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Autore: Scintilla19    27/06/2023    7 recensioni
“Perciò confortatevi a vicenda edificandovi gli uni gli altri, come già fate.” - 1 Tessalonicesi 5:11
[MikamixTakada] [accenni LxLight]
Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2024 indetti sul forum Ferisce la penna
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Kiyomi Takada, L, Light/Raito, Teru Mikami | Coppie: L/Light
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Minuetto

~

 

Minuscole gocce di cera cominciavano a colare lungo le candele da poco accese sulla tavola ordinatamente apparecchiata. Le pietanze appena cucinate riposavano nel lieve tepore del forno, per rimanere calde e fragranti fino all’arrivo dell’atteso ospite, elegantemente in ritardo di quasi cinque minuti: niente che non fosse già stato preventivamente previsto e calcolato.

Teru Mikami era una persona abitudinaria e ligia alle regole, nota per la sua precisione e meticolosità: mai un oggetto fuori posto, mai una parola di troppo, mai un passo falso; la sua casa, la sua persona, il suo stesso essere, tendevano alla perfezione più assoluta.

La sua vita era sempre stata un minuetto: una danza lenta, equilibrata, cadenzata, i cui passi, apparentemente semplici, celavano in realtà una complessità non comune, che contribuiva a creare quell’armonia esteriore ed interiore che tanto apprezzava.

Il campanello suonò al momento previsto e Mikami, dopo un’ultima occhiata sommaria al salotto, andò ad aprire la porta.

«Takada-san» disse con un lieve inchino del capo, facendosi da parte per far passare la donna.

Takada si strinse inconsciamente nel suo elegante soprabito chiaro, rabbrividendo per il freddo che le intirizziva le gambe scoperte dalla raffinata gonna longuette: era appena stata da Kira, come sempre molto poco suscettibile alla sua sobria sensualità di donna seria e in carriera, motivo per cui, per quanto cercasse di nasconderlo, era evidente che avesse l’autostima sotto i tacchi.

Entrò con aria terribilmente afflitta nell’appartamento di Mikami, tenendo lo sguardo basso finché l’uomo non chiuse la porta alle sue spalle. Solo allora alzò gli occhi, lucidi di freddo e di pianto, sul suo collega.

«Mikami-san, perdona il mio ritardo» disse sfilandosi i guanti di pelle neri.

L’uomo stiracchiò un sorrisetto affabile, aiutandola a liberarsi del redingote, per poi appenderlo con accuratezza maniacale nell’armadio accanto alla porta.

Takada si ravviò nervosamente il liscio caschetto, guardandosi intorno con aria circospetta e ancora un po’ ansiosa: sebbene non fosse la prima volta che si recava da lui, non si sentiva ancora a suo agio col suo segreto collaboratore. Ma forse era solo preoccupata di deludere Kira-sama: se quest’ultimo avesse scoperto i loro incontri paralleli, che rischiavano di far saltare la copertura messa in piedi con così tanti sforzi, sarebbe morta di vergogna prima ancora che il suo stesso maestro la eliminasse.

Takada avanzò morbidamente verso il tavolo, dove Mikami l’aiutò galantemente a sedersi: gesti attentamente studiati, semplici e fluidi ma frutto di studio ed elaborazione.

Il minuetto non è un ballo che si improvvisa.

Takada sistemò compostamente il tovagliolo sulle ginocchia, mentre Mikami scompariva in cucina per tornare con le portate da servire.

Versò del vino bianco nel calice di Takada, che lo sorseggiò con gratitudine, beandosi del calore che le saliva rapidamente alle guance e del lieve stordimento che l’alcol le provocava, annebbiando i tristi pensieri che le affollavano la mente.

Dopo aver scambiato alcuni vuoti convenevoli sulla bontà della cucina di Mikami, la donna si schiarì la voce, sentendosi in dovere di arrivare subito al punto.

«Sono stata da Kira-sama» disse mettendo giù le posate e cercando lo sguardo di lui attraverso la luce fioca delle candele.

«Lo so. Hai gli occhi gonfi. Piangi sempre dopo che sei stata da lui» rispose Mikami, continuando a mangiare, con apparente indifferenza.

Il solo riferimento al pianto e la consapevolezza di esser stata scoperta in pieno da Mikami fecero venir nuovamente gli occhi lucidi a Takada e un’irresistibile desiderio di ricominciare a piangere liberamente, certa che l’uomo di fronte a lei non sarebbe rimasto a lungo indifferente e che l’avrebbe confortata.

Si trattenne tuttavia dal farlo: lei non era così patetica.

«Va tutto bene?» chiese premurosamente Mikami, intuendo i turbamenti interiori della donna.

«Ma sì... Certo» replicò nervosamente Takada, fingendo di trovare improvvisamente interessante la semplice parete imbiancata alla sua destra. Certo, lo stile minimale di Mikami le piaceva molto, pulito e ordinato com’era, ma se ci fosse stato qualcosa su quella parete spoglia che potesse davvero distrarla, sarebbe stato meglio.

Una lacrima le scese impertinente sulla guancia mentre gli occhi si inumidivano irrimediabilmente.

«Il fatto è che lui...» sussurrò asciugandosi il viso, «...lui ancora non si è liberato di lei. E non credo che lo farà mai!»

Le lacrime scendevano senza freni: Takada piangeva di rabbia e frustrazione, davanti a un Mikami apparentemente impassibile.

«Takada-San, abbi pazienza. Devi fidarti di Kira-sama.»

La luce delle candele si rifletteva sulle lenti di Mikami, conferendogli uno sguardo quasi inquietante mentre proferiva queste parole. La sua espressione era nascosta dal riflesso, ma se Takada avesse potuto vederla, vi avrebbe trovato altrettanta sofferenza.

Dopotutto, chi più di lui poteva saperne di pazienza e fiducia. Lui, che nutriva una fede cieca nel Dio, che nemmeno aveva avuto l’onore di vedere con i suoi occhi.

«Io... sono stanca!» sospirò Takada, facendo tintinnare le posate sul piatto e oscillare pericolosamente il vino nei calici.

Nonostante non avesse perso la sua compostezza, il turbamento della donna era evidente: aveva gli occhi sgranati e allucinati, lucidi a causa del pianto e della lieve ebbrezza dovuta al vino, le mani tremanti e le guance arrossate dai capillari sempre più evidenti.

Era ormai chiaro che, anche quella sera, il minuetto l’avrebbero ballato in due, come era giusto che fosse.

Mikami si alzò e in poche falcate si ritrovò dall’altra parte del tavolo, ai piedi di Takada. 

Forse sulle sue labbra c’era ancora il sapore di Kira?

In un attimo si ritrovarono avvinghiati l’uno all’altra, coinvolti in un bacio vorace e rabbioso, in cui entrambi speravano di annegare la loro frustrazione.

Mikami ebbe una scarica di adrenalina, quando sentì le gambe della donna allacciarsi attorno al suo bacino; si rimise in piedi, tenendola in braccio, e a tentoni cercò la camera da letto.

Non era la prima volta che lo facevano. 

Takada aveva bisogno di lui, per riempire quel vuoto che Light Yagami aveva lasciato dentro di lei sin dai tempi dell’università e che mai sarebbe riuscita a colmare. 

Mikami cercava in Takada lo sguardo benevolo del suo Dio: possedere una donna così vicina a lui, lo faceva sentire più vicino al Dio stesso.

Era il loro placebo. Erano soltanto due malati d’amore in cerca di un palliativo. Un’unione tanto sbagliata nelle premesse, quanto azzeccata nelle promesse: entrambi desideravano qualcuno che mai avrebbero potuto avere.

Così, lontano dagli occhi giudiziosi di Kira, condivisero ancora una volta la dolce illusione di un mondo perfetto.

Mikami, finito l’amplesso, si era assopito addosso a Takada, che ancora si stringeva a lui, pur desiderando di essere tra altre braccia.

Si raccontava delle favole, mentre strizzava le palpebre per impedirsi di vedere qualunque dettaglio di quella stanza in cui mai avrebbe dovuto essere; ma c’era poco da fare: prima o poi avrebbe dovuto svegliarsi e rendersi conto che l’uomo addormentato sul suo seno non era Yagami, che non era affatto una dea, bensì una comune mortale che aveva appena fatto sesso col palliativo di turno. 

Aprì gli occhi e fissò il soffitto della stanza, appena rischiarato dalla luce ovattata dell’abat jour.

Era stata da Kira solo poche ore prima, e adesso giaceva in un letto con un altro uomo.

Solo poche ore prima, Yagami le aveva detto che l’amava e che c’era solo lei nella sua vita, l’aveva baciata appassionatamente e l’aveva spinta dolcemente verso il letto al centro della camera d’albergo dove avvenivano i loro incontri.

Poi, qualcosa era andato storto: aveva sollevato la mano per sfiorargli il viso, e i braccialetti d’argento che portava al polso avevano tintinnato.

Yagami si era fermato all’improvviso, e l’aveva guardata con espressione accigliata e inquieta al tempo stesso.

«No» aveva detto allontanandosi bruscamente da lei. «Non posso. Va’ ora.»

Takada non capiva.

Se n’era andata con l’orgoglio ferito e l’autostima a terra, ed era corsa da Mikami.

Sollevò un braccio, osservando i riflessi luminosi delle catenelle d’argento che le ornavano il polso: possibile che un semplice tintinnio potesse infastidirlo a tal punto?

Takada non poteva sapere che Light Yagami apparteneva già a qualcun altro.

Né lei né Mikami avrebbero mai potuto averlo in alcun modo, la stessa Misa Amane, che invidiava tanto per la convivenza con lui, non l’avrebbe mai avuto.

Erano solo effimere pedine condannate all’infelicità da colui che veneravano, colui che aveva promesso loro un mondo perfetto privo di sofferenza. 

Takada si sarebbe svegliata con le risposte giuste, ma avrebbe continuato a fare le scelte sbagliate, raccontandosi quella favola in cui non voleva ancora smettere di credere, aspettando quel lieto fine che non sarebbe mai arrivato.

Il telefono sul comodino squillò all’improvviso.

Mikami si ridestò dal sonno, ritrovandosi riverso in un letto vuoto.

«Pronto?»

«Ho un messaggio per te da parte di Kira.» 

Come ogni giorno, le istruzioni del Dio gli arrivavano direttamente dalla sua portavoce. 

«Va bene, ho capito.»

Mikami chiuse la conversazione e si alzò, cercando le prove che quel che era accaduto non fosse solamente un sogno.

 

 


Il mio drive è pieno di cazzate del genere. E ho intenzione di svuotarlo xD
Grazie a chi ha letto fin qui, e ancora di più a chi vorrà lasciarmi un parere 💐


Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2024 indetti sul forum Ferisce la penna

 

Note per chi non conosce il fandom:

La storia è ambientata nella seconda parte dell’opera, quando Light si serve di Mikami e Takada per giustiziare i criminali tramite il quaderno della morte.
In questa fase della storia, la situazione è molto delicata: Mikami è perennemente pedinato dall’SPK (una task force con l’obiettivo di catturare Kira) e funge da esca scrivendo i nomi dei criminali su un finto quaderno, che l’SPK vorrebbe sottrargli.
A giustiziare realmente i criminali è Takada, la giornalista ex compagna universitaria di Light, che si coordina con entrambi per avere da Light i fogli del vero quaderno per uccidere e da Mikami i nomi dei criminali da scrivere, in modo che combacino anche sul finto quaderno.

Gli incontri con Light avvengono regolarmente in stanze d’albergo, poiché Light è ufficialmente impegnato con Misa, ma al tempo stesso inganna Takada, anche lei innamorata persa di lui sin dai tempi dell’università, promettendole un futuro insieme. L’unica persona a cui Light si sente legato però è L, il detective che ha ucciso lui stesso per salvarsi la vita, che i braccialetti di Takada gli ricordano per la catena con cui sono stati legati durante un arco precedente della storia.

Mikami, invece, nutre una venerazione profonda e morbosa per Kira, pur non sapendo chi sia. L’unico contatto che ha avuto con Kira/Light è avvenuto per telefono.

Mi è venuto naturale quindi far sfociare le frustrazioni di Takada e Mikami in una relazione clandestina, in cui entrambi possano consolarsi.

Il titolo della storia, “Minuetto”, è un riferimento al brano di Luigi Boccherini a cui sembra ispirata la OST di Mikami e ne riflette la personalità e lo stile di vita che, all’apparenza banale e ripetitivo, nasconde una dedizione e una complessità non comuni. 
Gli stessi incontri tra i due protagonisti della storia sono come questa danza fatta di tanti piccoli passetti, semplici sì, ma fatti senza commettere errori per non pregiudicarne l’equilibrio :)

 

 

 

   
 
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