Questa è il quaderno della verità di Elia Avanzini.
Io mi chiamo Artin Dorsi, ed Elia mi ha passato la sua vita.
Per lui imparerò a non scomparirci dietro.
E per Vittorio imparerò a restare.
Dopo averlo salutato, mi sono fermato a comprare dei fiori: tanti, di tutti i colori possibili, ma soprattutto bianchi, perché il bianco è il colore della trasparenza.
È buio quando arrivo sotto casa di Linda.
Fa freddo, sta piovigginando, eppure tutto il mondo profuma, sugli alberi e nei prati è esplosa la primavera, e mi sembra d'aspettarla da anni.
Penso ai capelli di Linda sotto la neve, penso al maglione troppo largo di Ana, a quando ci hanno staccato il riscaldamento, alla lotta silenziosa di Alba, alla ribellione di Andrea. Penso alla canzone che ascoltavamo quella sera.
Vorrei che fosse oggi in un attimo già domani, per iniziare, per stravolgere tutti i miei piani, perché sarà migliore, ed io sarò migliore, come un bel film che lascia tutti senza parole.
Voglio essere dentro quel film, voglio essere qui, sotto la finestra di Linda, con questo mazzo di fiori in mano.
Voglio che si affacci.
La chiamo al telefono.
“Linda, sono Artin.”
Pronuncio il mio nome: è il nome che mia madre ha scelto per me, ed io lo amo. È un nome che viene da una terra dove il cielo è azzurro d'inverno. Anche il mio nome è trasparente.
“Sono sotto casa tua.”
Non risponde, ma la luce della sua finestra si accende.
“Mi dispiace, Linda. Io non Elia: non posso esserlo, non gli somiglio. Ma ho desiderato che lui somigliasse a me, e fosse più felice. Perché se Elia non ti amava, non era per mancanza d'amore, ma perché non riusciva ad essere felice. Io, invece, sono un uomo felice. Sono felice che Elia mi abbia dato l'opportunità di sacrificare me stesso per salvare i miei fratelli, sono felice che questa pioggia mi stia bagnando, sono felice del profumo della pioggia sull'asfalto, sono felice che Vittorio si fidi di me, e sono felice di averti visto comparire in ufficio quel mattino, piena di emozioni in pressione, come una piccola teiera che fischia. Sono felice che tu abbia creduto in me, in me, non in Elia, perché è me che hai sentito dire la verità, perché è con me che hai fatto l'amore, e perché io posso innamorarmi di te.”
Guardo la finestra illuminata, sola, al quarto piano.
Un po' di gente guarda me, sotto la pioggia con un mazzo di fiori in mano.
Non capirà.
Non lo posso pretendere. Non è stata nelle mie scarpe, nella mia vita.
Non lo accetterà mai.
La luce si spegne, la facciata rimane muta.
Poi nell'ingresso si accende un'altra luce, e la porta si apre.
C'è Linda, in pigiama, coi capelli spettinati, gli occhi azzurri come la primavera, bellissima.
C'è Linda, mi viene incontro e sta ridendo!
Ride, mi prende in giro, mi chiama per nome – il mio nome! - mi abbraccia, mi bacia.
Io la bacio.
E tutto comincia a cambiare.
La barchetta ora è in pace, cullata dal fiume.
Io sono la corrente.