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Autore: Glenda    28/06/2023    0 recensioni
Possibile che non ci siano fiumi di fic sull'adorabile pilastro della nebbia? Bisogna rimediare!
Muichiro Tokito ha appena recuperato i suoi ricordi e si appresta a riprendere il combattimento contro la quinta luna crescente.
La storia si colloca esattamente sul finale dell'ottavo episodio dell'arco del villaggio dei forgiatori ed esplora il rapporto tra Muichiro e i due forgiatori che hanno interagito con lui, analizzando i sentimenti di Tokito, sia dall'interno che dal punto di vista degli altri.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Muichirou Tokitou
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Kanamori era commosso.

Era la prima volta che Tokito lo ringraziava.

Forse era anche la prima volta che lo chiamava per nome, ma di questo Tetsuido lo aveva avvertito: non si trattava di presunzione, come a prima vista avrebbe potuto sembrare; Tokito li dimenticava, i nomi. Per questo Kanamori aveva iniziato a fingere di non ricordare il suo e lo chiamava semplicemente “ragazzino”. Muichiro Tokito, un pilastro. Ragazzino.

Ma a lui andava bene, almeno non doveva fare lo sforzo di ricordare o ri-domandare come si chiamasse il suo forgiatore. Tetsuido non lo chiamava, Tokito non lo chiamava.

Eppure in quel momento, appena scampato alla morte e col corpo ancora pieno di veleno, pronto ad affrontare di nuovo il demone, si era ricordato i nomi di entrambi e gli aveva detto “grazie”.

 

Nei suoi ultimi giorni di vita, Tetsuido si era molto raccomandato con Kanamori.

“Muichiro potrà apparirti freddo, a tratti superbo. Ti sembrerà che nulla lo tocchi e nulla lo ferisca, ma le cose non stanno così. Le sue emozioni sono bloccate perché sono legate a qualcosa che ha perso e lui si trova nella condizione di doverle re-imparare da capo. È come se nella sua vita qualcosa si fosse rotto e da quel momento avesse indossato gli abiti di qualcun altro. Agire secondo la semplice logica lo tiene al sicuro, ma mi basta vedere come usa la sua spada per capire da quali emozioni si fa guidare, quando combatte. Sforzati di capire, anche se lui stesso si è messo nella condizione di non essere capito. Non ne ha colpa. Abbi cura di lui.”

La prima volta che Muichiro Tokito si era presentato al villaggio aveva dodici anni ed era stato difficile credere che quel ragazzetto fosse effettivamente un pilastro. Tetsuido se lo era preso subito a cuore. Ogni volta che gli portava la katana per qualche riparazione lo tratteneva un po’: Tokito diceva sempre “Non posso perdere tempo” ma poi restava. Kanamori non aveva idea di cosa si dicessero quando rimanevano da soli in quella radura dove Tetsuido amava ritirarsi a fumare la pipa, ma quando Tokito andava via, con la sua spada aggiustata a puntino, sembrava sempre che avesse gli occhi un po’ meno assenti di quando era venuto. Che camminasse un po’ più leggero.

No, non sarebbe stato capace di “avere cura di lui”, anzi, il ricevere quel mandato lo aveva messo in difficoltà: lui non era capace di trattare uno spadaccino ammazzademoni come se fosse solo il ragazzino che era. Per lui era Tokito-dono, il pilastro della nebbia.

La prima volta che si erano parlati era stata alla casa del Capofamiglia.

Tetsuido stava morendo.

“Tokito-dono… Tetsuido-san vorrebbe… vederti.”

Lui lo aveva fissato con quegli enormi occhi vuoti e poi aveva detto: “E tu chi sei?”

Era stato il Capofamiglia in persona a interrompere quella scena imbarazzante, appoggiando le mani sulle spalle del giovane spadaccino.

“Vai con lui, Muichiro.”

Il ragazzo aveva inclinato la testa di lato, confuso.

“…Perchè?”

Non aveva capito o non voleva capire? O forse aveva dimenticato che Tetsuido era gravemente malato? Kanamori sperò che il Capofamiglia lo liberasse da quel disagio spiegando come stavano le cose, ma lui non disse niente. Neppure Tokito chiese più niente. Lo seguì senza una parola.

 

Muichiro strinse l’impugnatura della katana. La sentiva affine a sé, sentiva l’attenzione che Kanamori ci aveva messo, sentiva le istruzioni lasciate da Tetsuido, sentiva l’attenzione di entrambi. All’improvviso, gli sembrava di riuscire a percepire con molta più chiarezza ogni cosa: anzi no, aveva sempre percepito tutto, ma non aveva gli strumenti per leggere i suoi stessi sentimenti, per questo li aveva messi a tacere e aveva cercato di impedire che portassero scompiglio nella sua testa, che gli impedissero di fare bene ciò che doveva.

Tetsuido era morto davanti a lui: quel giorno c’era lui inginocchiato a suo fianco.

“Scusami se ti ho fatto perdere il tuo tempo, ragazzino, ma volevo davvero vederti, prima di andarmene.”

Lui era rimasto in silenzio, sentiva che qualcosa si agitava nel suo petto ma non riusciva a dargli un nome. Sentì il desiderio di tendere la mano e poi quello stesso desiderio si trasformò in dolore.

Qualcosa era stato strappato via dalla sua mano. Quando?

“Non mi piace stare a guardare qualcuno che muore.”

“Oh, ci credo che non ti piace! Ci mancherebbe!” Tetsuido diede in una risata roca, che si trasformò in un colpo di tosse “Vieni qui, fatti salutare per bene.”

Muichiro obbedì e si fece più vicino al suo capezzale. Tetsuido allungò il braccio e gli accarezzò il viso.

“Sai cosa mi fa soffrire? Che a te non sia stato permesso di fare il bambino. Di essere fragile, di fare i capricci, di perdere tempo perché di quel tempo non sai che farne. Vorrei che un giorno ti venisse restituito tutto il tempo del mondo.”

Muichiro sentiva quella mano sulla guancia bruciare. Eppure era fredda, debole. Non riusciva a muoversi. Desiderò che tutto si fermasse, che quell’uomo non morisse, che nessuna altra mano lo lasciasse andare. Ma non trovava le parole giuste, le emozioni giuste, e tutto era solo nebbia.

La nebbia che era scesa sul suo passato e gli aveva confuso la mente.

La nebbia che lo aveva protetto da un dolore che non avrebbe saputo affrontare.

“Tu sei gentile. Tu credi di combattere per rabbia e per dovere, ma quello che io invece vedo è che combatti per dolore e per amore. Tu meriti di essere amato. Prego che incontri tante persone capaci di capirti, di vedere ciò che vedo io. Di volerti il bene che ti ho voluto io, Muichiro…”

Quel giorno aveva desiderato di riavere indietro le sue lacrime.

Aveva desiderato che scendessero lungo le sue guance e portassero via tutta la nebbia dagli occhi… ma aveva troppa paura di ciò che ci avrebbe trovato dietro.

Ora che vedeva tutto, davanti a lui c’era un demone da affrontare.

Ma forse, dopo averlo sconfitto, avrebbe avuto il diritto di piangere per tutte le volte che non lo aveva fatto.

“Tetsuido-san, scusami. Ti ho fatto preoccupare, eh?… Ma sai… adesso io… Sto bene.”

 

  
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