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Autore: MissAdler    16/06/2023    11 recensioni
Itai doshin significa “diversi corpi, stessa mente” ed è un’espressione che ho trovato azzeccatissima per i personaggi di questo anime/manga. Si riferisce infatti a quella connessione che si viene a creare tra persone molto diverse tra loro che però hanno qualcosa che le unisce.
Questa sarà una raccolta di OS e flashine su varie ship, il rating cambierà e verrà segnalato di volta in volta.
1. Cascare nei tuoi occhi. KageHina
2. Non avere paura. AsaNoya
3. Vorrei. DaiSuga
4. Connessi. KageHina
5. Bright Star. BokuAka
6. 10 cose che odio di te. KuroTsukki
7. Autumn in Tokio. BokuAka
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Aoba Johsai, Shiratorizawa, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Coppia: Hinata/Kageyama
Rating: giallo
missing moment, post s2/pre s3

 
 

CASCARE NEI TUOI OCCHI
 
 
 
Ed io che invece vorrei solo averti più vicino
Cascare nei tuoi occhi e poi vedere se cammino
Che sono grandi come i dubbi che mi fanno male
Ma sono belli come il sole dopo un temporale

 

Avere a che fare con Hinata Shoyo era come inciampare ripetutamente su un tappeto elastico. Un rimbalzo, uno soltanto, e la forza di gravità non esisteva più, niente ti teneva attaccato al suolo, a ogni secondo un nuovo balzo ti sparava più in alto, ti faceva girare la testa, ti shakerava il cervello, ti rammolliva i muscoli, le ossa, la volontà. 
Tobio l’aveva studiato a lungo, il suddetto cretino. Conosceva ogni sua micro-espressione, ogni sfumatura ramata di quella massa informe che gli spioveva sugli occhi e che profumava di zucchero filato. Conosceva il modo in cui i suoi muscoli si tendevano durante la rincorsa, in cui gli spigoli delle ginocchia sporgevano sotto la pelle tesa per poi dargli lo slancio e farlo schizzare in aria come una scheggia impazzita. 
L’aveva scomposto e analizzato eppure continuava a sfuggirgli qualcosa, qualcosa di importante che non riusciva mai ad afferrare e a decifrare, cosicché il non capire lo rendeva agitato, insofferente, talvolta scontroso. Soprattutto quando lo sognava, in quei dormiveglia confusi e umidicci di cui non ricordava niente, a parte l’arancione inconfondibile dei suoi capelli e un odore dolciastro che poi gli restava nel naso tutto il giorno.
Perché accidenti Hinata Shoyo restava ancora un mistero per lui?
Se lo stava chiedendo anche quella sera, mentre lo guardava spingere la sua bici con le mani che tremavano e le guance rosse. La brezza notturna che gli spettinava i capelli ancora sudaticci. 
Avevano appena battuto il Seijoh, erano in finale con lo Shiratorizawa e l’indomani si sarebbero giocati tutte le loro carte. Avrebbero lottato insieme, lui avrebbe fatto splendere Hinata come il sole stesso, avrebbe alzato per lui nel momento perfetto, con la perfetta angolazione e velocità, lo avrebbe reso inarrestabile come si riprometteva di fare ogni volta, a ogni partita, a ogni allenamento.
Finché io sarò qui, tu sarai il più forte, gli aveva detto un giorno, non ricordava più nemmeno quando, e aveva tutta l’intenzione di prestare fede a quel giuramento.
 
Si stava alzando il vento, le stelle sembravano troppo vicine, come uno stuolo di lucciole attratte dall’elettricità che emanavano i loro corpi. 
Le fissavano ansimando sottovoce, le mani di Tobio chiuse a pugno nelle tasche, quelle di Shoyo a stritolare il manubrio della bici. 
Poco prima avevano provato qualche schiacciata, incapaci di restare fermi, di scendere a terra e di tenere i piedi attaccati al suolo. Erano corvi tornati a volare, come poteva, il coach Ukai, chiedere loro di restare giù, quando entrambi si sentivano ancora tra le stelle? Le stesse stelle che ora non potevano smettere di fissare, bevendole con gli occhi, riflettendone il bagliore sulla pelle lucida delle guance.
La senpai Shimizu li aveva spediti a casa a riposare, ma nessuno dei due sarebbe riuscito a farlo davvero. Dormire, poi, era impensabile, con quell’eccitazione a fior di pelle che gli faceva vibrare il sangue nelle vene, formicolare le piante dei piedi e fremere le mani. 
“Posso accompagnarti fino alla fermata del bus?” 
Hinata l’aveva balbettato senza voltarsi, gli occhi nascosti dalla frangia spettinata mentre si fissava la punta delle scarpe da ginnastica.
Kageyama aveva fatto scorrere gli occhi sulla curva del suo collo, su quel pallore lattiginoso che scompariva oltre la stoffa nera della felpa. Per un istante aveva immaginato di posarci la mano, di far combaciare il palmo con l’intero lembo di pelle scoperta, di sentire le ciocche sulla sua nuca solleticargli le dita.
“Va bene” aveva farfugliato a mezza bocca, come faceva sempre quando le emozioni si affollavano nella sua testa, nel petto, nella pancia, senza che lui sapesse cosa farne, se buttarle fuori a singhiozzi o ricacciarle in qualche oscuro anfratto del suo inconscio. E allora borbottava giusto un paio di monosillabi, con aria indolente e sguardo vacuo, nascondendo l'imbarazzo.
 
L’aria fresca gli asciugava il sudore mentre camminavano fianco a fianco, lentamente, senza dire una parola, lungo la strada deserta che risaliva fino al corso principale.
Tobio sapeva bene di essere attratto da quell’idiota, l’aveva sempre saputo, fin da quella ridicola partita delle medie. Tobio aveva desiderato lanciargli una pallonata sul naso, ma anche stringere a sé quel corpo esile, scattante, carico d'elettricità senza controllo. Voleva afferrare quel moccioso con gli occhi color miele e trascinarlo nella sua vita, voleva conoscere la sua storia, il suo talento, i suoi sogni. L’aveva voluto dal momento in cui l’aveva visto schizzare dall’altra parte del campo e balzare oltre la rete in quel modo folle e solo suo, senza tecnica né disciplina, col fuoco nei polpacci e due ali invisibili dietro la schiena inarcata.
Era rimasto folgorato. Restava folgorato ogni volta, anche adesso. A ogni balzo, a ogni schiacciata, a ogni passo avanti che faceva il nanerottolo, Kageyama si sentiva orgoglioso, perché lui stesso era parte di quella magia e perché Hinata aveva scelto di fidarsi di lui, tanto da chiudere gli occhi, saltare e colpire l’aria alla cieca.
“Hai paura?” gli aveva chiesto Shoyo di punto in bianco, camminandogli accanto mentre spingeva la bici dall'altro lato.
“Non essere ridicolo.”
“COSA?? Ridicolo sarai tu, creti-yama!” aveva gridato con la faccia paonazza. Era sempre buffo quando si arrabbiava. Ma poi si era rabbuiato, era tornato a guardarsi le scarpe, prendendo a calci un sassolino lungo la strada. “Sto solo pensando che-”
“Te l’ho detto, ci sono io, non devi preoccuparti.”
“Perché?”
“Perché cosa?”
Hinata aveva smesso di camminare, le mani ancora strette sul manubrio, la fermata del bus a pochi metri da loro.
Kageyama si era fermato di riflesso, guardandolo finalmente in faccia e perdendosi in quegli occhi giganteschi, così limpidi e profondi da fargli quasi paura. A volte, quando incrociava il suo sguardo, aveva l’impressione di venire risucchiato direttamente nell’anima di Shoyo, di vederla tutta – colorata e luminosa come l’esplosione di mille soli – di toccarla, di perdersi in essa.
“Come fai a essere così fiducioso? Voglio dire, io me la sto facendo sotto, Ushiwaka è tipo... un super figo! Andiamo, stiamo parlando del ragazzo dei miracoli, di un armadio a quattro ante e-”
“Ushijima non è imbattibile, anche lui ha dei punti deboli e il coach Ukai ci ha spiegato bene come difenderci.”
“Sì ma… perché tu hai così tanta fiducia in me?”
“Che domanda sarebbe?”
“Io non ho paura di Ushiwaka” aveva ammesso Hinata mordendosi il labbro. “Ho paura che tu... che ti renderai conto che non sono poi così invincibile...”
Tobio aveva sentito il proprio cuore smettere di battere per poi ripartire all'improvviso, veloce e martellante come un tamburo impazzito. 
Non aveva risposto subito, non avrebbe saputo cosa dire. Invece aveva distolto lo sguardo e l’aveva lanciato tra le stelle, indugiando sul sottile spicchio di luna che irradiava luce bianca, candida come la fronte aggrottata di Hinata che ora se ne stava lì, con gli occhi bassi e il vento a spettinargli i capelli.
“Sei un cretino.”
“C- che?”
“Sei un grandissimo, gigantesco pezzo di cretino!”
“COOOOSAAA???” 
“Pensi che io non sappia che farai delle stronzate clamorose? Ti ricordo che una volta hai servito sulla mia testa!”
“S- sì, beh, è  stata l’emozione, non è più successo, no? Non succederà più.” 
“Lo so benissimo, non sei più quel ragazzino stupido e fifone! Altrimenti pensi davvero che avrei alzato a te contro Oikawa? Pensi che domani alzerei ancora a te, in una partita così importante??”
Hinata l’aveva guardato a occhi sbarrati, quegli stessi occhi che erano un portale sempre aperto sul suo cuore. Aveva sbattuto le palpebre più volte, in uno sfarfallio di ciglia lunghe e chiarissime, stirando le labbra come se stesse effettivamente soppesando le parole di Kageyama. Poi aveva sorriso, agguerrito e risoluto, mentre il fuoco riprendeva a divampare sul suo viso.
Hinata brillava, brillava sempre, come un sole inesauribile. Tobio non avrebbe mai smesso di ruotare intorno a lui, di splendere del suo riflesso e di restituirgli quella luce accecante, calda e dorata. E non avrebbe mai smesso di credere in lui, anche se forse questo non gliel'avrebbe mai detto. Non così apertamente. 
“Domani noi… vinceremo” aveva concluso tutto d’un fiato, quasi monocorde, nonostante il cuore a mille, alzando il pugno in un raro gesto di cameratismo per siglare quella promessa. Solo che Hinata non l’aveva battuto con il suo. Aveva alzato il braccio, questo sì, staccandosi a fatica dal manubrio tremolante, ma anziché rispondere al gesto di Kageyama, aveva posato il palmo sul suo pugno serrato, racchiudendolo delicatamente nella sua mano.
Tobio era rimasto immobile, a fissare quello strano groviglio di dita e nocche, percependo il suo calore, la pelle indurita dai mille impatti della palla sul suo palmo.
Poi l’aveva visto sporgersi in avanti, sollevarsi sulle punte dei piedi e…
 
Un tonfo, un cigolio fastidioso, la ruota della bici contro la sua caviglia. Le labbra di Hinata, calde e screpolate, morbide da perderci la testa, erano premute sulle sue. 
 
Era durato un secondo, forse anche meno, tanto che il palleggiatore prodigio non aveva nemmeno fatto in tempo a chiudere gli occhi. La mano destra di Shoyo ancora sospesa a mezz’aria, chiusa sul pugno di Kageyama, la sinistra stretta sulla manica della sua felpa.
Col respiro incastrato in gola, insieme a mille parole che non sarebbero mai uscite, Tobio l’aveva guardato impotente mentre lasciava la presa su di lui, mentre raccoglieva la bici da terra e goffamente montava in sella, mentre si allontanava con le spalle che ancora tremavano. 
Anche le sue mani tremavano, soprattutto la sinistra, ancora stretta a pugno lungo la coscia.
E tremavano le sue gambe, le ginocchia, le spalle, la testa. Tremavano le labbra, mentre i denti si digrignavano e un profumo dolciastro gli solleticava le narici.
 
“Shoyo!”
 
Non ricordava di averlo mai chiamato per nome. 
Shoyo. 
No. Quel suono così bello, dolce, stranamente familiare, non se l’era mai ritrovato tra le labbra, non se l’era mai rigirato sulla lingua, non vi aveva mai affondato i denti per assaporarlo fino in fondo. Se lo sarebbe ricordato, no?
Eppure adesso non era importante, nulla lo era, mentre Shoyo si voltava verso di lui, gli occhi lucidi e le guance arrossate, quelle labbra che erano appena state sulle sue senza che lui se ne rendesse conto.
Due o tre falcate e Tobio fece ciò che aveva sempre voluto fare, fin dal primo momento. Infilò le dita in quella massa arancione e tirò piano le ciocche ramate fino a sollevare il viso da bambino di Shoyo, portandoselo a meno di un soffio dal suo. Respirò a pieni polmoni quell’odore di zucchero filato e lasciò cadere gli occhi dentro ai suoi. Precipitò in quelle iridi gigantesche e accettò di perdersi, una volta per tutte.
Non gli lasciò il tempo di smontare dalla bici, di staccare le mani dal manubrio o di pronunciare anche solo una parola. Lo baciò e basta, senza fretta, sentendo montare dentro di sé una nuova certezza. L’indomani avrebbero vinto, l’indomani sarebbero stati invincibili. Non solo perché Shoyo aveva lui, ma anche perché lui aveva Shoyo. Perché avrebbero combattuto insieme. Perché ora entrambi sapevano.



 
FINE


 
ANGOLINO DELL'AUTRICE

Salve! Approdo in questo nuovo fandom e spero davvero di restarci il più possibile perché sono totalmente innamorata di questi corvi tontoloni, ma anche di tutto il resto del tontolario. 
Penso che questa si trasformerà in una raccolta, ho già in mente altre shottine su loro due ma anche su altre ship, quidi vediamo come va con questa intanto. Se vorrete lasciarmi due paroline ve ne sarò grata, ma siate indulgenti, è la prima volta che scrivo di loro e ho letto davvero pochissimo. A tal proposito ci tengo a ringraziare la bravissima Violet Sparks che mi ha letteralmente conquistata con le sue storie, al punto di convincermi a recuperare l'anime. 
Il titolo e la citazione appartengono a una canzone di Ultimo.
Non aggiungo altro, ma spero davvero che questa piccola storia vi sia piaciuta. 
A presto ♥ 
Aislinn


 
   
 
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