata la bibita.»

Hunter annuisce, accarezza con l’indice la schiena del robottino. «Bullone, fammi il solito favore.»

Bullone si lancia dalla sua spalla ad arti spiegati. Posso immaginarlo sfasciarsi a terra e schizzare pezzi di metallo ovunque, invece atterra e schizza dentro lo sportello del distributore. Risale gli scaffali fino alla lattina incastrata, si aggrappa a una delle bobine e spinge le zampette inferiori contro il caffé.

La lattina cade.

Hunter mi affianca, fruga nelle tasche dei jeans e ne tira fuori una manciata di monetine. «Chiamami eroe.»

Premo la mano contro lo sportellino: la testa di Bullone spunta fuori, mi tende la lattina nera. La accetto e chino la testa. «Grazie, mio piccolo eroe.»

Mi faccio da parte, Bullone risale i pantaloni del suo creatore e gli si intrufola sotto la camicia.

Hunter schiocca la lingua, borbotta a mezza voce mi accontento. Digita quattordici zero tre, la lattina di JollyRoger verde lime scorre in avanti. Sono mesi che ha lasciato la scuola per Ruby ma continua a intrufolarsi solo per fregarsi le bibite dal distributore. Non saprei dire se è l’atteggiamento da fratello maggiore responsabile. «Sai, oggi mi han chiesto di te.»

Stringo la lattina e spingo la linguetta, è inusuale ma non devo preoccuparmi. Non c’è niente di male. «Hm?»

«Una ragazza bassina, occhi dorati.» Infila altre monetine, un’altra lattina di JollyRoger cade giù. «Dio solo sa come l’hai attirata, visto quanto esci di casa negli ultimi tempi.»

Forzo una risata, premo le dita sull’allumino fino a imprimere una conca. «Sarà stata una scusa per parlarti.»

«Voleva il tuo numero.» Hunter alza le sopracciglia e le riabbassa, il draghetto metallico spunta dal colletto e lo fissa mentre raccoglie la terza lattina.

«Gliel’hai dato?»

«Figurati. Era carina ma non ho così fretta di mandarti una stalker addosso.»

Me lo meriterei. Prendo un sorso di caffè per riempire il silenzio, è dolce e fresco.

Hunter accenna un sorriso poco convinto. Schiocca le dita. «Più che mandarti una stalker addosso,» ripete. «Preferirei portarti fuori a cercartene una normale. C’è una serata chill da-»

«Passo passo.»

«Non ho neanche finito di proportelo, Logan.» Sbuffa. Il draghetto abbassa il muso tra le zampe anteriori, un perfetto riflesso del mood che leggo negli occhi verdi di Hunter.

Mi gratto il retro del collo. «Non ne ho voglia, avrò lavoro fino a tardi per le prossime settimane. E poi è quasi l’anniver—»

Mi mordo la lingua, non dovrei parlarne, più ne parlo più rischio che vedano cosa ci collega.

«Pensi ancora a Jaiden?» Mi mette una mano sulla spalla. «Bro, non è colpa tua. Non vorrebbe vederti ridurre così..»

Scuoto la testa. Vedo ancora la scarpata, la sento soffocare un’imprecazione mentre la spingo. L’ho guardata in faccia mentre spariva oltre il precipizio. «Preferirei comunque non uscire, non c’ho la testa per farlo.» Mi fa male il petto, l’aria è pesante e non mi riempie i polmoni.

Hunter si passa una mano tra i capelli. «Coso…»

Guardo l’orologio, mancano ancora quaranta minuti per il laboratorio con il professor Anton. «Stanno per iniziare le lezioni.»

Mi lascia andare.






Tiro giù le ultime briciole di crocchette e schiaccio il sacchetto di plastica.

L’aria nella biblioteca è secca e fredda, dopo l’ultima corsa sotto la pioggia i vestiti mi si sono asciugati addosso e hanno lasciato una sensazione di gelo fino alle ossa. Ho ricoperto il tavolo di tre manuali di Molaison, ma non ho finito neanche di sfogliare il primo. Anton spera di poter giustificare le controindicazioni di Quattro e Sette con danni estranei alla CHIMERA, ma sappiamo entrambi la verità.

Questo casino è colpa nostra.

Mi premo i pugni chiusi contro la fronte. Sono un bastardo, dovrei costituirmi e trascinarli tutti giù con me.

Premo la schiena contro la sedia e caccio un sospiro.

Dalla fila di scaffali metallici sbuca Carter, un sorriso spensierato stampato sul volto. Lo perderà non appena subirà la sua prima sessione d’esame. Lancia occhiate fugaci alle sue spalle e mi viene incontro, si mette la mano aperta a lato della bocca. «Da quando ti sei guadagnato un’ammiratrice?»

Ancora? Sporgo la testa verso la zona da cui è comparso Carter. Nessuna traccia di ragazze. La cosa inizia ad essere inquietante. «È stato Hunter a dirti di dirmelo?»

Carter corruga le sopracciglia, confuso. «No?»

Mi mordo l’interno della guancia. «Sai chi è?»

Carter scuote la testa, abbassa la mano all’altezza del proprio petto. «Aveva il cappuccio alzato, ma era alta più o meno così. Capelli… forse erano castani?»
«Bassina,» dico, per non rimanere in silenzio. Sembra la descrizione di Jaiden.

«Dovevi vedere come ti fissava-»

«L’hai vista?»

«Tecnicamente no ma aveva un libro.» Lo mima. «Continuava ad alternare gli occhi dalle pagine a te.»

Controllo uno a uno i ragazzi seduti alle tavolate intorno alla mia. Sono tutta gente che ho visto di sfuggita in passato, un paio sono chini sui propri testi. Un gruppetto all’angolo sta chiacchierando fitto. Da uno degli scaffali spunta la testa di una ragazza in felpa grigia, una frangetta castana è a malapena visibile da sotto il tessuto. È una copia sputata di Jaiden. Premo il palmo contro la bocca. Mi sto facendo suggestionare.

Carter mi tocca la spalla. «Stai bene?»

«No.» Non dovevo dirlo così, che cretino! Chiudo il libro e lo impilo insieme agli altri due. Meglio continuare a studiare da casa. «Cioè, con ‘sta pioggia ho preso freddo. Dovrei andarmi a cambiare.»

«Se la questione della stalker ti spaventa…»

«Voglio solo evitare di ammalarmi. Anton è stressato per una deadline da rispettare. Se mi ammalo, faccio saltare la tabella di marcia a tutti.»

Carter annuisce, incerto. «Sembra dura.»

«Lo è.» Rido per riempire il silenzio. Tiro su la pila di libri e carico la tracolla aperta sulla spalla. «Ma dovresti occuparti di te, scienze delle merendine è facile alle superiori, ma all’università…»

«Non rompere. Ho un esame con Rothshild tra meno di due settimane.»

«Condoglianze.» Gli faccio un saluto e mi infilo tra gli scaffali, sbuco nella sala principale. Dietro al bancone la solita bibliotecaria sta impartendo ordini a una che dà l’idea di essere una tirocinante. Porgo loro i testi. «Dovrei prenderli in prestito.»

La donna fa cenno alla ragazza di guardare il computer, prende un libro, lo apre al frontespizio. «La tessera?»

«Ah, scusi.» La tiro fuori dal portafoglio e gliela passo. Ho l’impressione di vedere Jaiden spostarsi tra le ombre degli scaffali. Ho le gambe pesanti. Non voglio girarmi e scoprire che è davvero lei.

«Hai un mese per leggerli.» La voce della donna mi coglie alla sprovvista.

Quando mi giro, Jaiden non c’è.






Il cono di luce tremolante del lampione illumina il cancelletto dell’appartamento, tiro fuori le chiavi di casa e mi infilo in giardino. La pioggia ha riempito il dislivello davanti all’ingresso di acqua scura. Succede ogni volta che piove poco più del solito, ma il proprietario non si decide mai a riempire il buco di ghiaino. Prima o poi qualcuno si farà male.

Salto oltre la pozzanghera e infilo la chiave nella toppa, la porta scivola in avanti senza bisogno di sbloccare la serratura. La luce dell’androne si accende e rischiara le scale sporche di pedate di fango.

Passo i polpastrelli sulle scanalature vicino al meccanismo della serratura, sono regolari. Non sembra ci siano segni di scasso. Si vede che qualcuno rientrando deve essersi dimenticato di chiudere per bene.

Dal mazzo di chiavi scelgo quella con un pezzo di nastro adesivo viola sopra, tiro un colpo di tacchetto alla porta che si richiude con un tonfo. Raggiungo il secondo piano e mi avvicino al mio appartamento.

La porta è dischiusa.

Mi scivolano le chiavi di mano e sbattono a terra. Non mi disturbo di raccoglierle, la persona che mi è entrata in casa potrebbe essere appostata pronta ad aggredirmi. O forse si è presa tutto quel che voleva e se n’è già andata da tempo. Cerco di ricordarmi l’opuscolo che mamma mi aveva costretto a leggere sui ladri nelle grandi città e come difendersi da loro, ma l’ansia che mi stringe la gola mi ha annebbiato la testa. Non riesco a togliermi dalla mente la possibilità che sia stata Jaiden a fare tutto questo.

Spingo la porta, si apre senza difficoltà. Le luci sono spente, assottiglio gli occhi. Le ombre gettate dai mobiletti del corridoio non sono abbastanza grandi per nascondere una persona in agguato.

Tiro fuori il cellulare dalla tasca, è troppo presto per accendere la torcia. Non vorrei allarmare chi potrebbe essere ancora qui dentro.

Dalla cucina arriva una risata distante, la voce è percorsa da distorsioni metalliche. «Dai Lo! Non abbiamo esami domani, non fare la nonna.» È la voce di Jaiden, viene dal video che avevamo girato alla fine del nostro primo anno. Dopo quel giorno, l’ho rivisto fino a memorizzarlo.

Non mi ero reso conto fino a quel punto di quanto poco si lasciasse fotografare quella ragazza.

Serro le labbra e mando giù il nodo alla gola.

Musica leggera arriva dalla cucina. Ci sono grida sguaiate di un paio di ragazzi in sottofondo, Jaiden ridacchia. «Una da sessantasei smezzata in due, è roba leggera. Non diventerai nemmeno brillo.»

La ragazza in felpa della biblioteca è seduta alla tavola e mi dà le spalle, il cellulare è aperto sul profilo di Hunter. Lo dondola tra le dita, senza guardare lo schermo.

Il Logan della registrazione sbotta. «E passamela!»

«Giù in un sorso!»

Jaiden non sparisce, le spalle si alzano e abbassano. Respira, è viva.

Rimango sulla porta. «Sei un’allucinazione.»

Lo spettro inclina la testa indietro, puntella un gomito contro la tavola e si sostiene il viso. Un sorriso tagliente le increspa le labbra. «’sup.»

«Non puoi essere qui.» Le tocco la spalla, le dita non affondano. È tessuto e carne solida, è vera. Lacrime minacciano di pungermi gli occhi, non ho ucciso nessuno. Grazie a Dio, grazie. «Sei andata alla polizia?»

Jaiden dondola le gambe, si mette in piedi. «Sei andata alla polizia è la prima cosa che mi dici… Perché?» Il tono è velato di sarcasmo. Inorridisco, non riconosco la voce e nemmeno i tratti del suo viso. «Cosa mi è successo, Lo?»

Faccio un passo indietro e sbatto una mensola. «Non sei Jaiden.»

Lo spettro mi tira un calcio nelle caviglie, il dolore mi morde la gamba che cede. Sbatto la nuca contro il muro, scivolo a terra. Gemo. Mi afferra il colletto e mi tira su senza difficoltà. Gli occhi dorati sono socchiusi, mi fissa come se fossi la persona più schifosa del mondo. «Cosa mi è successo, Logan?» lo scandisce.

La spintono. Lo spettro mi stringe il polso in una morsa ferrea e me lo gira dietro la schiena, mi sbatte a terra. Fa male, i muscoli tirano e lei non fa cenno di ammorbidire la presa. Punta il ginocchio contro la mia schiena e ci mette tutto il suo peso. «Due anni che non ci vediamo e non hai davvero niente da dirmi?»

«Mi dispiace!»

«Voglio i colpevoli, i morti non se ne fanno niente delle tue scuse.» Lo spettro mi poggia il telefono davanti, il video è bloccato su un primo piano di Hunter, Jaiden e io mentre giochiamo a beer pong. «Jaiden non può assolverti, e a me non piace lasciare correre così facilmente.»

Stringo le labbra e chiudo gli occhi. «L’ho uccisa io.»

Il dolore stringente mi lascia, rimane solo la pressione dello spettro sulla schiena. «E poi?»

E poi?

Se finisco in prigione io, il peggio che succederà ai miei genitori è la vergogna di avere un figlio simile.

Ma non ce la faccio più a vivere così.






[Note a margine]
L’idea per Template è nata quando lo youtuber di fiducia ha spacciato la vicenda storica del fantasma della contea di Greenbrier. “L’unico caso in cui la testimonianza di un spettro è stata usata in un tribunale.”
Ovviamente la realtà è diversa dalla tagline, ma l’idea che un caso sia stato riaperto a seguito della comparsa di un fantasma mi sembrava parecchio interessante. Non penso di aver reso minimamente giustizia all’idea originale che avevo avuto, o anche agli effettivi casi a cui mi sono ispirata - ma ehi, se avete tempo vi incoraggio a informarvi in merito.
Il video da cui ho sentito per la prima volta del fantasma di Greenbrier.
Un articolo veloce linkato da wikipedia, decisamente meno drammatizzato del video precedente, lol.

  
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